Il Cigno - Sebastiano Vassalli - Recensioni di QLibri
 

Il Cigno Il Cigno

Il Cigno

Letteratura italiana

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Palermo 1893-1920: un omicidio eccellente, uno scandalo bancario, un finto terremoto politico. È la storia di una Sicilia di cent'anni fa. E sembra storia d'oggi. Un altro capitolo dell'indagine di Vassalli sul carattere degli italiani e sugli eterni mali nazionali.



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Il Cigno 2017-01-23 17:41:16 Rollo Tommasi
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Rollo Tommasi Opinione inserita da Rollo Tommasi    23 Gennaio, 2017
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Il popolo offeso

“La mafia è come il Padreterno: è tutto o è niente, e come il Padreterno non ama essere nominata.”

All'onorevole Raffaele Palizzolo – detto “il cigno” sebbene somigli più ad un roseo e tenero lattonzolo – vanno riconosciute in identica misura la qualità di arringatore di folle e la titolarità di amicizie “imbarazzanti”.
Nato da contadini, arriva a sedere in Parlamento all'epoca del grande manovratore Francesco Crispi – siciliano come e più di lui – verso la cui politica pubblicamente converge.
Ma né Crispi né altri prenderanno le sue difese quando i giudici lo rinvieranno a processo come mandante di un omicidio eccellente quanto efferato: l'accoltellamento, nel febbraio 1893, di Emanuele Notarbartolo, uno degli ultimi direttori del Banco di Sicilia. Costui intendeva denunciare sia Palizzolo che – probabilmente – Crispi stesso ed i suoi amici: l'accusa era di aver attinto a piene mani dai fondi del Banco per finanziare la propria attività politica.
L'onorevole Palizzolo è indubitabilmente un lestofante. Eppure, facendo della sua battaglia la battaglia tra una regione di saldo spirito autonomista ed il resto del Paese, riesce a passare indenne attraverso tre gradi di giudizio: sarà ricordato come una bandiera della dignità siciliana e dimostrazione vivente dell'insignificanza della parola “mafia”.
Fermo restando che il tempo è galantuomo...

Il “cigno” è la versione romanzata di fatti realmente accaduti: l'omicidio Notarbartolo, delitto di mafia, e la successiva vicenda giudiziaria. Per capire la genesi e la morale del libro – per uno scherzo del destino terminato e pubblicato da Sebastiano Vassalli all'indomani degli assassinii dei giudici Falcone e Borsellino – è utile risalire alla prefazione con cui l'autore accompagna una delle ultime edizioni del romanzo.
Due sono gli elementi che lo hanno colpito e indotto a scrivere di questa storia: il doversi considerare l'omicidio Notarbartolo (a detta di Vassalli stesso) come il primo vero delitto di mafia, e la pronta costituzione di un “Comitato pro Sicilia” a sostegno dell'onorevole rinviato a giudizio. In particolare, una reazione del genere ben si presta a mostrare l'atteggiamento della Sicilia “bene” di fronte al fenomeno mafia, sin dalla fine del secolo diciannovesimo; rappresentative, al proposito, le parole che il professore palermitano Ragusa Moleti pronuncia in una sorta di riunione inaugurale di quello che sarà il comitato pro Sicilia: “la mafia è un pregiudizio dell'Italia del nord contro i siciliani, che non esisteva prima dell'unità d'Italia e che è stato inventato dai nostri beneamati connazionali, per manifestarci così tutto il loro affetto”.
Non è un caso, suggerisce Vassalli, se il primo importante romanzo sulla mafia arriverà solo negli anni '50, con Leonardo Sciascia e il suo “Il giorno della civetta”.

Lo stile del libro non arriva a quello meravigliosamente asciutto, quasi geometrico, di Sciascia; ciò perché Vassalli – da non siciliano che racconta la Sicilia - è poco interessato alla “metafisica del potere” e molto più all'aspetto sociale e “folkloristico” che si manifesta in un determinato luogo e momento storico. E' per questo che la storia si arricchisce di un Palizzolo che è quasi macchietta e di alcune storie e personaggi, l'amante Filicetta su tutti, che combinano l'intento di impegno con la piacevolezza di una pura narrazione letteraria.

