Jack Nicholson, ribelle di successo: "Sono il vecchietto che vedete" - la Repubblica

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Jack Nicholson, ribelle di successo: "Sono il vecchietto che vedete"

Jack Nicholson, ribelle di successo: "Sono il vecchietto che vedete"
Nel 2008 abbiamo incontrato il grande attore in occasione dell'uscita del film 'Non è mai troppo tardi', in cui interpreta un malato terminale. "Non penso alla morte, anche se, prima o poi, toccherà a me"
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Era una delle ultime volte di Jack Nicholson in pubblico, questo era chiaro. E anche una delle rare interviste singole che rilasciava da tempo. Grande amante dell'arte, in attesa di entrare nella stanza del Corinthia Hotel di Londra per incontrarlo sentivo il suo staff agitarsi per far aprire la sera prima una mostra, affinché il divo potesse vederla prima di ripartire. Raramente preparo un foglio con tutte le domande. Mi leggo molti articoli e qualche libro, rivedo qualche film. Ma non mi presento con la lista. Quella volta, complice un nervosismo superiore alla media dovuto all'imprevedibilità del protagonista, lo feci. Entro nella stanza, mi invita a sedermi vicino a lui su una panchetta, siamo di fianco l'uno all'altra. Guarda le mie mani. "Mica avrà una lista di domande, vero?" dice indicando il foglietto ripiegato nel mio palmo. "No, no", dico io, facendo sparire il foglio nella tasca. E' stato un incontro morbido, di rara dolcezza. Non so come siamo finiti a parlare di mio padre, da poco sopravvissuto per miracolo a un infarto. Mi è rimasto impresso l'affetto dimostrato per Bernardo Bertolucci, sinceramente curioso di sapere come stesse il suo amico. E dopo, una conversazione che è volata e in cui ogni domanda era sinceramente benvenuta, l'ultimo pensiero è stato: "Me lo saluti tanto, suo papà".

Ecco il testo dell'intervista.

Jack Nicholson continua a rigirare la sigaretta tra le dita. "Le dispiace? La stanza d'albergo è rimasto l'unico posto in Inghilterra dove si può fumare". Non che i divieti lo inibiscano. In mattinata ha acceso la sigaretta in conferenza stampa, scatenando le ire della lobby antifumo inglese che lo accusa di considerarsi sopra la legge. "Non è tanto la nicotina quando la gestualità legata alla sigaretta, una specie di tic, per me, un gesto cui è difficile rinunciare per quelli della mia generazione".

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Nicholson è indulgente con le proprie debolezze: la fobia per gli spazi chiusi, che gli preclude i set piccoli e bui delle interviste televisive, quella per la luce che gli fa indossare occhiali da sole, sempre. Il paparazzo che durante il photocall gli ha chiesto di togliersi le lenti stato fulminato, "tu sei nuovo del mestiere, vero?". E poi, le donne. Sciupafemmine seriale da oltre cinquant'anni, ha mitigato l'atteggiamento sex and drugs solo ai tempi dello scandalo, Roman Polanski con una minorenne, consumato nella sua casa sulle colline di Hollywood. La notte scorsa si è fatto fotografare mentre sul marciapiede baciava in bocca una fan di vent'anni, in conferenza una radioreporter si è offerta per un appuntamento: "Sa dove trovarmi", e ha allargato il suo ghigno migliore.



Gli occhiali finiscono sul tavolinetto vicino al divano al momento dell'intervista. Fuori dai riflettori, Nicholson preferisce affrontare gli argomenti seri della vita. Il cinema, su tutto. "Le è piaciuto il film?", domanda con l'ansia negli occhi. Gli scottano le recensioni pessime che il suo Non è mai troppo tardi, storia di due malati terminali che decidono di realizzare una lista di desideri prima della fine, ha ammucchiato in America.



Il pubblico, invece, non lo ha tradito: in coppia con Morgan Freeman è balzato in cima agli incassi, alla prima settimana: "Lo sapevo. Alle proiezioni-test abbiamo avuto il secondo miglior gradimento nella storia della Warner Bros", racconta con l'aria da imbonitore. "Il film commuove proprio perché il nostro approccio non è sentimentale. Quando al mio personaggio viene chiesto: "Come vuoi che ti organizzi il funerale?", lui risponde: "Fai come fosse il tuo"". Nicholson ride, la battuta l'ha scritta lui. Come spesso nella sua carriera, ha collaborato ai dialoghi del film.

