Padre, madre, fratello: la prima strage in famiglia del dopoguerra- Corriere.it

Padre, madre, fratello: la prima strage in famiglia del dopoguerra

di Federico Ferrero

Un film in uscita racconta la storia di Franco Percoco, autore nel 1956 del delitto che traumatizz� un’Italia ancora scossa ma con il sogno della ripresa. Le radici del male in una situazione complessa e nei disordini mentali del killer. Che non furono capiti

Padre, madre, fratello: la prima strage in famiglia del dopoguerra

Una scena del film Percoco - il primo mostro d’Italia

In un appartamento di via Celentano, poco fuori Bari vecchia, c’era un ragazzo che stava male. Da quando aveva memoria di s�. Si chiamava Franco Percoco; suo padre, Vincenzo, era impiegato nelle ferrovie e, negli anni della ricostruzione dopo la guerra, tra binari da posare e linee da elettrificare, in famiglia lo si vedeva di rado. Mamma Eresvida era casalinga e vagheggiava un futuro da dottore per l’unico figlio che non le stava ancora levando sonno e serenit�. I Percoco avevano altri due eredi: Vittorio, il maggiore, nonostante l’estrazione borghese e l’educazione ricevuta in casa, era un cleptomane conclamato e faceva dentro-fuori dal carcere. Giulio, invece, era affetto dalla sindrome di Down e necessitava di assistenza continua. Appena maggiorenne, Vittorio si era portato appresso il tredicenne Franco in una delle sue imprese balzane: calarsi con una scala di fortuna sul balcone del piano di sotto, spaccare la finestra e rubare bottiglie di spumante e fichi per spassarsela un po’.

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Da sinistra, Vincenzo Percoco, padre dell’omicida, la moglie Eresvida. E sotto Franco Percoco, l’assassino, e il fratello pi� piccolo Giulio. Il delitto avvenne a Bari nella notte tra il 20 e il 21 maggio 1956

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Cattivo fratello

Il capobanda, per cumulo di pene, si era preso otto anni di reclusione; Franco, salvato dalla non imputabilit� per l’et�, si ritrov� l’adolescenza tagliata in due. Da un lato, la normalit� - il liceo scientifico, gli amici, lo svago - dall’altra, una situazione famigliare devastata: un fratello in galera, l’altro disabile, una madre comprensibilmente allo stremo che, peraltro, riversava sull’unico figlio “normale”, cos� diceva, tutte le aspettative di realizzazione e riscatto. Marcello Introna � l’autore di Percoco , testo riedito da Mondadori dal quale Pierluigi Ferrandini ha tratto il film Percoco- Il primo mostro d’Italia , domenica in anteprima e in concorso al Bari Film Festival. Esce nelle sale il 13 aprile. A entrambi va il merito di aver ripreso dal passato una storia raccapricciante: quella del primo massacratore familiare di cui si diede conto sui giornali italiani.

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L’arrivo in tribunale di Franco Percoco

“Il turco”

Franco non era un ragazzo come gli altri, lo sembrava. Salvo quando i vicini lo chiamavano “il turco” perch�, di punto in bianco, si comportava in maniera strana, insensata, inspiegabile. Come un estraneo che arrivasse da chiss� dove. Il peso di dover sostituire i fratelli, riempire carenze affettive ed emotive lo attanagliava e, da “turco” che era, pass� di grado per divenire “l’esaurito” quando il medico gli diagnostic� la nevrastenia, insieme alla sifilide che gli era rimasta come ricordo dalla relazione con una prostituta di cui si era invaghito, fuggendo e rubando cose della madre per regalarle al suo amore. Le vicissitudini di Franco Percoco hanno “lavorato” per anni nella sua mente senza esagerate manifestazioni esterne finch� il suo mondo non � crollato in una sera. Condannato a sua volta per furto, dopo un mezzo tentativo di suicidio sui binari di Milano Centrale, era rientrato a casa a Bari finalmente libero dall’amato e odiato Giulio - internato per un paio di anni in manicomio - ma dai vent’anni in poi il disturbo mentale inizi� ad agire nel profondo. Riusc� a diplomarsi e a iscriversi a ingegneria, sostenendo pure un paio di esami ma i tremori, i dolori alla testa e le esplosioni di ira si facevano sempre pi� frequenti. Al suo amico pi� intimo, Vincenzo Bellomo, l’aveva confessato pi� volte: odiava i genitori, li riteneva responsabili del suo malessere. Neanche l’amore di Tina Tezzi, sorella della fidanzata di Bellomo, riusc� a offrirgli pace e conforto. Partito per la leva militare e cacciato per frode, era solo in attesa di una spinta.

