LineaTempo - Itinerari di storia, letteratura, filosofia e arte

Mappe #12

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Una vita da ospite: Erri De Luca e la poesia dal cuore

Che cosa c’è all’origine della scrittura poetica? L’ospite incallito, silloge del 2008 di Erri De Luca, inizia con una premessa dell’autore che toglie il punto interrogativo: la poesia nasce quando la divinità smette di dire. Stando così le cose, la poesia sarebbe 1) ascolto del silenzio, o piuttosto dell’eco della voce divina, e quindi 2) un’espressione “a immagine e somiglianza” della parola di Dio. Si potrebbe quindi concludere che un testo poetico ben riuscito ha la pretesa di riaprire il canone delle Scritture, di ri-perimetrare il volume del sacro.

La poesia de L’ospite incallito – ma si può estendere il discorso in toto alla scrittura in versi di De Luca – rifugge dai modi tradizionali della lirica per imparentarsi con le forme più irregolari di una poesia-racconto (modello supremo: Pavese) che non rinnega la sapienza del cuore di matrice biblica. Il verso lungo è così una pista di decollo-atterraggio per parole, frasi, sentenze, postille che pescano tanto dalle vicende private del poeta (si vedano la prima e l’ultima sezione del libro) quanto dalla storia collettiva, sia essa del secolo scorso oppure veterotestamentaria. È una poesia, quella di EDL, che molto spesso vuole scolpirsi come manifesto (politico, religioso, identitario) di un Io che parla da confini ampi, complessi, multipli. Ma non per questo poeta urla la propria verità; semmai si limita a qualche Consiglio, a fare cioè come il lanciatore di coltelli che non centra il bersaglio ma lo costeggia perché, appunto, «la grazia è di mancarlo» (p. 23).

L’ospite incallito ci dice già dal titolo di un poeta e di un individuo – nella scrittura di EDL le due identità non sono divisibili – che attraversa la storia senza schermi o fraintendimenti, parlando dalla sede del cuore che non conosce limitazioni (infarto a parte), mai ponendosi come padrone degli eventi («Non sei il padrone, ma l’ultimo inquilino», p. 28) o in una posa stanziale («E niente è lì dove si va, destinazione», p. 21) ma sempre sul punto di disfare la tenda e così riprendere, come la divinità “beduina” nel deserto («Non voleva saperne di edifici, la divinità, / era nomade e nomade è restata», p. 33), il cammino, o l’arrampicata.

(Pietro Russo)

Mappe #11

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«Mi arrendo all’ineffabile». Il Getsemani di Pizzolitto

Nella Basilica dell’Agonia, sul Monte degli Ulivi, ci si trova davanti alla roccia sulla quale Gesù pregò la notte prima del suo arresto. Davanti alla pietra del Getsemani c’è un momento di silenzio e insieme di «resa / incondizionata», si è riportati a quel «deserto delle / cose» in cui emerge la nuda verità del nostro essere. È un silenzio che si fa insieme domanda e grido, come quello del buon ladrone San Dismas – venerato il 25 marzo nel Martirologio Romano – capace di spalancare gli abissi per entrare nel Regno, come scrive Pizzolitto: «Disma, ora trema e fiorisce l’abisso». Quello di Pizzolitto è un libro di atmosfere rarefatte e sospese, dominato da un senso profondo di mancanza che pervade il paesaggio: «Miseria di sassi e rovine / si posa il deserto di spine / sui volti, la misura / è colma, la via segreta / oggi anche i rami / tengono a stento / l’inverno». Distanze e lontananze abitano questa scrittura che non teme di nominare Dio e le molteplici «geografie» della sua sete, che accoglie continui echi, frammenti e citazioni che vanno dai Salmi al visionario Carnevali o al greco Elitis. Davanti al Getsemani ogni umana consapevolezza dell’impotenza umana di fronte al dolore – o anche del più misero tradimento – è trasformata in resa incondizionata, totale, ma resa che può mutarsi in abbandono e liberarsi in canto: «Mi arrendo all’ineffabile / ancestrale silenzio / in luminoso vuoto. / Io oggi solo in Te / trovo pace, riposo».

(Massimiliano Mandorlo)

LUCA PIZZOLITTO, Getsemani, prefazione di Roberto Deidier, Ancona, Pequod, 2023, pp. 88, € 14.