Sceneggiatura e regia sono sempre stati un suo pallino, anche se nessuno dei tre film da lui diretti ha ricevuto un'accoglienza esaltante. Durante la lavorazione di Shining suggerì a Stanley Kubrick di far dire al guardiano aspirante scrittore, infastidito dalla moglie: "Se non senti il ticchettio della macchina non vuole dire che non sto scrivendo".



Nicholson ha sempre affermato di non aver bisogno di un'autobiografia, "l'ho già fatta attraverso i miei film". In Non è mai troppo tardi è finita l'esperienza ospedaliera, per un'infezione alla gola, maturata alla fine delle riprese di The Departed, film-oscar di Martin Scorsese. "Non so come ci si comporta, non sono mai stato malato in vita mia" è una frase che ho detto veramente al tizio dell'assicurazione", racconta. "Prima, quando andavo in ospedale a fare visita, ostentavo buonumore, cercavo di far ridere la gente. Ora, dopo i miei viaggi notturni tra i corridoi, dopo aver visto i pazienti morire più per le visite che per le malattie, districarsi soffrendo tra i tubi, correre a vomitare al gabinetto, ho imparato il valore del silenzio e del rispetto".

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Di persona ha un'aria migliore, rispetto a quella nel film: "Quando ho compiuto settant'anni, per la prima volta mi sono sentito più giovane della mia età. Non era mai successo, dopo i cinquanta". Gigioneggia: "Sono questo vecchietto che vede, ma mi sento molto bene. Non faccio progetti sul funerale e sulle esequie, anche se con la mia claustrofobia non mi ci vedo chiuso in un loculo. Non penso alla morte più di quanto non facessi da giovane. E' una paura che ci accompagna tutti, ma è vero che, come dice Michael Caine, ora giocano a bowling nella nostra fila, i birilli ci cadono intorno, poi toccherà a noi". Da poco è rimbalzata la notizia, scioccante, della morte del ventottenne Heat Ledger per overdose da ansiolitici e sonniferi. "L'Amber è un farmaco pericoloso, io non uso sonniferi ma un tizio mi disse: prendilo, è un toccasana. Mi sono svegliato la notte, ero gelato, ho rischiato una crisi mortale". Il giovane australiano di Brokeback mountain aveva appena finito di girare il nuovo Batman, The dark knight. Secondo i tabloid inglesi il ruolo dello psicopatico Joker l'aveva lasciato esausto, preda di attacchi d'ansia e d'insonnia.

"Mai successo, a me. Nemmeno ai tempi di Shining", dice Jack il Freddo. Pare si sia molto irritato per non essere stato chiamato dal regista Christopher Nolan a rifare quello che considera uno dei suoi ruoli migliori. La recitazione, per Nicholson, è soprattutto tecnica, "metodo". Spesso l'attore cita le centinaia di seminari, corsi, workshop, che appartengono al suo bagaglio professionale. E' cresciuto con il complesso dell'autodidatta, il ragazzo del New Jersey. L'unico tra i grandi, Brando, De Niro, Hoffman, Pacino, a essere stato forgiato non nell'Actor's Studio ma nella fucina casereccia e geniale di Roger Corman, tra gli horror di serie B, al fianco degli ultimi Vincent Price, Peter Lorre, Boris Karloff. "Il Joker per me ha rappresentato la possibilità di sperimentare la recitazione con la maschera. Lo predicava un famoso manuale di recitazione e fin da quando ero studente mi ero ripromesso di tentare l'esperimento". A Nicholson quel ruolo ha fruttato, oltre ai riconoscimenti, sessanta milioni di dollari tra ingaggio e diritti. Lui l'ha definito un pezzo di pop art: "Tutto il film di Tim Burton sembra un quadro-fumetto di Roy Lichtenstein, non crede?".



Quella per la pittura è  la seconda, grande passione dopo il cinema. Nella sua collezione, nella villa di Mulholland drive, in cima alle colline di Los Angeles dove vive confinato, custodisce opere di Pablo Picasso e Tamara de Lempicka. "Non so se sono un bravo pittore. Mi dedico all'arte figurativa. Ho iniziato ritraendo i miei figli, le più grandi gioie della vita, oggi, mi arrivano attraverso loro. Winston Churchill scrive sulla pittura: la prima cosa che devi dire a te stesso è che non sei un pittore. Lo fai per adoperare un'altra parte del tuo cervello. E' come imparare un'altra lingua. Molto riposante, io lo faccio la sera. Non mi sentirei mai di autodefinirmi un pittore, un artista".

