Dal pogrom neonazista del 1991 alla rivolta contro l’ultradestra. Così Hoyerswerda ha ritrovato un’anima - la Repubblica

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Dal pogrom neonazista del 1991 alla rivolta contro l’ultradestra. Così Hoyerswerda ha ritrovato un’anima

Dal pogrom neonazista del 1991 alla rivolta contro l’ultradestra. Così Hoyerswerda ha ritrovato un’anima

Reportage dalla città della Sassonia, devastata dalla crisi economica dopo la caduta del Muro. Rinata grazie a turismo e servizi, ora è un esempio di integrazione

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HOYERSWERDA (SASSONIA) – “Io li ho visti arrivare, ero alla stazione. Indossavano uniformi del Terzo Reich e urlavano come pazzi. Mi sono sentita precipitata in un film in bianco e nero degli anni Trenta, nel mezzo di una fiaccolata di nazisti. Ero paralizzata dal terrore”. A fine settembre del 1991, Hoyerswerda finisce sulle prime pagine di tutti i giornali. Per cinque giorni centinaia di nazisti assediano un centro di accoglienza per migranti della città sassone: lanciano sassi, sfere d’acciaio grandi come pugni, bottiglie Molotov, e picchiano, insultano, terrorizzano i migranti vietnamiti e mozambicani.

Un crescendo drammatico in cui la polizia interviene controvoglia e male. Alla fine prende la decisione fatale di portar via i migranti, mentre centinaia di cittadini di Hoyerswerda si assembrano davanti al centro di accoglienza a guardare l’assedio barbarico come al cinema. Lo applaudono, anche. I neonazisti in quei cinque giorni tornano, sempre più violenti, sempre più sfrontati e quando l’ultimo pullman si porta via gli ultimi migranti, proclamano, trionfanti, che Hoyerswerda è “auslaenderfrei”, “liberata dagli stranieri”. Una parola orribile che ha un’assonanza voluta con un’altra, più famosa, che viene dritta dritta dal dodicennio hitleriano: “judenfrei”, “liberata dagli ebrei”. Il bilancio è di decine di migranti feriti, ma soli diciassette arresti tra i neonazi e appena due condanne.

Birgit Radeck, c’era, in quei giorni, è lei a raccontarci gli agghiaccianti momenti dell’arrivo dei neonazisti alla stazione. Fu testimone del ‘pogrom’, come viene chiamato ufficialmente oggi. E per anni si è vergognata persino di ammettere che era di Hoyerswerda: “Dicevo sempre che venivo da Dresda”, ci racconta. Finché la sua città, una delle più traumatizzate dalla caduta del Muro di Berlino - dopo la chiusura della più grande miniera della Germania est, la “Schwarze Pumpe”, la popolazione è crollata da 75mila a meno di 30mila abitanti e la disoccupazione ha raggiunto picchi del 25% - ha rielaborato i cinque giorni della follia neonazi ritrovando un’anima e una ragion d’essere. Proprio nell’accoglienza e nell’opposizione all’estrema destra. Prima del Covid, la leader dell’Afd Alice Weidel provò a esibirsi in un comizio nella piazza centrale del paese. I cittadini di Hoyerswerda la accolsero cantando l’”Internazionale” a squarciagola. La delegazione dell’Afd si dileguò con la coda tra le gambe.

Incontriamo Radeck al “Zuckerfest”, alla “festa dello zucchero” che celebra la fine del Ramadan. In una grande sala della “Kulturfabrik”, in pieno centro città, centinaia di profughi per lo più siriani hanno portato falafel, humus, dolci tipici del loro Paese martoriato dalla dittatura di Assad. I bambini corrono chiassosi tra i tavoli, le madri apparecchiano leccornie e spiegano i segreti delle loro ricette alle tedesche che annuiscono curiose. Anche Birgit Radeck si è vestita a festa, con una camicia dai grandi fiori rossi. Da anni dirige l’associazione civica “RAA” che organizza iniziative per promuovere l’accoglienza e la democrazia.

