La Breccia di Porta Pia, cosa è successo il 20 settembre 1870 ? - Historicaleye
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La Breccia di Porta Pia, cosa è successo il 20 settembre 1870 ?

La presa di Roma del 20 settembre 1870 nota anche come capitolazione di Roma o Breccia di porta Pia, è uno degli episodi più iconici del risorgimento italiano, oltre ad essere passato alla storia come l'atto finale dell'unificazione italiana ed uno dei passaggi conclusivi dell'Ancient Regime, ma cosa è successo esattamente in questa data storica che, per oltre 70 anni è stata una delle più importanti ricorrenze e festività del regno d'Italia? 

Come sempre andiamo con ordine, e cerchiamo di fare chiarezza.

La prima cosa da sapere a proposito del 20 settembre 1870 è che questa data rappresenta soltanto l’atto finale dell’intera “guerra” Italo-Pontificia, ovvero della guerra tra il Regno d’Italia e lo Stato Pontificio, la prima, una monarchia parlamentare estremamente giovane, la seconda, una monarchia assoluta, di stampo tradizionale, anchessa politicamente molto giovane, in quanto lo stato pontificio esisteva ufficialmente come entità politica, soltanto dal 1815.

Lo scontro militare tra i due regni italici inizia ufficialmente sul finire di Agosto e i primi di Settembre del 1870, quando, il regno d’Italia, dichiara guerra allo Stato pontificio, con l’intenzione di annettere i suoi territori a quelli del regno italico.

La prima mobilitazione vede l’invio di circa 50 mila uomini ai confini, settentrionale e meridionale, dello stato pontificio, in attesa di una mossa dell’esercito papale, in quel momento, sotto il comando dello stato maggiore pontificio, incarnato dai generali Hermann Kanzler, di origini tedesche e Fortunato Rivalta, di origini italiane.

I due Generali, all’avvicinarsi delle truppe italiche, si mobilitano per difendere i territori papali, e concentrano le proprie risorse e uomini nella capitale dello stato, Roma, la cui capitolazione avrebbe significato la fine dello stato pontificio.

Il 10 Settembre 1870, il luogotenente Generale del Regno d’Italia, Raffale Cadorna (padre di Luigi Cadorna e fratello minore di Carlo Cadorna) al comando spremo dell’operazione, cui facevano capo i Generali sul campo Nino Bixio, Enrico Cosenz, Gustavo Mazè de la Roche, Emilio Ferrero e Diego Angioletti, ricevette l’ordine di oltrepassare il confine con lo stato Pontificio ed iniziare l’occupazione.

Nei cinque giorni che seguono il 10 settembre, i vari generali riescono ad occupare diverse aree e città, senza incontrare troppa resistenza, lungo la via che li avrebbe condotti a Roma.

Il primo battaglione a valicare il confine era sotto il comando diretto di Nino Bixio, che diresse su Viterbo, per poi raggiungere Roma.

Il 15 Settembre l’esercito del regno d’italia, composto principalmente da Carabinieri e Bersaglieri, era giunto alle porte di Roma, che, in previsione dell’arrivo delle truppe italiche erano state chiuse e le mura erano state armate per ordine diretto del generale Kanzler. Sempre il 15 settembre, Cadorna inviò un emissario presso il comando romano, con una lettera destinata al comandante Kanzler in cui gli veniva richiesto di aprire le porte della città e permettere un occupazione pacifica di Roma. Kanzler, il cui compito primario era difendere l’integrità dello stato pontificio e Roma, per “ovvie ragioni” declinò l’invito, informando Cadorna che i suoi uomini, coadiuvati da numerose milizie cittadine, avrebbero difeso la città con ogni mezzo a loro disposizione.

Inizia così un breve assedio di Roma, nell’attesa di più precisi ordini sul da farsi. Nel mentre, Papa Pio IX minaccia la scomunica per chiunque avesse dato ordine di attaccare Roma. Una minaccia che in altri tempi avrebbe avuto come effetto la fine quasi immediata del conflitto e il ritiro delle forze italiche, ma quella minaccia, nel tardo XIX secolo, in uno stato relativamente moderno, una monarchia parlamentare, il cui Re era Re per volontà del popolo italiano e non per un qualche mandato divino, risuonavano come aria fritta, e non ebbero quasi alcun effetto.

Alla fine, l’ordine di attaccare Roma, arrivò, come dicevo, le minacce del pontefice non ebbero quasi alcun effetto, dico quasi perché qualche effetto in realtà ci fu, dato che, l’ordine esecutivo di attaccare Roma, e iniziare il cannonamento delle mura, non arrivò da Cadorna, bensì dal Capitano di artiglieria Giacomo Segre, che, essendo di origini ebraiche, non poteva essere scomunicato.

Giacomo Segre all’alba del 20 Settembre ca così l’ordine di attaccare le mura romane e il cannoneggiamento inizia alle ore 5:00 del mattino, ed ha come primo bersaglio Porta San Giovanni, cui seguono in rapida successione Porta San Lorenzo e Porta Maggiore e, alle ore 5:10, inizia l’attacco anche su Porta Pia.

