PDF - Società Ligure di Storia Patria
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ATTI<br />

DELLA<br />

SOCIETÀ LIGURE<br />

DI<br />

STORIA PATRIA<br />

V O LU M E XXIII<br />

G EN O VA<br />

t i p o g r a f i a d e l r . i s t i t u t o s o r d o - m u t i<br />

MDCCCXC<br />

<strong>Società</strong> <strong>Ligure</strong> <strong>di</strong> <strong>Storia</strong> <strong>Patria</strong> - biblioteca <strong>di</strong>gitale - 2011


<strong>Società</strong> <strong>Ligure</strong> <strong>di</strong> <strong>Storia</strong> <strong>Patria</strong> - biblioteca <strong>di</strong>gitale - 2011


GIACOMO BRACELLI<br />

L ’ U M A N E S IM O D E I L IG U R I<br />

AL SUO TEMPO<br />

p e l socio CARLO BRA.GGIO<br />

<strong>Società</strong> <strong>Ligure</strong> <strong>di</strong> <strong>Storia</strong> <strong>Patria</strong> - biblioteca <strong>di</strong>gitale - 2011


<strong>Società</strong> <strong>Ligure</strong> <strong>di</strong> <strong>Storia</strong> <strong>Patria</strong> - biblioteca <strong>di</strong>gitale - 2011


o no ormai quattro anni, che pubblicando<br />

nel Giornale Ligustico una monografia sur<br />

Antonio Ivani, letterato sarzanese del se­<br />

colo xv, io promettevo uno stu<strong>di</strong>o più<br />

ampio sull’ umanesimo dei liguri, <strong>di</strong> cui quella pubbli­<br />

cazione voleva essere solo un saggio. Ahimè, io non<br />

dubitavo allora <strong>di</strong> prometter troppo : poi sopravvennero<br />

altre occupazioni che mi impe<strong>di</strong>rono <strong>di</strong> darvi pronto<br />

effetto, e poi anche questa modesta provincia fu invasa<br />

da altri valenti che coi loro lavori mi fecero meno cu­<br />

rante e sollecito del mio. La monografia, ch’ora presento<br />

qui, tratterà dunque <strong>di</strong> un solo periodo che dai primi<br />

anni del quattrocento non va oltre il ’6o, tentando <strong>di</strong><br />

raggruppare intorno a Giacomo Bracelli, storico e can­<br />

celliere della genovese Repubblica, il movimento eru<strong>di</strong>to<br />

che in lui parve accentrarsi durante quegli anni trava­<br />

gliati, dentro dello Stato da tumulti, fuori da guerre,<br />

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— 8 —<br />

col presentimento negli animi <strong>di</strong> un peggio avvenire.<br />

In una parola, ragionando <strong>di</strong> cose e uomini genovesi,<br />

io rimarrò, per quanto mi è possibile, in Genova. Una<br />

eccezione avrò a fare per Bartolomeo Fazio, che ligure,<br />

trascorse tuttavia la maggior parte della sua vita in<br />

Napoli ed in corte dell’ Aragonese. Ma la fama <strong>di</strong> lui,<br />

gli anni della giovinezza passati come cancelliere della<br />

Repubblica, le frequenti sue attinenze con cose e uomini<br />

della sua patria mi giustificano abbastanza. Del resto la<br />

trattazione che lo riguarda, sarà più specialmente oggetto<br />

<strong>di</strong> un’ appen<strong>di</strong>ce. •<br />

Ed ora per finire e per confessarmi intero al lettore,<br />

aggiungerò, che oltre le necessarie ricerche per cui non<br />

ho risparmiato fatica, avrei voluto anche rendere l am­<br />

biente da me preso a stu<strong>di</strong>are ed apprezzare al vero<br />

l’ opera degli eru<strong>di</strong>ti genovesi. Probabilmente 1 avrò ten­<br />

tato senza riuscirvi. E <strong>di</strong> questo e delle omissioni inevi­<br />

tabili sarà giu<strong>di</strong>ce chi mi legge. Il quale se non apparterrà<br />

alla schiera <strong>di</strong> coloro che acquistano facile fama <strong>di</strong> arcana<br />

dottrina con la citazione <strong>di</strong> un fascicolo nato morto, o<br />

messo meritamente insieme colle ben note lucerne e i<br />

chio<strong>di</strong> d’ Ercolano ( i ) , perdonerà, <strong>di</strong>co, le <strong>di</strong>menticanze<br />

non volute e le deduzioni o supposizioni mie che per<br />

altre ricerche potessero essere infirmate. Perché già in<br />

oggi se é vero, come celiando scriveva il G iu sti, che<br />

un chimico rovina un santo, è anche più vero 'che le<br />

migliori teoriche vanno a gambe levate <strong>di</strong>nanzi alla<br />

testimonianza <strong>di</strong> un documento.<br />

(i) B arb tti, La Frusta letteraria, Milano i 8}8 , I, 59.<br />

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— 9 —<br />

CAPITO LO I.<br />

N o t i z i e B i o g r a f i c h e .<br />

Intorno alla vita del Bracelli e alla famiglia <strong>di</strong> lui,<br />

conosciuta, intendo, nell’ intimità delle pareti domestiche<br />

e non solo per le poche notizie biografiche che é facile<br />

racimolare, sappiamo assai poco.<br />

Egli <strong>di</strong>scendeva, <strong>di</strong>cono concordemente i suoi biografi,<br />

da una famiglia dove il notariato era ere<strong>di</strong>tario.<br />

Venuta, verso la metà del sec. x i i i in Genova, da un<br />

picciol luogo nelle parti della Spezia detto appunto<br />

Bracelli, essa ottenne coll’ esercizio <strong>di</strong> una professione<br />

che era lucrosa e rispettata, pubbliche immunità sin<br />

dall’ anno 1312. In appresso il nome dei Bracelli figura<br />

onorevolmente tra gli anziani e maggiorenti del Co­<br />

mune (1). Anche per l’ anno della nascita <strong>di</strong> lui non si<br />

può procedere se non per congettura. Ma <strong>di</strong> atti che re­<br />

cano la sua firma come cancelliere, se ne rinvengono<br />

nell’Archivio <strong>di</strong> Stato fin dal 14 11 (2), sicché non saremo<br />

(1) « Del 1 3 1 1 Gabriele Bracelli fu anziano della città come nelle conven­<br />

zioni della Spezia a c. 16 appare » (Ganducci ; Famiglie nobili <strong>di</strong> Genova, ms.<br />

p. 359); il padre <strong>di</strong> Iacopo, Simone del quondam Bartolomeo, era nel 1424, ai<br />

25 <strong>di</strong> aprile, uno de’ due officiali deputati per dare e ricevere il sale (C i c a l a ;<br />

Memorie della città <strong>di</strong> Genova e <strong>di</strong> tutto il suo dominio, ms. in Arch. Municip.);<br />

e nel 1427 un Nicolò Bracelli era mandato ambasciatore al Re <strong>di</strong> Francia.<br />

(Fe d e r ic i; Scrutinio della nobiltà ligustica, ms. p. 157).<br />

(2) Arch. <strong>di</strong> Stato in Genova, libri <strong>di</strong>versorum e litterarum. La data del 1419<br />

portata dallo Spotorno (St. lett. della L ig u ria , Genova 18 24 -58 , II, 64) va<br />

quin<strong>di</strong> anticipata ancora <strong>di</strong> qualche anno.<br />

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molto fuori <strong>di</strong>i vero, se tenendo pur conto della sua<br />

morte avvenuta verso il '66, risaliremo per la nascita<br />

all’ ultimo decennio del secolo precedente ( i) .<br />

Nell’ e<strong>di</strong>zione principe della Guerra <strong>di</strong> Spagna fatta da<br />

Masello Venia circa l’ anno 14 7 7 , 1’ e<strong>di</strong>tore dà al Bra­<br />

celli titolo <strong>di</strong> iuris utriusque consultum (2). E lo si ri­<br />

pete nell’epigramma in fine del libro. Scambio <strong>di</strong> restrin­<br />

gersi al notariato, il Nostro avrebbe dunque com piuto<br />

lo stu<strong>di</strong>o delle leggi in una delle Università che gode­<br />

vano tama in quel tempo. Ma dove ? Due città si pre­<br />

sentavano come famose nel <strong>di</strong>ritto : Pavia che già sotto<br />

i Franchi aveva acquistata molta importanza, e Bologna,<br />

la dotta Bologna, la patria d’ elezione dei gran<strong>di</strong> giure-<br />

consulti. Pare che il Bracelli prescegliesse la prima. In<br />

una lettera a Giovanni Giacomo Riccio, che era stato<br />

colà precettore <strong>di</strong> suo figlio, egli parla <strong>di</strong>fatti dei fratelli<br />

<strong>di</strong> esso Riccio come da lui conosciuti altra volta nella<br />

famigliare consuetu<strong>di</strong>ne della vita comune. — « Subibat<br />

animum meum memoria Zanini ac domini Abbatis fra­<br />

trum quondam tuorum, quorum ut eximias virtutes, ita<br />

<strong>di</strong>vina ingenia admirari adeo solebamus , ut quos illis<br />

U) Lo S poto rno, op. cit., il S o prani, Scrittori liguri 12 2, e lo Z e n o , D isserta<br />

Yoss., II, 266, ma tutti <strong>di</strong>etro il Soprani, lo <strong>di</strong>cono nativo <strong>di</strong> Sarzana. H forse<br />

quest’ ultimo si fondava sopra l’ autorità del Fazio che nel De v ir is illu stribu s,<br />

lo chiama conterraneus meus. Ma perchè non Spezia allora, ma Sarzana? Inoltre<br />

jo dubito che il Fazio con quel vocabolo voglia intendere non un b o rg o , ma<br />

l’ intera provincia; se no, mi riuscirebbe un enigma la chiusa del breve elogio:<br />

Moderatione animi civibus meis carus et iucundus. Evidentemente il Fazio , seb­<br />

bene nativo della Spezia chiama qui concitta<strong>di</strong>ni suoi i genovesi.<br />

(2) Cfr. A r g e la ti; Bibl. Script. Me<strong>di</strong>ol., T . I , 9 segg. — A d illustrem et<br />

bum. Principem Philippum Mariam Sfortiam . . . Praefatio. — L curioso che nè<br />

lo Zeno, nè lo Spotorno la citino.<br />

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adequari possemus, aut nulli, aut perpauci admodum in­<br />

venirentur » (i).<br />

Per contro <strong>di</strong>rei che gli fosse poco noto lo Stu<strong>di</strong>o<br />

bolognese. Anni dopo, volendovi mandare il figlio<br />

Antonio, si rivolgeva per notizie e consiglio all’ amico<br />

Cipriano De Mari. Voleva sapere il nome dei dottori<br />

che vi insegnavano ; egli pendeva incerto tra quella città<br />

e Siena e desiderava stabilire un confronto. Probabilmente<br />

nella vita randagia, che anche i maestri <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto face­<br />

vano da città a città, Siena aveva accolto nel suo Stu<strong>di</strong>o<br />

alcuno <strong>di</strong> tale celebrità da attirare gli sguar<strong>di</strong> del nostro<br />

cancelliere (2). Né all’ osservazione contrad<strong>di</strong>ce, al mio<br />

(1) Lett. a Giov. Giacomo Riccio, clarissimo legum interpreti, in Ia c. B ra c elli<br />

et ALIOR. CL. viror. Epist. Orat. opusc. ms. del sec. x v, c. 16. Così la scritta im­<br />

pressa sulla costa del volume e risponde abbastanza bene a ciò che esso è in<br />

effetto, ossia una copiosa miscellanea. 11 co<strong>di</strong>ce fu già <strong>di</strong> Tommaso Fransone,<br />

come si rileva dalla notizia scritta nel secolo passato sopra una delle carte che<br />

formano la guar<strong>di</strong>a del volume, ed ora trovasi nella Civico Beriana <strong>di</strong> Genova.<br />

Oltre alle lettere e<strong>di</strong>te del Bracelli, ne contiene molte delle ine<strong>di</strong>te, e in proprio<br />

nome e in nome della Repubblica, nonché alcune brevi orazioni. Delle operette<br />

del Nostro v’ ha 1’ opuscolo De Claris genuensibus, la lettera al Merula , De<br />

precipuis urbis genuensis familiis relatio, e la Descriptio orae ligusticae. Si trovano<br />

poi nello stesso ms. lettere d’ altri uomini insigni al Bracelli e <strong>di</strong> principi, ovvero<br />

scritte in loro nome, alla Repubblica genovese ed orazioni <strong>di</strong>verse ed epistole<br />

d’ argomento eru<strong>di</strong>to e letterario, parte delle quali sono a stampa, come<br />

si rileva dalle annotazioni che vi si veggono fatte <strong>di</strong> mano moderna nei mar­<br />

gini. Sonvi alcuni versi latini, brani copiati dalle opere <strong>di</strong> Cicerone, <strong>di</strong> Sallustio,<br />

<strong>di</strong> Poggio Fiorentino. Vi è trascritto un frammento dell’ opuscolo del Fazio :<br />

De bello veneto clo<strong>di</strong>ano e il Conto fatto latino dal medesimo, coll’ intitolazione:<br />

Barth. Facii ad quemdam amicum suum, de belli origine inter Gallos et Brittannos<br />

historia incipit feliciter.<br />

Il ms. consta <strong>di</strong> 468 pag. modernamente numerate, ed è scritto da <strong>di</strong>versi<br />

menanti, tutti però dello stesso tempo. È <strong>di</strong> esso ch’ io mi varrò largamente<br />

in questa monografia, giovandomi sempre dell’ in<strong>di</strong>cazione : ms. Br.<br />

(2) Ms. Br. c. 135, senza data, ma se due lettere al Riccio ed a Rolando da<br />

Corte (praecl. ac cclcbrat. iuris ulriusque doctori d. RoL a Curie, patri curn primis<br />

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parere, un suo fuggevole accenno in una lettera a P o ggio<br />

Bracciolini: — « Credo ti ricorderai, gli scrive l’ um a­<br />

nista genovese, del tempo che, stando noi in B o lo g n a ,<br />

ed essendo caduto il <strong>di</strong>scorso sulla mia patria, tu <strong>di</strong>cesti<br />

che avevi rinvenuto in un libro <strong>di</strong> scrittore trancese,<br />

compilazione della storia <strong>di</strong> molte genti, questo ricordo,<br />

che Genova fu, sono appena quattrocent anni, saccheg­<br />

giata da’ saraceni » (i). Ma il Bracelli alludeva , per<br />

opinione mia, al tempo che era stato inviato com e am ­<br />

basciatore nel ’ 36 a Papa Eugenio IV ed a fiorentini.<br />

Difatti a Bologna erasi recato a’ 18 aprile <strong>di</strong> quell anno<br />

il Pontefice e con esso, come segretario apostolico, anche<br />

il Poggio (2).<br />

I fi:> danno A n to n io c o m e già<br />

partito da Pavia, avendovi conseguito il dottorato, si dovrà risa lire, per la<br />

lettera al De Mari, a tre o quattr’ anni prima, ossia al 'S2.<br />

(1) Lett. 18 febbraio 1449. « Ext- in co<strong>di</strong>ce ms* EPist0,arum Iacobi Br;u:ellei*<br />

apud Io. Thomam Cavanam ». — Mi venne favorita insieme con altre due, del<br />

Poggio al Bracelli, e <strong>di</strong> questo al Poggio, dall’ egregio e dotto am ico. Prof. Neri.<br />

Ed a lui ed al Comm. Belgrano, m’ è caro attestare l’ animo m io sinceram ente<br />

grato, per i molti aiuti, onde con la liberalità loro solita, mi furono cortesi.<br />

(2) G rego ro vius; <strong>Storia</strong> della città <strong>di</strong> Roma, \ enezia, A ntonclli, 1S 7 5 , V II, 65.<br />

(3) F e d e r ic i; op. cit., 1 5 7 segg.<br />

— 12 —<br />

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— 13 —<br />

— a. 1484. Inviato ambasciatore al duca <strong>di</strong> Milano.<br />

— a. 1489. » » al papa.<br />

— a. 1490. # » al re d Aragona.<br />

Fin dal 1477 era stato creato consigliere del duca,<br />

con titolo <strong>di</strong> magnifico.<br />

Ed ecco quello del fratello Stefano che successe al<br />

padre nell’ ufficio <strong>di</strong> cancelliere :<br />

__ a. 1^2. Podestà <strong>di</strong> Scio, la soccorre con due navi.<br />

— a. 1467. Mandato al re d’ Aragona.<br />

— a. 1477. Ufficiale <strong>di</strong> balìa.<br />

Nello stesso anno ambasciatore al re <strong>di</strong> Napoli.<br />

— a. 1489. Anziano del Comune.<br />

Dei quattro figli che il nostro umanista ebbe dalle sue<br />

nozze con una figliuola <strong>di</strong> Onofrio Pinelli, nobile citta­<br />

<strong>di</strong>no genovese, congetturo che Antonio fosse il penul­<br />

timo nato.<br />

Difatti il figlio Stefano fin dal '45 si recava a Pavia<br />

ut opera-m darei iure civ ili; la figliuola maggiore era<br />

andata a nozze nel '42 a Francesco Marrufo; Antonio<br />

per contro non conseguì il dottorato a Pavia che nel<br />

'56. Due anni dopo lo troviamo in Francia, dove era<br />

passato in compagnia dell’ amico Gottardo Stella, <strong>di</strong><br />

Battista Goano ed altri due che recavansi a concordare<br />

i capitoli <strong>di</strong> cessione della città <strong>di</strong> Genova al re Carlo VII.<br />

Quando Battista <strong>di</strong> Goano, cui era specialmente racco­<br />

mandato, ne fece ritorno, egli si fermò in Avignone per<br />

consiglio o consenso del Goano stesso. E il padre dalla<br />

villa nel territorio <strong>di</strong> Rapallo, dove era andato a passare<br />

quel settembre '58, ne ringraziava affettuosamente l’auto­<br />

revole amico e protettore (1). Speravano <strong>di</strong> allogare<br />

(i)'Ms. Br. c. 29 lett. ex Cerasola, villa Rapalli, x il kal. sept.<br />

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Antonio in una carica confacente a lui, per opera e fa­<br />

vore <strong>di</strong> re Raniero? Se ciò fu, le speranze ebbero ad<br />

andar fallite, poiché, nel ’6o, Antonio si trovava <strong>di</strong> nuovo<br />

in Genova, donde mandava a donare al Riccio dell’ uva<br />

passa <strong>di</strong> Malaga e un barile d’ olio <strong>di</strong> Ca<strong>di</strong>ce, torse per<br />

consolargli il <strong>di</strong>giuno quaresimale.<br />

Era 1’ ultimo <strong>di</strong> <strong>di</strong> febbraio (i).<br />

Delle figliuole, la maggiore, come sappiamo, era an­<br />

data moglie ad un Marrufo: non così l’ altra, l’ ultima<br />

della famiglia, che per la sua sventura avrà certo addo­<br />

lorato il cuore affettuoso del babbo. Nel ’ 56 egli scriveva<br />

<strong>di</strong>fatti al genovese Giovanni Marabotto, che esercitava<br />

me<strong>di</strong>cina in Bologna ed era conosciuto dal suo Antonio,<br />

chiedendogli consiglio per questa sua figliuola che aveva<br />

in casa, in età già oltre i vent’ anni e che cosi era debi­<br />

litata nel ginocchio e nella gamba sinistra da non poter<br />

muovere passo senza il soccorso <strong>di</strong> una gruccia (2 ).<br />

Tali le poche notizie, scarne in verità, che abbiamo<br />

potuto raccogliere sulla vita domestica <strong>di</strong> questo insigne<br />

citta<strong>di</strong>no. Fu fortunato ne’ figli maschi che risposero alle<br />

speranze paterne, spese l’ operosità sua negli stu<strong>di</strong> in<br />

servizio della Repubblica che, cogli uffici in patria, colle<br />

ambasciate al <strong>di</strong> fuori, mostrò <strong>di</strong> apprezzarne l ' ingegno<br />

e la virtù (3).<br />

(1) Ms. Br. c. 33.<br />

— i4 —<br />

(2) Ms. Br. c. 26, lett. 4 ottobre 1456.<br />

(3) Le legazioni da lui sostenute, salvo le omissioni, sono le seguenti:<br />

Nel 1428 inviato a Milano, nella sua qualità <strong>di</strong> cancelliere, insiem e con sei<br />

ambasciatori, dall’ arcivescovo Bart. Capra governatore <strong>di</strong> Genova per congra­<br />

tularsi delle nozze <strong>di</strong> F. M. Visconti con Maria <strong>di</strong> Savoia.<br />

Nel '34 legazione al duca <strong>di</strong> Milano per la possessione <strong>di</strong> T a g lio lo ed altri<br />

luoghi, contrastata dai Del Carretto. — Ricordata dall’ Olivieri.<br />

Nel '35, '36 id. al papa Eugenio IV ed a Firenze, perchè concedessero che<br />

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Dal canto suo, pago della modesta agiatezza che gli<br />

era consentita, non partecipò punto alla vita zingaresca<br />

che tanti, e notai e letterati, si piacevano <strong>di</strong> fare.<br />

Egli visse e mori nella cancelleria genovese, e si che<br />

dalle loro terre si potesse cavar grano e condurlo a Genova. G iu stin ia n i,<br />

Annali, libro V, ad a. 1435.<br />

Nel '45 id. al duca <strong>di</strong> Milano per concludere tra gli Adorno che allora do­<br />

minavano in Genova e il duca un trattato d’ amicizia , volto a mettere un<br />

termine alle reciproche <strong>di</strong>ffidenze ed animosità ed assicurare lo Stato contro i<br />

Fieschi e Campofregoso (Cfr. un eru<strong>di</strong>to articolo del Neri in Giorn. Ligust<br />

a. XV, 161 segg.).<br />

— 15 —<br />

Nel ’47 id. al re Alfonso per riparare ai capitoli dannosi allo Stato stipulati<br />

dal nobile Araone Cibo, dandogli commissione, se il re acconsentisse, <strong>di</strong> rego­<br />

lare detti capitoli secondo 1 istruzione datagli 5 se no, <strong>di</strong> ritornarsene.<br />

Se cre<strong>di</strong>amo al G i s c a r d i (Origine e fasti delle famiglie genovesi; ms. p. 126) il<br />

re a <strong>di</strong>mostrare il suo gra<strong>di</strong>mento mandò in dono al Bracelli una collana d’ oro<br />

con medaglia. E non ebbe ad essere piccola impresa lasciare sod<strong>di</strong>sfatti ad un<br />

tempo I’ Aragonese ed i suoi Signori, dopo il precedente <strong>di</strong> Araone Cibo. Rade<br />

volte in un documento rilasciato da Signori, si troveranno parole più veementi<br />

contro 1 operato <strong>di</strong> un agente infedele, <strong>di</strong> quelle che si leggono a carico <strong>di</strong><br />

costui nell’ istruzione al Bracelli, 7 <strong>di</strong>cembre 1447. Ne trascrivo un periodo:<br />

« . . . . non admirari non potuimus vehementer videre contra iussa nostra<br />

eum Alaonem, sine ulla honesta cogitatione, ea capitula ac conventiones tran-<br />

sigisse et lta» post admirationem, in in<strong>di</strong>gnationem iramque pervenimus ut nisi<br />

reverentiam regiae illius maiestatis nos movisset, supplicio ultimo illum damnatum<br />

punissemus ». (Arch. <strong>di</strong> Stato in Genova, Diversorum, f. 1).<br />

Riporterò per intero la lettera con cui il card. Capra accompagnava gli am­<br />

basciatori, ed è anche testimonio del conto in cui si teneva fin d’ allora il<br />

N ostro :<br />

Illustrissime princeps ac preclarissime domine noster.<br />

Ad excellcnlte vestre conspectum veniunt generosi et egregii cives nostri <strong>di</strong>lectissimi,<br />

dominus Andreas Bartholomeus Imperialis doctor legum insignis, Isnardus de Goarco,<br />

Bartholomeus lustinianus, Gaspar Marruffus, Dorinus de Grim al<strong>di</strong>s, Petrus Spi­<br />

nula quondam egregii Cipnani, sex legati nostri et cum eis <strong>di</strong>lectus cancellarius<br />

noster Jacobus de Bracellis, ut leticiam huius civitatis ex tam allo connubio conce­<br />

ptam, adventu suo testentur et in bis felicibus nuptiis celsitu<strong>di</strong>ni vestre congratu-<br />

lentur. Eidem itaque humillime supplicamus ut devotionem lmius civitatis gratam<br />

habeat, in quibus referen<strong>di</strong>s . . . velit eis fidem adhibere indubiam ceu nobis. Data<br />

1428, dìe XXI■ sept. (Arch. <strong>di</strong> Stato in Genova, Litterar. n. 3, canc. Bracelli).<br />

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il popolo era famoso per mutare dalla state al verno,<br />

emulo ne’ sottili provve<strong>di</strong>menti dei fiorentini <strong>di</strong> Dante.<br />

Offertogli dal pontefice Nicolò V , spontaneamente, il<br />

posto <strong>di</strong> segretario apostolico rifiutò, scrive il Foglietta,<br />

della me<strong>di</strong>ocrità sua contento ( i) . E vivendo nel tumulto<br />

de’ negozi e nell’ abbondanza delle idee , interrompeva<br />

volentieri i sopraccapi urbani per gli ozi lieti — / otium<br />

bonum de’ latini — o nella sua villa <strong>di</strong> Ceresola presso<br />

Rapallo, o più spesso in un poderetto a Bogliasco.<br />

E quivi nel cospetto dell’ immenso mare inspiratore<br />

<strong>di</strong> liberi pensieri, nel declive imbalsamato dall’ acri fra­<br />

granze marine, non sdegnava prendersi cura insieme<br />

con quei poveri lavoratori de’ cavoli capucci. A ll’ amico<br />

Ambrogio Vicemala, cancelliere in Savona, scriveva:<br />

m’ hai mandato tanto seme che la metà sarà più che<br />

sufficiente pel mio orto.<br />

Ciò che più lo <strong>di</strong>fferenzia dagli altri umanisti è in<br />

lui la costante <strong>di</strong>gnità dell’ instituto <strong>di</strong> vita. In tutte le<br />

lettere sue che ci rimangono, non una dove si rinven­<br />

gano le servili sollecitazioni per favori o donativi per<br />

cui s’ abbiettavano anche i migliori. Frequenti invece i<br />

segni <strong>di</strong> un’ onesta alterezza.<br />

Ad un Filippo Spinola, che <strong>di</strong>morava pe’ suoi traffici<br />

in Milano, commette in una sua lettera l’ acquisto <strong>di</strong><br />

tanto panno verde per il valsente <strong>di</strong> lire settanta genovesi,<br />

e soggiunge: « Al magnifico Vitaliano Borrom eo offrite<br />

, il prezzo <strong>di</strong> un cavallo che sta per inviarm i, ma non<br />

voglio ecceda il valore <strong>di</strong> 24 fiorini d’oro, né sia troppo<br />

(1) Foglietta. Clar. Lig. E lo g ia , 246. - * Bracellius genuensis Senatus<br />

scriba eundem honoris locum a Nicolao Quinto pontifice m axim o ultro de<br />

tum repu<strong>di</strong>avit, me<strong>di</strong>ocritate sua contentus. »<br />

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ello, che non vorrei me lo togliessero per farne un cam­<br />

pione <strong>di</strong> razza. E se per avventura il conte Vitaliano vi<br />

rispondesse <strong>di</strong> non voler denaro, <strong>di</strong>tegli che senza prezzo<br />

non lo man<strong>di</strong>, poiché io accetto bensì la benevolenza e<br />

i buoni uffici <strong>di</strong> lui, ma non ne accetto il danaro » (i).<br />

Siamo nel 1445, e questa data ci trasporta nel vivo<br />

degli avvenimenti, ai quali presero tanta parte amici e<br />

protettori del Bracelli, avvenimenti ond’ egli stesso fu<br />

parte, o spettatore assai da vicino.<br />

Due anni ancora e morirà sfasciato del corpo e del-<br />

1’ animo l’ ultimo rappresentante dei Visconti, e la Si­<br />

gnoria, quale s'era definitivamente costituita nel sec. xiv,<br />

cederà il luogo al principato dei condottieri. Quattro<br />

anni ancora e il conte Vitaliano, il fondatore della illu­<br />

stre stirpe da cui doveva uscire S. Carlo, attraverserà al<br />

galoppo il ponte <strong>di</strong> Porta Vercellina per correre a rin­<br />

chiudersi nel suo castello <strong>di</strong> Arona. Audacia del mo­<br />

mento, che lo salvava dalla forca sulla quale perirono i<br />

compagni suoi e fautori dello Sforza in Milano. E final­<br />

mente, quello stesso Sforza che pareva pazza temerità il<br />

sostenere, mentre le spade infuriavano dappertutto, un<br />

anno dopo entrerà trionfante in Milano, in mezzo alla<br />

mirabile concor<strong>di</strong>a e letizia dei citta<strong>di</strong>ni. Così almeno<br />