Amore e Morte in Mencarelli

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Daniele Mencarelli riprende nel suo ultimo libro Degli amanti non degli eroi questa antica antinomia in modo assolutamente originale, con due racconti poetici in cui si intrecciano amore, eroismo (finto) e perdono. Questo testo è ben diverso rispetto ai libri precedenti. Il breve commento è un invito alla lettura problematizzante dell’unità stilistica del libro e del tema sotteso dall’antinomia.

Eros e Thanatos

Eros e Thanatos è l’antica antinomia di due realtà legate indissolubilmente: già ben nota ai greci e sempre riproposta nella nostra letteratura occidentale da Romeo e Giulietta a Tristano e Isotta a Mr Pinkerton e Madama Butterfly. A questo sembra alludere il nuovo libro di Daniele Mencarelli, Degli amanti non degli eroi (Mondadori 2024), a cui mi accosto proseguendo il paragone del mio sentire con quello dell’autore, come già accaduto in passato (https://www.lineatempo.eu/author/mario-lo-pinto/), senza pretesa di cimentarmi in una vera e propria critica letteraria. Mencarelli tuttavia allude a questo tema unendo in un libro un poemetto e una composizione per così dire “epica”, ben distinti tra loro. Il senso del primo poemetto – Storia d’amore – è presto delineato nella nota conclusiva:

Se dovessi pensare a un corredo funebre, qualcosa da portare con me nell’aldilà, sceglierei questa storia in versi, semplice, adolescente, messa in scena per raccontare l’amore nella sua dismisura.

Insieme ad un’altra osservazione significativa:

Nessun uomo riesce a consegnare nelle mani del nulla ciò che ama veramente senza soffrirne, senza sentire il desiderio che quella vita finita su questa terra continui su altre rive.

Una bellezza incarnata

Di fronte a questa esposizione così chiara, vien da chiedersi cosa si aggiunga nell’esprimere gli stessi concetti in poesia, un mezzo espressivo a cui il lettore normale reputa difficile l’accostarsi. Anch’io, soprattutto nella mia giovinezza, non sono stato attirato dalla poesia perché avevo in casa un “poeta”, mio padre, che mi sembrava un po’ ridicolo; e poi perché le poesie moderne mi risultavano quasi sempre incomprensibili. Quelle invece che studiavo a scuola, quelle con la metrica ed il lessico difficile, una volta imparate non sono affatto complicate. Anzi la forma in cui sono scritte aiuta ad esprimere il pensiero di chi le ha scritte andando sempre al di là delle intenzioni di chi le ha scritte. Cioè l’arte – il mezzo e il risultato artistico – supera l’artista e per questo lo scritto fatto di idea e forma indissolubilmente unite prende vita propria e supera nell’espressione il semplice testo che contiene. Del resto questo accade anche per le canzoni fatte di testo in musica, mentre è meno facile che accada nella prosa. E il poemetto d’amore di Daniele Mencarelli è proprio una storia in versi in cui tutto ruota attorno ad una evidenza, l’idea della Bellezza incarnata:

a un’altra grandezza del vedere
mi porti attraverso la mia casa,
tutto grazie a te si fa bellezza
[p. 24].

Vengono alla mente i poeti del Novecento che dicono le stesse cose – Donna, mistero senza fine bello di Gozzano – o addirittura Sant’Agostino: Tardi ti amai bellezza tanto antica e tanto nuova. Bellezza che alberga in un amore acerbo degli anni ‘80 che porta tutto il peso di quelle circostanze: delle droghe che hanno invaso la vita, della materialità che domina nei rapporti. Circostanze che non hanno la forza di snaturare quel rapporto che resta sempre segno di qualcosa di più grande. Il fine dell’amore, anche il più carnale, è solo quello di rimandare ad Altro:

tutto porta inciso il tuo nome [p. 27]

Amare Chi ti ha fatto viva
è la tua bellezza che lo vuole
se adorata nella sua cifra smisurata
[p. 38].

