Inception Recensione

Inception: la recensione del film di Christopher Nolan con Leonardo DiCaprio

22 settembre 2010
4 di 5

Il thriller fantascientifico candidato all'Oscar.

Inception: la recensione del film di Christopher Nolan con Leonardo DiCaprio

Al momento del suo annuncio, l’unica ed enigmatica definizione che fu data di Inception era quella di “un thriller ambientato nelle architetture della mente”. A posteriori, la definizione appare non solo calzante, ma evocativa e significativa. Architettura è infatti la parola d’ordine di un film che non solo al suo interno prevede specifiche figure incaricate di progettare i luoghi dove vengono ambientati i sogni, ma che fa della sua ardita, complessa e articolatissima struttura narrativa qualcosa di più che un significante: un vero e proprio significato.

Una struttura labirintica, stratificata eppure, a modo suo, di straordinaria linearità e coerenza. Nolan è un progettista elegante che, a differenza di quanto compiuto dall’Arthur dell’ottimo Joseph Gordon-Levitt, non gioca col paradosso e con le forme impossibili; se non fingendole, utilizzandole come specchietto per le allodole. Ed è rigoroso, ordinato, matematico. Fino alla freddezza: quella freddezza coinvolgente di certe costruzioni in vetro e acciaio, o quella asettica e minimalista delle lussuose suite degli hotel a 5 o più stelle.

D’altronde, non ci si poteva aspettare nulla di diverso da un regista che imbastisce un film intero sul concetto di sogno e sulla potenza del subconscio e che evita ogni forma di onirismo tradizionalmente inteso. Perché Nolan non è né Gondry, né Lynch, né tantomeno Kaufman: e i sogni che racconta sono forse i primi sogni cinematografici (e non) a vivere secondo le leggi della fisica, di un rigore scientifico seppur visionario a-la-Tesla. Dove, a parte qualche concessione spettacolare di ordine rigorosamente scenografico, nel sogno si vive e si esperisce esattamente come nella realtà, tanto da rendere difficilmente delineabile la distinzione tra le due sfere. Appunto.

Ma i sogni son desideri, chiusi in fondo al cuor, cantava Cenerentola. E questo Nolan lo sa benissimo. Ed è per questo che gli importa ben poco della trama e delle situazioni thrilling che mette in scena in Inception (tanto poco che scivola spesso in facilonerie e banalità linguistiche), mentre cerca disperatamente di confessare e confessarsi che il suo è un film sull'Amore e sul terrore insostenibile della perdita. Nello specifico, su tutto quello che riguarda il rapporto tra il Cobb di Leonardo Di Caprio e la Mal di una straziante e intensa Marion Cotillard, e tra Cobb e i suoi figli.
E Nolan sa benissimo cosa vuole dire, sa anche come dirlo: mette a segno due o tre colpi efficaci e dolorosi, per lui come per noi, ma non affonda mai.
Non per incapacità, ma per impossibilità. Quella stessa impossibilità che impedisce la messa in scena e l’esperienza del sogno puro e senza regole, dettata da un imperativo interiore di mediazione con la realtà delle cose, della fisica e della vita.

Nolan, come Cobb, si aggrappa alla ragione. Sempre. E persino nel sogno si costringe a rinunciare a chi è pura rappresentazione, perché fisicamente morto, mentre si concede l’illusione di chi è soltanto negato e lontano. Perché è indispensabile, certo, che il Grande Illusionista accechi con la meraviglia ma mantenga sempre, in sé, il controllo razionale sul meccanismo del trucco.
Nolan, come Cobb, non si abbandona. Mai. Be careful what you wish for. Perché tutto deve essere ingabbiato e controllato. Perché abbandono è imprevedibilità, è anarchia, è follia. È sentimento. È quel Joker che faceva pulsare Il cavaliere oscuro e che qui, infatti, non esiste nemmeno in forma embrionale.

Perché, era evidente da prima, ma lo è ancora di più anche adesso, Christopher Nolan, come Cobb, è terrorizzato dalle (sue) emozioni, dai (suoi) sentimenti.
Ma, d’altronde, come dargli torto?



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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