<strong>di</strong>cono i cronisti.<br />

- 17 —<br />

L ’ attività del Bracelli abbraccia quasi un mezzo secolo,<br />

longum aevi spatium in verità. Egli potè quin<strong>di</strong> assi­<br />

stere alle frequenti rivoluzioni del governo genovese e<br />

all’ altalena incessante delle opposte fazioni: le famiglie<br />

(1) Ms. Br. c. 103, lett. 18 maggio I44S- — « ...............et si forsitan d. Vi-<br />

talianus vobis responderet nolle precium equi, <strong>di</strong>cite quod sine precio ipsum non<br />

mittat : ego enim eius curam et laborem accepto, pecunias non accepto ».<br />

A n : S o c . L io . S t. P at* ia . V o i. X X 11I. 2<br />

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— iS —<br />

popolane guelfe invocanti l’ aiuto della Francia, i nobili<br />

ghibellini che aspiravano al principato, e poiché il doge<br />

non poteva incarnare in sé l’ ideale della Signoria ,<br />

com’ era portato del secolo x v , era giuocotorza cedere<br />

<strong>di</strong> quando in quando ai partiti che sconvolgevano senza<br />

prò’ la Repubblica, o appigliarsi al <strong>di</strong>sperato rime<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />

chiamare un signore che inforcasse cotesta cavalla eh era<br />

latta indomita e selvaggia. L ’ altalena durava perpetua<br />

tra i due potenti vicini : i re <strong>di</strong> Francia che rinfocola­<br />

vano le speranze guelfe, e i duchi <strong>di</strong> Milano , tautori<br />

de’ nobili ghibellini. Fortuna fu per 1’ Italia che la po­<br />

tente signoria de’ Visconti prima, degli Sforza più tar<strong>di</strong><br />

in Lombar<strong>di</strong>a, e le guerre dei re francesi coll’ Inghil­<br />

terra, togliessero a que’ monarchi la voglia e il modo<br />

<strong>di</strong> occuparsi dell’ Italia. Se n o , la malinconica profezia<br />

<strong>di</strong> Lorenzo de’ Me<strong>di</strong>ci sarebbesi verificata mezzo secolo<br />

innanzi e le convulse scosse dello Stato genovese avreb­<br />

bero portato assai prima ad un durevole intervento<br />

francese.<br />

L ’ età, che già volgeva a decadenza, é piena tuttavia<br />

<strong>di</strong> operosità, come il tramonto <strong>di</strong> un bel giorno: estesi<br />

ancora i commerci in tutte le parti del mondo cono­<br />

sciuto, gli sconvolgimenti interni non tali che inceppas­<br />

sero l’ attività in<strong>di</strong>viduale, notevole anche nei peggioii<br />

perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> soggezione straniera; le guerre contro il co­<br />

stante nemico della Repubblica, cioè il re Alfonso <strong>di</strong><br />

Napoli, per un certo tempo fortunate, e, infine, quando<br />

in Oriente tutto precipitava <strong>di</strong>nanzi ai turchi, la <strong>di</strong>fesa<br />

delle lontane colonie affidata al Banco <strong>di</strong> S. G iorgio,<br />

eroica e degna della vecchia prudenza romana.<br />

Ma, già cadente sotto il fascio degli anni e delle<br />

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memorie — il Bracelli era ancor tra’ vivi nel ’66 —<br />

quale colpo avranno fatto sul cuore del vecchio le no­<br />

tizie che giungevano confuse e tanto più paurose dei<br />

progressi dei turchi ?<br />

— 19 —<br />

Il gran Comune che aveva piantato vincitore il suo<br />

vessillo a Mamistra, a Laiazzo, in tanti luoghi remoti<br />

dell’ Egeo e del Mar Nero, ora pareva dall’ ira delle<br />

stelle destinato a rovinare, nelle colonie sotto i colpi<br />

dei barbari, nell’ interno sotto quelli de’ suoi figli. E<br />

dov’ erano andati i gloriosi giorni delle flotte rapida­<br />

mente allestite, numerose, sicure della vittoria, che mo­<br />

vevano alla conquista <strong>di</strong> Antiochia e <strong>di</strong> Cesarea?<br />

Stringeva il cuore vedendoli ridotti nel governo a’ me­<br />

schini espe<strong>di</strong>enti <strong>di</strong> chi vive giorno per giorno, esaurita<br />

ogni risorsa nella <strong>di</strong>uturna guerra, i luoghi <strong>di</strong> S. Giorgio<br />

ridotti al valore <strong>di</strong> ventitré lire e nessuna luce <strong>di</strong> spe­<br />

ranza da’ principi italiani che avresti detto attoniti, o<br />

non curanti dell’ ultimo danno minacciato ; e doge <strong>di</strong><br />

Genova un Paolo Fregoso, piuttosto ladrone e mici<strong>di</strong>ale<br />

de’ concitta<strong>di</strong>ni e de’ suoi, che arcivescovo e signore.<br />

Alla vigilia <strong>di</strong> comparire <strong>di</strong>nanzi al Signore <strong>di</strong> tutti,<br />

aveva u<strong>di</strong>to il suo autorevole amico, Battista Goano,<br />

proclamare nel cospetto dello Sforza che — « siccome<br />

in cielo che é patria <strong>di</strong> tutti i buoni, comanda un solo<br />

Dio, al quale ubbi<strong>di</strong>sce tutto il mondo, cosi in la città<br />

che dev’ essere ben governata é necessario che sia un<br />

solo principe, il quale con la ragione e con consiglio<br />

governi e in<strong>di</strong>rizzi ogni cosa » (i). — Ma oramai<br />

non era più questione <strong>di</strong> signoria comune , bensì della<br />

(i) G iustin ian i, op. cit., V, 445.<br />

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— 20 —<br />

comune servitù, che fra tanti sobbalzamene si maturava<br />

per noi, fuori delle corte previsioni umane. 11 Bracelli<br />

potè godere ancora degli ultimi benefizi del nuovo Prin­<br />

cipato: <strong>di</strong>fatti me<strong>di</strong>ante lettere ducali del 3 settembre 1465<br />

e del 14 luglio 1466 lo si <strong>di</strong>spensava, con onorevoli<br />

parole, dall’ ufficio a benefìzio del figliuolo Stefano che<br />

gli succedeva (1). Era una parte <strong>di</strong> sé che sottentrava<br />

a continuare quelle buone tra<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> cancelleria, delle<br />

quali il nostro umanista, come i migliori tra’ suoi colle­<br />

ghi, avrà sentito un legittimo orgoglio : ormai egli po­<br />

teva togliersi in pace il riposo che aveva ben meritato.<br />

Probabilmente neppure il riposo ultimo non ebbe a tar­<br />

dare molto, oltre quell’ anno ’66. La generazione che<br />

aveva sentito, patito, operato con lui, l’aveva, presso­<br />

ché intera, preceduto nel sepolcro. Gli amici, i fi<strong>di</strong> con­<br />

siglieri ed ammiratori suoi, erano passati ad uno ad uno.<br />

Nel ’ 39 il Traversari, nel '44 il Bruni, nel '57 il Fazio,<br />

nel '59 Poggio Bracciolini, Flavio Biondo nel '6 3 e forse<br />

prima del 54 Francesco Barbaro, il patrizio procuratore<br />

<strong>di</strong> S. Marco, che <strong>di</strong>menticava, a quando a quando, il ri­<br />

serbo del suo grado per mandare lettere brevi, ma affet­<br />

tuose a Gottardo Stella ed al Bracelli.<br />

Rimanevano della vecchia generazione alcuni super­<br />

stiti, isolati, solitarii, siccome rovine <strong>di</strong>menticate dal<br />

tempo. Egli poteva andarsene contento. La fortuna ora<br />

sorrideva al Pontano, al Poliziano, al Ficino, a’ giovani<br />

insomma che avevano preso altre vie. Come ebbe ad<br />

essere triste, malgrado 1’ orgoglio in cui s’ irrigi<strong>di</strong>va, la<br />

vecchiezza del Filelfo ! Giacomo Bracelli invece moriva<br />

(1) Cfr. Documento I in fine.<br />

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lieto del civile governo che pareva incominciato per la<br />

sua patria, dopo <strong>di</strong>eci anni <strong>di</strong> violenze ed afflizioni con­<br />

tinue ( i) , lieto de’ servigi suoi riconosciuti dalla Re­<br />

pubblica, de’ figli che venivano sulle orme paterne:<br />

sopratutto egli moriva a tempo, il che, se non è un<br />

merito, é sempre un caso fortunato.<br />

C A PITO LO II.<br />

C o l t u r a ed e r u d iz io n e in G e n o v a n e l s e c o l o x v .<br />

Il Burckhardt, fondandosi sopra un passo <strong>di</strong> Pietro<br />

Valeriano, afferma che Genova, prima dei tempi <strong>di</strong><br />

Andrea D ’ Oria, non ebbe pressoché parte veruna nel<br />

Rinascimento, anzi gli abitanti della riviera passavano<br />

in tutta Italia per nemici <strong>di</strong> qualsiasi coltura (2). Ba­<br />

sterebbe quel tanto che ne scrisse il benemerito Spotorno<br />

per provare la severità dell’ affermazione, ma alcune<br />

altre notizie che verrò qui raccogliendo <strong>di</strong>mostreranno,<br />

spero, come il paese, in cui potè fiorire una serie <strong>di</strong><br />

valenti storiografi da lasciar ammirato il buon Muratori,<br />

(1) G iustin ian i, op. cit., V, 439.<br />

(2) B u r c k h a r d t; La civiltà del secolo del Rinascimento, trad. Vaibusa I, 118.<br />

L ’ opera <strong>di</strong> Pietro Valeriano ha per titolo: La infelicità de’ letterati, trad. dal<br />

latino, Milano 1829, p. 173. Per altro nel passo in<strong>di</strong>cato, il Valeriano non<br />

porta se non il racconto pietoso delle sevizie inflitte ai figli da un tal Barto­<br />

lomeo Rovere, un conte Cenci del secolo xv. E il Della Rovere era davvero<br />

un efferato nemico d’ ogni coltura ; ma che critica è ella codesta che genera­<br />

lizza così stranamente un fatto isolato? Perchè davvero all’ infuori <strong>di</strong> questo<br />

esempio che il Valeriano stesso, per onore della specie umana, considera mo­<br />

struoso , nuli’ altro v’ è detto che giustifichi 1’ affrettata conclusione del<br />

Burckhardt.<br />

----- 21 —<br />

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non fosse poi così avverso a quel risorgimento dell an­<br />

tichità che correva trionfalmente la penisola.<br />

È certo però che l’ infuriare ad ogni tratto delle fa­<br />

zioni doveva rendere talvolta poco grata la <strong>di</strong>mora in<br />

Genova ai dotti, e d’ altra parte la tendenza loro ari­<br />

stocratica, congiunta al maggior tornaconto, li spingeva<br />

<strong>di</strong> preferenza alle corti dei principi. Antonio Astigiano<br />

che vi capitò verso il 14 3 1 scrive avervi trovato, come<br />

maestro <strong>di</strong> grammatica Bartolomeo Guasco, da lui cono­<br />

sciuto in A s ti, ma ci stava, aggiunge, <strong>di</strong> molta mala<br />

voglia :<br />

Illic grammaticam, licet invitissimus, artem<br />

Jpse docens Guascus Bartbolomeus erat (i).<br />

Per altro il Guasco, uno de’ più curiosi ed irrequieti<br />

maestri vaganti <strong>di</strong> quel secolo, non é testimonio molto<br />

atten<strong>di</strong>bile. Più lacrimevole la fine toccata al povero<br />

Antonio Cassarino e narrata dal Mongitore (2). In un<br />

tumulto scoppiato nella città l’ anno 14 4 4 , alcuni fur­<br />

fanti, volendo forzare anche la porta del maestro per<br />

derubarlo, questi, in preda al terrore, pensò salvarsi, sal­<br />

tando dalla finestra sul tetto della casa vicina ; ma<br />

cadde invece in istrada e mori (3). Forse era per<br />

sgg-<br />

(1) A n t. A st e sa n i; De varietate fortunae, in Mu r a t. S. R. X IV , col. 1015<br />

(2) M o n g it o r e, Bibi. Sicula, I , 58.<br />

(}) Il C ic a la (ms. citato) e il M ongitore portano concor<strong>di</strong> la data del '4 4 -<br />

Tuttavia come si spiega il fatto che nè il Giustiniani, nè altri storici segnano,<br />

sotto detto anno nessun tumulto? La città era governata dal doge Raffaele<br />

Adorno e vi si viveva con sospetto per cagione del duca Filippo e <strong>di</strong> Alfonso,<br />

e i Fieschi commettevano numerose ruberie nel territorio, ma <strong>di</strong> se<strong>di</strong>zioni in<br />

Genova non è parola. Se badassi ad una lettera del Cissarino a Iacopo Curio,<br />

che trovasi nel ms. Br. colla data: Genue, Iti id. iunii 14 4 6 , <strong>di</strong>rei che nel '4 6<br />

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— 23 —<br />

ciò che taluno de’ maggiorenti preferiva rivolgersi per<br />

l’ educazione de’ figli o de’ nipoti ad alcuna delle città<br />

allora in fama per istu<strong>di</strong>. Ne sia esempio Tommaso<br />

Fregoso che i nipoti, tra cui quel Niccolò, <strong>di</strong> cui ci<br />

avverrà altrove <strong>di</strong> parlare, affidò a Giovanni Toscanella<br />

che insegnava in Firenze (i). Ma il Fregoso, doge della<br />

Repubblica prima del '21, poteva esservi determinato da<br />

altre ragioni, ed inoltre non <strong>di</strong> Genova centro <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>,<br />

che tale veramente non era, vogliamo noi trattare, ma<br />

<strong>di</strong> Genova non estranea, come da alcuni fu detto, al<br />

movimento eru<strong>di</strong>to che correva ormai da un capo al-<br />

1’ altro la penisola, e pervadeva anche gii infimi strati<br />

sociali. Le numerose relazioni de’ genovesi con dotti ita­<br />

liani, o con altri genovesi che migravano per commerci<br />

in estranee contrade, provano una genialità <strong>di</strong> coltura<br />

che forse riuscirà a molti lettori inaspettata. Pur tra<br />

gli affari, in paesi lontani, alcuni portano l’ amore delle<br />

lettere. Giungono corrieri dalla Gallia Belgica, e 1’ uma­<br />

nista chiede all’ amico: che fa vostro nipote? ha messo<br />

da parte i libri? — « Mi fu risposto che tu vi atten­<br />

devi con tale misura tuttavia, che nessun danno per ciò<br />

i negozi ne risentivano. Me ne rallegrai sommamente e<br />

stimai dovermi congratular teco che in cose <strong>di</strong> loro na­<br />

tura così <strong>di</strong>verse, l’ una non nuoccia all’ altra, ma a<br />

il Cassarino non era anche morto, ma le date del co<strong>di</strong>ce miscellaneo non vanno<br />

prese come articoli <strong>di</strong> vangelo ed inoltre c’ è la testimonianza chiara esplicita<br />

del Filelfo che deve pur contare. — « Antonio Cassarino viro siculo (qui)<br />

proximis annis Genue periit, codex fuisse <strong>di</strong>citur », etc. (lett. al Ceba, i.° gen­<br />

naio 1448). Il Bracelli ed il Giustiniani ricordano invece i tumulti sul prin­<br />

cipio del '43, allorché fu deposto dal dogato Tommaso Fregoso. Che si debba<br />

riportare a quest’ anno la morte del Cassarino?<br />

(i) S a b ba d in i; Giov. Toscanella, in Giorn. Lig., XVII, 119 sgg.<br />

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tutte e due sia provveduto con lode ». E il nostro<br />

Bracelli coglie la gra<strong>di</strong>ta occasione <strong>di</strong> scagliarsi contro<br />

coloro che attendono solo all’ arricchire. — « Che se<br />

vi sarà alcuno che riprenda questi tuoi stu<strong>di</strong>, e <strong>di</strong>ca non per<br />

ciò aver tu abbandonato patria, genitori, congiunti, cer­<br />

cando un remoto angolo della Gallia, perché tu attendessi<br />

alle lettere, ma bensì per ritornartene, con l’ esercizio della<br />

mercatura dovizioso, ricordagli parimenti che non ti sei<br />

deciso a peregrinare neppure per questo, che tu avessi a<br />

<strong>di</strong>sprezzare ciò che é buono ed a preferire ciò che é vile ».<br />

E conclude : « Io conobbi già un re — credo alluda ad<br />

Alfonso d’Aragona — che vecchio, col peso <strong>di</strong> parecchi<br />

regni a governare, dava u<strong>di</strong>enza ai legati, rispondeva,<br />

accu<strong>di</strong>va alle cose guerresche, e <strong>di</strong> mare e <strong>di</strong> terra, né<br />

trascurava gli esercizi della caccia e per quanto <strong>di</strong>cono<br />

anche gli amori ; e ciò non <strong>di</strong> meno era solito assistere<br />

nello stesso giorno a dotte <strong>di</strong>spute e non c’ era caso<br />

che mancasse ad una lezione » ( i) . Era anche un ge­<br />

novese quel Giovanni Iacopo Spinola che <strong>di</strong>morando<br />

in Francia verso il '55, tra i sopraccapi della ragion <strong>di</strong><br />

commercio, trovava pur modo <strong>di</strong> occuparsi del libro<br />

De Republica <strong>di</strong> Cicerone. — « Multi autem Italici<br />

fuerunt, qui Ciceronis opera, maxime De Republica<br />

summa <strong>di</strong>ligentia quaesierunt, sed frustra ». — E il<br />

Fazio stupiva che non si rinvenissero libri latini presso 1<br />

(1) Ms. Br. c. 27, lettera $ nov. 1457, egregio adolescenti Q i. Ius- — * ^ c‘<br />

gem ego cognovi et quidem senem, multorum maximorumque regnorum admi-<br />

nistratione gravatum, multas eodem <strong>di</strong>e legationes au<strong>di</strong>entem, iisque responsa<br />

dantem, bella mari terraque gerere nec venationes negligere, nec, ut quidam<br />

loquebantur, amores, et tamen his ipsis <strong>di</strong>ebus <strong>di</strong>sputationes au<strong>di</strong>re solitum, nec<br />

una unquam <strong>di</strong>e a lectione cessasse ».<br />

— 24 —<br />

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francesi, essi che avevano spogliata l’ Italia, non una<br />

volta sola. — « Per me non v’ ha dubbio che, o costi,<br />

o presso i germani, anch’ essi frequenti saccheggiatori<br />

d’ Italia, il libro <strong>di</strong> Cicerone deve pur essere giacente<br />

in qualche luogo » (i).<br />

— 25 —<br />

Ma io debbo vedere in quale comunione <strong>di</strong> spirito vi­<br />

vesse Jacopo Bracelli nella sua città, dopo le consuete<br />

e non lievi occupazioni d’ ufficio. Flavio Biondo, in un<br />

noto passo della sua Italia illustrata (2 ), osserva che<br />

pochi valenti letterati contava al suo tempo Genova,<br />

tra i quali quelli a lui più noti erano il nostro umanista,<br />

Niccolò Ceba, illustre viaggiatore, e Gottardo Stella<br />

anch’ esso segretario e cancelliere.<br />

E per rappresentanti <strong>di</strong>retti dell’ umanesimo, il Biondo<br />

poteva aver ragione : ma egli non teneva conto dei<br />

molti, che senz’ essere letterati erano pure partecipi <strong>di</strong><br />

quel moto intellettuale, <strong>di</strong>rò <strong>di</strong> più, erano il prodotto<br />

più genuino <strong>di</strong> quel moto e dell’ epoca, nelle sue molte­<br />

plici e contrad<strong>di</strong>torie tendenze. Si veda ad esempio quel<br />

Tommaso Fregoso che per quasi mezzo secolo ha parte<br />

principalissima negli avvenimenti della sua patria, e più<br />

volte doge, tra l’ imperversare degli o<strong>di</strong> <strong>di</strong> parte, sa<br />

conservare animo mite. Egli de<strong>di</strong>ca alla lettura de’ la­<br />

tini i brevi ritagli <strong>di</strong> tempo che avanzano alle cure del<br />

governo, prega l’Aurispa, nel '39 a Ferrara, a mandargli<br />

le do<strong>di</strong>ci comme<strong>di</strong>e <strong>di</strong> Plauto, ritrovate alcuni anni prima,<br />

che le voleva leggere (3 ); si occupa <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> eru<strong>di</strong>ti<br />

(1) Mit t a r e l l i, Bibi. ms. S. Micbaelis, Venet. 1779, p. 295 segg.<br />

(2) Blon<strong>di</strong>, Italia III. ; Basileae, 1531, p. 297.<br />

(3) Arch. <strong>di</strong> Stato in Genova, Litterarum 1437-39-8 1784 — ve<strong>di</strong> Documento II,<br />

in fine. Ne devo notizia alla gentilezza del Comm. Cornelio Desimoni.<br />

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con il Toscanella a proposito dei nipoti che questo<br />

istruiva, si tiene in relazione con i più illustri letterati<br />

del tempo; e si <strong>di</strong>ca lo stesso <strong>di</strong> Giano, <strong>di</strong> Tommaso<br />

iuniore, governatore <strong>di</strong> Savona durante il dogato <strong>di</strong><br />

Pietro e del prode figliuolo <strong>di</strong> Spinetta Fregoso, Nic­<br />

colò (i). Uomini colti avevano certamente ad essere<br />

Pileo De Marini, protonotario in curia <strong>di</strong> Roma e, gio­<br />

vanissimo, eletto arcivescovo <strong>di</strong> Genova, che era ancor<br />

vivo nel '27 e corrispondeva coi dotti fiorentini; Gaspare<br />

Sauli, che desiderava sapere dal Toscanella più volte ci­<br />

tato, quali letture paratamente su Virgilio e Cicerone e<br />

Plauto, questi venisse tacendo con Leonar<strong>di</strong>no suo fra­<br />

tello, e Niccolò e Pietro Fregoso (2 ); e il giureconsulto<br />

Battista Goano, uno degli uomini più influenti d’ allora<br />

nella Repubblica, e Giovanni Grillo, Francesco Spinola,<br />

Benedetto Negrone, Paolo Imperiale, che tecero tanta<br />

( 1 ) Cfr. G abo tto ; A proposito d 'una poesia ine<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> G . M. Filelfo, in Atti<br />

delld Soc. L ig . <strong>di</strong> St. P a tr., X IX , 489 sgg. Per i rapporti <strong>di</strong> Giano con uma­<br />

nisti, riporterò qui una lettera ancora ine<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> lui a Ilavio Biondo (Arch. <strong>di</strong><br />

Stato in Genova, Litterarum, cancell. Gottardo Stella).<br />

— Domino Biondo Forìiviensi apostolico secretario — Speetabilis amie e noster caris­<br />

sime. — Accepimus litteras vestras quas legisse iuvit. Nam semper grata nobis rst<br />

memoria vestri. Sciebamus enim tue animum nec fidem deesse vobis ad ea omnia<br />

agenda, quae grata nobis esse possent, nec ia spe <strong>di</strong>ffisi, vos rogavim us ut cum aliquid<br />

<strong>di</strong>gnum noticia ad vos deferrebatur, id nobis nuntiaretur, cum solerent negotia om­<br />

nia praesertim magnifica raro sine participatione romana/ curiae geri. S fd que-<br />

m-idmodum scribitis et tempora et viven<strong>di</strong> apud vos alius modus nunus gnaros so•<br />

licitosque nos efficit. Cetera autem quae memorastis quaeque laudastis intelleximus et<br />

ea ut ab amicissimo prudentiae et amoris plena accepimus. Frequen’er enim scribite<br />

etiam si nibil sit praecipuum. Nam hoc maximum nobis est cum litteras vestras<br />

legimus. Valete et cum tempus est, commendate nos sanctissimo domino nostro•<br />

Data lanuae, <strong>di</strong>e XXII aprilis 1448.<br />

(2) S abba<strong>di</strong>n i, art. cit.<br />

lanus dux etc.<br />

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festa a Ciriaco, quando questi nel ’34 si recò a Genova (1);<br />

senza parlare <strong>di</strong> dotti religiosi, come Raffaele da Por-<br />

nassio e Guglielmo de’ Traversagni, professsor sacrarum<br />

litterarum, lo <strong>di</strong>ce il Bracelli, e scrittore <strong>di</strong> opere ascetiche.<br />

(1) 11 passo <strong>di</strong> Ciriaco, Itinerarium, non è senza importanza per lo stato<br />

della coltura genovese in quell’ anno. Eccolo :<br />

Sed quos (sic) nlios illa de inclyta Genuensium urbe praeclaros aetate nostra viros<br />

praeteream, quos peregregie meam cognovimus exornasse curam, ut ve! in primis<br />

Baptistam Cicadam praestantissimum equitem Senis et ipse in Urbe (Roma) apud<br />

Sigismundum Caesarem, Andream Imperialem Me<strong>di</strong>olani apud Philippum ducem<br />

et exinde dum Genuam ipsam peterem ad Paulum fratrem et lacobum Bracelleum,<br />

egregium P. Rei scribam, elegantissimas epistolas ad me dantem, omittam ue et<br />

%<br />

ipsa in civitate nobiles illos cives Franciscum Spinulam, Ioannem Grillum , Bene-<br />

<strong>di</strong>clumque Nigronem qui, et duce Pb. mei gratia m oniti, postquam humane susce­<br />

perant omnia tnihi civitatis insignia ostentantes, nobilem illum preciosissimo de sma­<br />

ragdo cratera lubentissime vi<strong>di</strong>mus et praetentavimus manu.<br />

Un altro genovese il Pizzicolli ricorda nel suo Itinerario con affetto, ossia Enrico<br />

Stella, che intorno al '41 scrisse un carme latino in lode dello stesso Ciriaco.<br />

Il Voigt crede che egli appartenga alla famiglia onde uscirono i due cronisti<br />

genovesi, Giorgio e Giovanni Stella (Voigt ; I l risorgimento dell’ antich. classica,<br />

trad. Vaibusa, I, 440). Il Pizzicolli, che alla lode ci teneva, chiama il suo am­<br />

miratore iuvenis egregie doctus et indolis bonae praeclarus, e riporta il principio<br />

del carme. I <strong>di</strong>stici non valgono gran che ; neppure costui non era stato tenuto<br />

a balia dalle Muse, ma forse non <strong>di</strong>spiacerà leggerne qui alcuni, come eru<strong>di</strong>ta<br />

curiosità :<br />

— 27 —<br />

— Italiam decorat, quem Dorica protulit Ancon<br />

Kyriacus, curam totius orbis habet.<br />

Ille etenim promptus cunctas Orientis ad oras<br />

Ivit ab humanis nulla pericla timens.<br />

Non pelagus, saevasque ferast non tela, ncque hostes<br />

Extimuit, habilis semper et ille fuit.<br />

Ergo quae antiqui caelarunt mollius aera%<br />

Viva quoque inspexit marmoris ora virum.<br />

Gentibus ignoti vi<strong>di</strong>t animalia N ili,<br />

Et quidquid tanti fluminis unda creat.<br />

Atque ea cuncta quidem fi<strong>di</strong>s partitur amicis<br />

Et manibus largis est benefactor eis.<br />

Humani generis curùmque in pectore gestat.......<br />

11 Prof. Belgrano mi dà cortesemente notizia che nell’ esemplare degli Scrittori<br />

del S oprani, posseduto ora dalla Biblioteca universitaria <strong>di</strong> Genova e già pro­<br />

prietà dello Spotorno, <strong>di</strong> mano <strong>di</strong> quest’ ultimo leggesi a p. 55 la seguente<br />

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Ma restiamo agli eru<strong>di</strong>ti. 11 Bracelli se 1’ intendeva<br />

meglio con Gottardo Stella, con Eliano Spinola, con il<br />

Ceba. Questi, che occupa un cospicuo luogo tra i gran<strong>di</strong><br />

viaggiatori <strong>di</strong> quel secolo, aveva tatto nel '46 ritorno<br />

in Genova dall’ Oriente. Lo attesta una lettera del doge<br />

Raffaele Adorno, nel luglio <strong>di</strong> quell’ anno, con cui rin-<br />

• • •<br />

graziava Luca Natara, ammiraglio e primo ministro<br />

dell’ impero bizantino, per la benevolenza da lui <strong>di</strong>mo­<br />

strata verso la Repubblica, e i genovesi <strong>di</strong> Pera, secondo<br />

la relazione teste fattane dal nobile e prestante Niccolò<br />

Ceba (1). Ma al Bracelli non era mancata occasione <strong>di</strong><br />

conoscerlo assai prima, negli anni che il Ceba da Co­<br />

stantinopoli e da Adrianopoli, dove <strong>di</strong>morava, intratteneva,<br />

oltre che con lui, commercio epistolare col Bruni e col<br />

Filelfo. Egli si offriva ad acquistare ciò che formava la<br />

delizia <strong>di</strong> quei dotti, voglio <strong>di</strong>re, co<strong>di</strong>ci greci e latini.<br />

In questi stessi anni, ossia dal *27 al 31, dovettero aver<br />

luogo le importanti peregrinazioni del viaggiatore ge­<br />

novese in Asia, <strong>di</strong> cui tocca lo Scalamonti nella Vita<br />

del Pizzicolli, importanti <strong>di</strong>cevamo, per quanto si voglia<br />

fare la debita parte alle iperboli <strong>di</strong> moda (2). Sul finire<br />

nota: « Trovo Enrico Stella rettore del venerando collegio de' giu<strong>di</strong>ci, ossia<br />

giureconsulti <strong>di</strong> Genova, nel 1455 (Ms- C o//, lu d., c. 36).<br />

E il F ed er ic i, Abecedario delle fam . nob. (Ms. della Bibl. Mi*s. Urb., voi. Ili,<br />

c. 428) ricorda a sua volta, in atti dell’ anno 14 5 }, un Enrico Stella, insieme<br />

con la moglie Maria figlia <strong>di</strong> Battista Calvi. Era, senza dubbio, il nostro caldo<br />

ammiratore del viaggiatore anconitano.<br />

(1) Ve<strong>di</strong> Belgrano, in Caffaro, anno XII, nura. 57, 58 e 6 0 , Genova, 1886.<br />