L’eroismo del perdono

Stupisce che nel libro sia giustapposta a questo primo componimento un’altra composizione apparentemente del tutto scollegata: l’inedito poema Lux Hotel, anch’esso una storia in versi. La vicenda richiama anche nei nomi dei protagonisti l’epopea antica trasposta in un presente ipotetico dove quelli che son creduti eroi liberatori della patria si rivelano personaggi violenti e menzogneri che si scannano a vicenda per una partita di poker nella suite dell’albergo. Ma il bisogno di difendere le apparenze, la gloria umana di quei soldati che devono rimanere gli eroi che tutti credono, induce il concierge dell’albergo, sopraggiunto a cose fatte, ad addossarsi ogni colpa e suicidarsi. Anche il narratore, un semplice cameriere testimone della mattanza, tace e accetta questa soluzione, ricavandone anzi qualche beneficio. L’Autore intende

disinnescare nel cuore degli uomini il bisogno di un eroismo da imitare per avviarsi a una nuova forma di umanesimo […] per arrivare a festeggiare l’eroismo del perdono, della compassione, del coraggio che soccorre [p. 84].

Il narratore-cameriere, di fronte alla scena insanguinata e ai cadaveri dei soldati, teme sia giunta anche per lui l’ora del castigo per tutti gli anni in cui ha disertato la vita fatta di impegno e di pena e si rende conto di qualcosa:

mi accorgo d’aver la presunzione
d’ogni altro uomo a questo mondo
che ogni accadimento nasca da lui
succeda per lui soltanto
[p. 75].

I nostri atti ci seguono
, diceva Paul Bourget, ma in qualche modo anche ci precedono formando il contesto e il contenuto della nostra esistenza di cui siamo responsabili di fronte a Dio e di fronte ai nostri fratelli uomini. Dunque amore e morte sono i protagonisti antinomici di questa opera che d’altra parte risulta stilisticamente molto compatta, alla ricerca di una modalità di espressione del tutto originale. Il verso infatti diventa quasi prosa per rendere le due storie sempre perfettamente intellegibili: una storia di amore e una storia di odio. Resta da chiedersi come l’ardore un poco sconsolato del primo poema riesca a rendersi alternativo al senso dell’orrido svolgersi della seconda vicenda. Riesca a dar senso al sacrificio del concierge, apparentemente assurdo ed esecrabile; riesca a sostenere il narratore «per arrivare a festeggiare l’eroismo del perdono».

Mencarelli qui mi sembra che intenda Amore e Morte non come coincidenti, come avviene per i greci e per tanti nostri autori, ma che l’uno debba tendere a superare l’altra. Anche l’amore fulgido ma inquieto e incostante dei nostri giorni deve prevalere sui bagliori di guerre sempre più incombenti dove gli atti di eroismo si confondono con quelli di viltà. Ricercare come questo possa accadere credo sia la prospettiva più adeguata per accostarsi a questo libro.

Mario Lo Pinto

Mappe #10

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«Con gli occhi della prima volta»: il paese nascosto di Luca Nicoletti

C’è un paese nascosto nella poesia del romagnolo Luca Nicoletti, un paese – avverte Pontiggia nella prefazione – «non solo dell’anima, ma una comunità concreta». Colpisce, in questa poesia alla ricerca di luoghi veri e familiari, di una «piccola comunità» nel nostro tempo, lo sguardo estatico che si sofferma con stupore sugli elementi animali e naturali: lucertole, uccelli, il passaggio lento dei gabbiani, i rami e i bianchi petali del pruno, i monti «grandi e protettivi». Oppure la presenza «comprensiva» ed enigmatica al tempo stesso della luna, vista «con gli occhi / della prima volta». Lo sguardo del poeta, che ha in sé gli stessi paesaggi e istanti trattenuti dalle inquadrature fotografiche della madre Rosita Nicoletti – nota fotografa riccionese – sa cantare l’incanto struggente della Riviera anche nel suo lato nascosto e silenzioso, lontano dal chiasso estivo. Così attraversiamo la «Valconca divina, abissale», San Clemente e le «poche case» di Agello, quasi invisibili, le «pietre bianche / del Coriano Ridge War Cemetery» che sembrano disegnare fantastici arabeschi. E ancora la Riviera con gli alberghi ancora chiusi e «ogni luogo abbandonato», Zandonai «viale del tempo», l’esplodere delle gemme sui rami al Parco della Resistenza o, verso il confine, il castello «senza perdono» di Gradara, Bel-Sit a Gabicce Monte con la sua terrazza immersa «in quell’abbraccio di vento». Lontane dalle parole sicure e potenti dei «dittatori nelle vite degli altri», quelle della poesia di Nicoletti sembrano porsi umilmente in discussione e in dialogo, celebrando il continuo accadimento delle cose: «inquadra l’orizzonte, il cielo / decidi quanto / radici e nulla, celeste e confinato / nulla, respiro / che aspetta il nostro sguardo / i germogli, le foglie tenere / l’illusione che ci accende».