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La locandina del film di Pierluigi Ferrandini, �Percoco, il primo mostro d’italia�, tratto dal libro di Marcello Introna (Mondadori) dal titolo omonimo

La strage

La notte tra il 20 e il 21 maggio del 1956 Franco Percoco, dopo essersi sfogato con il fratello carcerato per le continue richieste materne di essere di pi� e meglio di ci� che era (e un tentativo di Vittorio di mediare con la madre affinch� smettesse di assillarlo) si diede coraggio scolando una bottiglia di cognac. Afferr� un coltello in cucina. Poi, come narra Introna, �fiss� i suoi genitori addormentati, la madre sulla sinistra, vicino alla vetrata che affacciava su via Celentano, il padre a destra, accanto al trum� su cui foto di morti e qualche gioiello senza particolare valore ardevano al luccichio fioco di un lumino elettrico. Scelse la sinistra�. Dopo aver ucciso padre e madre tranquillizz� il fratello, svegliato dal trambusto: Giulio in quel periodo era tornato a vivere con i suoi. Fu ammazzato con 38 coltellate.

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La stanza dei genitori uccisi

La gita fuori porta

Ferrandini fa partire il suo racconto di Percoco - interpretato da un credibile Gianluca Vicari - proprio nelle prime ore del mattino dopo la strage, quando pass� a prendere l’amico Massimo Boccasile e la fidanzata Tina per una gita fuori porta. Aveva terminato da poco il lavoro: per rinchiudere il corpo del padre nell’armadio aveva dovuto disarticolarne i femori; la madre l’aveva sepolta sotto coperte e materassi, per il fratello si accontent� di una coperta. Aveva lavato i pavimenti, si era tolto i vestiti insanguinati, fasciato una ferita alla mano e iniziato, senza soste n� altre cerimonie e preparando i panini per la scampagnata, un’altra vita. Libera dalle oppressioni, “disinfettata” dal peso ammorbante della madre, del padre, del fratello e dei loro fardelli che lui sentiva di non poter pi� reggere. Era talmente sereno e rinfrancato che i giorni dopo la mattanza furono i pi� spensierati di sempre. Disse a chi pretendeva notizie e spiegazioni che la famiglia era partita per una vacanza e che gli aveva lasciato dei soldi. Organizzava feste a tema alcol e sesso con Bellomo e le due loro ragazze, celebrando all’eccesso la vita a un muro di distanza dalla carneficina.

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Il coltello utilizzato da Franco Percoco per sterminare la famiglia

Dodici giorni

Del caso Percoco si scrisse solo dopo una dozzina di giorni, quando i vicini presero a lamentarsi per il tanfo: l’escamotage dei deodoranti sparsi per le camere e la copertura delle fessure sulle pareti non funzionava pi�. Il 9 giugno, la Gazzetta del Mezzogiorno apr� sulla strage di Bari. Insospettito dalla prolungata assenza dei genitori e dalle lamentele per l’odore di decomposizione, un vicino aveva chiamato i carabinieri e la strage era stata scoperta. Il cadavere decomposto del padre era caduto addosso al militare che aveva aperto l’armadio della camera da letto, spedendolo in neurologia per choc da orrore; la stanza della morte era in condizioni indicibili. L’arma del delitto, il coltello da cucina, era avvolto in un panno e chiuso in una scatola.

L’ASSASSINO FU CONDANNATO A 30 ANNI: USCITO DAL CARCERE, SI SPOSO’ E MORI’ A TORINO. AVEVA 70 ANNI, NESSUNO SI RICORDAVA PIU’ DI LUI

Ischia, ultima isola di libert�

Franco Percoco venne catturato all’albergo Felix di Ischia quello stesso pomeriggio. Vestito elegante, era sul divano della sala tiv� e stava preparando la fuga in Marocco: aveva letto di s� in cronaca. La sua vicenda ha tratti in comune con quella di Ferdinando Carretta, il “bravo ragazzo di Parma” che nel 1989 stermin� la famiglia e poi, per�, and� a vivacchiare mangiando scatolette e facendo consegne a domicilio a Londra. Percoco trascorse la latitanza in lussi e regali per s� e la sua donna: alberghi, cene, un giradischi, una macchina fotografica, liquori, vestiti. Al presidente del tribunale disse che i suoi genitori si opponevano al suo �intenso desiderio di una vita brillante�. Due giovani e valenti avvocati riuscirono a mitigare l’ergastolo in primo grado con una sentenza a trent’anni, poi definitiva per il ritiro del ricorso in Cassazione, fondata su un vizio di mente che neppure la neonata psicofarmacologia moderna fatic� a riscontrare.

Un “cattivo impasto”

La pozza di mostruosit� e squilibrio in cui ag� Percoco venne riassorbita dal boom economico; quando lasci� il carcere, nel 1977, nessuno si ricordava di lui. Nella cronaca dei quotidiani torinesi fa capolino un rigo nel 2001: Percoco Franco, di anni 70. Defunto il 14 febbraio. Si era trasferito nel capoluogo piemontese nel 1981, era sposato, pensionato, non aveva avuto figli. Forse ricordava quel passaggio della sentenza in cui, alla ricerca di un movente, i giudici avevano azzardato un �cattivo impasto dei plasmi generativi�, un difetto del Dna che aveva generato, da due persone perbene, un fuorilegge cronico, il primo pluriassassino d’Italia.

28 marzo 2023 (modifica il 28 marzo 2023 | 07:47)