Cfr. anche Gabotto, art. cit.<br />

— 28 —<br />

(2) C o lu c c i, .Antichità Picene, voi. X V , pag. 82. — Praeterea Kiriacus


del '3 1, battagliando tra loro veneziani e genovesi in<br />

attesa che il Turco castigasse le pazze gelosie fraterne,<br />

il Ceba, che era sempre in Adrianopoli, rendevasi <strong>di</strong> colà<br />

utile a’ compatriotti che erano stati assaliti in Scio da<br />

una forte armata veneta. Già il padre <strong>di</strong> lui, Tommaso,<br />

aveva avuto il comando delle tre navi grosse e delle<br />

due galere che in Genova si erano armate <strong>di</strong> tutta fretta<br />

per correre in soccorso, e il figlio, il nostro Niccolò, do­<br />

veva stare alle vedette e tenere <strong>di</strong>ligentemente informato<br />

1’ ufficio <strong>di</strong> Balìa sugli avvenimenti; doveva inoltre stare<br />

in comunicazione co’ genovesi asse<strong>di</strong>ati nell’ isola, col<br />

padre, e con Dorino Gattilusio, signore <strong>di</strong> Mitilene (1).<br />

In Pera lo trovavano ancora due lettere, del Filelfo e<br />

<strong>di</strong> Iacopo Bracelli, la prima del '41 (28 aprile), la se­<br />

conda del luglio '43 (2).<br />

11 Filelfo si doleva che le ricchezze acquistate dal-<br />

1’ amico ne’ commerci, avessero nociuto, anziché gio­<br />

vato agli stu<strong>di</strong>. « Altre volte persino ne’ viaggi che in<br />

grazia della mercatura intraprendevi nella Me<strong>di</strong>a ed in<br />

Persia, ti veniva dolce compagno un co<strong>di</strong>ce delle Tu­<br />

sculane <strong>di</strong> Cicerone ch’ io t’ aveva regalato. E, tra la far­<br />

ragine molestissima de’ negozi, non tralasciavi <strong>di</strong> farti<br />

vivo meco con lettere degne <strong>di</strong> te e dell’ amicizia nostra.<br />

Ora dacché ti sei fatto più danaroso, né rispon<strong>di</strong>, seb­<br />

bene da me provocato, nè, per quanto odo, ti dai<br />

Ciriaco ritornò in Italia a complimentarvi il nuovo pontefice Eugenio I V , suo<br />

vecchio mecenate, e Niccolò rimase ad Adrianopoli. — Deinde Kiriacus re­<br />

lieta Persarum quam cum Nicolao Ziba constituerat exploratione . . . Italiam ad<br />

patriam remeare decrevit. — Debbo il passo dello Scalamonti alla cortesia del-<br />

1’ egregio Belgrano.<br />

(1) Ve<strong>di</strong> Documento I I I , in fine.<br />

— 29 —<br />

(2) F il e l f o , Epist., lib. V , p. 31. — Ms. B r., c. 283, lett, 14 luglio 1445.<br />

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— 30 —<br />

pensiero <strong>di</strong> libri e <strong>di</strong> letture, tutto ingolfato come sei nel<br />

guadagno ». La lettera del Bracelli ci rivela meglio il<br />

carattere del Ceba. La Repubblica non riusciva a trovare<br />

un tollerabile assetto, né Raffaele Adorno eh’ era salito<br />

al seggio ducale il 28 gennaio del '43, poteva <strong>di</strong>rsi saldo<br />

in sella. Il Ceba impensierito <strong>di</strong> quel pericoloso fluttuare,<br />

aveva rinunciato al progettato ritorno in patria. —<br />

« Troppe cose vi si fanno, egli scriveva all’ amico, che<br />

molto maggior dolore recano a chi vede che non<br />

all’ assente ». — Su <strong>di</strong> ciò si estende il Bracelli e ri­<br />

batte l'argomento del Ceba: — « Molte cose vedrai,<br />

ne convengo, che non vorresti vedere, ma cre<strong>di</strong>mi non<br />

più <strong>di</strong> quelle che ti avverrà <strong>di</strong> u<strong>di</strong>re ». — L ° spirito<br />

fazioso ha il vezzo d’ ingran<strong>di</strong>re e anche d’ interpretare<br />

spesso sinistramente ogni azione, sicché la realtà sotto<br />

gli occhi, cruccia meno, infine, delle cose che si<br />

sanno per sentita <strong>di</strong>re. Non egli apparteneva al novero<br />

<strong>di</strong> coloro che sono atterriti <strong>di</strong> far ritorno in patria per<br />

gli smoderati tributi che vi si esigono. — a E c é il<br />

padre, la madre tua, ci sono i fratelli che si affliggono<br />

<strong>di</strong> non vederti : ne’ tuoi ozi perensi, pensa insonima che<br />

non per te solo sei nato, ma che una gran parte del<br />

viver tuo la riven<strong>di</strong>cano a sé, come piacevasi, <strong>di</strong>cono,<br />

<strong>di</strong> osservare Platone, la patria e i genitori » (i)-<br />

Belle ragioni che non mossero punto il Ceba dal<br />

tranquillo soggiorno <strong>di</strong> Pera: sappiamo <strong>di</strong> già eh egli<br />

non fece ritorno a Genova se non tre anni dopo. L amor<br />

della quiete poteva più su quell’ animo sfiduciato degli<br />

uomini e delle cose, che il tono tra 1’ affettuoso e<br />

(i) Ms. Br., Ictt. cit.<br />

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— 3i —<br />

l’ acerbo del dotto amico. E per gli anni dal '46 in poi,<br />

l’ epistolario bracelliano tace, com’ é naturale: vivevano<br />

nella quoti<strong>di</strong>ana intimità, non occorrevano lettere. Lo<br />

ve<strong>di</strong>amo bensi in corrispondenza frequente con gli amici<br />

stessi del nostro umanista ( 1) , e i tre nomi del Bra­<br />

celli, del Ceba e <strong>di</strong> Gottardo Stella vanno più d’ una<br />

volta compagni. Già m’ avvenne <strong>di</strong> citare un passo <strong>di</strong><br />

Flavio Biondo come testimonianza. Anche il Filelfo non<br />

li sa <strong>di</strong>sgiungere e quando deve sollecitarli in prò’ del<br />

figlio Giovanni Mario, si rivolge a tutti e tre ad un<br />

tempo. Gli è che congiunti vivevano realmente nei con­<br />

forti dell’ intelletto, nelle abitu<strong>di</strong>ni letterarie. Accusando<br />

a Gian Mario Filelfo una lettera ed alcuni carmi <strong>di</strong> co­<br />

stui, il Bracelli soggiunge: « Ebbi cura che e 1’ una e<br />

gli altri venissero letti dal Ceba per averlo partecipe<br />

meco del piacere » (2). Il padre Filelfo dal canto suo,<br />

faceva parte de’ suoi carmi all’ illustre viaggiatore, e se<br />

non bastasse, glie li de<strong>di</strong>cava.<br />

Ne sia esempio la decima satira della nona deca. È<br />

prova sicura del conto che faceva 1’ umanista tolentinate<br />

del Ceba e poi l’ argomento scottava — quella satira<br />

era un terribile atto d’ accusa contro le donne genovesi<br />

— e, forse per togliere o scemare invi<strong>di</strong>a a sé stesso,<br />

piaceva al Filelfo <strong>di</strong> riferirsene, quanto a veri<strong>di</strong>cità,<br />

al testimonio <strong>di</strong> un citta<strong>di</strong>no autorevole come il Ceba.<br />

Poiché son giunto nell’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> queste mie notizie ad<br />

un componimento che ebbe a levar certo molto rumore<br />

in quel cerchio <strong>di</strong> umanisti genovesi, mi ci fermo.<br />

(1) B e l g r a n o , art. cit. — G abotto, op. cit.<br />

(2) Ms. B r., c. 29, lett. 25 maggio 1457. — Curavi ut epistolam cum carmi­<br />

nibus ipsis Ceba legeret, ut voluptatisque mecum particeps Jieret.<br />

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La satira avrebbe ad essere posteriore <strong>di</strong> poco al '48,<br />

poiché secondo l’ opinione del Rosmini, accettata dal-<br />

l’ egregio Prot. Belgrano, é verso quel tempo che il to-<br />

lentinate <strong>di</strong>ede effetto ad una sua gita a Genova.<br />

Quantunque non sia opera <strong>di</strong> un ligure, la satira<br />

rientra benissimo nell’ argomento nostro, e per rappre­<br />

sentazione dell’ ambiente genovese, intorno la metà del<br />

secolo x v , é senza dubbio documento singolare ( 1 ) .<br />

L ’ autore rammenta anzitutto la sua visita a Genova:<br />

In Ligurum primam spectaclum venimus urbem,<br />

Care Ceba;<br />

e descrive <strong>di</strong> essa il superbo aspetto, facendo eco alle<br />

lo<strong>di</strong> un secolo prima datele dal Petrarca, e più recente­<br />

mente da Antonio Astigiano (2).<br />

............... Genuam decus aequoris ingens<br />

Ausonii, veterem cupientes ponere flammam,<br />

Vinimus, hanc scopulo postquam speculatus ab alto<br />

Occiduas qui frangit aquas, turrimque superbam<br />

Sustinet obscuris tendentem lumina naulis,<br />

Specto: maius opus, quam mens humana putarit<br />

Sum visus vi<strong>di</strong>sse mihi . . . .<br />

Ed ammira i palazzi non privati, ma regali che tor­<br />

reggiano in alto, né laterizie hanno le pareti, bensì mar­<br />

moree, ed ampie finestre decorate <strong>di</strong> ricchi intagli e<br />

tughe <strong>di</strong> colonnati e torri che sfidano ogni urto ostile (3).<br />

(1) Fr. P h il e l p h i, Satyrarum etc, ; Me<strong>di</strong>olani 1476, per Cristoforo Valdarpher.<br />

La copia mi fu procurata dall’ inesauribile gentilezza dell’ ottimo Prof. Belgrano.<br />

Ve<strong>di</strong> Documento IV in fine.<br />

(2) P e t r a r c a , lib. X IV ., famil. — A n t o n ii A s t e s a n i, De varietate fortunae,<br />

in Mu r a t , S. R. /., X IV , col. 1015.<br />

(3)<br />

Sulla domus civilis inetl: regalia late<br />

Un<strong>di</strong>que nubiferas tolluntur teda sub auras.<br />

Nec laterem monstrat paries, sed marmora miris<br />

Insignita mo<strong>di</strong>s latis insculpta fenestris:<br />

Mille quibus spatium decorant aequale columnae.<br />

Aedes quaeque suam referunt praegran<strong>di</strong>bus anem<br />

Molibus : hostilis quae nullos horreat ictus.<br />

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- 33 —<br />

Fin qui dunque tutto bene. Del resto sulla bellezza<br />

della città cadevano tutti d’ accordo: con rozzi esametri<br />

un anonimo sul principiar del secolo, con più eleganza<br />

il Filelfo, con maggior copia <strong>di</strong> particolari ed in prosa,<br />

venticinque anni dopo, l’ Ivani (i). L ’ agitata vita poli­<br />

tica non le noceva per questo lato.<br />

Ma le dolenti note incominciano quando si passa allo<br />

Stato ed ai costumi. — « Son queste le due piaghe<br />

per cui mi cruccio, da cui sospetto che tu sia crucciato,<br />

ciò é : le <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>e civili prodotte da ambizione ed avi­<br />

<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> ricchezze, i brutti costumi che si depravano ognor<br />

più per la sfrenata libi<strong>di</strong>ne. Eppure gli uomini vincono<br />

e d’ animo e <strong>di</strong> corpo i superbi e<strong>di</strong>fìzi stessi onde Ge­<br />

nova ha vanto, e per essi potrebbe rinnovarsi il superbo<br />

monito <strong>di</strong> Virgilio ai Romani :<br />

Tu regere imperio populos, Romane, memento;<br />

le donne sono Veneri se riguar<strong>di</strong> le forme, se il vigore<br />

dell’ animo, sfolgorano anche in cospetto <strong>di</strong> Minerva. In-<br />

somma,<br />

. . . nihil est non magnum nobile pulcrum<br />

Urbe, Ceba <strong>di</strong>lecte, tua .<br />

Ma quale indecente spettacolo scapestrava liberamente<br />

per le vie e i luoghi pubblici urbani ! 11 Filelfo racconta<br />

(i) B elgrano, Contribuzioni alla <strong>Storia</strong> <strong>di</strong> Genova in Atti <strong>Storia</strong> <strong>Patria</strong>, XIX,<br />

657 scgg. — Per l’ Ivani ve<strong>di</strong> Documento V, in fine. Ai cultori amorosi <strong>di</strong> meirorie<br />

genovesi non tornerà forse <strong>di</strong>scara la Descrizione <strong>di</strong> Genova dell’ umanista sar-<br />

zanese, come supplemento alle testimonianze degli altri. La ricavai dalla copia<br />

che il botanico Antonio Bertoloni <strong>di</strong> Sarzana traeva dal co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> lettere Iva-<br />

niane, esistente nella privata Bibl. Durazzo in Genova, e rinnovo all’ egregio<br />

Prof. Neri ed al Sindaco <strong>di</strong> Sarzana le mie grazie per la facilità che mi fu<br />

fatta <strong>di</strong> consultarla a mio agio.<br />

Atti S oc. L ig. St . <strong>Patria</strong>. V oi. X X 11I. 5<br />

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— 34 —<br />

con un intrepido realismo che colpisce <strong>di</strong> stu pore, ma<br />

vieta <strong>di</strong> citare. E dagli scanni delle taverne, all* oscena<br />

vista, si levava un alto cachinno e le ingenue ragazze<br />

passanti <strong>di</strong> là, sorridevano.<br />

. . . resonatque per ampla cachinnus<br />

Scamna tabernarum : quae praeteriere puellae<br />

Ingenuae risere, Ceba, . . . .<br />

Poi coteste devote <strong>di</strong> Venere impu<strong>di</strong>ca si trafugavano<br />

non curate nelle case, sotto la qualità <strong>di</strong> guattere e<br />

fantesche, e <strong>di</strong>venivano instigatrici <strong>di</strong> corruzione e maestre<br />

<strong>di</strong> più turpe lenocinio.<br />

Questo del Filelfo é un terribile docum ento, tanto<br />

più che della sua veri<strong>di</strong>cità non v ’ ha luogo a dubitare:<br />

egli si rivolgeva a un genovese che non avrebbe certo,<br />

per carità <strong>di</strong> patria, taciuto, se 1’ accusa tosse stata una<br />

menzogna. Ché anzi le cose dette da lui in tono m o­<br />

derato, l’ autore esorta 1 amico a ripeterle con voce to­<br />

nante, affinché — « que’ corpi can<strong>di</strong><strong>di</strong> come neve, non<br />

si chiazzassero <strong>di</strong> lividori, deformi a vedersi ».<br />

Haec ego sum tecum mo<strong>di</strong>ce, v ir amice, locutus<br />

Quae graviore tuba referens atque ore tonanti<br />

In populum Genuae facito, ne corpora nive<br />

Can<strong>di</strong>da liventes reddant deformia visu.<br />

Per altro, il lettore l’ avrà notato nei passi qui pro­<br />

dotti, la satira non tocca che <strong>di</strong> una classe <strong>di</strong> donne e<br />

tanto abietta per giunta da non poter punto essere con­<br />

fusa con tutto il mondo muliebre genovese. Di gentil­<br />

donne, in sostanza, non si parla, se non per lamentare<br />

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— 35 —<br />

il pericolo che dal perverso esempio poteva loro venire,<br />

ed esortare i mariti, i padri a porvi in tempo rime<strong>di</strong>o:<br />

Haec exempla domi servatis ? qualibus uxor<br />

Cara ministrarum manibus, quae mille Priapos<br />

Tractavere <strong>di</strong>e, potuque utatur et esca?<br />

Nonne putas famulas dominae narrare procaces<br />

Quae gessere foras ?<br />

È giusto però anche osservare che una città non tol­<br />

lera alla luce del sole le lubriche scene descritte dal-<br />

1’ umanista con tanta crudezza <strong>di</strong> particolari, se la licenza<br />

non é già passata dalla strada in casa. Dovremo credere<br />

ai raccoglitori <strong>di</strong> aneddoti, ai novellieri ? Sono in gene­<br />

rale giu<strong>di</strong>ci poco sicuri, poiché proseguono, sebbene<br />

con altri inten<strong>di</strong>menti, la donna <strong>di</strong> quel medesimo <strong>di</strong>­<br />

sprezzo onde, intollerante ed incivile, 1’ aveva marchiata<br />

il me<strong>di</strong>o evo. E se <strong>di</strong>amo retta a costoro, la corruzione<br />

si era travasata anche in casa. In uno degli aneddoti e<strong>di</strong>ti<br />

dal Romagnoli ( i ) , sono nobili le donne che fanno il<br />

chiasso alle spalle <strong>di</strong> un messer Bongianni Gianfiliazzi <strong>di</strong><br />

Firenze, ma il motteggio é tanto scolacciato, che davvero<br />

sarebbe suonato meglio in bocca alle sconcie eroine vedute<br />

negli angiporti genovesi dal Filelfo. E un altro toscano,<br />

uno scrittore <strong>di</strong> novelle alla boccacciesca, il Sercambi in­<br />

fine, sentite come dà principio ad una : « Fu una onestis­<br />

sima vedova donna <strong>di</strong> Genova, nomata madonna Lionora<br />

Grimal<strong>di</strong>, la quale sopra tutte l’ altre donne <strong>di</strong> Genova<br />

portava <strong>di</strong> onestà e <strong>di</strong> castità nome. E ben che questo v i<br />

debbia parere meraviglia che in Genova si debbia <strong>di</strong> tal donne<br />

trovare, vi <strong>di</strong>co che Id<strong>di</strong>o può conceder grazia in ogni<br />

(i) Scelta <strong>di</strong> curiosità letterarie, <strong>di</strong>?p. 138, n. 37.<br />

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— 36 —<br />

luogo et però non é da meravigliarsi se costei in una<br />

sì fatta città si trovasse perfetta » ( i ) . Per un compa-<br />

triotta delle sfacciate donne fiorentine, fustigate da Dante,<br />

non c’ è male non è vero? A me avvenne altra volta,<br />

esaminando le accuse mosse da Antonio A stigiano e dal<br />

Padre Prierio sul costume delle genovesi, <strong>di</strong> stare dubbio<br />

se in quelle accuse non ci fosse molta esagerazione (2).<br />

A quelle testimonianze, ora se n’ aggiungono dell’ altre<br />

e così gravi che non ritenterei la <strong>di</strong>lesa. Però quanto<br />

al Sercambi ed all’ anonimo autore dell’ aneddoto, mi<br />

sia permessa un’ osservazione.<br />

Se si volesse raccogliere dalle stesse fonti tutti i frizzi<br />

e sarcasmi somiglianti lanciati contro città e provincie<br />

d’ Italia, quante crede il lettore che ne andrebbero salve ?<br />

Rispetto poi allo sfacciato meretricio in G en o va, non<br />

cade dubbio; doveva essere cosa grave, se i Padri del<br />

Comune, colla riforma or<strong>di</strong>nata nel 1459, vi portavano<br />

severi provve<strong>di</strong>menti. Ma vedete perpetua altalena dei<br />

vizi e dei rime<strong>di</strong> umani ! Il meretricio fu ridotto, infre­<br />

nato e quei legislatori per poco non si saranno rallegrati<br />

che, mercé loro, la santimonia universale fosse felicemente<br />

inse<strong>di</strong>ata nel dominio della Repubblica; m a , ahimè<br />

un’ altra cancrena e ben peggiore entrava a far guasto<br />

nel corrotto corpo sociale e ne avvertiva, mezzo secolo<br />

dopo, i suoi concitta<strong>di</strong>ni il Prierio. Per affermazione sua,<br />

(1) Novelle ine<strong>di</strong>te <strong>di</strong> G iov. S ercam bi , per cura <strong>di</strong> R Renier , Torino,<br />

Loescher 1889, p. 85. De prudentia et castitate.<br />

(2) C . B r a g g io ; La donna genovese del secolo X V , in Giorn. L ig u stico , X II,<br />

ùsc. I, II.<br />

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— 37 —<br />

nel 1506 accadevano nella città <strong>di</strong>sonestà tali che forse<br />

non ci furono a Sodoma.<br />

Ecco il giu<strong>di</strong>cio uman come spesso erra !<br />

Tale l’ ambiente: che ne pensava il Ceba? Quali sa­<br />

ranno stati i ragionamenti del Bracelli, dello Stella e<br />

degli altri dotti uomini che componevano quella pleiade<br />

<strong>di</strong> letterati genovesi? E intendo segnatamente <strong>di</strong> Eliano<br />

Spinola, dotto antiquario, del grammatico Pietro Pierleoni,<br />

a cui s’ aggiunga a quando a quando Prospero da Ca-<br />

mogli, avvolto sempre in corti <strong>di</strong> principi e maneggi<br />

politici, e, se nel '48 era ancor tra vivi, quel Nicolò<br />

da Camogli, <strong>di</strong> cui fa menzione il Pizzicolli nel suo<br />

viaggio a Genova. Certo piacerebbe riprodurli, ma<br />

l’ umanesimo tutti sanno che era aristocratico, nè de­<br />

gnava, se non fosse per uno scopo satirico, <strong>di</strong>scendere<br />

a’ minuti particolari della realtà quoti<strong>di</strong>ana.<br />

Il Ceba intrattenne anche negli anni appresso, 1’ ami­<br />

cizia col famoso tolentinate, come é noto per le lettere<br />

<strong>di</strong> quest’ ultimo (1).<br />

Nel ’51 attendeva a scrivere un commentario delle<br />

guerre tra bizantini e turchi; e il Filelfo se ne ralle­<br />

grava, ringraziandolo anche delle buone parole che nel<br />

lavoro voleva introdurre sul conto suo.<br />

L ’ umanista ci teneva che fossero ricordati i suoi<br />

(1) Aveva ragione il G abotto (op. cit.), <strong>di</strong> dubitare che le lettere del Filelfo<br />

al Ceba, posteriori al 1454, dovettero andare perdute. Perchè l’ amicizia non<br />

cessò tra i due illustri uomini dopo <strong>di</strong> quell’ anno e per conseguenza non ebbe<br />

a mancare <strong>di</strong> quando in quando neppure una corrispondenza epistolare. Ne sia<br />

prova la lettera del Ceba a Prospero da Camogli, secretario ducale in Milano,<br />

(12 febbraio 1462), in cui manda a salutare affettuosamente il Filelfo. — Vale<br />

et meo Phileìpbo multas ex me salutes <strong>di</strong>cito.<br />

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viaggi in que' luoghi su cui ora si volgevano cupi<strong>di</strong><br />

gli occhi dei turchi, il viaggio sopratutto che giovine<br />

<strong>di</strong> venticinque anni, aveva fatto come oratore <strong>di</strong> G io­<br />

vanni Paleologo all’ imperatore Sigismondo ( i ) . Ma se<br />

pure lo incominciò, dubito assai che il Ceba abbia con­<br />

dotto a termine il suo commentario. Gli sarà probabil­<br />

mente avvenuto come per la seconda moglie che voleva<br />

prendere nel *54 (2), e che credo parimenti non pigliasse<br />

mai, se non si vuole supporre che infermo <strong>di</strong> gotta e<br />

in età non più verde, e tra il <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nato impero dei<br />

cappellani che agitò la Repubblica nel decennio dal *54<br />

al *64, costringendolo per giunta ad esulare, egli potesse<br />

sentire una voglia, davvero spasimata, <strong>di</strong> andare a nuove<br />

nozze. Il Ceba appartiene a quella generazione d’ uom ini<br />

che si vien facendo più numerosa sul finire del secolo x v<br />

e nel seguente, che altalena tra l’ amor del ben pubblico,<br />

arduo e pericoloso, e il desiderio <strong>di</strong> egoistica pace, <strong>di</strong><br />

chiudersi ciascuno nella breve cerchia del bene partico­<br />

lare. Cotesto commentario, <strong>di</strong> cui nelle lettere successive<br />

non si legge più un cenno, m ’ ha tutta l’ aria <strong>di</strong> quelle<br />

fiammate <strong>di</strong> paglia che brillano un istante e si spen­<br />

gono. Tanto più eh’ egli era viaggiatore insigne e buon<br />

bibliofilo, ma punto educato nell’ arte dello scrivere.<br />

Nel ’62 aveva lasciato da poco la <strong>di</strong>mora <strong>di</strong> Firenze e<br />

viveva ritirato a Nizza. A Prospero da Cam ogli che<br />

gli moveva rimprovero <strong>di</strong> starsene speculando da ottim o<br />

porto gli sforzi <strong>di</strong> coloro che lottano in alto m are, ri­<br />

sponde: — « io vorrei tu potessi a <strong>di</strong>ritto m uoverm i<br />

(1) Lett. a Cicco Simonetta, X III kal. martias 14 7 6 , in R o s m in i, Vita <strong>di</strong><br />

F . Filelfo, Milano, Mussi 1808, t. I.<br />

(2) Lett. del Filelfo al Ceba, 25 gennaio 1454.<br />

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— 39 —<br />

quest’ accusa, il che sarebbe vero se vivessimo in una<br />

libera Repubblica, ma poiché essa s’ é mutata in acer­<br />

bissima tirannide, né posso porgerle aiuto, sto deploran­<br />

done da quest’ angolo d’ Italia l’imminente rovina ». Ma<br />

infine ciò che debolmente negava, sentiva pure che era;<br />

e conclude coll’ accento malinconico delle anime deboli<br />

e sfiduciate: « Ahimè, Prospero mio, poiché la nostra<br />

me<strong>di</strong>ocrità non sa trovare un rime<strong>di</strong>o al male, sappia­<br />

moci accomodare al tempo del quale molti dotti uomini<br />

affermano che la prudenza è figliuola » (i).<br />

Con l’ amore della sapienza classica non fu rara nel<br />

Rinascimento neppure la sapienza <strong>di</strong> Pomponio Attico.<br />

Morì nel 75, nove anni dopo il Bracelli, ed ebbe<br />

tempo <strong>di</strong> sapere Caffa, e le ultime colonie <strong>di</strong> Crim ea,<br />

della cui floridezza nelle sue peregrinazioni si sarà tante<br />

volte compiaciuto, perdute dalla Repubblica per sempre,<br />

colpa 1’ avarizia e la viltà de’ suoi reggitori indegni della<br />

fiducia che in loro avevano riposta i concitta<strong>di</strong>ni.<br />

•<br />

II.<br />

Il ricordo <strong>di</strong> questo illustre viaggiatore, amoroso,<br />

quantunque non letterato, <strong>di</strong> co<strong>di</strong>ci latini e greci, ed<br />

amico ad insigni umanisti, mi conduce a parlare <strong>di</strong> un<br />

altro genovese, intrinseco del Bracelli e <strong>di</strong> Ciriaco Anco­<br />

nitano, in relazione frequente col Traversari e con Poggio<br />

Bracciolini. Voglio <strong>di</strong>re del nobile Andreolo Giustiniani,<br />

de’ Maonesi <strong>di</strong> Scio. Era, scrive il nipote <strong>di</strong> lui, mon-<br />

(1) Ms. Br. c. 298, 99, let. cit. — Cfr. Belgrano, art. cit., per altre notizie<br />

sul Ceba e sua sepoltura nella chiesa <strong>di</strong> S. Francesco d’ Albaro.<br />

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signor Agostino Giustiniani, stu<strong>di</strong>osissimo <strong>di</strong> tutte le<br />

buone arti, e possedeva una biblioteca <strong>di</strong> circa due mila<br />

volumi ( i) .<br />

In que' tempi che i libri, come osserva lo stesso ni­<br />

pote, — « non s’ imprimevano già a caratteri <strong>di</strong> stagno,<br />

secondo 1’ uso presente, ma venivano a gran<strong>di</strong>ssima spesa<br />

copiati dagli amanuensi » — era certo una cospicua<br />

raccolta. Difatti parve a’ contemporanei meravigliosa<br />

quella radunata in Roma da Nicolò V, il ligure che fece<br />

salire, <strong>di</strong>ce ottimamente il Belgrano, 1’ archeologia sul<br />

trono dei papi, ed infine non contava che tre mila vo­<br />

lumi (2).<br />

Per altro non credo che la cifra recata in mezzo da<br />

monsignor Agostino, s’ abbia a tener proprio come arti­<br />

colo <strong>di</strong> fede. Già tutta la lettera al Sauli é in tono <strong>di</strong> pa­<br />

negirico per l’ illustre avo, e fin qui le più larghe atte­<br />

nuanti, ma vedremo più innanzi che, nello stesso luogo<br />

e sempre allo stesso fine <strong>di</strong> esaltare vie meglio Andreolo,<br />

egli afferma con la maggior sicurezza tal circostanza<br />

che viene gravemente infirmata da tutte le notizie dei<br />

contemporanei.<br />

— 4 o —<br />

Restiamo per ora ad Andreolo. Raffaele Adorno,<br />

salito al trono ducale come sappiamo nel '4 3 , lo<br />

invitava a tornare in patria ( 3 ) ; ma al vedere, nep­<br />

pure il Giustiniani si fidava molto del nuovo governo,<br />

(1) Lett. a Filippo Sauli, vescovo <strong>di</strong> Brugnato, Bologna i agosto 151} , in<br />

