The 2nd Law - Muse - recensione

The 2nd Law dei Muse: un viaggio musicale nella contemporaneità.  Recensione di Antonio Di Carlo.

Paura, difficoltà e sopruso. Sono queste le parole chiave del mondo in crisi che i Muse, anche in questo nuovo disco, cercano di descrivere attraverso il loro sound incantevole. Ma l'amore e la speranza non muoiono mai e anche questo si sente nei brani.

La seconda legge dei Muse. Già il titolo, che fa riferimento alla seconda legge della termodinamica, l'immagine di copertina  raffigurante i percorsi energetici nei neuroni del corpo umano (corredati da delucidanti interviste) e la traccia numero dodici dubstep style "The 2nd Law: Unsustainable" rilasciata in anteprima con tanto di video, lasciavano presagire, prima ancora dell'uscita dell'album nei negozi di dischi, che l'opera trattasse temi caldi come la crisi economica e finanziaria mondiale. La 2nd Law della termodinamica ci dice che in un sistema chiuso l'entropia aumenta e l'energia si disperde, inesorabile come sembra essere il periodo di smarrimento che stiamo attraversando: ecco a voi, la seconda legge dei Muse! Il cavolfiore colorato dei percorsi neuronali rappresenta forse l'innovazione scientifica e tecnologica che avanza nonostante tutto e il video di "The 2nd Law: Unsustainable", rilasciato in anteprima, ci ha mostrato immagini piuttosto eloquenti quali il trader di Wall Street in preda al panico, disastri ambientali vari e giovani in fuga verso metropoli decadenti, inseguiti da una qualche entità invisibile: scenari reali esasperati al limite dell'apocalittico dall'impressionante musica della band di Bellamy & co che per l'incisione del disco si sono serviti anche della preziosa collaborazione del compositore David Campbell.

Il disco. La prima traccia, Supremacy, era stata inizialmente scritta come colonna sonora dell'ultimo film di 007 - Skyfall. Un brano imponente, in pieno stile Muse, dove la voce sempre più crescente di Bellamy arriva a duellare con la sua stessa chitarra. Si prosegue con Madness il primo singolo dell'album che è anche un primo indizio che la band si è divertita a giocare con l'elettronica. E ci sono riusciti in una maniera particolare e sapiente: all'inizio non si può fare a meno di domandarsi cosa sia quel suono particolare che accompagna la voce. E' il basso di Chris Wolstenholme settato in synth e utilizzato pizzicando di fatto untablet. Vero ritornello di questa canzone è l'assolo alla Brian May che ricorda in particolare quello di I Want to Break Free. Sul finale penseremo di sicuro agli U2, ma senza disdegnare. Il terzo brano è un pezzo funk stile anni '80 molto accattivante: suonato in tecnica slap del basso tipica di quegli anni e con tanto di fiati, è impassibile non muoversi ascoltando Panic Station!

Dalla quarta traccia comincia un capitolo a parte del disco, diremmo più da Muse. Da qui in poi i testi sono più impegnati e la musica è più affine a quella che fino ad ora ci ha fatto innamorare di loro. Di fatto Prelude è un intro strumentale di quasi un minuto che scalda i violini, il pianoforte e il coro che saranno colonne portanti di un brano maestoso: Survival (scelto non a caso come inno delle Olimpiadi di Londra 2012). Quest'ultimo è un vero e proprio inno alla sfida, dove la voce di Bellamy viene incalzata da un fantastico coro, dando l'idea di una sinfonica corsa ai cento metri.

Follow me è un brano space rock, dove forse i fans più sfegatati cominciano a riconoscere i loro amati muse; come anche inAnimals, testo forte, denuncia del mondo corrotto e dell'individualismo umano, accompagnata da un ritmo rock in 5/4 stileprogressive che aiuta a riflettere. Explorer è una canzone dal ritmo dolce, una piacevole ballata. Big Freeze sembra proprio una canzone degli U2. Del resto la band inglese non ne ha mai fatto mistero del fatto che amassero il gruppo di Bono e compagni. Ad ogni modo è bella e non da fastidio questa "emulazione".

Save me e Liquid State sono cantate da Chris Wolstenholme, il bassista (la seconda l'ha anche scritta). Quest'ultima è punk, con un ritornello corale. La prima è dai toni solenni, uno shoegaze, o se volete più semplicemente un alternative rock che accompagna benissimo un tema molto delicato come l'alcolismo.

L'album si chiude con un lungo strumentale colmo di elettronica e di campionamenti, ma anche di un più classico pianoforte tastato dal eclettico Matt Bellamy e violini e cori vari della solita orchestra. Dubstep, electro e classica dunque concludono un album innovativo e per questo coraggioso. Oltre che nei testi, il viaggio nella contemporaneità sta anche lì, nell'aver saputo dosare tecnologia con la musica vera, "come una classica orchestra sinfonica che abbraccia la modernità elettronica".

Antonio Di Carlo

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