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Sciascia, Camilleri.
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Il Cigno 2011-11-08 07:34:10 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    08 Novembre, 2011
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Ieri come oggi

“A volte sua eccellenza sentiva delle voci che lo chiamavano, mentre se nestava con gli occhi chiusi nella poltrona davanti alla finestra: apriva gli occhi, e vicino a lui c’era qualcuno di quei matti che erano stati i suoi compagni d’un tempo e che ormai erano tutti morti.
……..
Non credeva di dover morire, sua eccellenza; non ci aveva mai creduto. S’illudeva che avrebbe fatto scappare anche la morte, quando fosse stato il momento, come aveva fatto scappare quell’anarchico che una mattina a Roma, in via Gregoriana, gli aveva sparato due colpi di pistola e non era nemmeno riuscito a colpirlo, nonostante la sua carrozza fosse ferma a pochi metri di distanza.”



Il 1° febbraio 1893, in una carrozza del treno diretto a Palermo, viene ucciso a coltellate l’ex direttore del Banco di Sicilia Emanuele Notarbartolo, allontanato dal suo incarico da Francesco Crispi, ma richiamato in servizio dal nuovo presidente del consiglio di Rudinì, che vuol vedere chiaro nei conti della banca, stante le voci ricorrenti di ammanchi anche di notevole entità. C’è infatti chi, con i denari dei risparmiatori, gioca in borsa per finanziare la sua campagna elettorale e questo chi è il deputato Raffaele Palizzolo, legato indissolubilmente a quella intricata ragnatela predatoria e feroce che risponde al nome di mafia.
Questi anni, sul finire del secolo, sono quelli di un’Italia in formazione, che vuole presentarsi sulla scena internazionale come uno stato che ambisce a non essere inferiore alle grandi potenze dell’epoca e che accampa diritti per una sua espansione, sia pure coloniale; principale artefice di questa politica fu proprio Crispi, un uomo che riassume in sé tutti i difetti e i ben rari e modesti pregi del trasformista, di colui che procede senza ideali se non quello del raggiungimento e della conservazione del potere. Spregiudicato, sostanzialmente amorale, è a suo modo un personaggio di primo piano nella storia del nostro paese, che, anche in seguito, ha avuto modo di sperimentare analoghi protagonisti della vita pubblica.
In questo bel romanzo Vassalli narra dell’omicidio Notarbartolo e delle successive indagini, argomento complesso, data l’intricata vicenda, ma che non è il fine dell’opera, in quanto l’autore ci vuole condurre per mano a conoscere uno dei nostri difetti, e cioè la nostra straordinaria capacità di dimenticare, un oblio volontario, forse per rendere meno impietoso il vivere o più probabilmente per l’autoconvincimento che nulla può cambiare e che così va il mondo.
In effetti, la figura del Cigno (Raffaele Palizzolo), chiamato così per le caratteristiche della sua voce e di certe sue movenze, è il ritratto impietoso di un’Italia in cui non solo la giustizia viene disapplicata, ma anche brulicante di personaggi che, di colpo saliti alla ribalta, vengono poi con il tempo ignorati, così che la loro celebrità e la loro gloria sono effimere.
E Palizzolo, prima incarcerato, poi liberato e accolto trionfalmente a Palermo come un eroe, finirà i suoi giorni quasi nell’anonimato, così come Crispi si spegnerà nel silenzio.
Entrambi non sono uomini che hanno fatto l’Italia, ma che se ne sono serviti per i loro scopi, per sete di potere, per interessi di parte; le parole della politica risuonano vuote, come vuota è la giustizia, sensibile ai polveroni che ogni tanto s’innalzano, per poi diradarsi, in un gioco in cui tutto pare cambiare per ritornare infine sempre uguale.
Vassalli ha scritto un romanzo forse ispirandosi a Sciascia, perché la vicenda, con tutti gli interrogativi che pone, sarebbe stata certamente d’interesse per l’autore di Racalmuto, e, pur senza averne la grande capacità di analisi ferrea, è riuscito tuttavia a confezionare un’opera di ottimo livello, che in talune pagine (quelle relative agli ultimi giorni di Crispi) raggiunge vertici di alta letteratura.
Sarà forse un romanzo minore, ma sinceramente, se anche non risulta di eccellenza come La chimera, Le due chiese e Cuore di pietra, tuttavia Il Cigno è di ineccepibile qualità, piacevole da leggere e, soprattutto, valido strumento di riflessione.

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