Aeneae Platonici <strong>di</strong>alogus qui Tbeophastus inscribitur, Venetiis, anno 1513- —<br />

Cfr. B e l g r a n o , art. Caffaro, 29 maggio 1885.<br />

(2) Ve<strong>di</strong> E n e a S il v io ; Hist. de E u ro p a , in Opera O m nia, B asilea, 1571,<br />

p. 459. — Lo S p o t o r n o , op. cit., II, 380, assevera 5 mila co<strong>di</strong>ci, ma io mi<br />

attengo più volentieri all’ autorità del Piccolomini che poteva e doveva saperlo.<br />

(3) V. lett. del doge a lui in Enea Platonico, e<strong>di</strong>z. <strong>di</strong> Genova, 1645.<br />

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e le notizie che riceveva da Genova non erano latte in<br />

verità per ispronarvelo. Tra esse, merita ricordo, come<br />

curioso documento dei tempi, la lettera <strong>di</strong> un Guglielmo,<br />

nipote <strong>di</strong> Andreolo, che attendeva alla mercatura (i).<br />

« Non saprei da che parte farmi, incomincia egli, per<br />

scriverti cose che convengano ad un uomo libero, in<br />

tal modo la Repubblica é debilitata e sconvolta. Stando<br />

in Siviglia ebbi desiderio <strong>di</strong> rivedere la patria, poiché<br />

dubitava che le relazioni de’ concitta<strong>di</strong>ni nostri non<br />

fossero più gravi del vero ; ma, a mio parere, ci trovai<br />

anche peggio che non m’ era stato riferito ». E delinea<br />

un quadro a tinte fosche, <strong>di</strong> cui i cenni abbiamo già<br />

sentiti nelle lettere del Bracelli al Ceba. « Tutto é pieno<br />

<strong>di</strong> fazioni scellerate, i tributi incomportabili, la città op­<br />

pressa. I nobili <strong>di</strong> fuori pronti a <strong>di</strong>sertare al duca <strong>di</strong><br />

Milano, o a rubare nel dominio, e perchè più facilmente<br />

lo possan fare, la Repubblica li stipen<strong>di</strong>a; i popolani<br />

poi in tal modo riven<strong>di</strong>cano tutta a sé la libertà <strong>di</strong><br />

tutti, che si <strong>di</strong>rebbe sia stata loro trasmessa in <strong>di</strong>ritto<br />

(i) Ms. Br. c. 261 — Ex Genua, 144$ (manca il giorno ed il mese). La lettera<br />

è scorretta assai e pare <strong>di</strong> un giovine:<br />

Undc enini inicium scriben<strong>di</strong> sumerem, quo tenderem, quo me verterem {nescio),<br />

tam enim debilitata, ita quassata sunt omnia, ut quae komini libero conveniant non<br />

solum quod (sic) dare possim habeo, sed ne quid pollicear quidem. Cum Hispali re­<br />

siderem magna mihi fuit voluntas revisen<strong>di</strong> patriam: putabam enim, ut saepe fit,<br />

graviora omnia quam essent ab his qui veniebant traderentur (sic); mea quidem<br />

sententia multo deteriora quam au<strong>di</strong>eram repperi . . . . Omnes enim, ut Seneca (ait),<br />

illa agnoscunt, et nento succurrit; quaenam erit unquam nostrorum tributorum finis,<br />

aut quando civitas tantis oneribus oppressa sublevabitur? Vel quis est qui proprium<br />

commodum non anteponat publico? Nemo, crede mihi. Nobiles oppidorum vexant<br />

urbem et quotiens eis libet ad ducem Me<strong>di</strong>olanensium deficiunt ; aliqui oppida loca-<br />

que nostra preoccupant et, ut id facilius <strong>di</strong>utiusque facere possint, singulis mensibus<br />

conducuntur : alii vero populares libertatem nostram sibi vin<strong>di</strong>cant, quasi eam sibi<br />

ex here<strong>di</strong>tario legatam a patribus.<br />

— 4i —<br />

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— 42 —<br />

ere<strong>di</strong>tario dagli avi ». Pare a prima giunta un nemico<br />

acerrimo dell’Adorno, e non è : non vi si risparmiano<br />

per contro le più ampie lo<strong>di</strong> — « Cre<strong>di</strong>m i, inabisse­<br />

rebbe ogni cosa nostra, se non avessimo nell’ Adorno<br />

un ottimo rettore e duce, che colla sua ineffabile carità,<br />

clemenza e virtù ed amore verso i citta<strong>di</strong>ni, siccome<br />

figli, ci sostiene » (i) . — Per la coltura genovese, nel<br />

periodo <strong>di</strong> tempo che trattiamo, valga il seguente passo,<br />

in verità singolare: « Il pubblico denaro si <strong>di</strong>lapida e<br />

ciò solo é controverso in qual modo s’ abbia a spartire.<br />

Su tale argomento si fanno le gravi orazioni e gli uni<br />

Cicerone, gli altri Catone o Lelio o Demostene addu­<br />

cono come autorità, né temono <strong>di</strong> menzionare coloro,<br />

da cui, se in vita, sarebbero aspramente rampognati » (2 ).<br />

Andreolo nel *45 aveva ad essere già innanzi negli<br />

anni, se, come attestano i suoi biografi, egli m oriva in<br />

età non giovine, appena <strong>di</strong>eci anni dopo (3 ). Fece come<br />

il Ceba e non si mosse da Scio.<br />

L ’ amicizia con il nostro cancelliere era <strong>di</strong> più vecchia<br />

data. Doveva essere cominciata non molto dopo il 32,<br />

poiché <strong>di</strong> poco posteriore é da credersi il capitolo in<br />

terza rima che il Giustiniani de<strong>di</strong>cava all’ am ico, ed in<br />

(1) Crede mihi nisi ducem rectonmqiu optimum haberemus Raff. A du rn u s pcssum-<br />

du/ttur res nostra, qui nos sua ineffabili caritate, suaque dem entia ei usque tn tives<br />

Unquam in Jilios amore, sua quoque virtute sustentat.<br />

(2) S i Je paecuniis repetun<strong>di</strong>s agitu r, quis est qui audeat pecunias non esse d i­<br />

lapidandas in concionem <strong>di</strong>cere? Nemo, cride : non reprobatur pecuniae solucio, quin<br />

imo quo nam modo <strong>di</strong>vi<strong>di</strong> debeat id in controversia positum est. E t in hoc genere<br />

graves orationes aucloritatesque m aiorum , aliqui Ciceronem, a lii C atonem , alii<br />

Lelium, multi Demosthenem suis orationibus anteponunt, nec verentur eos nominare<br />

a quibus quam turpissime obiurgarentur, si viverent.<br />

(3) Cfr. S p o to r n o, op. cit. III, 3 9 : , che c iu M ic h e l e G i u s t i n i a n i , Scrittori<br />

Liguri. Questi <strong>di</strong>scendeva da Andreolo per linea femminile.<br />

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— 43 —<br />

cui si narra in una specie <strong>di</strong> prosa rimata, l’ impresa<br />

de’ Veneziani contro Scio, cominciata per questi con<br />

lieti auspici e finita con grave loro scorno.<br />

Direi dall’ intonazione del capitolo che della strenua<br />

<strong>di</strong>fesa degli Scioti fosse spettatore e parte anche An­<br />

dreolo , sebbene negli storici genovesi <strong>di</strong> lui non trovi<br />

fatto cenno.<br />

Altri in<strong>di</strong>zi, come vedremo più oltre, ci avvertono della<br />

sua <strong>di</strong>mora colà, assai prima. Restando per ora a’ suoi<br />

versi in volgare, per verità essi non valgono gran cosa.<br />

Eccone la chiusa per saggio :<br />

A li <strong>di</strong>xsepte giorni de Genaro<br />

Nel mille quattrocento trenta e doi<br />

Fu quando for del porto si tiraro,<br />

Cum <strong>di</strong>eci galeazze e legni soi<br />

Cum tre subtil galee e galeote,<br />

E cum le nave ior iestante poi,<br />

Col numero de barche, de barbote<br />

Ch' en somma furo vele trentasei<br />

Quando partiron <strong>di</strong>vise in due frote.<br />

Ahimè, povero Andreolo ! E terra terra procede anche il<br />

sonetto de<strong>di</strong>catorio al Bracelli, caudato per soprappiù,<br />

e con un apparato mitologico così pesante nella non<br />

voluta imperfezione delle rime, che forse farà sorridere<br />

il lettore. È prova per altro del conto che il nobile si­<br />

gnore faceva dell’ amico ed accettiamolo quin<strong>di</strong> come<br />

tale, sebbene il pre<strong>di</strong>carlo sposo delle muse ad<strong>di</strong>rittura<br />

dovesse sembrare molto forte, credo, anche al nostro<br />

storico. Ecco il sonetto:<br />

Poiché tua fama cotanto preconia<br />

In ogni parte trascorrendo vola,<br />

E tra moderni resta unica e sola<br />

Quanti ne calca el bel terren de Ausonia,<br />

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— 44 —<br />

Degnati dunque, o figlio <strong>di</strong> Tritonia,<br />

Alta Pallade, o rcttor <strong>di</strong> sua scola,<br />

Porgermi un motto, un metro, una parola<br />

Di tua lingua bagnata in Eliconia.<br />

Non imputare torse ad arrogantia<br />

Questo mio <strong>di</strong>mandar presuntuoso<br />

Piuttosto a grande amor eh’ ad ignorantia.<br />

Se io sono <strong>di</strong> imparar desideroso<br />

Dal tuo bel fonte <strong>di</strong> tanta abundantia<br />

Non mel negare, delle muse o sposo.<br />

Io mando a te queste mie rude rime<br />

Sotto ’l correger de tue docte lime (i).<br />

Il Bracelli probabilmente non corresse né questi versi,<br />

né gli altri che paiono per 1’ inspirazione sfiatata e bolsa<br />

ripetere il giuoco dell’ anitra: un saltarello e uno stra­<br />

mazzone; ma non mancò in ogni occasione <strong>di</strong> attestargli<br />

stima molta ed amicizia. Era un buon amico, non pro­<br />

priamente un letterato, ma colto, nobile <strong>di</strong> nascita e<br />

d’ animo, possessore <strong>di</strong> preziosi co<strong>di</strong>ci e cimelii. Ciò<br />

spiega i rapporti tra lui e il nostro cancelliere, cosi come<br />

con altri illustri umanisti. E il Bracelli lo teneva infor­<br />

mato degli avvenimenti del giorno ed era desideroso del<br />

giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> lui sulle sue operette (2). Con Andreolo<br />

faceva scambio <strong>di</strong> co<strong>di</strong>ci e attendeva a farli copiare,<br />

tra cui un Tolomeo, <strong>di</strong> cui egli possedeva una tradu­<br />

zione latina, come ci avverte, assai scorretta, tuttavia<br />

richiestagli dal Giustiniani forse per collazionarla sopra<br />

uno de’ co<strong>di</strong>ci greci rinvenuto in qualche convento<br />

(1) Miscellanea <strong>di</strong> <strong>Storia</strong> Italiana, V I : Relazioni dtIV attacco e <strong>di</strong>fesa d i Scio<br />

nel i4jt <strong>di</strong> A ndreolo G iu s t in ia n i, e<strong>di</strong>ta da Giulio Porro Lam bertenghi.<br />

(2) Magna in expectatione positus sum, ut ex te cognoscam quodnam de L iguriae<br />

nostrae descriptione iu<strong>di</strong>cium feras; nam si te vel <strong>di</strong>ligentiam in opusculo illo lau<br />

dasse compertum habeam, non pigebit me lucubrationum m earum, nec videbor li­<br />

bellum hunc temere hominum notitiae commisisse. — Ms. Br. c. 184 , Genova ,<br />

10 aprile 1442.<br />

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— 45 —<br />

dell’ Oriente (i). Ciriaco fin dal ’26 aveva acquistato in<br />

Adrianopoli con altri libri, anche un bel co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> T o­<br />

lomeo. Dal canto suo il Giustiniani gli faceva parte delle<br />

preziose antichità radunate in sua casa e ne era liberale<br />

anche ad altri che senza dubbio Io sollecitavano. Nel ’40,<br />

siccome pare da una lettera in<strong>di</strong>rizzatagli dal Braccio­<br />

lini, aveva fatto omaggio <strong>di</strong> parecchie antichissime me­<br />

daglie d’ oro e statue al papa Eugenio IV. E il Bra­<br />

celli gli scriveva : « Mi rincresce l’ averti chiesto d’ un<br />

saggio de’ simulacri marmorei, delizia tua, ignorando<br />

che la tua liberalità verso altri già te n’aveva spogliato.<br />

Tralascia dunque <strong>di</strong> mandarmi la statua che m’ hai de­<br />

stinata. Che se si darà il caso che tu abbia ricchezza<br />

<strong>di</strong> siffatte sculture, allora consentirò che la mia casa, la<br />

quale é pur tua, sia da te adornata <strong>di</strong> alcuna eletta<br />

opera <strong>di</strong> Fi<strong>di</strong>a, o <strong>di</strong> Policleto » (2). Bene osserva qui<br />

il Prof. Belgrano: « l ’entusiastica ammirazione del bello<br />

antico rendeva corrivi nell’ attribuire alle opere che i<br />

viaggi o gli scavi rimettevano in aperto, una pater­<br />

nità rispettata, acciò valesse ancora ad aumentarne il<br />

culto » (3).<br />

(1) Ptoìomeus tuus absolutus est, verum nec emendatus, nec tempore hoc emenda­<br />

bilis : nam exemplar aliud, praeter id quod me penes est, nolim putes hoc in urbe<br />

posse inveniri: liber enim recens traductus est in linguam nostram, nondum <strong>di</strong>sse­<br />

minatus est. Tu illo qualiscumqiie est utere. — Ms. Br. c. 123, lett. 2 luglio 1440.<br />

(2) Ms. Br. c. 123, Genova, 2 luglio 1440. — Piget quod delitias tuas<br />

marmorea signa petierim, inopem enim te, quod ignorabam, earum rerum liberalitas<br />

fecit. Itaque oro te desinas statuam ad me mittere : si quis vero casus effecerit, ut<br />

eiusmo<strong>di</strong> statuarum copia tibi sit, tunc patiar ut electo aliquo Phi<strong>di</strong>aco vel Poly-<br />

cletico opere meas aedes, quae tuae sunt, exornes. — Questa con altre due lettere<br />

ad Andreolo, trovasi anche come appen<strong>di</strong>ce in A eneae P l a t ., op. cit., Ge­<br />

nova 1645.<br />

(3) Cfr. Belg ran o, art. cit.<br />

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L ’ amore per le preziose reliquie dell’ antichità mi<br />

porta a toccare brevemente dei rapporti <strong>di</strong> Andreolo con<br />

Ciriaco, il Bracciolini ed il Traversari. Andreolo conobbe<br />

il famoso viaggiatore archeologo fin dal 1425 e '2 6, ossia<br />

nel secondo viaggio del Pizzicolli, in cui questi esplo­<br />

rava Scio, Cipro, Ro<strong>di</strong>, Sam o ed altre isole dell’ Egeo.<br />

Andreolo è l’ amico al quale Ciriaco de<strong>di</strong>cava nel suo<br />

ritorno a Cipro la traduzione <strong>di</strong> una breve vita <strong>di</strong> Euri­<br />

pide, come saggio de’ progressi nel greco imparato da<br />

lui, senza soccorso <strong>di</strong> maestri. Il Giustiniani <strong>di</strong>morava<br />

dunque in Scio fin da questo tempo, ed oltre la liberale<br />

accoglienza in sua casa, dovette certo essere al Pizzicolli<br />

<strong>di</strong> grande aiuto nell’ acquisto <strong>di</strong> antiche monete, bronzi,<br />

gemme ed altri preziosi oggetti d’ arte (1). E che questa<br />

non sia congettura campata in aria, ce n’ avverte la cor­<br />

rispondenza del Traversari e del Poggio al fiorentino<br />

Niccolò Niccoli ed allo stesso Giustiniani.<br />

Nell’ animo <strong>di</strong> questi dotti uomini aveva sollevato<br />

molta speranza un frate Francesco da Pistoia, che il<br />

papa Eugenio IV, ciò é dunque dopo il '3 4 , aveva man­<br />

dato in Grecia.<br />

— 4 6 —<br />

Costui da Scio, ov’ erasi fermato, aveva annunciato<br />

scoperte mirabolane agli amici fiorentini, che l’ effetto<br />

smentì ben tosto; ma trasmetteva ad un tempo notizie<br />

intorno ad Andreolo, che per noi sono preziose. E ne<br />

rendeva conto il Traversari all’ amico: Andreolo era<br />

possessore <strong>di</strong> antichissime medaglie, e <strong>di</strong> altri siffatti<br />

preziosi oggetti che si riservava <strong>di</strong> mandare in dono<br />

ad esso Niccoli, quando frate Francesco ritornasse in<br />

(1) V o i g t , op. c it., p. 2 7 2 segg.<br />

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— 47 —<br />

Italia (i). Il cuore del Poggio poi era stato per un<br />

momento giubilante. Il greco Kalogeros, quello stesso,<br />

credo , che anni prima aveva <strong>di</strong>sseppellito in Ro<strong>di</strong> una<br />

statua <strong>di</strong> Venere e una figura plastica <strong>di</strong> Bacco, venduti<br />

poi al Pizzicolli che li spedì ad Ancona (2), ora si an­<br />

nunciava che in un certo antro aveva rinvenuto integre<br />

quasi cento statue marmoree, opera <strong>di</strong> mirabile perfe­<br />

zione. Il frate aveva fatto acquisto <strong>di</strong> tre busti per conto<br />

del Poggio, una Giunone, una Minerva ed un Bacco,<br />

prodotti dello scalpello <strong>di</strong> Policleto e <strong>di</strong> Prassitele, e<br />

prometteva portarli seco sino a Gaeta. Per altro, da<br />

acuto toscano, il Bracciolini soggiungeva : de nominibus<br />

sculptorum nescio quid <strong>di</strong>cam ; graeculi, ut nosti, sunt,<br />

verbosiores et forsan ad vendendum carius haec finxerunt<br />

nomina. Non aveva sbagliato, e le speranze <strong>di</strong> accrescere<br />

decoro alla magnifica sua villa valdarnina, mercé alcuno<br />

degli antichi capolavori dell’ arte greca, andarono molto<br />

deluse. Invano ne scrisse al dotto uomo Andreolo Giu­<br />

stiniani , c o lti’ egli lo chiama, e ad un Suffreto <strong>di</strong> Ro<strong>di</strong>,<br />

celebre raccoglitore <strong>di</strong> marmi, pregando, sollecitando :<br />

soltanto un artista supremamente innamorato dell’ arte<br />

sua, potrebbe comprendere il fervore d’ entusiasmo <strong>di</strong><br />

quegli uomini, cui per la prima volta, usciti dal car­<br />

cere me<strong>di</strong>oevale, si svelava nello splendore del marmo,<br />

la serena bellezza idoleggiata da’ greci : « Quando veggo<br />

(1) Marten e et D u r a n d ; Vita, Scrip. amp. coll, III, X V, ep. 14: CeUrum ex<br />

alio theologo Jacobo, illius socio, sum factus certior, quod cum frater e:us ex Intuisce<br />

locis re<strong>di</strong>isset <strong>di</strong>xerit, se vi<strong>di</strong>sse penes Andrtam ipsum nummos aureos vetustissimos<br />

et quaedam id genus, quae mittere ille instituisset dono, etc.<br />

(2) V o ig t ; op. cit., loc cit. Rispetto al Kalogeros, il Bracciolini scrive <strong>di</strong>fatti<br />

nella sua lettera: qui noviter in quodam antro reperit etc. Non era dunque la<br />

prima sua scoperta.<br />

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nel marmo imitata cosi bene la natura, son compreso<br />

<strong>di</strong> riverenza per il genio dell’ artista. O gnuno ha la sua<br />

debolezza. Io ho quella <strong>di</strong> am m irare, forse con troppo<br />

entusiasmo, l’ opera degli eccellenti scultori, ma non<br />

posso non rimanere colpito d’ ammirazione per 1’ ingegno<br />

<strong>di</strong> chi seppe dare ad una sostanza inanimata 1’ espressione<br />

della vita ».<br />

Cosi scriveva il Poggio allo stesso Francesco da Pistoia.<br />

Ma costui lo frodò delle statue, come un vero furfante, e<br />

riuscì a fargliela anche una seconda volta, ché avendogli<br />

Andreolo consegnato più tar<strong>di</strong> alcuni antichi busti per<br />

il Poggio, egli li vendè invece a Cosim o de’ Me<strong>di</strong>ci ( i ) .<br />

Ed ora fermiamoci un istante sul preteso viaggio <strong>di</strong><br />

Ambrogio Traversari in Grecia e sulla visita da lui fatta<br />

in Scio ad Andreolo. Il nipote <strong>di</strong> questo, m onsignor<br />

Agostino Giustiniani, nella lettera già citata al Sau li,<br />

10 afferma senza ombra <strong>di</strong> dubbio, prendendone occa­<br />

sione per lodare la liberalità dell’ avo. « Di ritorno da<br />

un viaggio fatto a Costantinopoli insieme col G uarino<br />

ed il Filelfo, approdò all’ isola <strong>di</strong> Scio , dove on orevol­<br />

mente accolto dal Giustiniani, non prima si parti che<br />

gli avesse offerto tradotto dal greco in latino il bellis­<br />

simo libercolo sull’ immortalità dell’ anima <strong>di</strong> Enea Pla­<br />

tonico ». Dietro <strong>di</strong> lui lo ripeterono lo Spotorno ed<br />

altri. E del resto par cosi naturale che m onsignor A g o ­<br />

stino dovesse esserne informato, e lo scrive con tanta<br />

asseveranza, che a prima giunta pare scortesia perfino<br />

11 dubitarne. Ma riflettiamoci sopra un tratto, e ne<br />

(i; P oggii, Opera, p. 329, lett. del Poggio al Giustiniani. C fr. S c h e p h e rd ,<br />

Vita <strong>di</strong> Poggio Bracciolini, I. 259 segg.<br />

- 48 -<br />

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~ 49 —<br />

porteremo, credo, la convinzione esser questa una tarda<br />

favoletta del signor nipote.<br />

Prima <strong>di</strong> tutto nella lettera con cui il Traversari de<strong>di</strong>ca<br />

il <strong>di</strong>alogo <strong>di</strong> Enea Platonico ad Andreolo non ve n’ é<br />

una sola parola; eppure qual occasione migliore <strong>di</strong> lodare<br />

la liberale ospitalità del patrizio genovese e le statue che<br />

accrescevano ornamento e pregio alla sua casa? Si legga<br />

l’epistolario del Traversari: egli non fa passo che non visiti<br />

la biblioteca <strong>di</strong> un convento o <strong>di</strong> un amico e non ne<br />

descriva al Niccoli le rarità vedute. Qui per contro nulla.<br />

Due parole sulla sottile <strong>di</strong>sputa <strong>di</strong> Enea, che si fa in senso<br />

molto ortodosso, a <strong>di</strong>mostrare la vanità delle opinioni<br />

filosofiche, quando traviino dalla fede cristiana, un raf­<br />

fronto tra questo Enea e 1’ antico, tirato molto coi denti,<br />

e non si va più in là. Ma inoltre come si può combi­<br />

nare questo viaggio che non riscontra con nessuna delle<br />

date note per gli altri due umanisti a lui compagni?<br />

Verifichiamo. Il Guarino dà effetto al suo viaggio a<br />

Costantinopoli nel 1395, venticinquesimo <strong>di</strong> sua età (1).<br />

Nel 1408 ne era già ritornato ed insegnava in Firenze,<br />

dove rimase fino al 1414. Il Guarino non fece altri<br />

viaggi in Grecia. Francesco Filelfo approdava a Venezia,<br />

dopo alcuni anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>mora a Costantinopoli, il 10 ot­<br />

tobre del 1427. Diciannove anni più tar<strong>di</strong> adunque del<br />

Guarino. Soltanto nell' aprile del '29 passava a Firenze.<br />

Ve<strong>di</strong>amo il Traversari. Quattor<strong>di</strong>cenne entra nel con­<br />

vento <strong>di</strong> S. Maria degli Angioli, e volge tutto il fer­<br />

vore giovanile agli stu<strong>di</strong> ecclesiastici. Ma I’ Atene italiana<br />

col suo classico splendore l’ attira. Nel 1396 vi giunge<br />

(1) Per questa ed altre date cfr. R. Sabba<strong>di</strong>ni; Guarino veronese e il suo<br />

epistolario e<strong>di</strong>to e ine<strong>di</strong>to, Salerno, i88^.<br />

A t t i S o c. L io . S t. P a tria . Voi. XXIII. 4<br />

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Emanuele Crisolora e tra gli scolari che si stringono<br />

intorno al famoso maestro per imparare il g re c o , c’ é<br />

anche il Traversali. Lo <strong>di</strong>ce chiaro ed esplicito Vespa­<br />

siano fiorentino. Il Crisolora lascia Firenze nei primi<br />

mesi del 1400, ma il Traversari ormai non bisognava<br />

più <strong>di</strong> maestro, e tanto meno d’ un viaggio in Oriente.<br />

Francesco <strong>di</strong> Castiglione, un ammiratore, si stupiva<br />

anzi, che egli per fatica ed industria sua, con nessuno<br />

o assai scarso aiuto <strong>di</strong> precettore, avesse imparata quella<br />

lingua. Infine, in nessun luogo, tranne nella lettera de­<br />

<strong>di</strong>catoria <strong>di</strong> monsignor A gostino, si trova notizia <strong>di</strong><br />

questo viaggio del dotto generale de Camaldolesi. E<br />

figuratevi se alcuno degli amici suoi, il Niccoli e il<br />

Poggio, per esempio, o egli stesso nelle sue epistole, non<br />

ne avrebbero parlato. Difatti de’ viaggi che fece in Italia<br />

dal 1431 al 34 per visitare i monasteri del suo or<strong>di</strong>ne,<br />

e delle biblioteche da lui esplorate in quell’ occasione<br />

egli lasciò precisa memoria nell Hodocpovicon. Perche non<br />

altrettanto del viaggio in Grecia, che avrebbe oltrem odo<br />

sod<strong>di</strong>sfatta la sua vanità letteraria? Invece tranne la<br />

lettera già citata al Niccoli, che e poi del 3 nuli altro<br />

cenno intorno al Giustiniani, si rinviene nella corrispon­<br />

denza del Camaldolese (1). E quanto al valore <strong>di</strong> questa,<br />

come favorevole argomento, se ne sara persuaso abba­<br />

stanza il lettore leggendo la citazione da noi riportata.'<br />

le monete d’ oro antiche non Ambrogio avevaie vedute<br />

cogli occhi propri in Scio presso il nobile genovese,<br />

(1) Martene et D u r an d; op. cit., lett. cit., Vi si parla del co<strong>di</strong>ce Plautino<br />

posseduto dal card. Orsino e richiesto dal Traversari. Il Sabba<strong>di</strong>ni ne fissa la<br />

data al 18 novembre 1430. Cfr. Guarino Veronese e g li archetipi d i Celso e<br />