(Massimiliano Mandorlo)

LUCA NICOLETTI, Il paese nascosto, prefazione di Giancarlo Pontiggia, Ancona, Pequod, 2019, pp. 101, € 15.

LUCA NICOLETTI, Rappresentazione della luna, Pasturana (AL), Puntoacapo, 2023, pp. 92, € 15.

Mappe #8

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Il fiato caldo della poesia: Niente di tiepido di Iole Toini

Recita un passo dell’Apocalisse (3, 16): «Poiché sei tiepido, né caldo né freddo, mi appresto a vomitarti dalla bocca». Una vita incosciente del proprio essere ancorata al sangue che fiotta nelle arterie e allo sfondamento della luce nella retina è, allora, un’esistenza votata al rigurgito del niente. «Più terrena di così non sarà mai, lo sa. La strada è quella giusta», scrive Iole Toini a inizio di Niente di tiepido (p. 7), mostrandoci un’apertura, un cretto, una strettoia nella roccia che il corpo-anima del lettore è chiamato a seguire. Con il metro alterno del verso e della prosa Toini ci alita addosso un fiato caldo di sapienza esperienziale («È vero quindi, si può toccare Dio e la sua altitudine», p. 8) che si nutre di una vocazione panica («Se tutto fossi di niente, mi leverei oltre il siero della luce a toccare il molto dei volti, l’ordigno che dà fuoco al canto», p. 19), declinata anche e non meno vigorosamente al mondo delle relazioni umane («Quando amo una persona, la persona entra nelle ossa. Il mio corpo cammina col suo corpo, la mia bocca diventa la sua bocca», p. 43). Niente di tiepido è un libro in stato di grazia, laddove questa grazia è data dalla tensione cristallina di una creaturalità che convive con il disfacimento della materia, con la violenza della putrefazione carnale e, al contempo, con conati inarrestabili di gratitudine e tenerezza verso ciò a cui lo sguardo si rivolge: «Il volto di un uomo affonda la terra. / Il corpo di un bimbo affonda l’uomo. / La terra sprofonda. / Tenerezza, oh, tenerezza» (p. 29). Se è vero che le doglie di quel parto infinito che è la creazione (S. Paolo) non negano la possibilità del non venire alla luce, allora chi si ritrova sotto il cielo ha il compito di non essere tiepido come un aborto di vita, ovvero di far esplodere la gola con un canto all’altezza di ciò che è consegnato all’esistere e poteva non esserlo.

(Pietro Russo)

IOLE TOINI, Niente di tiepido, Locorotondo, Pietre Vive Editore, 2023, pp. 54, € 10.

Mappe #7

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Saper tradurre il fuoco. L’Apocalisse nella traduzione di Giancarlo Pontiggia

Saper tradurre il fuoco, far deflagrare in versi quel libro «di fiamme e di orrori» che è l’Apocalisse di Giovanni. Ci è riuscito Giancarlo Pontiggia – finissimo interprete del mondo classico e tra i più autorevoli poeti contemporanei – in questa nuova traduzione poetica per De Piante editore, che si inserisce in un più vasto progetto di versioni bibliche affidate a poeti, narratori e pensatori contemporanei: «E i simulacri delle cavallette erano simili / a cavalli pronti a correre in guerra, e in testa / corone simili a oro, e facce / come facce di uomini, / e capelli / come capelli di donne / e denti / come denti di leoni, / e corazze come corazze di ferro». Pontiggia sa restituire la potenza enigmatica e vertiginosa del pensiero dell’apostolo esule a Patmos, ne fa riemergere l’ardore originario inciso nella grammatica e sintassi scheggiata di quella lingua. Anche un minimo “kai”, nelle sue infinite ripetizioni, è essenziale perché il libro più abissale e incendiario della Bibbia possa tornare a rifulgere, a scintillare ancora sui «devastati emblemi del mondo occidentale».

(Massimiliano Mandorlo)

Apocalisse, nella traduzione di Giancarlo Pontiggia, Milano, De Piante, 2023, pp. 94, € 18.

