Il suo nome è Hubert, Hubert Bonisseur de La Bath. In arte: Oss 117. All'anagrafe avrebbe 72 anni. Troppi per un agente segreto in attività. Però non li dimostra. Dopotutto nella fiction gli eroi restano sempre giovani e belli. Aitanti come l'ottimo Jean Dujardin, che ha iniziato a interpretare il personaggio quando di anni ne aveva 34 e sembra non aver ancora voglia di smettere. Presentato a Cannes e uscito nei cinema francesi pochi giorni fa, Oss 117 : Alerte rouge en Afrique noire (Agente speciale 117 al servizio della Repubblica: Allarme rosso in Africa nera) è il terzo capitolo d'una saga di successo cominciata nel 2006 e proseguita nel 2009 con la regia di Michel Hazanavicius (quello che nel 2012, sempre in tandem con Dujardin-attore, ottenne cinque Oscar per The artist). Ma quest'ultimo film, diretto da Nicolas Bedos, è forse il più sorprendente del trittico. Perché, dopo la riapertura post-lockdown, sta riportando i francesi nelle sale e ridando un po' di colorito a una stagione a dir poco cerea in fatto di incassi.
Certo, l'operazione-Oss era partita da subito sotto il segno della qualità commerciale, dell'intelligenza e del gusto. Ma col tempo il fenomeno-117 è diventato qualcosa di più voluminoso, di tentacolare. Si è trasformato in moda, gadgettistica, materia di studio per cinefili, sociologi, storici, politologi. Merito soprattutto di Jean Dujardin, che rilegge un personaggio creato all'epoca della Guerra fredda buttandone in parodia i tratti machisti, omofobi, razzisti, xenofobi. È un umorismo gioviale, ludico, rocambolesco, che non prende nulla sul serio: nemmeno quel politicamente corretto a cui pure sembrerebbe ispirarsi. Probabilmente si annida proprio qui il segreto del suo successo. L'agente 117 è oggi salutato dai francesi come un triplice liberatore. Perché li distrae dalle cupezze del Covid; perché allenta con garbo la morsa della "correctness" neopuritana; e perché scioglie in autoironia un orgoglio nazionale da sempre tendente allo sciovinismo impettito, se non al complesso di superiorità.
Jean Dujardin in missione al Cairo nel primo capitolo di 'Agente speciale 117' - trailer
Prima di venir ripescato e totalmente francesizzato dal duo Hazanavicius-Dujardin, Oss 117 fu portato al cinema - ma in versione "seria" - una mezza dozzina di volte. E interpretato da attori dei quali - salvo i casi di John Gavin e Luc Merenda - si ricordano oggi solo i topi da cineteca. Nel XXI secolo, la saga è diventata invece un frullato pop-vintage che, sogghignando, ammicca non solo ai film spionistici degli anni 60 e 70, ma anche alle loro caricature, tipo Casino Royale (1967), con Peter Sellers e Woody Allen, o l'indimenticabile Come si distrugge la reputazione del più grande agente segreto del mondo (1973), con uno stellare Jean-Paul Belmondo e Jacqueline Bisset che popola ancora i nostri sogni. Ma almeno dagli esordi - anno 1963 - dell'ispettore Clouseau e della Pantera rosa (Blake Edwards firmò ben otto di quelle irresistibili farse poliziesco-spionistiche), la spy-comedy era diventata un genere a sé. Che in seguito ci avrebbe regalato altre avventure seriali: da Austin Powers (il primo è del 1997) a Johnny English (che parte nel 2003) a Kingsman (2014).
Jean Dujardin in missione a Rio nel secondo capitolo di 'Agente speciale 117' - trailer
Sebbene il suo nome in codice faccia pensare meno a una spia che a un numero da pompieri o Telefono Azzurro, dicono che tra i fan di "Uno-uno-sette" ci fossero anche Jean Cocteau e il presidente John Fitzgerald Kennedy. Che però non poteva ammetterlo per lealtà allo storico alleato britannico e al suo eroe 007. Ma oggi, nella malmostosa Francia che si prepara alla campagna elettorale per l'Eliseo tra proteste e rabbie identitarie, verrebbe da invocare: "Oss for president".