Plauto, Livorno 1886.<br />

1<br />

— 50 —<br />

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— S i ­<br />

ma ne aveva dato notizia un compagno <strong>di</strong> frate Fran­<br />

cesco da Pistoia. Il Mehus, che citò il passo istesso, ebbe<br />

il torto <strong>di</strong> trascriverlo monco e <strong>di</strong> indurre quin<strong>di</strong> chi<br />

legge facilmente in errore (i). Per concludere, anche<br />

senza molto acume, si può indovinare forse donde il<br />

signor nipote si trasse la novellina. Egli aveva letfò nel<br />

Giovio, nel Platina e in altri forse, se inesattamente<br />

non occorre il <strong>di</strong>re, che il Guarino, il Filelfo e Ambrogio<br />

monaco erano tutti usciti dalla scuola <strong>di</strong> Emanuele<br />

Crisolora (2). Questi aveva insegnato a Costantinopoli,<br />

ed in quella città sotto la <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> lui aveva stu<strong>di</strong>ato<br />

il Guarino; il Traversari, pur esso <strong>di</strong>scepolo del Crisolora,<br />

aveva de<strong>di</strong>cata una versione dal greco ad Andreolo;<br />

qual ragione ed occasione migliore per far andare il<br />

frate camaldolese dal convento <strong>di</strong> S. Maria degli Angioli<br />

a Costantinopoli, e da Costantinopoli a Scio?<br />

III.<br />

Di una lettera del Bracelli allo stesso Andreolo in<br />

cui gli dà conto d’ una <strong>di</strong> quelle curiose <strong>di</strong>scussioni,<br />

che ottennero egual favore si nel me<strong>di</strong>o evo che nel<br />

Rinascimento, sebbene con in<strong>di</strong>rizzo <strong>di</strong>verso, toccheremo<br />

altrove. Questi cenni sulla cultura genovese mi conducono<br />

ora ad un patrizio antiquario, Eliano Spinola, e ad un vir­<br />

tuoso nel senso che dava il Rinascimento alla parola, ad un<br />

uomo singolare con cui il Bracelli tenne un’ amicizia <strong>di</strong><br />

molti anni. È questi il famoso Biagio Assereto. Comin-<br />

(1) Mehus ( Vita Ambr. Traversari, p. 53.<br />

(2) Lo ripete il Q u ir in o , Epistolae, 1 7 , citando i passi del G io v io , Elogi,<br />

e del P latina nella Vita <strong>di</strong> Bonifaiio IX.<br />

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damo da lui, poiché bene si colloca per la parte che<br />

rappresentò nell’ umanesimo del suo tempo accanto al<br />

Giustiniani. Uomo d’ arm i, dalle quali riconobbe tutta<br />

la sua gloria, non la pretese certo a letterato, ma indo­<br />

vinò il nuovo moto del si\o secolo, ed am ò <strong>di</strong> sincero<br />

amore il classicismo. Ecco il suo merito come privato, ed<br />

• •<br />

é <strong>di</strong> esso che noi ci occuperemo specialmente qui, ossia<br />

del signore che per genialità <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> mantiene com ­<br />

mercio d’ amicizia con alcuno de’ dotti più in fama.<br />

Dell’ uomo pubblico e politico toccheremo solo quel<br />

tanto che sia necessario a delineare il suo carattere m o­<br />

rale. Costui che dal tabellionato giunge ad essere con­<br />

sigliere ducale, padrone del feudo <strong>di</strong> Serravalle, podestà<br />

<strong>di</strong> Milano nella repubblica ambrosiana, costui incarna<br />

quel tipo e quelle tendenze peculiari del Rinascim ento<br />

su cui avremo a ritornare. Non é un m odello <strong>di</strong><br />

citta<strong>di</strong>no, anzi la sua condotta verso G enova può <strong>di</strong>rsi<br />

sleale prima, oltraggiosa dopo la battaglia <strong>di</strong> Ponza.<br />

Ma egli è un uomo del Machiavelli, egli sa essere in<br />

un’ occasione onorevolmente tristo ( i ) , e ciò ben lungi<br />

dal procurargli infamia, gli è attribuito a lode. Perchè<br />

egli é all’ unisono nel pensiero con i dotti e i politici<br />

del suo tempo che fanno la pubblica opinione, egli in­<br />

<strong>di</strong>vidualità intera che con vivezza <strong>di</strong> colorito poetico<br />

descrive a’ suoi Signori, il giorno dopo <strong>di</strong> P o n z a , la<br />

memorabile vittoria, è il compagno naturale <strong>di</strong> coloro<br />

che lottavano con pari energia a <strong>di</strong>largare la religione,<br />

l’ arte, la scienza, tre raggi della mente <strong>di</strong>vina, e tutto<br />

ciò ponevano come decoro <strong>di</strong> quel principato che essi<br />

(i) Discorsi, lib. I, 27.<br />

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- 53 —<br />

favorivano, che in ogni provincia d’ Italia cercava <strong>di</strong><br />

prendere stabile assetto. Ciriaco Anconitano nella sua<br />

Naumachia lo esalta, Enea Silvio Piccolomini, già oltre<br />

in quella fortunata via che doveva condurlo alla tiara,<br />

gli de<strong>di</strong>ca un carme latino ; il Filelfo, il Bracelli intrat­<br />

tengono affettuosa corrispondenza con lui. Figlio <strong>di</strong> un<br />

banchiere, scrive Flavio Biondo, <strong>di</strong> un fabbro, <strong>di</strong>ce il<br />

Federici e mi pare più cre<strong>di</strong>bile ( i ) , comincia ad<br />

essere notaio e cancelliere della repubblica, poi can­<br />

celliere e padrone ad un tempo <strong>di</strong> una galera nel 2 3 ,<br />

nell’ occasione che allestivasi una flotta contro Alfonso<br />

<strong>di</strong> Napoli, poi già in fama <strong>di</strong> ar<strong>di</strong>to capitano per il<br />

fatto contro il fiorentino Pietruccio Verri (2), e final­<br />

mente capo <strong>di</strong> tutta 1’ armata alla battaglia <strong>di</strong> Ponza.<br />

Ecco dunque un altro cancelliere, collega nell’ ufficio<br />

al Bracelli, ma la cui attività ha modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrarsi<br />

altrove e in modo inaspettato; così ricca e <strong>di</strong>versa era<br />

la natura <strong>di</strong> quegli uomini. Usato in tutte le faccende<br />

marinaresche, per cui si richiedesse un esecutore fidato,<br />

nel 1432 egli riceve già dalla repubblica titolo <strong>di</strong> pre­<br />

stante uomo e dottissimo (3), quasi prelu<strong>di</strong>o a quel coro<br />

<strong>di</strong> lo<strong>di</strong> e <strong>di</strong> vituperii, che doveva solo tre anni dopo,<br />

levarsi intorno al suo nome. Il Fazio non gli procede<br />

così parziale, come il Bracelli, nel giu<strong>di</strong>zio che pro­<br />

nuncia <strong>di</strong> lui, e da parte dello storiografo <strong>di</strong> re Alfonso<br />

(1) B l. F la v ii; Opera omnia, Basileae 1531, p. 302 segg. Federici, ms. cit.,<br />

p. 130. Anche il Fazio lo <strong>di</strong>ce humili genere natus. Cfr. B a r t h . F a c ii; De reb.<br />

gest. al> Alphonso primo C o m m e n tlib. X, Neapoli, 1769, pag. 84.<br />

(2) Iacobi B r a c e lle i; De bello hispaniensi, lib. III.<br />

(3) Lettera del Bracelli in<strong>di</strong>rizzata d’or<strong>di</strong>ne pubblico a Biagio (17 ottobre 1432).<br />

Cfr. art, B elgran o in Caffaro a. XII, n. 79, della cui eru<strong>di</strong>zione mi sono<br />

valso qui. Tra le lettere del Bracelli trovo due anni prima, anche la seguente,<br />

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questo si capisce; ma anche il Biondo rincara sulle ac­<br />

cuse ; e l’ in<strong>di</strong>gnazione dei concitta<strong>di</strong>ni, che del resto<br />

sarebbe facile indovinare per la condotta da lui tenuta<br />

dopo la prigionia <strong>di</strong> Alfonso, traspare dagli atti pub­<br />

blici e dall’ epistolario del Bracelli. « Era uom o attivo,<br />

loquace, astuto, scrive il Fazio, <strong>di</strong> animo più alto che<br />

non comportasse il suo grado, ed oltre misura avido<br />

<strong>di</strong> pubblici onori » ( i) ; avversato dai nobili aveva otte­<br />

nuto il comando della flotta contro il re <strong>di</strong> Napoli a furia<br />

d’ intrighi in corte <strong>di</strong> Filippo. Senza dubbio il Fazio al­<br />

ludeva a ciò che é narrato chiaramente dal Biondo. Era<br />

egli prigione in Venezia insieme con Francesco Spinola,<br />

dopo la rotta che questi ricevette nel 1435. da Pietro<br />

Loredano. Lo Spinola si lasciò allora sfuggir <strong>di</strong> bocca<br />

che tosto il potesse saprebbe bene liberar Genova<br />

dalla servitù del Visconti. Riseppero quelle parole i Si­<br />

gnori veneziani, ed avendolo tentato intorno a’ mezzi<br />

da adoperarsi per ciò, fu deciso che Biagio Assereto<br />

fosse rilasciato, sotto colore <strong>di</strong> andare a trattare del ri­<br />

scatto de’ prigionieri, ma in effetto per pigliare gli ac­<br />

cor<strong>di</strong> opportuni con Tommaso Fregoso. Se non che il<br />

scritta per or<strong>di</strong>ne del governatore, arcivescovo Bartolomeo C a p ra , ed è prova<br />

della molta fiducia riposta nell’ Assereto.<br />

Barthol. Archiepiscopus etc. et Consilium, circumspectis v iris Nicolao de Camulio<br />

tt Matbeo de Auria, patronis duarum navium, <strong>di</strong>lectissimis nostris.<br />

Dilietissimi nostri, mittimus ad vos egregium cancellarium nostrum BIasium<br />

<strong>di</strong> Assereto, cui iniunximus quedam nostri parti vobis referenda : mandamus itaque<br />

vobis ut et relatui eius credatis et mandatis facien<strong>di</strong>s ab eo sim con<strong>di</strong>ctioni pareatis.<br />

Data Clavaris 14 iulii 14)0.<br />

(Arch. <strong>di</strong> Stato in Genova. Litterar. } lac. de Br.)<br />

(1) F azio ; op. cit., loc. cit. Erat is quidem burniti genere ortus, coeierum vigi­<br />

lans, callidus, lingua celeri et expe<strong>di</strong>ta, animoque supra <strong>di</strong>gnitatem ac praeter­<br />

quam par erat, honores publicos affedante.<br />

— 54 ~<br />

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- 55 —<br />

Fregoso non avendo voluto dar credenza alle proposte<br />

dell’ Assereto, questi si recò dal duca e gli svelò tutta<br />

la pratica. Ecco l’ origine prima della <strong>di</strong>sgrazia <strong>di</strong> Fran­<br />

cesco Spinola presso il duca, e del favore che vi godè<br />

per contro 1’ Assereto. Era storia cotesta, o una malva­<br />

gia invenzione <strong>di</strong> costui ? Pare che nel secondo modo<br />

la pensasse appunto il Biondo, per le parole almeno<br />

che fa <strong>di</strong>re a Francesco Spinola in un <strong>di</strong>scorso eh’ egli<br />

tiene agli aderenti suoi e nemici della signoria ducale.<br />

Si cospirava dopo Ponza per davvero contro Filippo,<br />

e parlando dell’ o<strong>di</strong>o che il tiranno gli portava, mal­<br />

grado le benemerenze da lui acquistate nell’ asse<strong>di</strong>o<br />

<strong>di</strong> Gaeta, aggiunge : « Ma né i meriti miei, né<br />

gli infiniti della mia famiglia, se pure voleva i miei<br />

<strong>di</strong>sprezzare, poterono mai persuadere la perfi<strong>di</strong>a ed ingra­<br />

titu<strong>di</strong>ne solita del duca ad alcuna significazione <strong>di</strong> animo<br />

grato verso <strong>di</strong> me. Anzi 1’ hanno concitata ora ed ar­<br />

mata contro la mia persona le calunnie <strong>di</strong> quel perduto<br />

uomo <strong>di</strong> Biagio Assereto » (i).<br />

Di tal maniera si giu<strong>di</strong>cava colui che dopo la glo­<br />

riosa giornata, esule volontario dalla patria, ora a Mi­<br />

lano , ora nel suo feudo <strong>di</strong> Serravalle-Scrivia, attirava<br />

sopra <strong>di</strong> sé gli sguar<strong>di</strong> ammirati <strong>di</strong> alcuno tra i più<br />

famosi umanisti. Fu certo in corte del Visconti che egli<br />

acquistò lo spolvero, quella vernice <strong>di</strong> signore colto,<br />

passionato dell’ arte antica, dei buoni stu<strong>di</strong>, che gli<br />

procacciò le lo<strong>di</strong> de’ dotti frequentatori dell’aule viscontee.<br />

(i) Ipsius (ducis Me<strong>di</strong>olani) vero perfi<strong>di</strong>a, ipsius solita erga omnes ingratitu<strong>di</strong>ne<br />

summa est factum, cives, ut quem (quae?) infinita nostrae fam iliae, si mea con­<br />

tempsisset erga se m erita, ad grati erga me animi significationem aliquam addu­<br />

cere nunquam potuerunt, concitaverint nunc (eum?) et armaverint in caput nostrum<br />

per<strong>di</strong>tissimi hominis B h s ii Agereli calumniae. Blondus, op. cit., p. 502 segg.<br />

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- 56 -<br />

Prima d’ allora l’ ingegno vivo e potente del popolano<br />

genovese ebbe, se giu<strong>di</strong>co bene, ad essere <strong>di</strong>rozzato<br />

appena da una certa pratica curialesca. E i panegirici <strong>di</strong><br />

Ciriaco, del Vegio, del Piccolomini, le cortesi lettere<br />

del Filelfo, del Bracelli 1’ avranno consolato della fred­<br />

dezza e noncuranza che i suoi concitta<strong>di</strong>ni affettavano<br />

per lui. Nell’ informazione che il Consiglio degli Anziani<br />

e 1’ ufficio <strong>di</strong> Balìa in<strong>di</strong>rizzò ad Arrigo V I d’ Inghilterra:<br />

« si copre con uno stu<strong>di</strong>ato silenzio la m em oria dello<br />

strenuissimo capitano, e si chiama, è v e ro , la vittoria <strong>di</strong><br />

Ponza meravigliosa e al secolo presente inau<strong>di</strong>ta, ma non<br />

voluta da umano proposito, non conseguita dalle forze<br />

genovesi, bensì donata non da altri che dal Cielo » ( i) .<br />

Di Enea Silvio resta il carme pubblicato, tra gli scritti<br />

ine<strong>di</strong>ti del celebre pontefice, dal prof. Cugnoni (2). E po­<br />

steriore <strong>di</strong> parecchi anni al ’3 5, ma si riferisce a questo<br />

tempo, quando il Piccolomini faceva <strong>di</strong>mora nella capitale<br />

lombarda, maturando nella modesta fortuna d’ allora le<br />

speranze ed ambizioni future (3). « Tu solo, o Assereto,<br />

<strong>di</strong>ce il carme, tra le perigliose pugne su d’ un mare infesto<br />

e i gloriati trionfi sul nemico, ti fai venire compagna la<br />

Musa. Assai <strong>di</strong>verso da certi magnanimi capitani che son<br />

(1) Belg r a x o , art. cit.<br />

(2) A tti d. R . Accademia dei L in cei, serie terza, voi. V ili.<br />

(3) Forse anche prima che in Milano, Enea Silvio ebbe opportunità <strong>di</strong> cono­<br />

scere in Genova 1’ Assereto, nell’ occasione <strong>di</strong> una visita che egli vi fece tra<br />

il '32 e il '35. Di essa porge infatti sicura notizia una lettera dello stesso Piccolo-<br />

mini, che per alcuni riguar<strong>di</strong> mi sembra importante e il cui testo rimando quin<strong>di</strong><br />

al Documento V I in fine. Parlandovisi delle festose accoglienze, che vennero<br />

fatte agli illustri ospiti da Oldrado <strong>di</strong> Lanipugnano e da Opizzino <strong>di</strong> Alzate in<br />

nome del duca <strong>di</strong> Milano, era assai facile stabilire la data approssim ativa. Debbo<br />

comunicazione del documento all’ usata squisita gentilezza del comm. Belgrano,<br />

che ne chiese per me copia al cav. Lisini, <strong>di</strong>rett. dell’ A rch. <strong>di</strong> Stato in Siena.<br />

Ai due egregi uomini rendo qui pubbliche grazie.<br />

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- 57 —<br />

sempre in bocca al volgo e cui la fama leva alle stelle,<br />

i quali scacciano i poeti ed esclamano : chi ormai scri­<br />

verà versi? chi, se non l’ ebbro <strong>di</strong> vino »?<br />

Ed il poeta esclama con risentimento quasi personale:<br />

H aui ignota cano, nostraque etate probatum est,<br />

Ingenium armato <strong>di</strong>splicuisse duci.<br />

Non così 1’ Assereto, e nel carme s’ introduce 1’ amico<br />

Maffeo Vegio a tesserne un amplissimo elogio.<br />

— « Perchè 1’ Assereto pur in mezzo alle armi ama<br />

<strong>di</strong> tanto amore le Aonie »?<br />

Così interroga il Piccolomini: ed il Vegio a rispon­<br />

dere : « Biagio vuol correre ambo le vie dell’ antico va­<br />

lore ; or piacesi <strong>di</strong> Virgilio, or prende <strong>di</strong>letto d’ Omero,<br />

e non manco legge <strong>di</strong> poesia che <strong>di</strong> storia. Né paia<br />

strano 1’ amor suo verso i poeti, se è vero che ogni<br />

uomo brama la società de’ suoi pari : già da gran pezza<br />

Minerva non si era mostrata fra lo strepito dell’ armi ;<br />

ma il tempo nostro non può trovare alcuno che somigli<br />

all’ Assereto. Per ciò appunto gli consacro 1’ elogio :<br />

raros vult mea Musa viros » (i).<br />

Lettere private del Bracelli al grande capitano trovo<br />

due, dello stesso anno 1445, ma l’ intonazione del<br />

linguaggio attesta che la loro amicizia durava da lungo<br />

tempo, costante e cor<strong>di</strong>ale (2).<br />

(1) Riporto l’ ottimo sunto che fa <strong>di</strong> questo passo il Belgrano, art. cit,<br />

(2) Quod me immo<strong>di</strong>ce laudas, quod mea tantopere laudas, eo certe errore fit<br />

quo fa cile falluntur amantes: inde quoque est quod absentia tristis es, quod litteris<br />

recrearis. E g o , mi Blasi, praeter eam humanitatem qua caeleris praeis, facile per­<br />

suadeo mihi, dum te ad illorum temporum memoriam revocas quibus ut adolescentes<br />

vixim us, dum postea ad sequentium annorum recordationem transis qui tios eodem<br />

munere fungentes in curia devinxerunt, tibi videri me et reliquos illorum temporum,<br />

si qui medo sunt reliqui, recte ac proprie tuos esse, quos si laudas, non aliena, sed<br />

tua laudas. Ms. Br., c. ioo, lett. 5 giugno 1445.<br />

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- 58<br />

-<br />

Il Bracelli era andato nell’ aprile <strong>di</strong> quell’ anno amba­<br />

sciatore al duca, e nella corte milanese aveva riveduto<br />

il suo illustre amico memore ancora de’ piaceri dell’ ado­<br />

lescenza , ahimè tramontata da un pezzo , e della cor­<br />

<strong>di</strong>ale intimità che li aveva avvinti durante il tempo pas­<br />

sato insieme nella cancelleria genovese. E quei ricor<strong>di</strong><br />

rifiorivano cari alla mente dell’ Assereto , perché li re­<br />

vocava volontieri coll’ am ico, e questi sod<strong>di</strong>sfatto della<br />

degnazione <strong>di</strong> lui, a rispondere, com’ era naturale: bontà<br />

tua. Nel ritorno da Milano, il segretario erasi fermato<br />

a Serravalle-Scrivia, amorevolmente accoltovi da Fran­<br />

cesco, figlio <strong>di</strong> Biagio, e descriveva poi a quest’ ultimo<br />

le cortesi accoglienze quivi ricevute e la cena interpunta<br />

da un certo vino rubinato servito liberalmente , senza<br />

però far torto al moscato che si alternava sulla tavola.<br />

Tiriamo via: il Bracelli fa altrettanto, sebbene ci av­<br />

verta che que’ vecchi erano esperti ne’ punti della gola<br />

quasi tanto che nel latino. — « Non mancarono a quella<br />

cena neppure i funghi » esclama l’ um anista, ed era­<br />

vamo <strong>di</strong> maggio. Questo sia detto a solo uso de’ buon­<br />

gustai, che radunino documenti per una storia della cu­<br />

cina. Come caratteristica dei tempi abbia invece qui suo<br />

luogo il ricordo dei versi in onore della Vergine che in<br />

un altro convito, pur esso in casa dell’ Assereto, sentì<br />

recitare da’ graziosi figliuoletti <strong>di</strong> un Antonio da Pe­<br />

saro. Era costui pochi giorni prima passato da Genova<br />

<strong>di</strong>retto alla volta <strong>di</strong> Napoli, come ambasciatore del duca<br />

<strong>di</strong> Milano, e il doge Raffaele Adorno e i principali cit­<br />

ta<strong>di</strong>ni 1’ avevano ricolmo <strong>di</strong> onori. Forse il sospetto fa­<br />

ceva esagerare i riguar<strong>di</strong> verso <strong>di</strong> lui. Difatti con lettera<br />

del 5 giugno, ossia del dì medesimo eh’ egli partiva, si<br />

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- 59 —<br />

raccomandava agli ambasciatori genovesi in Napoli :<br />

cc quid tractet, quid impetret, quid demum perfecerit,<br />

curate ut ex vobis cognoscamus » (i).<br />

I ragazzi, com’ è probabile, non seguirono nel suo<br />

viaggio il padre, e la casa <strong>di</strong> Biagio Assereto, visconte<br />

<strong>di</strong> Serravalle e consigliere ducale, è ben naturale che ve­<br />

nisse prescelta per una breve fermata. È in tale occa­<br />

sione che uno dei convitati, il Bracelli, si era sentito<br />

commuovere alle poesie religiose <strong>di</strong> Simone sanese,<br />

dette con tanto garbo da que’ ragazzi. Ed ecco come<br />

invece del baldanzoso scolio greco o della canzone con­<br />

vivale — altri tempi ed altri paesi — che bagnasse il<br />

sommolo dell’ ala in quelle tazze ricolme, si faceva in­<br />

nanzi in pieno quattrocento il componimento del me<strong>di</strong>o<br />

evo ascetico, la lauda, e questa neppure in voce <strong>di</strong> canto.<br />

E vero che al <strong>di</strong>fetto supplivano le vocine infantili dei<br />

figliuoli <strong>di</strong> Antonio. Dell’ autore non si trova nulla più<br />

dell' in<strong>di</strong>cazione già riportata, ossia quel tanto solo che<br />

ci avverte essere egli uno de’ laudesi toscani, gli ere<strong>di</strong><br />

ed emuli de’ rozzi e forti poeti dell’ Umbria.<br />

Stefanino, un altro figliuolo <strong>di</strong> Biagio, fu incaricato <strong>di</strong><br />

prenderne copia; e dalla seconda lettera <strong>di</strong> Giacomo al padre,<br />

sappiamo che questo suo desiderio fu accontentato. Ma che<br />

(i) Arch. <strong>di</strong> Stato in Genova. Litterarum 2 , Iac. de Bracellis ; lett. 5<br />

giugno 1445 a Niccolò Di Negro ed ai colleghi ambasciatori in Napoli. Di<br />

tutt’ altro tenore era un’ altra del 4 giugno al duca <strong>di</strong> Milano. Il doge ed il<br />

Consiglio erano felici <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare la loro venerazione al duca e la stima che<br />

facevano delle esimie virtù <strong>di</strong> Antonio, solo dolenti <strong>di</strong> non poter fare <strong>di</strong> più<br />

per la brevità del tempo. Tuttavia mettevano a sua <strong>di</strong>sposizione una galea.<br />

Tra<strong>di</strong><strong>di</strong>mus illi biremem unam recte paratam atque instructam, nutu et imperio<br />

suo regendam, ductoriqtie mandata de<strong>di</strong>mus ut non modo cum Neapolim devehat,<br />

sed insuper, si ille confidat posse intra <strong>di</strong>es sex expe<strong>di</strong>ri ac reverti, sex illum <strong>di</strong>es<br />

prestoletur et revehat.<br />

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— 6o —<br />

ne avvenisse non so: il zibaldone m anoscritto, <strong>di</strong> cui<br />

mi valgo per queste notizie sul Bracelli, contiene bensi<br />

de’ brutti versi latini e perfino una barbara e assai li­<br />

bera eroide in prosa volgare, con un grosso cuore tra­<br />

fitto da una treccia, — opera certo o <strong>di</strong> ragazzaccio in­<br />

traprendente, o <strong>di</strong> vecchio anche peggio, <strong>di</strong>mentico del-<br />

1 ovi<strong>di</strong>ano : turpis senilis amor — , ma de’ versi <strong>di</strong> Simone<br />

come <strong>di</strong> altri rimatori italiani, niente. Sul qual propo­<br />

sito penso che il quattrocento genovese poco o nulla<br />

abbia tatto nel campo della poesia, e assai scarso inte­<br />

resse abbia <strong>di</strong>mostrato per 1’ opera fruttuosa degli altri.<br />

Non mi si citi qui il Fallamonica. Quegli mostrerebbe<br />

<strong>di</strong> non capire il moto caratteristico che urge e sospinge<br />

gli intelletti <strong>di</strong> quel secolo, e <strong>di</strong> cui va tenuto conto<br />

specialmente. Bartolomeo Gentile-Fallamonica c h e , sul<br />

finire del quattrocento, scrive un poema <strong>di</strong> quarantadue<br />

canti, allegorico filosofico teologico, quando la luce<br />

dell allegoria era finita da un pezzo, é un anacronismo<br />

nel suo tempo, é uno strascico del passato.<br />

Frattanto il Bracelli, sicuro <strong>di</strong> far cosa grata al suo<br />

potente amico, c’ incastrava abilmente nella lettera il se­<br />

guente periodo: « <strong>di</strong> ritorno da Serravalle in patria<br />

molte cose <strong>di</strong>ssi con lode <strong>di</strong> te al doge ed ai magi­<br />

strati , e mi pare <strong>di</strong> aver facilmente ottenuto che mu­<br />

tassero <strong>di</strong> parere, se la pensavano falsamente sul conto<br />

tuo ». Era cortigianeria da parte del Bracelli? Già non<br />

era solo, l’ abbiam veduto, e alcuno dei citati sarebbe<br />

leggerezza imbrancarlo nel gregge degli adulatori volgari.<br />

Si <strong>di</strong>ca piuttosto che quando un male é il prodotto<br />

spontaneo <strong>di</strong> quell’ ambiente sociale, trova facilmente<br />

non che escusatori, ma anche seguaci. L 'A ssereto non<br />

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aveva tenuto fede ai compagni <strong>di</strong> carcere, era stato in­<br />

grato col suo primo benefattore, lo Spinola, sleale coi<br />

concitta<strong>di</strong>ni. E che perciò? Non facevano tutti così co­<br />

loro che calpestavano da padroni questa misera aiuola<br />

terrena, se pur non facevano peggio? Ed egli plebeo,<br />

figlio <strong>di</strong> un povero fabbro, era riuscito, senza le san­<br />

guinose perfi<strong>di</strong>e <strong>di</strong> tanti altri, e possedeva la genialità<br />

artistica che a tanti altri mancava.<br />

Inoltre, già fu detto, l’ umanesimo o<strong>di</strong>ava suprema­<br />

mente l’ improntitu<strong>di</strong>ne ciompa, nè poteva far colpa al-<br />

1’ Assereto se erasi affaticato in prò suo e <strong>di</strong> un prin­<br />

cipe. Alcuni anni più tar<strong>di</strong> a Lorenzo de’ Me<strong>di</strong>ci cosi<br />

consigliava il Platina: « Di grazia, allontana questi pae­<br />

sani che trasformerebbero le nostre sale in campi da la­<br />

voro ; sono genti <strong>di</strong>sadatte, pieni <strong>di</strong> volontà ed incapaci<br />

<strong>di</strong> moderare le loro azioni coll’ uso del mondo e colla<br />

grandezza » (i).<br />

In verità, que’ braccianti, que’ macellai, che come an­<br />

ziani del Comune o capitani del popolo s’ impancavano<br />

a legislatori, dovevano urtare parecchio i nervi all’ uma­<br />

nista e al consigliere ducale (2). Qualcuno potrebbe<br />

piuttosto chiedere come il nostro Bracelli riuscisse a<br />

conciliare la grazia de’ suoi Signori con l’ amicizia cor­<br />

<strong>di</strong>ale verso 1’ antico notaio, che infine, malgrado i for­<br />

zati riguar<strong>di</strong>, non era ben veduto. Ma si tenga conto<br />

perciò della speciale con<strong>di</strong>zione fatta nel secolo X V al<br />

cancelliere <strong>di</strong> un principe 0 <strong>di</strong> una repubblica. Que­<br />

st’ uomo eh’ era destinato fra tante politiche mutazioni,<br />

(1) P l a t in a; De optimo cive, de<strong>di</strong>cato a Lorenzo de’ Me<strong>di</strong>ci. Cito dal F er r a r i;<br />

Scrittori politici.<br />

— 6 i —<br />

(2) Nel 144.2 tra gli otto capitani del popolo si contava appunto un macellaio.<br />

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— 62 —<br />

ad incarnare in sé la tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> governo, aveva l’ ob­<br />

bligo <strong>di</strong> assistere all* avvicendarsi perenne <strong>di</strong> vinti e <strong>di</strong><br />

vincitori, senza recarvi alcuna passione personale, con<br />

1’ occhio stesso freddo e scrutatore con cui lo scienziato<br />

osserva le patologiche perturbazioni degli organismi. Ne<br />

aveva 1’ obbligo, se non voleva correre la sorte stessa<br />

dei vinti; ma questo non impe<strong>di</strong>va ch’ egli potesse ser­<br />

vire con fedeltà ed amore fino alla vigilia gli sconfitti<br />

del giorno dopo ed intrattenere con essi, anche <strong>di</strong> poi,<br />

amichevoli relazioni. Cosi originava quell’ in<strong>di</strong>fferenza<br />

politica, che doveva essere cagione <strong>di</strong> bene per i nostri<br />

stu<strong>di</strong> storici e <strong>di</strong> gran<strong>di</strong>ssimo male per la nostra libertà.<br />

Nel caso speciale poi le cose correvano, per fortuna<br />

dell’ Assereto, alquanto <strong>di</strong>versamente. Non c erano qui<br />

né vincitori, né vinti. Il duca era pur sempre lo spa­<br />

ventacelo vicino che gli Adorno accarezzavano per paura,<br />

i Fregoso attizzavano per vendetta c cupi<strong>di</strong>gia <strong>di</strong> do­<br />

minio; che cacciato ieri poteva domani essere <strong>di</strong> nuovo<br />

il riverito padrone. L ’ amicizia del Bracelli e dell' Asse­<br />

reto bene rappresentava, panni, l’ identificarsi nel can­<br />

celliere della persona pubblica cogli interessi dello Stato,<br />

facendo tacere afflitto gli interessi privati.<br />

Un onorevole officio che la coltura umanistica, chia­<br />

mata alla partecipazione degli affari, assunse e sod<strong>di</strong>sfece<br />

mirabilmente dal Salutati in poi.<br />

Di un altro ammiratore dell’ Assereto ho atteso a far<br />

cenno finora, perché ci conduce agli ultimi anni del prode<br />

capitano. Amico <strong>di</strong> mezzo mondo, come dell’ altra metà era<br />

acerbo e maligno riprensore, in corrispondenza epistolare<br />

col Ceba, col Bracelli, con Gottardo, con quanti uomini<br />

insigni vivevano in Genova, sarebbe più che strano<br />

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che gli stessi vincoli d’amicizia non avesse avuto con<br />