L'espressione sul viso torna vulnerabile, di fronte alla divinità dell'arte. Poco prima dell'incontro ha fatto chiedere dalla produzione una visita speciale alla mostra di pittori russi e francesi che apre tra due giorni alla Royal Academy.

Nella galleria cinematografica di Nicholson, da molto tempo, ci sono soprattutto commedie, con l'eccezione di The Departed: "Una scelta maturata dopo l'11 settembre. Da studioso del mondo ero conscio dei depistaggi, misteri, revisioni, commenti, strumentalizzazioni che sarebbero seguiti a un fatto come quello. E poiché non voglio affrontare al cinema cose che non conosco, ho pensato fosse un buon momento per studiare la commedia". Da ex militante di sinistra, l'attore di Easy Rider segue la campagna presidenziale, senza però parteciparvi: "Ammiro il dinamismo e la passione di uno come Sean Penn, io mi limito a fare da spettatore", dice Nicholson, che ha confessato di tifare Hillary Clinton ritenendosi un amico di famiglia. L'unica battuta politica che si lascia scappare in questa occasione è: "Tra i momenti più recenti di pura gioia c'è stato lo zapping televisivo sulle facce degli analisti tv che avevano dato Hillary politicamente per morta, al momento della resurrezione in New Hampshire".

L'icona liberal degli anni Settanta oggi è stanca. "Quel che potevo l'ho fatto nel '72, a sostegno di George McGovern. Con quelli della mia generazione rock'n'roll abbiamo racimolato un mucchio di soldi, per lui. Avevamo in mente tre linee guida: abbattere i monopoli, liberalizzare la droga, puntare sull'energia solare. E poi convertire gli ex militari in poliziotti, aumentare gli stipendi agli insegnanti... Credo siano idee valide ancora oggi". Più volte il discorso torna ai favolosi Seventies, a quelle speranze, quella politica, quel cinema. Nicholson è stato promotore della recente uscita in dvd, negli Stati Uniti, di Professione: reporter di Michelangelo Antonioni, girato nel '72: "Considero quell'esperienza professionale e umana la più esaltante della mia vita. Ricordo il viaggio rocambolesco nel deserto africano, l'allegria della troupe italiana. E l'umorismo di Michelangelo, per me una figura paterna, un meraviglioso iconoclasta, un uomo onesto. E' incredibile quanto il suo originale stile di regia abbia influenzato gli sceneggiatori americani.

Al nostro primo incontro mi avvertì: "L'attore non è l'elemento più importante, nei miei film. Ma io conoscevo già il suo lavoro. In comune c'era la stessa attenzione maniacale al dettaglio, tratto condiviso anche con Kubrick. Tutti si lamentavano per i suoi ciac infiniti. Io, sul set di Shining: "Dici che la centesima è buona? La centunesima, vedrai, sarà meglio"".

La passione di Nicholson per il cinema italiano è sincera, arriva da lontano. Ventenne, trascinò Warren Beatty a vedere Il posto di Ermanno Olmi. Ha citato spesso, nelle interviste, i nostri Marcello Mastroianni e Alberto Sordi. "Marcello era meraviglioso, e Alberto...".

Improvvisamente si mette a rifare il gesto dell'ombrello di Alberto Sordi ne I vitelloni, con tanto di urlaccio: "Lavoratoriiii". Alla notizia che Bernardo Bertolucci, interrogato lo scorso anno su chi fosse il migliore tra De Niro, Pacino e Hoffman abbia risposto "Nicholson", Big Jack scoppia in una risata felice e bambinesca: "Davvero ha detto questo? Siamo amici, lo vedrò stasera a cena. E' da molto che non ci incontriamo. Abbiamo iniziato entrambi giovanissimi, due topi da festival, ci vedevamo a Pesaro. Non avrei mai creduto che non avremmo fatto un film insieme. Uno dei pochi rimpianti nella mia carriera. Lo considero uno dei migliori di sempre, lo direi anche se non fosse mio amico. Lei è l'unica giornalista, grazie a Dio, a non avermi chiesto qual è la mia "bucket list", la lista dei desideri prima di morire. Io non l'ho mai fatta, ma quando ha menzionato Bertolucci... i miracoli a volte succedono, insieme potremmo fare il film più bello".