Marlon Brando muore povero e distrutto Una vita di trionfi sul set e di tragedie private

NEW YORK. L'uomo che fu definito «il miglior attore che l'America abbia mai prodotto» è morto all'età di ottant'anni. Marlon Brando era malato, con problemi respiratori e terribilmente sovrappeso. Si è spento da solo, in un ospedale di Los Angeles e a darne notizia molte ore dopo è stato il suo avvocato. David Seeley non ha rivelato le cause del decesso, rispettando cosi il desiderio dell'attore di mantenere fino all'ultimo la sua privacy. Brando è morto povero, una strana povertà fatta di conti in banca dove non era rimasto più niente e allo stesso tempo una megavilla a Beverly Hills il cui valore è stimato intorno ai 100 milioni di dollari. Aveva sperperato la sua fortuna proprio nel tentativo di costruirsi intorno un muro di privacy che lo difendesse dalla sua enorme popolarità. Era un recluso, un uomo che non si faceva mai vedere ai party di Hollywood.
Si faceva intervistare raramente e quando appariva in pubblico detestava parlare di sé e della sua vita. Una vita fatta di trionfi professionali e straordinarie delusioni sul fronte del privato. Una celebrata carriera sia teatrale che cinematografica non era stata sufficiente per spazzare via l'orrore di una figlia suicida e un figlio in carcere. Due Oscar non erano bastati per scacciare gli orribili effetti dell'alcolismo che lo aveva accompagnato per gran parte della sua vita. La stupenda isola privata di Tetiaroa, in Polinesia, non lo aveva protetto da quel profondo desiderio che aveva di essere se stesso e non una straordinaria star cinematografica di fama mondiale.
Chi non ricorda Marlon Brando nel film Il Padrino? Per il suo ruolo nei panni di Don Corleone l'attore aveva vinto un Oscar nel 1973. Era la seconda volta che portava a casa l'ambita statuetta (la prima era stata per la sua interpretazione in Fronte del porto) ma in quell'occasione si rifiutò di andare di persona ad accettare il premio. In sua vece mandò una giovane indiana d'America che fece un intervento a difesa dei diritti delle popolazioni native, anzichè i tradizionali ringraziamenti al cast del film o alla famiglia.
Nato in Nebraska il 3 aprile 1924, Brando aveva intrapreso la professione dell'attore quasi per gioco. «Non esiste altro mestiere al mondo», disse una volta nel corso di un'intervista televisiva, «che ti paghi somme cosi elevate di denaro per fare qualcosa mentre cerchi di capire che cosa vorrai fare da grande».
Il suo primo grande successo fu sul palcoscenico. Era una piece intitolata «I remember Mama» a cui fece seguito nel 1947 la sua eccellente interpretazione di Stanley Kowalski nel dramma teatrale di Tennessee Williams «Un tram chiamato desiderio». Quell'urlo a pieni polmoni, «ssstellaaaaa» con Brando bellissimo e in canottiera che gridava il nome della sua amata, è diventato uno dei momenti più memorabili nella storia del cinema americano. Allora era un uomo di una bellezza mozzafiato con un fisico muscoloso che faceva invidia ai nomi più celebrati di Hollywood. Era ancora magro e affascinante quando interpretò il film «Ultimo tango a Parigi», un film italo-francese che in quell'anno - era il 1972 - suscitò scalpore per alcune scene erotiche insieme all'attrice Maria Schneider. Allora Brando era ancora un uomo fisicamente accettabile, ma per tutta la vita l'attore dovette lottare contro la tendenza al sovrappeso. E quando l'alcolismo travolse la sua esistenza, non riusci più a controllare la sua figura e divenne irreversibilmente obeso. Ad aggravare la situazione fisica ci fu lo stato psicologico di profonda angoscia quando suo figlio Christian fu accusato nel 1990 di avere ucciso il fidanzato di sua sorella Cheyenne. Nonostante il padre avesse speso una fortuna per difendere il figlio, Christian fu trovato colpevole e passò cinque anni in carcere. Sua sorella si era rifiutata di testimoniare e aveva tenuto dentro il dramma del ragazzo ucciso e del fratello incarcerato. Poi nel 1995 non aveva retto più allo stress e Cheyenne si era impiccata. Nonostante l'alcool, l'obesità e le tragedie familiari, Brando non aveva mai smesso di lavorare. Proprio in queste settimane avrebbe dovuto incominciare le riprese per un progetto intitolato «Brando & Brando» ed era anche impegnato a fare il doppiaggio di un cartone animato. «Non mi interessa più lavorare, lo faccio solo perchè devo», aveva dichiarato il divo. «Fosse per me sarei contento se due volte all'anno venisse a casa mia un furgone carico di denaro e mi depositasse 5 milioni di dollari».
Andrea Visconti