1 Assereto. Intendo parlare <strong>di</strong> Francesco Filelfo. Si erano<br />

conosciuti dopo il '35 nella corte ducale, nè l’ umanista<br />

gli era stato avaro <strong>di</strong> proteste d’ affetto. « Detesto, gli<br />

<strong>di</strong>ce, gli uomini i quali nello eleggersi e nel coltivare<br />

gli amici si conformano alle norme del proprio inte­<br />

resse ». Ed al Filelfo si doveva crederlo! « É in me<br />

vivissimo il desiderio <strong>di</strong> te, cui giorno e notte ripenso.<br />

Lontano dalla persona, mi sei presente allo spirito, e <strong>di</strong><br />

frequente io richiamo alla memoria i dolci e giocon<strong>di</strong><br />

nostri ragionari. Esulterà l’ animo mio, se avvenga ch’ io<br />

riceva tue lettere » (1). Si ritrovarono poi sette anni<br />

dopo, nei giorni che finita coll’ ultimo Visconti la fit­<br />

tizia tranquillità da lui procacciata a xMilano, tutto nella<br />

città era tumultuario, <strong>di</strong> apparecchiato, secondo che<br />

scrive esso Hlelfo, nulla, e d’ ogni parte sorgevano po­<br />

tentissimi nemici (2).<br />

Ci fu una sosta in cui il Filelfo, che, malgrado le<br />

proteste, al tornaconto ci badava, si sarà stretto anche<br />

più all’ Assereto nel frattempo <strong>di</strong>venuto podestà <strong>di</strong> Mi­<br />

lano. Ma era breve quiete, foriera <strong>di</strong> tempesta. Bacchatur<br />

in omnia mucro, scriveva all’ Aurispa, ed a Biagio :<br />

« Verrei a vederti ogni giorno, se non me lo vietasse<br />

il timore delle spade che corruscano da per tutto nella<br />

città, e tu sai che tra il fragore delle armi, la parola<br />

della legge non si suol più ascoltare: sicché consenti<br />

eh’ io abbia un po’ <strong>di</strong> riguardo alla mia salvezza, fino a<br />

che risplenda un giorno più lieto » (3). Un mese dopo<br />

(1) Lett. is ottobre 1440. Cfr. B e l g r a n o ; art. cit.<br />

(2) Lett. a Giov. Ferufino giureconsulto, Milano, 15 agosto 1447.<br />

(3) Lett. i.° gennaio 1450.<br />

— 63 —<br />

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il superbo gla<strong>di</strong>atore della penna stava per anco tappato<br />

in casa e pregava il potente amico a mandargli notizie.<br />

Ma quella era la volta dei gla<strong>di</strong>atori della spada che si<br />

agitavano sulla piazza, invece. Finalmente la notte del<br />

25 febbraio Francesco Sforza entrava in Milano ( 1 ) , e<br />

per il dì 11 marzo, l’Assereto sottoscriveva un bando<br />

convocante 1’ assemblea generale, onde uscì proclamato<br />

duca il fortunato condottiere. E il Filelfo avrà ricoperto<br />

<strong>di</strong> sue rettoriche lo<strong>di</strong> il nuovo come già il vecchio pa­<br />

drone : gli costavano così poco ! Quanto all’ Assereto,<br />

si ritirava, dopo quell’ ultimo atto, nel suo castello <strong>di</strong><br />

Serravalle. Raro è che la dominazione recente si valga<br />

degli strumenti stessi della dominazione passata, ed inoltre<br />

egli doveva essere stanco <strong>di</strong> tante agitazioni. In villa at­<br />

tendeva al largo godere ond’ erano capaci quegli uomini<br />

e <strong>di</strong> rado scriveva lettere, tanto che la lingua affilata<br />

del Filelfo gliene moveva rimprovero, tra il burbero e<br />

l’ amichevole, ed ai comuni amici dava già per si­<br />

curo eh’ egli fosse irretito in non so quale rustico<br />

amore (2). A cinquant’anni suonati, e con madonna<br />

Pometta sua moglie, che non aveva ad esser cieca, sa­<br />

rebbe stata forte. Ma una lettera del Filelfo stesso, <strong>di</strong><br />

poco posteriore (27 maggio 1455), produce ragione<br />

assai più plausibile <strong>di</strong> quel silenzio: una cupa malin­<br />

conia opprimeva lo spirito dell’ Assereto ; egli forse pre­<br />

sentiva il fine. E il Filelfo, in ciò ammirabile, egli che<br />

<strong>di</strong> parecchi anni lo precedeva nella vita (3 ) , lo esortava<br />

(1) Lett. del Filelfo a Niccolò Ceba, da Milano, 26 febbraio 1450.<br />

(2) Lettere all’ Assereto, 12 ottobre 1450 e i.° gennaio 1455.<br />

(3) Difatti ecco le date: per Biagio, 1405 (?) - 1456; per il Filelfo, 1398-<br />

1481.<br />

— 64 —<br />

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— 6 5 —<br />

a scuotere da sé quella perniciosa infermità dell’ animo,<br />

a raccogliersi e provvedere alla gloria. « Stimerò che<br />

tu 1’ abbia fatto, se mi manderai, ciò che spesso ti chiesi,<br />

una relazione della battaglia da te vinta presso Casal­<br />

maggiore, contro la flotta veneta. » Accennava al vit­<br />

torioso combattimento sul Po, del 15 settembre 1448.<br />

Ma Biagio non ne fece nulla, pare: forse l’ illustre<br />

capitano pensava che anche la gloria, la dea cui tutti si<br />

prosternavano nel Rinascimento a prezzo <strong>di</strong> tante bas­<br />

sezze e <strong>di</strong> tante colpe, era anch’ essa una grande vanità.<br />

Morì il 25 aprile del 1456 (1).<br />

IV.<br />

Ed ora brevemente <strong>di</strong> un dotto conoscitore <strong>di</strong> antichità<br />

che ho già presentato al lettore, Eliano Spinola. Non solo<br />

egli si conosce perfettamente d’ oggetti d’ arte, ma può<br />

<strong>di</strong>rsi principe degli antiquari genovesi: egli che si mantiene<br />

in corrispondenza con tutti i paesi del mondo e lui stesso,<br />

o me<strong>di</strong>ante suoi incaricati, acquista gemme, medaglie,<br />

monete antiche per rivenderle nello stesso modo a’ più<br />

ricchi e famosi signori del suo tempo. Ecco il <strong>di</strong>vario<br />

tra lui e Andreolo: quello nobile, e per genialità <strong>di</strong><br />

sentimento, artista; questo patrizio come il primo, ma<br />

patrizio mercante, che aveva capito il gusto del suo se­<br />

colo in quanto esso offriva <strong>di</strong> più raffinato, e si vol­<br />

geva con proprio profitto a sod<strong>di</strong>sfarlo. L amore del<br />

raro, del costoso, del superfluo, purché squisito come<br />

(1) La data è del Prof. Belgrano; art. cit.<br />

A t t i S oc. L io. St . <strong>Patria</strong>. Voi. XX11I. 5<br />

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gingillo, che in <strong>di</strong>verse con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> tempi costituisce il<br />

capriccio e la voluttà <strong>di</strong> una classe speciale <strong>di</strong> u o m in i,<br />

letterati e cultori dell’ arte, allora forma la compiacenza<br />

universale de’ dotti e de’ ricchi, fossero poi questi eccle­<br />

siastici, o cavalieri, o capitani. Ciriaco offre a Sigis­<br />

mondo, come già il Petrarca aveva fatto con Carlo IV ,<br />

una moneta d’ oro <strong>di</strong> Traiano, e nel suo pensiero do­<br />

veva forse essere immagine <strong>di</strong> quella maestà imperiale<br />

che dai Cesari romani pretendevasi passata nei Cesali<br />

germanici. Borso d’ Este, il primo duca <strong>di</strong> Ferrara,<br />

dona a Ludovico Vallèe, luogotenente del re francese<br />

Carlo VII, e governatore <strong>di</strong> Genova, alcuni orcioletti <strong>di</strong><br />

cristallo, volendo forse che fossero, al ritorno <strong>di</strong> quello<br />

straniero nella sua patria, una pallida imagine della bel­<br />

lezza d’ arte raggiunta dal rinascimento italiano. Si eia<br />

nel 1460 e la risposta, con tutta probabilità del Bracelli,<br />

suona ammirazione pel dono — certo lavoro <strong>di</strong> un arte-<br />

fìce antico, chè non saprei altrimenti comprendere tanto<br />

lusso <strong>di</strong> iperboli per alcuni fiaschetti <strong>di</strong> vetro comune<br />

— ed ammirazione per la splen<strong>di</strong>dezza del duca ( 1 ) .<br />

(1) Ms. Br. c. 34; v. pure e<strong>di</strong>z. <strong>di</strong> Parigi, 1520 , fol. 61 r. Questa e<strong>di</strong>zione<br />

contiene le opere principali del Bracelli colla intitolazione :<br />

Jacobi Bracellei Genuensis Lucubrationes / De bello H ispaniensi lib r i quinq. /<br />

D e Claris Genuensibus libellus unus. / Descriptio Lyguriae libro uno. j E pistola) utn<br />

lib. unus / Adclitumquc <strong>di</strong>ploma mirae antiquitatis / Tabellae in a g ro G en uen si<br />

reperì ae.<br />

— 66 —<br />

Segue la lettera de<strong>di</strong>catoria <strong>di</strong> Agostino Giustiniani vescovo <strong>di</strong> Nebbio a<br />

Renato <strong>di</strong> Savoia, colla data: Parisiis I<strong>di</strong>bus A p rilis , M D X X . La numerazione<br />

incomincia dalla terza carta con numeri romani, in questo m odo: fb. IH e<br />

seguita fino a fo. LX X I. Al fo. LII si legge :<br />

Epistolas quasda prestantissimi D om ini Jacobi Bracellei G enuensis / quas <strong>di</strong>spersas<br />

invenimus, hic or<strong>di</strong>natim scripsimus. Ed al fo. LIV :<br />

Epistolae sequentes quib. nomen Jacobi Bracellei non prae / p o n it u r , non sunt<br />

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Questa, come sappiamo dal Filelfo e dal Castiglione, formò<br />

per molti anni ancora il rimpianto <strong>di</strong> tutti coloro che<br />

andavano alla ricerca <strong>di</strong> un Mecenate, sicché ne nacque<br />

il proverbio: Non sono più i tempi del duca Borso (i).<br />

Così fatti quegli uomini e quegli entusiasmi.<br />

« Più la guardo quest’ opera, gli scrive il La Vallèe,<br />

e maggior meraviglia me ne prende, però che sebbene<br />

la materia <strong>di</strong> per se stessa ne sia preziosa, tuttavia<br />

l’ ingegno e l’abilità dell’artefice pare che superi <strong>di</strong> gran<br />

lunga ogni specie <strong>di</strong> ammirazione e <strong>di</strong> lode. » E da<br />

buon cavaliere avvisa che lo ricambierà col dono <strong>di</strong> alcuni<br />

corsieri, non appena ne abbia degni <strong>di</strong> esser regalati al<br />

duca Borso (2). Il lettore comprenderà da ciò, se pur<br />

eius nomine datae, sed quia ab eo <strong>di</strong>ctatae / et scriptae creduntur, Bracelleanis in­<br />

terserentur.<br />

Finiscono al fo. LXX colla in<strong>di</strong>cazione: In ae<strong>di</strong>bus Ascensianis, anno M D X X<br />

ad Nonas Augusti.<br />

Il Panzer, il Mazzucchelli, il Niceron, il Vossio ed Apostolo Zeno citano<br />

altre e<strong>di</strong>zioni delle opere del Bracelli. Delle parecchie ricorderemo qui solo<br />

quella fatta dagli ere<strong>di</strong> <strong>di</strong> Antonio Bla<strong>di</strong>o, Roma 1 573 in 4.0, colla de<strong>di</strong>ca <strong>di</strong><br />

Bartolomeo Gorla a Gio. Battista Bracelli vescovo <strong>di</strong> Sarzana. Da essa si rileva<br />

che Gian Battista, uomo colto e de<strong>di</strong>to agli stu<strong>di</strong>, vedendo come fosse <strong>di</strong>venuto<br />

raro il libro dell’ avo suo Jacopo, avutone consiglio con dotti letterati, si<br />

decise a darne nuova e<strong>di</strong>zione sull’ antica stampa, ragguagliata sopra i mano­<br />

scritti ; librisque iampridem impressis cum aliquibus manuscriptis colìatis.<br />

[1 Mabillon trasse poi dal Cod. Vaticano 1979, già della Regina <strong>di</strong> Svezia,<br />

un’ altra operetta del Bracelli che inserì nel t. I, p. 227 del suo: Musaeum<br />

Italicum, col titolo seguente : De precipuis genuensis urbis fam iliis relatio ad<br />

Henricum M erla, <strong>di</strong> cui si conserva nella stessa vaticana altro co<strong>di</strong>ce, n. 1379,<br />

già appartenuto ad Alessandro Petavio. Devo queste in<strong>di</strong>cazioni bibliografiche<br />

alla gentilezza dell’ egregio Prof. Neri.<br />

(1) Filelfo, lettera a Leonardo Grifo in Rosm ini, Vita del Filelfo, II, 181 —<br />

C a s t ig lio n e , Cortigiano, II.<br />

(2) Ve<strong>di</strong> Documento V II in fine. — La lettera mi pare anche esempio notevole<br />

dello stile epistolare del Bracelli. Non è ine<strong>di</strong>ta , ma leggendosi solo nell’ e<strong>di</strong>­<br />

zione rara <strong>di</strong> Parigi 1520 non potrebbe essere a mano <strong>di</strong> tutti i lettori: mi par<br />

quin<strong>di</strong> non inutile riportarla.<br />

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ce n’ era bisogno, l’ importanza dello Spinola che sapeva<br />

riunire il culto della scienza antiquaria con la cura de<br />

proprii affari. Egli ha libero accesso nell’ aula dei Ponte­<br />

fici e del Re d' Aragona: con lui intrattiene affettuosa<br />

corrispondenza il car<strong>di</strong>nale <strong>di</strong> Pavia, Iacopo A m m annati;<br />

Pio II, infervorato nel 14 6 1 della sua guerra contro il<br />

# • •<br />

Turco, si rivolge a lui, affinché persuada 1 reggitori<br />

della Repubblica a por termine alle guerre fraterne, a<br />

prendere parte efficacemente , come potevano, nella co­<br />

mune impresa contro il nemico del nome cristiano. Non<br />

era piccolo onore per un antiquario, e ciò sentiva anche<br />

lo Spinola che ne ringraziava il Pontefice con parole in<br />

un tempo modeste e riconoscenti ( 1) . E con amabilità<br />

<strong>di</strong>gnitosa <strong>di</strong> gentildonna, Teodora Vival<strong>di</strong> Spinola, due<br />

anni prima, ringraziava la principessa Ippolita Maria <strong>di</strong><br />

Napoli che le aveva inviato un ricco dono, unicamente<br />

perché figlia <strong>di</strong> Eliano (2). Nè la Repubblica, com era<br />

naturale, lasciò in <strong>di</strong>menticanza questo benemerito citta­<br />

<strong>di</strong>no. Anziano del Comune nel ’3 8, ambasciatore al Re<br />

d’Aragona nel *51, nel ’6o con altri sette citta<strong>di</strong>ni uffi­<br />

ciale della moneta, nel ’6i , insieme con Antonio Bra­<br />

celli e quattro altri, eletto a trattare col legato fioren­<br />

tino (3).<br />

Ma per esser più esatti, il suo nome comparisce fin<br />

dal '33 in un atto.<strong>di</strong> nobile previdenza, in prò de’ suoi<br />

concitta<strong>di</strong>ni. Difatti il Federici nello Scrutinio della uo-<br />

(1) J. B racelleu s; De getiuensibus claris etc., Ms. membranaceo sec. X V ,<br />

della Bibl. Univ. in Genova (B , i , 32). Ve<strong>di</strong> Documento V i l i , in fine.<br />

(2) E<strong>di</strong>z. <strong>di</strong> Parigi cit., fol.• 61 r. e 62 v.<br />

(3) Mi valgo per questa data del C ic a l a ; Ms. cit., ampio zibaldone com pi­<br />

lato coll’ aiuto <strong>di</strong> documenti d’Archivio.<br />

— 68 —<br />

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iltà ligustica, ricorda con onorevoli parole il Signore<br />

<strong>di</strong> Ronco, Eliano Spinola, che in quell’ anno institui un<br />

multiplo nel banco <strong>di</strong> S. Giorgio, con notevole bene­<br />

ficio della Repubblica e dei suoi <strong>di</strong>scendenti (i). Dubito<br />

che la lacuna che trovasi nelle memorie <strong>di</strong> lui, dal 1438<br />

al *51, <strong>di</strong>penda da’ viaggi intrapresi intorno a questo<br />

tempo da Eliano. La sua fama <strong>di</strong> amatore ed intendente<br />

<strong>di</strong> preziose antichità probabilmente non venne che in<br />

seguito alle sue escursioni in Oriente. Anche il Pizzicolli<br />

avea fatta così la sua educazione. E se non bastassero<br />

le congetture, ecco qualche in<strong>di</strong>zio. Antonio Astigiano,<br />

che ci avvenne già <strong>di</strong> nominare, tra gli anni 1446 e<br />

14 4 7 , desiderando <strong>di</strong> ritornare in Genova come profes­<br />

sore <strong>di</strong> rettorica ed eloquenza, scrisse una serie <strong>di</strong> epi­<br />

stole in versi de<strong>di</strong>cate ai più ragguardevoli personaggi<br />

genovesi, collo scopo <strong>di</strong> propiziarsene il favore. C ’ è<br />

un po’ <strong>di</strong> tutto, omni genere musicorum, giureconsulti,<br />

me<strong>di</strong>ci, cavalieri, giovani baliosi e gravi uomini<br />

<strong>di</strong> Stato e per finirla, due Spinola, Battista e Caccia-<br />

nimico, ma punto punto il nostro Eliano. Possibile<br />

che la musa parolaia del buon grammatico astigiano<br />

ne avrebbe taciuto, se l’ antiquario fosse stato in<br />

Genova? Non credo, e me ne persuade anche meglio<br />

(1) Ecco alcune altre notizie che desumo dal B u o n a r r o t i, Alberi Genealogici,<br />

Ms. della Bibl. Berio in Genova:<br />

Eliano Spinola quond. Carosii; madre <strong>di</strong> lui Teodorina Spinola <strong>di</strong> Giacomo<br />

— moglie, Argentina Lomellina <strong>di</strong> Oberti. Testamento <strong>di</strong> Eliano rogato da<br />

Lorenzo Villa fin dal 1439.<br />

Era certo parente del nostro quella madonna Eliana Spinola, signora <strong>di</strong> Ronco,<br />

ardente fautrice del duca <strong>di</strong> Milano, che nel 1429, come scrive Giov. Simo­<br />

netta , aiutò Francesco Sforza a sottrarsi dalle mani de’ Genovesi, quando il<br />

conte salito l’Apennino e credendosi essere tra amici del duca, s’ avvide in­<br />

vece essere capitato tra nemici.<br />

— 69 —<br />

<strong>Società</strong> <strong>Ligure</strong> <strong>di</strong> <strong>Storia</strong> <strong>Patria</strong> - biblioteca <strong>di</strong>gitale - 2011


il fatto ch’ egli non tacque le lo<strong>di</strong> del cor<strong>di</strong>ale amico<br />

<strong>di</strong> Eliano, del Bracelli insomma. Quanto siano sciatti<br />

cotesti <strong>di</strong>stici de<strong>di</strong>cati all’ umanista g en o vese, osserve­<br />

remo altrove: teniamo ora conto del fatto per giungere<br />

ad una conclusione (i). L ’ in<strong>di</strong>zio è n egativo; più at­<br />

ten<strong>di</strong>bile quello che ci è fornito da Papa Paolo II, una<br />

specie <strong>di</strong> orco per gli umanisti romani, im prigionati,<br />

torturati da lui, ma non insensibile pare a ’ cimelii ra­<br />

dunati con <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>o dal nobile genovese, h ben vero<br />

che il Papa parla <strong>di</strong> cose preziose trasportate in Italia<br />

dalla Grecia, dall’ Asia e da altre regioni, senza far chia­<br />

ramente parola <strong>di</strong> viaggi, ma coni’ é supponibile che<br />

Eliano si valesse in affari <strong>di</strong> tanta importanza unica­<br />

mente <strong>di</strong> agenti? Ciò poteva fare soltanto un principe<br />

banchiere, come Cosimo de’ Me<strong>di</strong>ci, che intratteneva<br />

corrispondenza con tutti i paesi del mondo e poteva va­<br />

lersi per le sue ricerche degli uomini più insigni allora<br />

viventi.<br />

- 70 -<br />

La scena con Paolo II è narrata all’ am ico e princi­<br />

pale interessato dal Car<strong>di</strong>nale <strong>di</strong> Pavia c merita <strong>di</strong> es­<br />

sere riferita. Il povero Eliano aveva d’ uopo dell’ inter­<br />

posizione del papa per ridurre al dovere un figlio,<br />

incaponito <strong>di</strong> rendersi nell’ or<strong>di</strong>ne dei domenicani. II<br />

padre stesso ne aveva scritto all’ Ammarinati, dolendosi<br />

con onesta libertà del fatto e lasciando intendere che lo<br />

attribuiva ad un raggiro <strong>di</strong> quei frati. Si ricorreva ora<br />

al Pontefice perchè con l’ autorità infallibile che scioglie<br />

e lega persuadesse quel buon figliuolo a dare alla Chiesa<br />

(T) Epist. <strong>di</strong> Antonio Astiano ed. da P. Vayra , in G iorn. Ligustico anno<br />

XVII, p. 220 segg. c 386 scgg.<br />

<strong>Società</strong> <strong>Ligure</strong> <strong>di</strong> <strong>Storia</strong> <strong>Patria</strong> - biblioteca <strong>di</strong>gitale - 2011


— 7 i —<br />

un frate <strong>di</strong> meno, ed alla famiglia un marito <strong>di</strong> più.<br />

Intercessore era l’ Ammannati. — « Eliano? — fece<br />

Paolo II, quando il car<strong>di</strong>nale entrò a parlargliene , io<br />

lo conosco. Egli ha radunato dalla Grecia, dall’ Asia e<br />

da altri paesi molti preziosi oggetti antichi : egli solo<br />

potrebbe, senza danno suo, sod<strong>di</strong>sfare al nostro desiderio<br />

e farci cosa gratissima. » — S’ intende che il papa vo­<br />

leva comprare, non ricevere in dono, e senza determi­<br />

nare nulla, in<strong>di</strong>cava alcuni degli oggetti desiderati : sacre<br />

icone, arazzi, pitture e scolture antiche, ovvero vasi <strong>di</strong><br />

qualsivoglia forma purché <strong>di</strong> materia preziosa, monete,<br />

medaglie d’ oro e d’ argento.<br />

Ma il car<strong>di</strong>nale Piccolomini doveva conoscere, tanto<br />

bene come Eliano, il vezzo della Corte pontifìcia :<br />

Curia romana non quaerit ovem sine lana.<br />

Si era ricorso alla graziosa intercessione del papa,<br />

questi aveva accolto con bontà la preghiera <strong>di</strong> Eliano,<br />

non si poteva andarci colle mani vuote, ed ecco il suo<br />

consiglio: « Scegli tra le cose possedute alcun che <strong>di</strong><br />

elegante da donargli. Né potresti esimertene senza taccia<br />

<strong>di</strong> zotica taccagneria. Il restante invia qui, pei tuoi fi­<br />

dati agenti e quello che abbia incarico <strong>di</strong> presentare gli<br />

oggetti al papa, <strong>di</strong>ca : cotesto Eliano Spinola ti manda<br />

in dono; dell’ altre cose stabilisci quel prezzo che vuoi. »<br />

Per altra lettera dell’ Ammannati sappiamo poi che il<br />

figliuolo se ne tornò ravveduto a casa, coniugium repe­<br />

tens quod tam dure ante <strong>di</strong>miserat (i).<br />

(i) Epistolae et Commentarii Jacobi Piccolomini Card. Papiensis; Milano, 1506.<br />

Cfr. lett. <strong>di</strong> Eliano, 26 novembre 1464 e segg.<br />

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- 7 2 —<br />

Tanto nella miscellanea citata, come nell’ e<strong>di</strong>zione pa­<br />

rigina delle opere del Bracelli si leggono q u attro lettere<br />

scritte da lui in nome dello Spinola al re Alfonso<br />

d’Aragona. Probabilmente il mercante genovese ricorreva<br />

al dotto cancelliere perché desse elegante forma latina<br />

all’ umile volgare che gli suonava in bocca. E 1’ argo­<br />

mento <strong>di</strong> esse già s’ indovina : lo Spinola procacciava <strong>di</strong><br />

compiacere al gusto del monarca aragonese per le pietre<br />

preziose ( i ) . Ora era un <strong>di</strong>amante eh’ era piaciuto ad<br />

Alfonso per la grossezza e lo splendore, ora un sardonico<br />

<strong>di</strong> cui lo Spinola sapeva mettere abilmente in mostra i<br />

pregi. — a Color enim ex rupe, ut aiunt veteri, iocun-<br />

dum quendam fulgorem ita emittit, ut sine incre<strong>di</strong>bili<br />

quadam voluptate oculus eum contemplari non possit.<br />

Forma ea est in qua longitu<strong>di</strong>ni adeo latitudo respondet,<br />

ut si quis eum ex cera velit effingere, nihil vel addendo<br />

vel minuendo possit in melius mutare. Q u o fit ut cre­<br />

dendum sit ingentem eam gemmam fuisse, ex qua tantae<br />

perfectionis lapis excisus est. Intueatur eum quivis oculus<br />

peritissimi artificis. Nullum ibi inveniet vel ex foratione,<br />

vel ex glacie, vel ex perfrictione vitium » (2 ).<br />

Bensi non tutte le ciambelle riuscivano col buco nep­<br />

pure a lui, e qualche volta gli toccava veder alcun altro<br />

averci la mano assai più fortunata della sua, sebbene<br />

forse meno consumato conoscitore. Cosi in una lettera<br />

del 14 maggio 1457, si scusa col Re <strong>di</strong> questo che il<br />

rubino, su cui avea da tempo messo gli occhi, gli era<br />

( ! ) 11 F a z io , op. cit., lib. IX <strong>di</strong>ce Alfonso ricco <strong>di</strong> gemme che molte e <strong>di</strong><br />

varie specie ed a gran<strong>di</strong>ssimo prezzo aveva radunate nel suo tesoro, il quale<br />

per magnificenza vinceva quello <strong>di</strong> tutti i re al tempo suo.<br />

(2) Ms. Br. c. 22.<br />

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— 73 —<br />

sfuggito sotto mano per l’ abile giuoco <strong>di</strong> un mercante<br />

più astuto. Ma neppure in tali casi si smarriva ; se non<br />

aveva potuto colla gemma desiderata, egli sapeva solle­<br />

ticare la curiosità del principe artista con alcun altra ra­<br />

rità e per quella volta erano i braccialetti d’ una regina<br />

<strong>di</strong> Granata, a Io li giu<strong>di</strong>co anche <strong>di</strong> maggior pregio, e<br />

perché sono rara opera <strong>di</strong> arabo artefice, e perchè essi<br />

furono già <strong>di</strong> una regina. » Anche le due perle inca­<br />

stonate avevano il loro valore, per quanto si sarebbe<br />

potuto sostituirne due migliori, ma le lasciava, affinché<br />

il Re avesse l’ ornamento muliebre quale veramente,<br />

nella sua origine, era (i). Curioso particolare é il se­<br />

guente che ci é dato da una <strong>di</strong> queste lettere. Il signore<br />

<strong>di</strong> Ronco, che doveva possedere non solo rare antichità<br />

nel suo palazzo, ma campi molti al sole, aveva provve­<br />

duto del frumento necessario all’ esercito il famoso Ia­<br />

copo Piccinino, che nel '56 militava al servizio <strong>di</strong> Al­<br />

fonso. Ora il nobile antiquario proponeva al R e , che<br />

invece delle paghe dovute al condottiero, si saldasse a<br />

lui il conto del frumento; se no, gli tornava impossibile<br />

fare acquisto del <strong>di</strong>amante desiderato (2). Il magnifico<br />

Piccinino, dal canto suo, se ne sarà compensato taglieg­<br />

giando allegramente i fedelissimi soggetti del Re. Ecco<br />

dei <strong>di</strong>amanti che costavano cari al popolo napoletano.<br />

(1) Ms. Br. a. c. 24. L’ O l i v i e r i; Catalogo ms. della bibl. Univ. in Genova,<br />

in<strong>di</strong>ca un co<strong>di</strong>ce membranaceo romano del sec. X V contenente la lettera del<br />

Bracelli e la data: 14 maggio 1456.<br />

(2) E<strong>di</strong>z. <strong>di</strong> Parigi cit., lett. Genova, 28 luglio 1456.<br />