Mappe #6

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Con la semplicità del bambino: il Natale di Rebora

Il tuo Natale, curato magistralmente da Roberto Cicala e Valerio Rossi, raccoglie insieme brani in prosa (lettere, omelie, appunti per i ragazzi del collegio Rosmini) e poesie di Clemente Rebora in un arco di tempo molto ampio: dagli anni dei Frammenti lirici iniziati nel 1913 al 1955, due anni prima della sua morte. Tra i pregi di questo lavoro vi è quello di aver portato alla luce l’importanza per Rebora della memoria del Natale e dell’Epifania.

È indubbio che per Rebora il Natale coincide con la rivelazione di Dio che si fa uomo e ciò è comunicato attraverso diversi scritti. Con la semplicità del bambino o meglio dell’uomo puro egli arriva a comunicare l’essenzialità del suo rapporto intenso con Cristo vivo: «Intollerabil vivere del mondo / a stare bene senza l’Ognibene / Gesù dammi il tuo Natale / di fuoco interno all’umano gelo». E in una poesia che recupera da una antica tradizione popolare, entra in rapporto con la Sacra Famiglia, sottolineando gli aspetti più quotidiani ed immediati: «Maria lavava / Giuseppe stendeva, / Il bimbo piangeva / Dal freddo che aveva, / … Maria col velo / Copriva Gesù».

Il giorno dell’Epifania del 1930 scrive di celebrare il primo anno di vita nuova dopo 45 anni di esistenza, avendo nella memoria il suo itinerario spirituale culminato con la conversione avvenuta nel 1929.

L’Epifania è la manifestazione del mistero del Natale con il concorso dapprima dei pastori e poi dei Re Magi visti da Rebora come figure emblematiche di chi è disposto a cercare e conseguentemente vedere la risposta ad una costante ricerca interiore: «Ecco intanto dall’Oriente / Una stella luminosa! / … Fu veduta in quel confino / Dai Re Magi con stupore; / Disse ognun con lieto cuore: / Nato è certo il Re divino».

In questo atteggiamento di fondo dei Magi il poeta nato, guarda caso, il 6 gennaio 1885, si ritrova pienamente.

(Nino Barbieri)

Clemente Rebora, Il tuo Natale: lettere, poesie, pagine di diario e inediti, a cura di Roberto Cicala e Valerio Rossi, Novara, Interlinea, 2005, pp. 139, € 10.

Mappe #9

Il tempo sospeso di Roberto Gabellini

Un senso di profonda attesa e sospensione attraversa il nuovo libro del riminese Roberto Gabellini, che già aveva indagato il mistero della morte e del dolore con l’originale poema L’ultima marcia del tenente Péguy (Ares 2014): ci sono uomini che «camminano sospesi», ognuno è «in attesa e composto», anche la polvere è «sospesa» così come le parole sono «in sospeso». A questo senso di fragilità continua si affianca la percezione di un tempo che si consuma vertiginosamente, con un lavorio incessante che agisce sulle cose, sugli uomini e sui loro sentimenti: «svelto, un vento di sabbia», il soffio «sulla polvere che sei», «l’ombra ormai ferita» che «ha fretta, si consuma / cola lungo i muri», il «petto sfinito», la «memoria» che è «consumata»/ e il viso insieme» oppure che «sbiadisce dolorosa / tra i mazzetti di plastica sfiorita», un Dio che è  «sfiancato dal tempo» così come la «pietà» che «sfiancata / lenta s’abbandona». In questa esplorazione autobiografia del dolore Gabellini si affida a un’alternanza continua di frammenti di voci (in corsivo nel testo), quasi un coro greco che accompagna con le sue meditazioni l’azione sulla scena o voce interiore del poeta che dialoga con le profondità del proprio io: «Specchio d’amore, dell’unico dolore, che hai provato il buio, a essere solo, essere niente, insegnaci a volere, esatto, il nostro stesso niente». «Venerare ogni cosa», ossia offrire un sentimento di profonda riverenza e sacro riconoscimento anche quando si tratta – come in questo inquieto e lacerato libro di Gabellini – di scendere nelle voragini più nascoste del dolore e della morte per cantare la forza rigeneratrice dell’amore: «la carne stessa senza voce aspetta / qualcuno, ancora, che non abbia paura, / un lampo che scavi lo sguardo, le offra / una carezza, solo, una canzone; / custodisca i sogni antichi, i volti senza nome, / i pochi amori che valga ricordare».