Il cannoneggiamento prosegue incessantemente per oltre 4 ore, e si interrompe brevemente verso le ore 9:00 circa, quando, alcuni osservatori notano una breccia a circa 50 metri a sud da Porta Pia, per verificare l’effettiva presenza della breccia, vengono inviati alcuni bersaglieri e alle ore 9:30 circa, verificato il cedimento delle mura, Cadorna ordina di concentrare il fuoco sulla breccia, al fine di allargarla abbastanza da permettere ai propri uomini di poter passare e fare irruzione nella città, senza che questi corressero il rischio di fare da bersagli per il tiro a segno, passando in uno spazio estremamente ristretto e sotto il fuoco nemico.

Alle ore 9:35 i cannoni di Cadorna ricominciano a fare fuoco sulla breccia e dopo circa dieci minuti di fuoco concentrato, alle 9:45 la breccia era larga circa 30 metri, abbastanza da permettere agli uomini di passare in tutta sicurezza.

A questo punto i generali Mazè e Cosenz vengono incaricati di formare delle unità d’assalto, e prepararsi all’irruzione nella capitale pontificia, tuttavia alle ore 10:00 dalle mura capitoline viene issata la bandiera bianca, segno universale di resa da parte dello stato pontificio e dunque un invito al cessate il fuoco.

Roma ormai è Caduta, gli uomini di Kalzner e Rivalta si sono arresi, le milizie cittadine hanno ricevuto l’ordine di non proseguire gli scontri, ma, il Generale Nino Bixio non è dello stesso avviso ed i suoi uomini continuano a far fuoco per altri trenta minuti abbondanti, con l’intento di disincentivare ogni possibile resistenza, ma de facto ottenendo l’effetto opposto, le milizie cittadine, vedendo la resa non rispettata, decidono a loro volta di continuare la resistenza, con conseguenti scontri dentro le mura che avrebbero portato a numerose vittime “civili” e arresti. Le operazioni di guerriglia entro le mura continuano fino alle 12/13, per poi ridursi progressivamente fino a cessare completamente.

Alle ore 17:30, i generali dello stato maggiore dello stato pontificio, Kalzner e Rivalta, firma la capitolazione di Roma, che dal 21 settembre passò ufficialmente sotto il controllo delle milizie del regno d’Italia.

La capitolazione di Roma però non segna automaticamente la fine degli scontri, infatti Roma era Caduta, ma lo stato pontificio continuava ad esistere politicamente, le milizie locali e cittadine continuavano ad essere fedeli al papa.

L’esperienza dello Stato Pontificio termina ufficialmente il 27 settembre 1870, quando il regio esercito italiano, riesce ad occupare anche Castel Sant’Angelo, riducendo così al solo “stato Vaticano”.

L’annessione dello stato pontificio al regno d’italia, viene consacrata e riconosciuta ufficialmente in seguito ad un plebiscito di annessione tenutosi il 2 ottobre.

Tra le conseguenze dell’a guerra Italo Pontificia, vi sono la celebre disposizione papale del Non Expedit, con cui il pontefice invitava i cattolici italiani a non esercitare il voto nello stato italiano, e il non riconoscimento della sovranità italiana su territori dell’ex stato pontificio, da parte del pontefice.

Dall’altra parte, per riallacciare i rapporti tra stato e chiesa, il regno d’Italia produsse la, meno nota, legge delle guarentigie, votata in parlamento il 13 maggio 1871, legge n.214, avente titolo ufficiale “Legge sulle prerogative del Sommo Pontefice e della Santa Sede, e sulle relazioni dello Stato con la Chiesa.” , questa legge, che verrà poi sostituita dai patti lateranensi del 1929.

La legge delle Guarentigie si componeva di 20 articoli suddivisi in due sezioni, nella prima sezione si faceva riferimento alla figura papale, garantendone l’inviolabilità della persona, gli onori sovrani, il diritto di avere al proprio servizio guardie armate a difesa dei palazzi vaticani, Laterano, cancelleria e Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo. Questi palazzi erano riconosciuti dalla stessa legge come extraterritorialità e di conseguenza erano esenti dalle ordinarie leggi italiane. Inoltre, veniva garantita allo stato vaticano la piena libertà di comunicazione postale e telegrafica, oltre al diritto di rappresentanza diplomatica. Infine, ma non meno importante, si garantiva allo stato vaticano, un versamento annuo di lire 3.225.000 (pari a circa 14,5 milioni di euro) per il mantenimento del pontefice, del Sacro Collegio e dei palazzi apostolici.

Nella seconda parte della legge invece si regolavano i rapporti effettivi tra lo stato Italiano e la Chiesa cattolica, garantendo a entrambi la massima pacifica indipendenza, inoltre al clero veniva riconosciuta illimitata libertà di riunione e si esoneravano i vescovi dal giuramento al Re, in quanto, considerati dallo stato italiano come dei rappresentanti/ambasciatori di uno stato estero, e, sulla stessa linea, le chiese erano assimilate allo status di “ambasciata”.

Bibliografia
M.Borgogni, La gloria effimera. Forze armate e volontari dalla prima guerra d'indipendenza alla breccia di Porta Pia (1848-1870)
G.Darby, The Unification of Italy by Mr Graham Darby
A.M.Banti, Il risorgimento Italiano
G.Pécout, Il lungo Risorgimento. La nascita dell'Italia contemporanea
G.Calchi Novati, Il canale della discordia. Suez e la politica estera italiana
E.Hobsbawm, Il trionfo della Borghesia
A.M.Banti, L'età contemporanea. Dalle rivoluzioni settecentesche all'imperialismo

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