Ve rum cum precium eius ingens sit, opus est ut in hoc saltem opem mihi conferat<br />

benignitas tua, ut pecuniae quae magnifico Jacobo Piccinino debentur ad me perve­<br />

niant in solutionem tritici mei quo se suosque sustentavit ; namque alioquin precium<br />

eius gemmae contrahere ac solvere nullo pacto possem.<br />

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L ’ ultima lettera che abbiamo dello Spinola é quella<br />

che ci avvenne più sopra <strong>di</strong> citare del '6 i, nell occasione<br />

che Pio li, smentendo tutte le speranze latte concepire<br />

da Enea Silvio <strong>di</strong> una specie <strong>di</strong> età augustea, si -gettava<br />

invece con entusiasmo giovanile all’ impresa contro i<br />

turchi. La lettera <strong>di</strong> risposta al pontefice veramente<br />

manca della firma <strong>di</strong> Eliano, ma nella miscellanea da<br />

cui la tolgo fa parte <strong>di</strong> un piccolo gruppo <strong>di</strong> lettere<br />

sue e della famiglia al re <strong>di</strong> Napoli (i). Q uin<strong>di</strong> e per<br />

il posto che tiene nel manoscritto e per l’ intonazione<br />

del linguaggio, si può affermare con sicurezza essere<br />

<strong>di</strong> Eliano. E la data, come s’ é veduto, riscontra ap­<br />

punto con la notizia portata sotto lo stesso anno dal<br />

Cicala. Dovette morire poco dopo, perchè manca in ap­<br />

presso, e nella miscellanea e altrove, ogni altra memoria<br />

<strong>di</strong> lui.<br />

Questi in somma sono gli uomini rappresentanti della<br />

coltura genovese nel periodo <strong>di</strong> tempo che abbiam o preso<br />

a stu<strong>di</strong>are; ritornare sopra le epistole dell’ astigiano e<strong>di</strong>te<br />

dal Vayra ci sembra inutile, per questo rispetto almeno.<br />

Parecchi <strong>di</strong> quei nomi già li conosciamo, <strong>di</strong> altri pro­<br />

babilmente egli stemperava la supposta celebrità e il<br />

supposto mecenatismo ne’ suoi versi brutti, ma brutti<br />

davvero. E il pover’ uomo per giunta dava a cono­<br />

scere mille miglia lontano il secreto movente <strong>di</strong> quei<br />

panegirici.<br />

(i) Miscellanea cit., B, i, }2. Erano raccomandati ad Alfonso cd a Fer<strong>di</strong>nando<br />

i figli <strong>di</strong> Lucchesio Spinola, che aveva aiutato con notevoli som m e <strong>di</strong> denaro il<br />

re durante la sua impresa nel Regno. 11 co<strong>di</strong>ce è esemplato <strong>di</strong> m ano <strong>di</strong> G e­<br />

rardo Spinola, uno dei figli <strong>di</strong> Lucchesio, che nel 1468 era capitano <strong>di</strong> Lanzano<br />

per Fer<strong>di</strong>nando.<br />

— 74 —<br />

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Al Bracelli scriveva:<br />

S i faveas nostris, praeclare Bracelle, camenis<br />

non potero officii non memor esse tui,<br />

Sed tua perpetuo cantabo nomina versu,<br />

si tantum faveat pulcher Apollo mihi.<br />

Praeterea quantum tribuent mihi numina vires<br />

conabor natos ipse docere tuos.<br />

Tu modo, quaeso, tuam <strong>di</strong>gnare imponere dextram<br />

ut vestra auxilio ponar in urbe tuo.<br />

E ingenuità anche maggiore, sto per <strong>di</strong>re incre<strong>di</strong>bile,<br />

la <strong>di</strong>chiarazione che ricorre cinque <strong>di</strong>stici più avanti,<br />

ossia che per virtù de’ suoi versicciuoli 1’ umanista ge­<br />

novese potrebbe conseguire la tanto agognata eterna<br />

fama, purché, ci s’ intende, lo aiutasse a ritornare pro­<br />

fessore in Genova.<br />

— 75 —<br />

Tu quoque si nobis faveas, ut spero, perenne<br />

versiculis poteris nomen habere meis.<br />

Sancta simplicitas! Dei nomi noti ci avvenimmo spe­<br />

cialmente in quelli della famiglia Fregoso, mescolati alla<br />

rinfusa con gli altri degli Adorno. Farisei e samaritani !<br />

Due volte il nome <strong>di</strong> Niccolò. E veramente egli era tal<br />

uomo su cui dovevano appuntarsi gli sguar<strong>di</strong> si dei let­<br />

terati che smaniavano alla ricerca <strong>di</strong> favori, come dei<br />

citta<strong>di</strong>ni che ambivano un buono e pacifico governo.<br />

Degno nipote <strong>di</strong> Tommaso, questi, ne’ maggiori ne­<br />

gozi della sua patria, raduna, da quel magnifico signore<br />

che era, un bel numero <strong>di</strong> co<strong>di</strong>ci preziosi; quegli eroe<br />

nella presa del Castelnuovo per Renato d’Angiò, accorto<br />

capitano nella guerra <strong>di</strong> Finale, letteratissimo, siccome <strong>di</strong>-<br />

cevalo il Filelfo, e per genio <strong>di</strong> famiglia e qualità del­<br />

l’ ingegno protettore <strong>di</strong> letterati. E della sua gentilezza<br />

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— 7 6 —<br />

e coltura abbiamo testimonio più autorevole che non<br />

sia il tolentinate, voglio <strong>di</strong>re Enea Silvio che nella sua<br />

<strong>Storia</strong> d 'Europa ne scriveva onorevoli parole, compianto<br />

insieme per la violenta e prematura sua fine.<br />

Parlando del doge Pietro, assai <strong>di</strong>ssimile dal cugino,<br />

soggiunge: « Egli, mosso dal sospetto che aspirasse al<br />

dominio, fece chiamare Nicolò Fregoso, chiaro per onesti<br />

costumi e per filosofici stu<strong>di</strong> e lo fece uccidere da appo­<br />

stati sicari » (i). Anche le donne <strong>di</strong> questa famiglia<br />

erano colte. Nell’ inventario <strong>di</strong> Spinetta Fregoso, morto<br />

nel 1425, tra le ricche vesti e suppellettili preziose si<br />

noverano pure tre libri, un Dante, un Salterio, le tra­<br />

ge<strong>di</strong>e <strong>di</strong> Seneca, e dei due primi é detto espressamente<br />

che appartenevano a madonna Ginevra, vedova del de­<br />

funto (2).<br />

Insomma nella repubblica anarchica <strong>di</strong> Genova, come<br />

ebbe a chiamarla il Gebhart (3), e tra le tre o quattro<br />

famiglie ducali che si palleggiavano la signoria, un<br />

(1) A n e a e S ilv ii, Hist. de Europa, in Opera omnia, Basilea, i S71 > P- 445-<br />

Qui et gentilem et patruelem suum, Nicolaum Fregosium honestis moribus prae<br />

<strong>di</strong>tum et philosophiae stu<strong>di</strong>is insignem, ob suspitionem affectari dom inii, vocatum a<br />

se in palatium paratis percussoribus interemit. Non so se nelle memorie sincrone<br />

se ne potrà trovare menzione. Io ho consultato inutilmente il G is c a r d i, Origine<br />

delle nobili famiglie in Genova, Ms. Bibl. Berio, il D e lla C e l l a id. U niv., il<br />

G iu s tin ia n i, il L it t a . Eppure il car<strong>di</strong>nale <strong>di</strong> Siena alla vigilia <strong>di</strong> essere eletto<br />

pontefice, non è supponibile che ci andasse alla leggiera nell’ accogliere la no­<br />

tizia, e dal linguaggio si capisce che per lui non aveva ombra <strong>di</strong> dubbio. Era<br />

anche benissimo informato dei maneggi <strong>di</strong> Pietro Fregoso : Nunc ambae partes<br />

(Genovesi ed Aragonesi) quasi ex integro ad bellum se parant, quamvis fam a est<br />

Petrum animo fractum, Gallorum implorare auxilia, eorum regi patriae suae p rin ­<br />

cipatum, quem retinere non potest, pecunia ven<strong>di</strong>turum. Ossia quel mercato che fu<br />

concluso finalmente nel 1458.<br />

(2) Giorn. Ligustico, anno XI, p. 350 segg.<br />

(3) G e b h a r t ; Les orig. de la Renaissance, p. 109.<br />

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- 77 —<br />

importante luogo tiene quella dei Fregoso e si spie­<br />

gano facilmente le ampie lo<strong>di</strong> che l’ umanesimo le<br />

tributò allora e poi. E non ne fu avaro neppure verso<br />

i soggetti meno degni. Difatti sullo scorcio del secolo,<br />

con andante più sostenuto che non fosse quello del buon<br />

grammatico astigiano, incomodava le sante Muse il car­<br />

melitano Battista Mantovano e per chi ! per tessere il<br />

panegirico <strong>di</strong> Fregosino e Paolo Campofregoso (i). Un<br />

bel paio ! Al primo fuggito col padre a Mantova dopo<br />

il ’64, ossia dopo quell’ anno <strong>di</strong> sfrenato governo <strong>di</strong><br />

cui serbarono lungamente memoria le storie del tempo,<br />

il coraggioso frate de<strong>di</strong>ca una saffica <strong>di</strong> trentuna strofe,<br />

— le più belle d’ Orazio ne hanno meno — <strong>di</strong> cui ecco<br />

le tre prime:<br />

Dulce Musarum, decus et voluptas,<br />

<strong>Patria</strong>e splendor, ligurumque princeps,<br />

Quem fovet dulci gremio receptum<br />

Hospite Manto ;<br />

Impio postquam Genuae tumulta<br />

Missus ex alto Phlegetontis amne<br />

lura subvertit, placidamque pacem<br />

Nuncitts Orci,<br />

Te decet magnos animi dolores<br />

Atque Neptuni salientis aestum<br />

Ferre, et accenso Iove fulgurantem<br />

Fortiter iram.<br />

Per il lettore che desiderasse qualche notizia sulle<br />

gesta <strong>di</strong> cotesto grazioso <strong>di</strong>scepolo dell alma poesia,<br />

decoro e voluttà delle Muse, ecco <strong>di</strong> che accontentailo,<br />

<strong>di</strong>etro la scorta del Giscar<strong>di</strong>. Questi veramente non parla<br />

( i ) B ap t. M a n tu a n i; Opera omnia, Bononiae, 1502.<br />

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— 7 8 —<br />

<strong>di</strong> carmi, ma in compenso ci informa che nel 1487 Fre-<br />

gosino « fece ferire Angelo Ceba perchè parlò per il<br />

ben pubblico » ( 1) — proprio lo stesso anno che spo­<br />

sava Clara, figliuola naturale del duca Francesco Sforza;<br />

litigò con Battista Fregoso per Novi, l’ anno 15 0 0 , e<br />

in detto anno tentò che si facesse doge un Fregoso; nel<br />

' 12 uccise il conte Geromino Fiesco, tagliandolo a pezzi<br />

con un’ alabarda, e ferì nel viso Am brogio Fiesco che<br />

era con lui. E mi pare che basti.<br />

Di Paolo Fregoso arcivescovo <strong>di</strong> Genova, car<strong>di</strong>nale <strong>di</strong><br />

S. Sisto e tutto quel che si voglia, tranne buon eccle­<br />

siastico e uomo dabbene, non franca il pregio <strong>di</strong> parlare:<br />

le sue gesta sono note. Sarà forse perchè le in<strong>di</strong>vidualità<br />

s’ imponevano all* ammirazione del Rinascimento e Paolo<br />

ne era una, che Battista Spagnuoli assume per magnifi­<br />

carlo la tromba epica.<br />

I versi non son brutti e ricordano inoltre il tratto più<br />

bello nella vita dell’ avventurerò car<strong>di</strong>nale, ossia quando<br />

Sisto IV nel 1481 gli conferì il comando della flotta<br />

contro il turco, ed egli ebbe fama <strong>di</strong> valoroso ed Otranto<br />

venne ricuperata ai cristiani.<br />

Paolo Fregoso parla in persona propria al Cesare<br />

Massimiliano e lo esorta all’ impresa contro g l’ infedeli,<br />

ma prima si <strong>di</strong>a fine in Italia al lungo o<strong>di</strong>o civile :<br />

SeJ quo coepta magis tibi sint secura memento<br />

Pacare Italiam , bellis ut tota se pultis<br />

Tuta sit et concors ad rem conspiret agendam.<br />

La bottata ultima a Cesare è riservata prò fulgosa<br />

propago.<br />

( 1) Cfr. anche G iu stin ia n i; op. c it<br />

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Et quia post commune, bonum curare salutem<br />

Fas est cuique suam, Pauli precor atque parentum<br />

Sis, Auguste, memor ; laetos habitare sub umbra<br />

Caesaris et nobis liceat, fulgosa propago<br />

Nos quoque pars rerum non aspernanda tuarum.<br />

Il frate carmelitano, da quel dotto uomo che era, sa­<br />

peva il fatto suo; uno scambietto rettorico a Cesare ed<br />

al Fregoso, la riverenza era fatta e contenti tutti.<br />

Chiedo scusa per la lunga <strong>di</strong>gressione, ma essa mostra<br />

bene, parmi, l’ atteggiamento dell’ umanesimo <strong>di</strong> fronte<br />

a questa potente famiglia, anche ne’ casi che meno op­<br />

portuna era l’ ammirazione. Ai Fregoso mancò non la<br />

splen<strong>di</strong>dezza della vita, o la coltura o 1’ umanità, latina­<br />

mente intesa, in parecchi <strong>di</strong> loro, ma il possesso dure­<br />

vole del principato.<br />

— 79 —<br />

Se il presupposto fosse avvenuto, s’ avrebbe senza<br />

dubbio avuto un coro <strong>di</strong> lo<strong>di</strong> più largo e più pieno.<br />

Ciò malgrado le simpatie non furono da parecchi punto<br />

<strong>di</strong>ssimulate : ma bisognava misura, specie in chi, come<br />

il cancelliere, doveva rappresentare non la politica <strong>di</strong> una<br />

famiglia, ma la tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> un governo. Chi non l’ ebbe,<br />

o patì molestie, come Gottardo Stella, od esulò cercando<br />

più spirabil aere, come il Fazio, il Curio e l’ Ivani.<br />

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— 8o —<br />

C A P IT O L O III.<br />

C a n c e l lie r i e G r a m m a t ic i.<br />

11 Prof. Belgrano ha già osservato che della fioritura<br />

letteraria eru<strong>di</strong>ta in Genova va dato m erito principal­<br />

mente ai segretari cancellieri. Ed il Belgrano ha ragione :<br />

« •<br />

volendo estenderci anche un po’ più, la sua osservazione<br />

potrebbe farsi per non piccola parte della coltura uma­<br />

nistica in Italia.<br />

Difatti il Panormita ed il Pontano furono segretari dei<br />

re Aragonesi in Napoli, il Salutati, Leonardo Aretino,<br />

Poggio Bracciolini cancellieri della repubblica fiorentina,<br />

taccio i molti celebri segretari dei pontefici. Anche Ge­<br />

nova per questo lato può vantare <strong>di</strong> bei nom i. Oltre<br />

Iacopo Bracelli, vanno ricordati Niccolò Stella e Pro­<br />

spero da Camogli occupati nella cancelleria della repub­<br />

blica, l’ omonimo <strong>di</strong> quest’ ultimo consigliere ducale in<br />

Milano e poi vescovo, il Curio, il Fazio, 1’ Ivani, G ot­<br />

tardo Stella, Bartolomeo Senarega. Del Fazio sarà <strong>di</strong>­<br />

scorso altrove, degli altri toccherò solo d’ alcuni, restrin­<br />

gendomi al periodo <strong>di</strong> tempo che mi sono prestabilito.<br />

Di Niccolò e Prospero può <strong>di</strong>rsi ciò che il V oigt <strong>di</strong>ce<br />

per il primo, cioè eh’essi sono annoverati fra gli stu<strong>di</strong>osi<br />

<strong>di</strong> cose antiche, ma non figurano come scrittori, nel<br />

senso più elevato della parola (i). Ed in verità, a solo<br />

titolo <strong>di</strong> dotto antiquario e gentile compagno é ricordato<br />

( i ) V g i g t ; op. cit., I, 4 } i .<br />

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Prospero dal Biondo nella visita che fecero insieme al<br />

tempio d’Apollo ed all’ antro della Sibilla presso Cuma:<br />

— .............arces, quibus aJtus Apollo<br />

praesidet, horrendaeque procul secreta Sibyllae<br />

antrum immane, (En. V I, 9 segg.).<br />

E della grande poesia virgiliana erano compresi 1’ uno<br />

e 1’ altro nel metter piede in quelle sacre rovine, come<br />

si pare dalle parole del Biondo ; ma il merito d’ avere<br />

riconosciuto nella grotta il famoso recesso della Sibilla<br />

cumana, lo storico lo attribuisce tutto al genovese. Ecco<br />

il passo del Biondo:<br />

Est vero celsus in urbe Cumana collis in cuius cacu­<br />

mine fuit templum Apollinis, de quo Virgilius: Arces etc.<br />

Et quidem nunc ea in urbe quam vi<strong>di</strong>mus omni destitutam<br />

habitatore praeter rupes saxo stupendas vivo pinnae cernun­<br />

tur murorum excelsae, et ubi Apollinis arx fu it, sacellum<br />

est christianum et ipsum vetustate consumptum, nihilque<br />

extat integrum nisi caverna frontespitio decorata manufacto,<br />

quam Sibyllae antrum fuisse socius itineris nostri Prosper<br />

Camulius vir doctus eam ingressus quibusdam coniecturis<br />

affirmavit (i).<br />

- 8i —<br />

Cosi <strong>di</strong> due civiltà la pagana e la cristiana, l’ una so­<br />

vrapposta all’ altra, i due amici potevano d’ uno sguardo<br />

solo contemplare le vestigia, non rispettate dal tempo:<br />

immutata rimaneva solo l’ opera della natura, la caverna,<br />

donde la tra<strong>di</strong>zione faceva uscito l’ inspirato linguaggio<br />

della Sibilla, nunzio del rinnovamento del mondo.<br />

Per altro il passo del Biondo lascia pur sempre a<strong>di</strong>to<br />

(i) F l. B i o n d u s ; Ital. ili., Basilea 1 531, p. 4 *3*<br />

A tti S oc. L io . St . P athia. Voi. XXIII.<br />

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6


al dubbio se sia qui fatta menzione del notaio cancel­<br />

liere, ovvero <strong>di</strong> quel Prospero Schiaffino da C a m o g li che<br />

già <strong>di</strong>cemmo secretario in corte del Visconti. 11 com m .<br />

C. Desimoni, fondandosi sul passo citato, dà com e cosa<br />

certa che sia il nostro archeologo ; io preferisco lasciare<br />

sub in<strong>di</strong>ce lis (i). Ciò che mi pare si possa legittim a-<br />

mente supporre, anche senza giu<strong>di</strong>ce, é eh’ egli nel '49<br />

tosse già morto. Ditatti il noto passo del B ion d o da<br />

noi riportato, e secondo il quale i più noti letterati ge­<br />

novesi erano non più <strong>di</strong> tre: il Ceba, il Bracelli e G o t­<br />

tardo Stella, è <strong>di</strong> quell’ anno (2). Dopo l’ onorevole<br />

menzione già veduta e nella stessa opera, <strong>di</strong> Prospero,<br />

il tacerne in quella enumerazione, quando non si dubi­<br />

tava <strong>di</strong> mettere innanzi il nome del Ceba, illustre viag­<br />

giatore, d’ accordo, ma non veramente letterato, sarebbe<br />

stata grande scortesia. Ma basti <strong>di</strong> coteste prove negative.<br />

Suo padre Niccolò é detto dallo S ca la m o n ti insieme<br />

col Bracelli, egregius pubblicete rei secretarius ( 3 ) , che sa­<br />

rebbe quin<strong>di</strong> nel tempo in cui Ciriaco visitò G e n o v a ,<br />

ossia sul principio del 1434. Ma se ne può trovar me­<br />

moria prima. Pare che anch’ egli fosse un ardente fautore,<br />

del duca Filippo Maria, e nel 1 4 2 1 , volendo questi im ­<br />

padronirsi <strong>di</strong> Genova, fu Niccolò da Cam ogli il cancel­<br />

liere mandato dai nobili genovesi fuorusciti e dal duca<br />

(1) Giorn. L ig ., anno III, p. 87 segg.<br />

(2) B iondus, op. cit., p. 297. Ecco come si prova : Nello stesso lu ogo è detto<br />

che era allora doge Ludovico Fregoso e che il fratello G iano era m orto da<br />

poco. La morte <strong>di</strong> Giano cade appunto nel <strong>di</strong>cembre 1448, nel '4 9 il dogato <strong>di</strong><br />

Ludovico.<br />

— 82 —<br />

(3) Non è dunque esatto <strong>di</strong>rlo, come fa il V o ig t, predecessore del Bracelli<br />

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al re d’Aragona, per ottenere il soccorso <strong>di</strong> otto galere<br />

della sua armata.<br />

— 8j —<br />

Piccolo soccorso veramente, che tuttavia costò a Bat­<br />

tista Fregoso una sconfìtta nelle acque <strong>di</strong> Porto Pisano,<br />

e al fratello Tommaso la per<strong>di</strong>ta del ducato (i). Niccolò<br />

era dunque anch’ esso sban<strong>di</strong>to da Genova ? Ma la Si­<br />

gnoria viscontea lo restituì, se così è, in patria quello<br />

stesso anno e ad un tempo nel suo ufficio <strong>di</strong> notaio can­<br />

celliere. Nel 1440 Bartolomeo Capra, arcivescovo <strong>di</strong> Mi­<br />

lano e governatore pel duca Filippo in Genova, fidato<br />

giustamente nella prudenza e virtù <strong>di</strong> lui, lo costituiva<br />

procuratore e sindaco del comune, presso il ducale com­<br />

missario Nicolò Piccinino, al fine <strong>di</strong> risolvere le liti<br />

e controversie pendenti tra il comune <strong>di</strong> Genova e quello<br />

<strong>di</strong> Savona.<br />

L ’ atto <strong>di</strong> procura era rogato dai notai cancellieri<br />

Tommaso <strong>di</strong> Credenza e Biagio Assereto.<br />

Maggior fama levò intorno a questo tempo, per in­<br />

gegno e ar<strong>di</strong>tezza <strong>di</strong> indole, quel Prospero Schiaffino che<br />

già <strong>di</strong> sopra abbiamo ricordato. Della patria <strong>di</strong> lui e del<br />

cognome siamo informati con sicurezza per un documento<br />

notarile (2). Il Giustiniani ce lo presenta come uomo<br />

universale e tanto innanzi nell’ astrologia che « molti<br />

credevano, come si <strong>di</strong>ce, che avesse costretto uno spi­<br />

rito famigliare » ; della sua natura bizzarra, risentita ed<br />

inquieta, ci fa testimonianza una lettera dell’ Ivani a Fi-<br />

(1) C i c a l a ; Ms. citato, ad ann. 14 2 1. h dello stesso tempo un docum ento<br />

d ell’ O sio colla data del 19 novembre 1421, in cui è designato quale notarius<br />

et communis lamie cancellarius. Cfr. V o ig t , op. c it., I, 4 4 1.<br />

(2) T ro v a to dal Desim oni. C fr. art. Prospero da Canwgli, in Giorn. Lig. I li,<br />

87 segg * * • •<br />

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lippo Gheri (i). « Non mi maraviglio, scrive l ' Ivani,<br />

eh’ egli ora macchini non so che presso gli Elvezi. É<br />

uomo avvezzo al peregrinare, <strong>di</strong> acuto ingegno, intolle­<br />

rante dell’ ozio. Un giorno in Liguria gli chiesi perché<br />

si servisse <strong>di</strong> una veste tanto umile e <strong>di</strong>messa. Sappiate,<br />

mi rispose, che una veste magnifica comanda a me, un<br />

abito abietto invece mi obbe<strong>di</strong>sce ». Q uesti lettera del-<br />

P umanista sarzanese ci fornisce pur anche sulla vita dello<br />

Schiaffino, specie nei primi anni della sua carriera, certe<br />

notizie che altrimenti ci resterebbero ignote. Peccato<br />

che i cenni che lo riguardano siano al desiderio troppo<br />

brevi. Per essa sappiamo che Prospero segui in Genova<br />

la fazione degli Adorno, ponendosi sotto la protezione<br />

degli Spinola, fino a che vedendo dai moti tumultuari<br />

dei Genovesi uscirne per sé poco profitto, passò al ser­<br />

vizio del conte Francesco Sforza. E il conte, <strong>di</strong>venuto<br />

in seguito duca <strong>di</strong> Milano, lo scelse come abile agente<br />

a trattare parecchi negozi presso il delfino <strong>di</strong> Francia,<br />

in appresso Luigi XI, e lo condusse seco, in qualità <strong>di</strong><br />

segretario nel 1459, nelFoccasione <strong>di</strong> quel congresso <strong>di</strong><br />

Mantova che ebbe per unico risultato dei bellissimi <strong>di</strong>­<br />

scorsi da parte degli intervenuti; un bel seguito <strong>di</strong> va­<br />

riazioni sopra un motivo obbligato, la guerra contro il<br />

Turco. Ci si trovava come oratore del duca anche il<br />

famoso Francesco Filelfo, e questi vi pronunciò un elo­<br />

quente <strong>di</strong>scorso, per cui ebbe da Pio II il titolo <strong>di</strong><br />

ottava musa.<br />

- 84 -<br />

(1) G iustiniani, op. c i t , ad ann. 15 19 . — L eiltrt h a it ia n e , m s. c i t ., P isto rio<br />

II, kal. ian. i j j S .<br />

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- 85 -<br />

Che il dotto pontefice applicasse fin d’ allora al Filelfo<br />

la massima sua favorita, formulata <strong>di</strong> poi nel verso:<br />

Discile pro numeris, numeros sperare, Poetae — ?<br />

Da una relazione che Prospero scrisse alcuni giorni<br />

dopo agli Otto per le compere del Banco <strong>di</strong> S. Giorgio,<br />

piace meglio invece saper più precisamente che cosa<br />

abbia detto lo Sforza, colui che Pio II lodava per mi­<br />

litare eloquenza e patriottiche parole (i). Difatti fra tanta<br />

rettorica il suo era, come si <strong>di</strong>rebbe oggidì, un <strong>di</strong>scorso<br />

alla bersagliera. — « Padre Santo, <strong>di</strong>sse mezzo tra il<br />

faceto ed il serio il condottiero duca, troppe cagioni io<br />

ci vedo perchè non s’ abbia tutti a venerare il tuo san­<br />

tissimo voto. Primieramente se abbiamo riguardo a Dio<br />

ottimo massimo e alla salvezza eterna, è obbligo nostro<br />

obbe<strong>di</strong>re all’ invito del suo vicario; se poi ci volgiamo<br />

alle ragioni umane, che avvi <strong>di</strong> più onorevole? Perché<br />

in verità se il nemico ci viene adosso, e termina ciò<br />

che ha bene cominciato, l’ età nostra avrà da pentirsene<br />

e noi da vergognarcene. » Si <strong>di</strong>rebbe che delle sorti del-<br />

l’ Italia egli avesse chiara percezione, dell’ Italia che non<br />

sfuggì <strong>di</strong> cadere in balìa dei turchi e <strong>di</strong> rinnovare il de­<br />

stino della Grecia, se non perchè si ridusse, neppure un<br />

secolo dopo, alla mercede della Spagna e <strong>di</strong> Carlo V.<br />

Ma chi poteva prevedere nel 1459 tante vicende?<br />

Per allora sembrava fatale che dall’ alto <strong>di</strong> una chiesa<br />

cristiana, scambio dello squillo delle campane, la voce<br />

dell’ imano invocasse anche su terra italiana il soccorso<br />

<strong>di</strong> Allah. Eppure non si trova che Francesco Sforza mo-<br />

(1) Pii l i , Commcnt., op. cit., p. 83.<br />

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— 86 —<br />

vcss^, in seguito, un solo <strong>di</strong>to per dare effetto alle pro­<br />

messe cosi solennemente giurate in quel congresso.<br />

La relazione del Camogli ( i ) é anche documento<br />

dell’ amore che egli sentiva sempre vivo per la patria,<br />

sebbene astretto dalla violenza delle fazioni ad abbando­<br />

narla. Egli si doleva che la repubblica genovese non si<br />

tosse fetta rappresentare al congresso, gli <strong>di</strong>spiaceva che •<br />

altri avesse notata l’ assenza, imputandola a negligenza<br />

del comune, mentre fra tutti gli italiani, i genovesi<br />

erano quelli la cui testimonianza avrebbe avuta più fede.<br />

L Ivani lascia intendere che lu la gelosia per l’ auto­<br />

rità sempre crescente <strong>di</strong> Cicco Simonetta, quella che lo<br />

indusse alla sua partita dal duca ; essa ad ogni modo<br />

non potè essere prima del 1462. In data del ’6 1 é <strong>di</strong>­<br />

futi una affettuosa lettera dal car<strong>di</strong>nale <strong>di</strong> Pavia <strong>di</strong>retta a<br />

lui che risiedeva sempre a Milano. In essa lo spronava a<br />

giovarsi de’ suoi buoni uffici e passare tosto in corte <strong>di</strong><br />