(Massimiliano Mandorlo)

ROBERTO GABELLINI, Era questo l’amore?, postfazione di Giancarlo Pontiggia, Bergamo, Moretti & Vitali, 2023, pp. 80, € 10.

I Have a Dream

Storie e memorie. L’incessante sogno di mondi diversi

Una riflessione sul sogno come categoria portante della memoria storica: l’agire degli uomini è sempre impregnato di ideali che prefigurano nuovi modelli di socialità.

Andrea Caspani, già dirigente Scolastico, è direttore della rivista online «LineaTempo. Itinerari di storia, letteratura, filosofia e arte» e docente di Didattica della Storia all’Università Cattolica di Milano. Autore del libro Insegnare storia. Una prospettiva umanistica, EDUCatt, Milano 2023.

Fabrizio Foschi è docente formatore e saggista. Autore di Una storia dell’epoca moderna. Spazi, trame, personaggi alle radici del nostro presente, Rubettino Scuola, Soveria Mannelli 2023.

Giorgio Cavalli, insegnante e saggista, è redattore della rivista online «LineaTempo. Itinerari di storia, letteratura, filosofia e arte». Autore di Angelo Giuseppe Roncalli cappellano militare nella Grande Guerra, Gaspari Editore, Udine 2023.

Coordina Adele Mirabelli, coordinatrice culturale dell’Istituto Don Bosco Village School di Milano.

Durata complessiva 1’20”

Lineatempo #35

La rivoluzione digitale incalza: la realtà del nostro presente è vivere in un rapporto simbiotico con le macchine.   

LineaTempo n. 35, nel suo dossier dedicato a La rivoluzione digitale: innovazione tecnologica e potenziamento dell’umano, intende fornire riflessioni, percorsi ed esperienze che documentino come, prima di essere strumento, la tecnica e la tecnologia siano espressione di umanità, parte integrante dello straordinario potenziale creativo dell’uomo, e che perciò si può imparare a “nuotare” in questo nuovo mondo ibridato con l’IA, non rinunciando alla libertà e alla imprevedibilità del vivente, anzi utilizzando l’innovazione tecnologica per potenziare l’umano e trasformare in positivo il mondo..

Andrea Caspani – Introduzione
Francesco Botturi – Tecnica, natura e desiderio
Stefano Moriggi – Per un’ecologia digitale plausibile
Alberto Chierici – Origine, problemi culturali e possibili sviluppi sociali delle “Intelligenze” Artificiali
Intervista al dottor Tommaso Ghidini dell’ESA – A cura di Emanuela Centis
Il fascino di un romanzo distopico può aiutare gli adolescenti a non restare prigionieri della Rete? – A cura di Andrea Caspani
Emanuela Centis – L’educazione all’arte al tempo dell’IA
Chiara Dell’Utri – Per una scuola “phygital”
Matelda Lupori – Percorsi di innovazione sottile nella scuola
Giampaolo Pignatari – Letteratura e Intelligenza Artificiale: un dialogo possibile. La lezione di Calvino
Francesco Bertoldi – La rete e la democrazia tra speranze e pericoli
Mario Belfiore – Dalla carta allo schermo
 

Per i Percorsi culturali e didattici viene presentato, alle soglie del trecentesimo anniversario della nascita di Kant, un testo dedicato a La prospettiva kantiana di una ragione aperta.

Nei Segmenti appaiono: l’Introduzione a L’immagine del mondo scartato di Lewis, due interventi sul contesto e sull’azione di salvataggio degli ebrei ad Assisi nel 43/44, l’analisi del ruolo dei paracadutisti italiani e della resistenza senz’armi degli IMI durante la guerra di liberazione, un’accurata ricostruzione della storia e dell’ideologia del movimento di Hamas, e la presentazione di due opere significative della patristica, gli Stromati di Clemente Alessandrino e l’Octavius di Minucio Felice. Conclude la sezione una bella sintesi dello scenario geopolitico globale del nostro tempo di Federico Rampini.

In Recensioni ed eventi troviamo ampie recensioni di La stella di Betlemme di Agatha Christie, di Storie naturali di Primo Levi, Nella luce dell’inizio di Massimo Camisasca, di La dinamica politica di Laura Balestra e di La chiesa di Chora. L’ultimo tesoro di Bisanzio di Emanuela Fogliadini.

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