La festa per la fine del Ramadan, quest'anno
La festa per la fine del Ramadan, quest'anno 

Ovviamente Birgit Radeck ha partecipato anche alle due grandi manifestazioni degli ultimi mesi contro l’Afd, dopo lo scoop sulle riunioni segrete con gli Identitari e i neonazisti che ha spinto in piazza milioni di tedeschi in tutta la Germania. “Alla prima manifestazione di gennaio eravamo più di mille, è stato un successo. E, a proposito dei piani di deportazione di massa dei migranti dell’Afd, vorrei solo far notare che se mai accadesse dovremmo chiudere tutti gli ospedali. Indovinate da dove vengono miriadi di infermieri, tanti medici, il personale di cura?”. Già.

Mara Colazingari sgrana gli occhi quando Birgit cita i piani eversivi dell’Afd per la “Remigration”, i respingimenti di massa. “Mi ha fatto paura quell’articolo”, ci racconta. Mara è italiana, dopo un dottorato in filosofia si è specializzata in Germania. “E se quelli dell’Afd andassero al governo e cacciassero anche me? Qui quando ho cominciato a specializzarmi come assistente sociale, la AWO, il mio datore di lavoro, mi ha finanziato gli studi, me li ha riconosciuti come lavoro; mi pagava per studiare, insomma, l’opposto di quello che avviene in Italia”. Mara si trova bene a Hoyerswerda, “non me ne voglio più andare”, sorride. Poi aggiunge, seria, “Sempre che l’Afd non mi cacci”.

La Awo dove lavora Mara è una di quelle miracolose organizzazioni tedesche nate dal bisogno di aiutare i più deboli che nel frattempo è diventata un colosso del settore che impiega 210mila assistenti sociali in tutta la Germania. Il direttore dell’Awo di Hoyerswerda, Markus Beier, ci spiega nel suo ufficio della famigerata Thomas-Muentzer-Strasse - quella dove avvennero i disordini del 1991 - che la riconversione della città da roccaforte di minatori a città del turismo e dei servizi è stata miracolosa. Oggi vengono da tutta la Germania a fare i bagni nei laghi artificiali nati nelle voragini delle vecchie miniere di lignite.

“La pacificazione di Hoyerswerda si spiega anche con questa storia di successo”, ammette. Ed è vero anche che c’è uno spirito diverso, qui, rispetto a Bautzen o Goerlitz, dove il razzismo è più pronunciato. La politica, in questo, aiuta: “Il governatore della Sassonia Kretzschmer è spesso qui e il ministro della Difesa Pistorius ha promesso che entro il 2030 costruirà una caserma per 700 soldati a 10 km da qui. Tutto questo aiuta a respingere la destra populista, perché spazza via la depressione che ha oppresso questi luoghi per molti anni, dopo la caduta del Muro”. E il sindaco di Hoyerswerda, il socialdemocratico Torsten Ruban-Zeh, non solo viene dall’Awo, ma ha puntato molto sull’accoglienza.

Hoyerswerda è diversa dal resto della Sassonia: lo ammette anche Khabat Ibo, ventinovenne di Damasco con un apprendistato alle spalle e un lavoro fisso. Si inforca i grandi occhiali neri sul naso e si liscia un po’ la barba quando gli chiediamo se si sente al sicuro. Ci mette un po’ a rispondere. “Io guido un gruppo di migranti che si sono auto- organizzati per aiutarsi a vicenda e per condividere esperienze pratiche. E ne sento ancora, di storie brutte. L’est della Sassonia è abbastanza perso, diciamolo. Però la Sassonia non è tutta ‘nera’. Certo, a volte ci guardano male, a qualche donna viene strappato il velo dalla testa, l’altro giorno un ciclista ne ha colpita una, passando, con un pugno. Ma Hoyerswerda ha reagito tanto al famoso pogrom del 1991, anche il sindaco è pro-migranti, ha capito che il segreto per abbattere i pregiudizi è integrarci. E in questi mesi, contro l’Afd, ci siamo ribellati veramente in tanti”.

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