È davvero difficile quantificare quanto abbiamo perso oggi assieme a James Caan. Di certo uno dei più grandi attori americani di sempre. Era nato nel Bronx, figlio di immigrati ebrei tedeschi, ma cresciuto nel Queens. Da ragazzo preferì la recitazione agli studi universitari, ed entrò nel Neighborhood Playhouse School of the Theatre. Lì fondamentale si rivelò l'incontro con Sanford Meisner, uno dei più stimati e importanti insegnanti di recitazione della storia americana. Fu Meisner ad intuire che quel ragazzo dal volto tagliato con l'accetta, corrucciato, aitante, pieno di energia ma diverso dalla norma, aveva tutte le carte per diventare poi chi è diventato: uno dei divi per eccellenza del grande cinema americano.

Caan, per tutta la sua lunga e fertile carriera, si è destreggiato con tutti i generi cinematografici e con ogni possibile tipo di personaggio. Fu senza ombra di dubbio un sex-symbol degli anni 70 e 80, in virtù di un carisma, una virilità e presenza palpabili e fortissime. Caan era di quelli che non potevi non notare, anche per un sorriso tra i più iconici che Hollywood abbia avuto.

Dopo aver esordito ufficialmente nei panni del villain in Un Giorno di Terrore di Grauman nel '64, si fece notare in un western, El Dorado, al fianco di sua maestà John Wayne, dove interpretava un coraggioso cowboy abilissimo col coltello ma maldestro con la sei colpi. Poi incrociò di nuovo la strada di un suo ex compagno dei tempi della Hofstra University: Francis Ford Coppola. Il loro sodalizio cominciò nel 1969 con il melodramma The Rain’s People. James Caan interpretava un giocatore di football afflitto da danni cerebrali, e nonostante il film non fosse stato accolto bene dai critici, tutti si accorsero della sua gamma espressiva. Fu senza ombra di dubbio il ruolo che lo lanciò definitivamente assieme a un altro film incentrato sul football: La Canzone di Brian, biopic dedicato al grande Brian Piccolo, che gli dette una certa notorietà presso il grande pubblico. Era solo l'antipasto di ciò che avrebbe conosciuto di lì a pochi mesi quando ancora Coppola lo chiamò per interpretare Sonny, il primogenito di Vito Corleone, in quel Padrino che l'ha consegnato forse più di ogni altro suo film alla memoria collettiva.

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Paramount

Ciò in virtù di un'interpretazione tanto energica e carismatica, che gli fece guadagnare la nomination al premio Oscar. Ancora oggi il suo Sonny è uno dei personaggi più iconici della saga, e di certo quel primo film fu un capolavoro non solo per la maestria di Marlon Brando, ma anche perché James creò una perfetta sinergia con lo stile dimesso e sotto le righe dell'esordiente Al Pacino. Il suo Sonny si aggirava come un'anima furente e dannata, un concentrato di audacia, violenza e mancanza di autocontrollo. Era una sorta di simbolo di tutto ciò che erano stati una volta i gangster più pittoreschi, soppiantati invece della gelida e discreta efficienza della mafia italo americana del nuovo corso. Caan fu talmente bravo nella parte di Sonny, che molti pensarono fosse effettivamente di origini italo-americane, se non altro per la maestria con cui ne riprodusse l'accento. Certo è curioso il fatto che Robert De Niro avesse fatto un'audizione per quello stesso ruolo. Chissà che ne sarebbe stato della saga. Ma è un dato di fatto che a partire da quell'anno fino ai primi anni 80, James Caan fu uno degli uomini forti di Hollywood.

Riuscì a non farsi fagocitare da Il Padrino, soprattutto grazie a un grande film come 40.000 Dollari Per Non Morire di Karel Reisz. Tanto Sonny Corleone appariva invincibile e temerario, quanto invece il Professor Freed, dipendente dal gioco, risultò un simbolo degli abissi in cui un uomo poteva trovarsi a precipitare nella società moderna. Funny Lady, musical del 1975 in cui fu al fianco di Barbara Streisand, rafforzò il suo status di divo, a dispetto della pessima accoglienza del film da parte della critica. Fu in molte commedie, action, film di fantascienza e western, ricevette la Stella sulla Hollywood Walk of Fame nel 1978. Era impegnato in produzioni sempre più imponenti, ma ricordò ogni volta che poteva di essere soprattutto il volto giusto per l’autorialità, per un cinema fatto di scrittura e profondità dei personaggi. Thief, opera prima di Michael Mann del 1981, rimane uno dei suoi migliori film, nelle vesti di un pericoloso scassinatore perso dentro una giungla urbana pericolosa e infida. Più o meno nello stesso periodo una serie di drammi privati lo spinsero verso l'abuso di cocaina e una depressione molto profonda. Fu forse il momento peggiore della sua vita, al quale riuscì a sfuggire solo grazie al cinema.

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Columbia Pictures//Getty Images

Dopo Giardini di Pietra, Dick Tracy e Alien Nation, nel 1990 Barry Sonnenfeld decise di portare sul grande schermo Misery Non Deve Morire di Stephen King e gli chiese di interpretare lo scrittore Paul Sheldon. Nei panni del prigioniero della folle Annie Wilkes, Caan ebbe di nuovo l'opportunità di mostrare il suo mimetismo di interprete, creando assieme a una straordinaria Kathy Bates, uno dei film thriller più famosi di tutti i tempi. Negli anni 90 non si fermò, fu in Mi Gioco la Moglie…a Las Vegas di Andrew Bergman, Un Colpo da Dilettanti di Wes Anderson e al fianco di Schwarzenegger in Eraser. Negli anni 2000, a dispetto del tempo che passava, James Caan aveva continuato a lavorare in film tutt'altro che banali, come The Yards di Gray, l'ottimo The Way of the Gun di McQuarrie, Dogville di Lars von Trier e Elf di Jon Favreau. Appassionato di karate, sposatosi ben quattro volte e noto per l'amicizia con il Boss Andrew Russo, James Caan era uno degli ultimi testimoni di quando Hollywood era una terra di autori e sperimentazione, non soggiogata dalle major e dalla sterilità artistica. Con lui oggi se ne va soprattutto uno degli ultimi grandi attori della vecchia scuola, di quando si diventava divi per meriti sul campo e non perché si era bellocci.

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Giulio Zoppello

Sono nato a Padova nel 1985, da sempre grande appassionato di sport, cinema e arte, dopo dodici anni come allenatore e scoutman professionista nel mondo della pallavolo, ho deciso di intraprendere la carriera di giornalista.
Dal 2016 ho cominciato a collaborare con diverse riviste cartacee e on-line, in qualità di critico ed inviato presso Festival come quello di Venezia, di Roma e quello di Fantascienza di Trieste.
Ho pubblicato con Viola Editrice "Il cinema al tempo del terrore", analisi sul cinema post-11 settembre. Per Esquire mi occupo di cinema, televisione e di sport, sono in particolare grande appassionato di calcio, boxe, pallavolo e tennis.
In virtù di tale passione curo anche su Facebook una pagina di approfondimento personale, intitolata L'Attimo Vincente.
Credo nel peso delle parole, nell'ironia, nell'essere sempre fedeli alla propria opinione quando si scrive e nel non pensare mai di essere infallibili.