Parla Masha Gessen: “Paragonare Gaza a un ghetto serve a imparare la Storia” - La Stampa

Slittata di un giorno (sabato 16 invece di venerdì 15) e in forma molto ridotta. È finita così la consegna del premio Hannah Arebdt a Masha Gessen - scrittrice e intellettuale ebrea, al momento la più limpida voce anti-putiniana al mondo - dopo le polemiche legate a un suo articolo comparso sul New Yorker in cui paragona Gaza al ghetto ebraico di Varsavia durante l’occupazione nazista. Gessen ha parlato per la prima volta della vicenda durante un’intervista a Democracy Now con queste parole: «Il paragone che faccio tra Gaza e un ghetto ebraico è intenzionale, non è provocazione. È proprio questo il punto: il modo in cui funziona oggi la politica della memoria in Europa e negli Stati Uniti e in particolare in Germania è che non si può paragonare l'Olocausto a nulla. È un evento singolare che si colloca al di fuori della storia. La mia tesi è che per imparare dalla storia dobbiamo fare paragoni. Deve essere un esercizio costante. Non siamo persone migliori, né più intelligenti, né più istruite di quelle vissute 90 anni fa. L'unica cosa che ci rende diversi è che nella loro immaginazione l'Olocausto non esisteva ancora. Nella nostra sì. Sappiamo che è possibile. Il modo per prevenirlo è essere vigili come è stata Hannah Arendt e come lo furono altri pensatori ebrei sopravvissuti all’Olocausto. C’è stato un discorso, soprattutto nei primi due decenni dopo la seconda guerra mondiale, in cui si parlava proprio di come riconoscere i segni dello scivolamento nell'oscurità. Il nostro diritto internazionale umanitario si basa essenzialmente sull’Olocausto, così come il concetto di genocidio. E io sostengo che questo quadro si basa sul presupposto che si guardi sempre alla guerra, al conflitto, alla violenza attraverso il prisma dell’olocausto. Bisogna sempre porsi la domanda se i crimini contro l'umanità siano ricorrenti. Israele ha condotto una campagna di incredibile successo non solo collocando l’Olocausto al di fuori della storia, ma isolandosi anche dall’ottica del diritto umanitario internazionale, in parte utilizzando come arma la politica della memoria e la politica dell’Olocausto. Penso che l’unico modo per cercare di garantire che l’Olocausto non accada più sia sapere che è possibile, continuare a sapere che può nascere da quella che Arendt chiama superficialità e che riporta ne “La banalità del male”. Per questo libro fu ostracizzata sia dal mainstream politico israeliano che da gran parte del mainstream politico ebraico nordamericano. Fu interpretato come una banalizzazione dell'Olocausto, ma quello che dice è che le cose più orribili di cui l’umanità si è dimostrata capace possono nascere da qualcosa che sembra niente, dall'incapacità di vedere il destino dell'altro. Lo interpreto come un appello a dubitare del tipo di consenso schiacciante che certamente in Israele e nella comunità ebraica nordamericana sembra sostenere l’assalto israeliano a Gaza. Perché è così che inciampiamo nei nostri momenti più bui».

Quello che Gessen ha tenuto molto a sottolineare è che il suo paragone tra Gaza e un ghetto voleva evidenziare il modo in cui, tanto ora a Gaza quanto nella Seconda guerra mondiale, lo sterminio viene accettato al punto da essere liquidato.

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