Roma (2). Ma Prospero, sebbene già avanti negli anni,<br />

nicchiava, sicché era ancora a Milano il 12 febbraio 1462,<br />

come parimente sappiamo da altra lettera già citata <strong>di</strong><br />

Niccolò Ceba. Né le amorevoli parole dell’ Ammannati<br />

ebbero forza <strong>di</strong> deciderlo per allora: forse alla sua indole<br />

subitanea ed ar<strong>di</strong>ta ripugnavano le vie coperte e i rag-<br />

fi) Ms. in Miscellanea Bibi. R. Università <strong>di</strong> Genova, E, III 28, riportata dal<br />

Nigna, Atti della <strong>Società</strong> Lig. <strong>di</strong> Stor. <strong>Patria</strong>, VI, 951.<br />

(2) I a c P ic c o l. , op. cit. — Non ha data, ma allude a lla d ig n iti della por­<br />

pora che I’Ammannati ottenne da Pio II , in detto anno. — Ego quod me<br />

oportebam feci, Juissem reprehendendus si secus fecissem. Quando in nostra castra<br />

Ictus migraveris, maiorem adhuc animum senties. Pontifex libi afficitur, fgo afficior,<br />

eadem erit omnium mens cum cognosci incipies. Incipiendum est autem non sero;<br />

ad multam aetatem iam pervenisti et quan<strong>di</strong>u nos qui te amamus simus victuri, »<br />

certum non habes.<br />

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— 87 —<br />

giri della curia, forse la morte del Piccolomini avvenuta<br />

due anni dopo e l’ elezione <strong>di</strong> Paolo II, papa vano, vio­<br />

lento, e in mala voce presso i letterati, lo sconfortò anche<br />

più. La protezione del car<strong>di</strong>nale <strong>di</strong> Pavia non poteva<br />

essergli <strong>di</strong> alcun vantaggio per allora; egli si mise al<br />

servizio <strong>di</strong> Federico III. E consigliere imperiale lo tro­<br />

viamo nel *69, al seguito del Cesare tedesco che si tra­<br />

vagliava contro i turchi. Il papa, occupato in altre fac­<br />

cende, l’ aveva lasciato solo nelle peste sebbene sollecitata<br />

<strong>di</strong> soccorso. — « Fra questo me<strong>di</strong>o, scriveva Prospero<br />

a Sagramoro Menclozzo, messer lo papa ne saluta, et<br />

bene<strong>di</strong>ce de su lo uscio » ( 1) , ossia ne bene<strong>di</strong>ce con<br />

l’ aspersorio dalla parte del manico. Parole singolari per<br />

lo meno in bocca ad un prete. Difatti egli aveva fin da<br />

quel tempo ricevuto gli or<strong>di</strong>ni sacri (2). L ’ Ivani, nove<br />

anni dopo, pareva dubitarne ancora ; ma l’ Ivani procede<br />

avverso anziché no al Camogli (3)» L amico era nel<br />

novembre del '69 oratore del duca in Firenze, e scrivendo<br />

a lui degli avvenimenti <strong>di</strong> là dalle Alpi si accontentava<br />

anche il magnifico Piero de’ Me<strong>di</strong>ci che ne era curioso.<br />

Sgraziatamente il linguaggio <strong>di</strong> Prospero si ravvolge<br />

spesso in ambagi come quello <strong>di</strong> una sfinge, ed ancora<br />

(1) Le due lettere a Sagramoro Menclozzo da Rimini, oratore ducale a Fi­<br />

renze, trovansi nell'Arch. <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Milano, Carteggio <strong>di</strong>plomatico, cartella no­<br />

vembre 1469, e mi furono cortesemente comunicate dal Prof. Neri. Il march.<br />

d’Adda, tra i mss. della Libreria Viscontea-Sforzesca fa cenno <strong>di</strong> parecchie let­<br />

tere <strong>di</strong>rette a Prospero Camulo da Sagramoro, governatore <strong>di</strong> Genova pel duca<br />

<strong>di</strong> Milano nel 1468. Bene congetturava il Desimoni (art. cit.) che quella corri­<br />

spondenza dovesse trattare della politica <strong>di</strong> quei tempi. Ne sono conferma<br />

queste due <strong>di</strong> Prospero al Sagramoro piene <strong>di</strong> allusioni politiche.<br />

(2) Jo v i accerto per li sacri or<strong>di</strong>ni in li quali io sutn. Lett. prima.<br />

(3) Haud longe post a Federico Romam venit ac inde, ut accepi, sacerdotium in­<br />

gressus aut sacerdotis imaginem gerens, ecclesiastico negocio in Britanniam conten<strong>di</strong>t.<br />

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dubita non essere cauto abbastanza, desidera corrispon­<br />

dere in citra. « Aspecto risposta de v o y , quale vorria<br />

tussi in zitra et me mandassi il cifrario per altra via, et<br />

così tenirò la magnificentia <strong>di</strong> Piero advisata et voi del<br />

tutto de qua quanto patirà la honestà m ia et fìdes in<br />

Caesarem ».<br />

Tocca brevemente della con<strong>di</strong>zione sua in quel m o­<br />

mento e delle cose occorsegli, ma con la concitazione<br />

<strong>di</strong> linguaggio <strong>di</strong> un uomo nervoso, affrettato, in cui l’ idea<br />

corre più veloce della parola : — « A D io, a la natura<br />

mia de che più volte m’ ha viti admonito per vostre dulce<br />

lettere et ala protession mia, io ho satisfacto per m odo<br />

che me si debe refare. Solum resta in me che io va<strong>di</strong><br />

dal re <strong>di</strong> Ungaria : io ve adviso che ne sum stato pre-<br />

gatissimo da Groffuecher (?) et lo mastro suo de casa,<br />

in mille ardori de preghiere; fin a qui non l’ ho facto<br />

donec intelligam quo animo inter Cesarem et ipsam<br />

maiestatem. Et ultra questo non ho potuto farlo per<br />

detecto de denari: io me ho perduto et argenti et velluti<br />

et libri et vestiti de chamelotto per ducati 2 2 4 in Trieste,<br />

al sacco de la cità, nec potui reparare. E t ho perduto<br />

multe mie scritture che sum mezo desperato ». D e’ be­<br />

nefizi ecclesiastici voleva servirsi per acquisto vagheggiato<br />

<strong>di</strong> in<strong>di</strong>pendenza, ed a quelli ricevuti dall’ imperatore unirne<br />

qualcun altro in Lombar<strong>di</strong>a od in Toscana: — « et a<br />

questo modo io porria andar e venir a le spese de la<br />

beneficentia loro, et servire eis quando usus esset et<br />

ha\er uno retracto quando li cani abaino de qua ». La<br />

sollecitu<strong>di</strong>ne in servir Piero de’ Me<strong>di</strong>ci non era senza il<br />

suo perchè. Bensì nell atto che chiede, fa Io svogliato<br />

e il grande. « Questo non vi ricordo per necessità<br />

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- 89 -<br />

alcuna mia, iurandovi per Dio che in Ungaria io haria<br />

<strong>di</strong> quelle cose grande che sapiti sono <strong>di</strong> là, quando io<br />

volessi, sed vellem et mihi et meis notum esse ».<br />

Ma lasciamo queste miserie e ve<strong>di</strong>amo il nostro Prospero<br />

sotto un altro aspetto e migliore. Come tutti i dotti<br />

del suo secolo, non sapeva <strong>di</strong>menticare, tra il volteggiarsi<br />

nei negozi politici del tempo, l’ amore pei libri antichi.<br />

— « Ricordai a la magnificentia de Piero uno libro de<br />

la Cosmographia de Ptolomeo che l’ avesse presentato<br />

a la maiestà Cesarea per parte sua, nam so chel seria<br />

stato utile et honorevole ; Dio sa eh’ io <strong>di</strong>co bene. A la<br />

maestà del rey io ho scritto et mandato dei mei proprii<br />

alle spese mie, sicché ho pagato al debito promesso ».<br />

Tutti gli storici dell’ umanesimo rammentano il co<strong>di</strong>ce<br />

<strong>di</strong> Livio regalato da Cosimo al magnanimo Alfonso.<br />

Forse per giu<strong>di</strong>care la <strong>di</strong>versa natura del moto intellet­<br />

tuale incominciato <strong>di</strong> qua e <strong>di</strong> là dalle Alpi, non è<br />

inutile comparare al Tito Livio aspettato con ansietà da<br />

un re, ormai fatto per abitu<strong>di</strong>ni italiano, quel co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong><br />

Tolomeo desiderato da un Cesare germanico e in <strong>di</strong>fetto<br />

del magnifico Piero, offerto da un povero prete <strong>di</strong> na­<br />

zione latina e cultore <strong>di</strong> quegli stu<strong>di</strong> latini che si guar­<br />

davano con sospetto ancora ed impazienza dal popolo<br />

tedesco. Quanto a Prospero, in mezzo a’ boemi solle­<br />

vati, <strong>di</strong> fronte ai turchi minacciosi, pregava Piero gli<br />

facesse trascrivere un’ Eneide e similmente Giovenale e<br />

Marziale — « tutti tre in uno volume oblongo alla<br />

marqua et de littera corsiva dunque bella, minuta perchel<br />

libro sia portatile, solacium itineris, iocondwnquc ochiculum<br />

(sic). Et per la spesa datemene adviso, perchè in Ve­<br />

netia ve gli provvedere) . . . ».<br />

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— 9 0 —<br />

Gli italiani erano maestri nel commercio librario d al­<br />

lora e bastava per tutti Vespasiano fiorentino. « In lo<br />

far arivar de li libri el mio padre Vespasiano, rei de li<br />

librari del m ondo, credo vi troverà lo m o d o bono e<br />

presto. Fra tre dì vado a Neustadt; udsit D eu s ». Ma<br />

il fatalismo italiano non nascondeva all’ acu to in gegn o<br />

il pericolo presentissimo, gli argomenti sc a rsi, m e<strong>di</strong>cine<br />

fredde, come chiamavaie Prospero. « Li turchi ne stren-<br />

gono mirum in modum, et non dubito in lo anno pro­<br />

ximo aut haran questa (Praga) presa, aut seran a le<br />

marine de la signoria (veneta) in quello de H ystria ».<br />

Non era <strong>di</strong>fficile essere profeta.<br />

La morte <strong>di</strong> Paolo II probabilmente lo decise ad en­<br />

trare nella curia romana. Anche a lui, come al Piccolo-<br />

mini, doveva tornare molesta la zotichezza <strong>di</strong> quei co­<br />

stumi oltremontani; e poi l'aveva detto con una delle<br />

sue trasi bizzarre: « vorrei essere noto a me ed ai m iei ».<br />

La benevolenza <strong>di</strong> Federico III tuttavia non gli venne<br />

meno. Di- vero nel ’y8 Sisto IV gli com m etteva tale<br />

incarico in cui la fiducia goduta dall’ eletto è con<strong>di</strong>­<br />

zione primissima per la buona riuscita. E gli era m an­<br />

dato oratore a Federico III per mettere term ine alla<br />

lite che durava da un pezzo tra’ due vescovi <strong>di</strong> C ostan za,<br />

ciascun de’ quali ritenendosi legittimo, scaraventava pel<br />

capo all’ altro titolo <strong>di</strong> intruso, eretico e siffatte dolcezze.<br />

La lettera dell’ Ivani si riferisce appunto a questo negozio.<br />

Desiderava il papa che coll’ autorità <strong>di</strong> Cesare si facesse<br />

un concordato, <strong>di</strong> maniera che l’ eletto <strong>di</strong> R om a restasse<br />

senza contrasto vescovo della chiesa <strong>di</strong> C ostanza ed<br />

all’ altro si desse un’ onesta pensione, o una parte dei<br />

benefizi pertinenti al vescovado per toglier via ogni ca-<br />

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— 9I —<br />

gione <strong>di</strong> litigio. E Sisto IV nelle faccende italiane non<br />

andava davvero colla moderazione della quale dà saggio<br />

in queste istruzioni impartite a Prospero. Le censure et<br />

reliqua opportuna reme<strong>di</strong>a si dovevano minacciare soltanto,<br />

ed in caso <strong>di</strong> pervicacia incorreggibile ; nel fatto atte­<br />

nersi a quanto proponeva l’ imperatore e se dopo ogni<br />

<strong>di</strong>ligenza ed istanza la concor<strong>di</strong>a riuscisse impossibile,<br />

procurasse che almeno all’ eletto <strong>di</strong> Roma, escluso dal-<br />

1’ ufficio, si concedessero la pensione ed i benefizi che<br />

nel primo caso si consentivano al pretendente. Ciò per<br />

togliere via ogni scandalo, res licet non sit in honore se<strong>di</strong>s<br />

apostolicae etc. (i). Ma forse la Chiesa <strong>di</strong> Costanza non<br />

era se non piccola parte, o un pretesto della missione<br />

<strong>di</strong> Prospero? Porterebbe a sospettarlo un passo della<br />

lettera dell’ Ivani. Prosper Camuleius genuensis, Ador-<br />

nianae factionis vir Spinularum familiae affectus, quem<br />

scribis iussu pontificis Helvetios ad bellum irritasse, mihi<br />

quidem notissimus est (2). Teniamo conto della data:<br />

si era nel '78, dopo la congiura Pazziana or<strong>di</strong>ta per<br />

istigazione del pontefice: fallito il colpo, Sisto IV e<br />

Ferrante avevano gettata la maschera e fatto invadere<br />

da un esercito la Toscana. Invano Luigi XI <strong>di</strong> Francia<br />

minacciava <strong>di</strong> appellarsene ad un concilio, invano l’ im­<br />

peratore e 1’ ungherese Mattia ne ammonivano il papa.<br />

Questi furioso voleva farla finita con Lorenzo de’ Me­<br />

<strong>di</strong>ci e contro i collegati suoi, tra cui Milano, e maturava<br />

sinistri <strong>di</strong>segni. Per tutta risposta a quei richiami, eccitò<br />

(1) Monumenti storici <strong>di</strong> Sisto IV , Ms. Bibl. Università in Genova, C. IV, io.<br />

(2) Lett. cit. a Filippo Gheri,<br />

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Genova a ribellarsi contro Milano e indusse g li svizzeri<br />

a invaderne le frontiere ( i ) .<br />

Si servì Sisto IV per la iniqua opera del C a m o g li?<br />

Il Gheri lo scrisse, l’ Ivani lo credeva; m a g lie l’ avrebbe<br />

perdonata Federico 111, risapendolo, com e d o v ev a pur<br />

accadere? Eppure l’ imperatore nell’ anno su ccessivo lo<br />

faceva eleggere a console in Genova per la nazione te­<br />

desca (2). Bisognerebbe, se fosse vero, com p ian gere il<br />

Camogli che spendeva un bell’ ingegno al se rv iz io della<br />

peggiore delle cause. Ma 1’ umanista sarzanese in questa<br />

lettera, oltre che prevenuto, non si <strong>di</strong>mostra gran fatto<br />

informato. Già vedemmo eh’ egli stava incerto se Prospero<br />

avesse ricevuto gli or<strong>di</strong>ni sacri, quando invece le istru­<br />

zioni <strong>di</strong> Sisto, nello stesso anno, lo in<strong>di</strong>cano col titolo<br />

<strong>di</strong> vescovo catanense. Il Desimoni osserva giu stam en te<br />

che se s’ intende <strong>di</strong> Catania, forse non sedette m ai com e<br />

tale, nè l’ Ughelli, né il Gams portano in alcun lu o g o<br />

il suo nome. Probabilmente, affaccendato in n egozi poli­<br />

tici, non gli avanzò tempo <strong>di</strong> risiedere nella sua <strong>di</strong>ocesi<br />

e <strong>di</strong> attendere al bene spirituale del gregge affidatogli.<br />

Egli appartiene alla schiera <strong>di</strong> coloro che recitavano da<br />

attori sulla scena del bene e del male. L ’ eco degli ap­<br />

plausi é cessato da lunga mano ed é m olto se della<br />

lode resta una languida memoria. Nella nosrra rapida<br />

rivista dobbiamo ora <strong>di</strong>scorrere <strong>di</strong> taluno cui é debito<br />

con più ragione il titolo <strong>di</strong> letterato.<br />

Già m’ accadde più volte <strong>di</strong> far parola <strong>di</strong> G ottardo<br />

Stella. Della sua attività come cancelliere della Repub-<br />

(1) G regorovius, op. cit., VII, 2 9 1.<br />

(2) Desim o n i, art. cit.<br />

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- 93 “<br />

blica sono testimonianza le numerose lettere da lui<br />

scritte per or<strong>di</strong>ne pubblico, della dottrina umanistica<br />

l’ onorevole menzione del Biondo nell’ Italia illustrala.<br />

Era nato a Sarzana ed il suo vero nome era Gottardo<br />

de’ Donati; ma accolto nella famiglia Stella 1’ anno 1454,<br />

assunse in appresso questo cognome (1). Il Cerini pone<br />

la sua venuta a Genova nel 1435 ; e la data si rende cre­<br />

<strong>di</strong>bile, perché lo Scalamonti, nel citare i <strong>di</strong>stinti letterati<br />

che Ciriaco conobbe nella sua visita in questa città, ri­<br />

corda il Bracelli e Niccolò da Camogli, ma tace <strong>di</strong> Got­<br />

tardo (2). Il viaggiatore anconitano in fatto <strong>di</strong> lo<strong>di</strong> se­<br />

guiva l’ oraziano : haec damusque petimusque vicissim , e<br />

c è da scommettere uno contro cento che non sarebbe<br />

passato in silenzio il nome del vivace sarzanese, se si<br />

fosse in quell’ anno trovato a conversare con lui. La<br />

repubblica, per succedersi <strong>di</strong> signorie e specialmente la<br />

famiglia Fregoso, non mancò <strong>di</strong> valersi dell’ opera sua<br />

in pubbliche ambascerie ed in gelosi negozi. Sarebbe<br />

cosa lunga fare un elenco delle prime e si starebbe pur<br />

sempre a rischio <strong>di</strong> <strong>di</strong>menticarne (3). Piuttosto mi piace<br />

toccare dei secon<strong>di</strong> e <strong>di</strong> un curioso documento del '48<br />

(1) Cfr. un eru<strong>di</strong>to articolo dell’egregio N e r i, Giorn. Ligustico, III, 125, segg.<br />

(2) C e r i n i; Memorie stor. <strong>di</strong> Luttigiana, I , 55. — S c a la m o n t i; Vita <strong>di</strong> Ci­<br />

riaco, cit.<br />

(j) Ve<strong>di</strong>ne il ricordo passim in G iu st in ia n i, op. cit. e nna ragionata serie in<br />

N e r i; art. cit. Cui sarebbe da aggiungere una missione del '37 nella Luni-<br />

giana per or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Tommaso Campofregoso. Doveva radunarvi 500 armigeri<br />

da consegnare a Giorgio Grillo per tentare <strong>di</strong> ricuperare le terre occupate da<br />

Niccolò Piccinino (C ic a l a , Ms. cit., a. 1437. — Cfr. N e r i ; Giorn. L ig., a. X V ,<br />

p. 173). N e l'40 è ambasciatore a Firenze, per informare il sùo governo sulle<br />

cose <strong>di</strong> Toscana e <strong>di</strong> Forlì segnatamente. Nel '58, con Battista Goano e tre<br />

altri citta<strong>di</strong>ni genovesi è mandato al re <strong>di</strong> Francia, cui si era data la città e do­<br />

minio <strong>di</strong> Genova.<br />

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che non trovo citato in alcuno <strong>di</strong> coloro che <strong>di</strong>scorsero<br />

<strong>di</strong> Gottardo. È questo un’ assai misteriosa lettera <strong>di</strong> Giano<br />

Fregoso in data del 6 settembre allo Stella allora in<br />

Milano. Per altro la notizia del tempo lascia intrav-<br />

vedere ed indovinare il secreto lavorio. Pare che il doge<br />

avesse intercettato un documento che com provava il tra­<br />

<strong>di</strong>mento del conte Francesco Storza verso la repubblica<br />

ambrosiana.<br />

- 94 —<br />

Il doge chiedeva ai magnifici capitani un uom o fidato<br />

cui rivelare i particolari del fatto, ma nello stesso tempo<br />

dava a Gottardo incarico <strong>di</strong> far doppio giuoco col conte,<br />

mettendolo cautamente sull’ avviso. A m bagi <strong>di</strong> quella<br />

sciagurata politica e della politica d’ ogni tem po. Gottardo<br />

si fece esecutore <strong>di</strong> quelle manovre ambidestri ? Non<br />

rinvenni altro documento oltre il presente, e del resto<br />

la battaglia <strong>di</strong> Caravaggio avvenuta il 15 settem bre rom­<br />

peva gli indugi. Lo Sforza agiva ormai svelatam ente ;<br />

la repubblica ambrosiana, irrisione della sorte, era per­<br />

duta per le vittorie, anziché per le sconfìtte del suo ge­<br />

nerale (1).<br />

Un altro particolare parimente taciuto é la prigionia<br />

sopportata da Gottardo, che nel 1442 fu coinvolto nella<br />

caduta <strong>di</strong> Tommaso Campofregoso e de’ suoi aderenti.<br />

Se il manoscritto onde tolgo la notizia non com m ette<br />

errore, ed ho ragione <strong>di</strong> non crederlo, la sua cattura sa­<br />

rebbe durata due anni circa, avendo egli seguito, per T o m ­<br />

maso solo fu fatta eccezione, la sorte degli altri Frego so ,<br />

che soltanto nell’ aprile del '44 furono liberati con ri­<br />

sarcimento dei danni patiti. Nello stesso luogo si <strong>di</strong>ce<br />

(i) Ms. Br. c. 94, Veci. Documento IX , in fine.<br />

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— 95 -<br />

pure che a Gottardo in virtù <strong>di</strong> detta pace fu restituita<br />

per due anni la scrivania <strong>di</strong> Scio. Il che concorderebbe<br />

in parte con la notizia portata dal Serra, ossia che<br />

egli fu cancelliere dell’ uffizio <strong>di</strong> Gazaria e <strong>di</strong> Cipro (i).<br />

Come avviene <strong>di</strong> tutti coloro che ebbero molta parte<br />

nelle faccende del loro tempo e si urtarono con molti<br />

uomini, egli fu segno senza dubbio <strong>di</strong> o<strong>di</strong> ed amori,<br />

<strong>di</strong> ammirazione e <strong>di</strong> biasimo. Il Panormila in una fiera<br />

lettera, per non <strong>di</strong>rla arrogante, che per or<strong>di</strong>ne d’Alfonso<br />

scrisse nel 1456 al doge e all’ officio <strong>di</strong> Balia, ce lo<br />

presenta in atto <strong>di</strong> basso cortigiano. — Aderat quidem<br />

Gotardus ipse tunc legatus vester, cum episcopus Atreba-<br />

tensis communi omnium legatorum nomine <strong>di</strong>serta quidem<br />

oratione me oraret, ut genuenses quoque in universalem<br />

pacem susciperem, cumque ego responderem genuenses pro<br />

sua perfi<strong>di</strong>a paena potius quam pace <strong>di</strong>gnos videri, excla­<br />

masse Gotardum (quis non viderit genibus provolutum?)<br />

tua nos saltem clementia, rex humanissime, hac pace <strong>di</strong>gnos<br />

efficiat. — II Panormita allude alle pratiche tentate<br />

già più volte, per venire ad una pace generale degli<br />

Stati italiani e apj arecchiare la guerra contro il Turco.<br />

E come ambasciatore al papa ed al re, la repubblica<br />

aveva inviato il cancelliere Gottardo ; ma tanto era<br />

F o<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Alfonso contro i genovesi e si vivo ancora il<br />

ricordo della vergogna patita a Ponza, che dall’ accordo<br />

generale essi vennero nominatamente esclusi, mentre il<br />

re si travagliava per balzare dal seggio ducale Pietro<br />

Campofregoso e ricondurvi gli Adorno. L ’ ambasciata<br />

che qui si ricorda dello Stella e Fatto suo veramente<br />

(1) C ic a la , M s. cit., ad. a. 1444. — S e r r a ; <strong>Storia</strong> <strong>di</strong> Genova, <strong>di</strong>sc. IV, § 18 .<br />

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non <strong>di</strong>gnitoso per l’ oratore <strong>di</strong> una repu bblica, d o vreb ­<br />

bero riferirsi all’ anno 1455. Ma l’ aneddoto sarà poi v ero ?<br />

Il Fazio passa sulle lo<strong>di</strong> <strong>di</strong> Gottardo con un m e<strong>di</strong>tato<br />

e significante silenzio, egli che non la g u a rd a v a tanto<br />

pel sottile a proposito <strong>di</strong> molti altri : tranne il solito<br />

facundum viru m , non una parola <strong>di</strong> più nel libro X<br />

della sua <strong>Storia</strong>, dove ricorda l’ ambasciata del cancelliere<br />

genovese al re, e nel libro D e v iris illu strib u s 1’ elo gio<br />

<strong>di</strong> Gottardo é saltato a pie’ pari. In com penso egli godè<br />

la stima de’ reggitori della repubblica , <strong>di</strong> principi illu­<br />

stri, <strong>di</strong> letterati e statisti autorevoli come Francesco Bar­<br />

baro. Questo all’ amico Bertuccio N eg ro , che nel *51<br />

veniva ambasciatore della serenissima veneta a G en o va<br />

scriveva: « Mi fu riferito che e del Bracelli e <strong>di</strong> G o t­<br />

tardo si possono trovare costi molte orazioni e lettere<br />

<strong>di</strong> grave dettato ed elegante. Mi farai cosa grata, se al<br />

tuo ritorno procaccerai che a me pure sia fatta parte<br />

delle loro scritture. Quanto e 1’ uno e 1’ altro valgan o<br />

per consiglio, quanto sia il loro valore e nel <strong>di</strong>re e nello<br />

scrivere, è noto » (1). Il nobile senatore e procuratore<br />

<strong>di</strong> S. Marco intratteneva volentieri corrispondenza <strong>di</strong> cose<br />

genovesi con uomini genovesi. Delle sue lettere più an­<br />

tiche sono quelle del '36, tra cui una a .T o m m a s o F re­<br />

goso che dalla rivolta delia patria contro il Visconti<br />

usciva doge. Il Barbaro sperava che mercé la virtù <strong>di</strong><br />

lui, la città sarebbe liberata da ogni timore <strong>di</strong> servitù (2 ).<br />

(1) C/terum quia relatum est mihi complures orationes et epistolas utriusque<br />

non minus graviter quam eleganter scriptas istic in v en iri, m ihi g ra ta m rem fa c ie s<br />

si dederis operam ut in tuo re<strong>di</strong>tu nos quoque particeps fa c ia s reru m su a ru m .<br />

Quantum uterque consilio valeat, quantum etiam possit <strong>di</strong>cendo et scribendo satis<br />

constat. Lett. al Negro, 12 <strong>di</strong>c. 1451.<br />

(2) Venezia, 13 aprile 1436.<br />

— 96 —<br />

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- 97 —<br />

E le stesse speranze esprimeva dopo 1’ elezione al geno­<br />

vese Bartolomeo Guasco, il maestro <strong>di</strong> grammatica che<br />

altrove ci avvenne <strong>di</strong> ricordare, istitutore forse dei nipoti<br />

<strong>di</strong> Tommaso e custode della biblioteca privata da<br />

questo radunata, come <strong>di</strong>remo più oltre. Figuratevi se<br />

il buon grammatico non avrà fatto la ruota per tanta<br />

degnazione del patrizio veneto. « Mi rallegro teco clic<br />

ad illustre capo dei genovesi sia stato designato Tom ­<br />

maso Fregoso, il quale eccelle sovra tutti per consiglio,<br />

virtù e grandezza d’ animo » (i). Tra i due letterati<br />

genovesi ed il Barbaro c’ era scambio <strong>di</strong> cortesi uffici e<br />

profferte d’ amicizia cor<strong>di</strong>ali, sebbene alquanto in gota<br />

contegna da parte del senatore — l’ uomo era fatto<br />

così — con molta deferenza da parte del Bracelli e dello<br />

Stella. Si cerchi da chi n’ è curioso quella corrispondenza<br />

nell’ epistolario raccolto dal Quirini (2). Io riferirò qui<br />

una breve lettera del Bracelli a lui, che credo ine<strong>di</strong>ta, e<br />

delle e<strong>di</strong>te ricorderò solo quella che il Barbaro in<strong>di</strong>riz­<br />

zava a Gottardo, pregandolo scherzosamente a riman­<br />

dargli un Cornelio Tacito che avevagli imprestato. La<br />

lettera ine<strong>di</strong>ta accenna, se non erro, a’ rapporti del Bar­<br />

baro colla repubblica genovese ed in essi il Bracelli,<br />

come cancelliere, doveva tornargli certamente utile (3),<br />

(1) Tecum igilur laetor Thomam Fregosium qui consilio virtute ac magnitu<strong>di</strong>ne<br />

animi excellit, illustrem ducem genuensium designatum esse.<br />

(2) F r . B a r b a r i et aliorum ad ipsum Epist., Brixiae, 1843. Cfr. a n c h e : S a b b a­<br />

d i n i; Lettere ine<strong>di</strong>te <strong>di</strong> Fr. Barbaro.<br />

(3) Ms. Pallavicino, in Arch. municip. <strong>di</strong> Genova.<br />

Cl. militi patri lion. Fr. Barbaro ili. dominii Venetiorum legato apud Me<strong>di</strong>o­<br />

lanum :<br />

Est milii inter summas precipuasque voluptates, magnifice et cl. miles, te non opi ­<br />

nari modo, sed verius experiri quanti tc faciam quum soleam virtutes tuas et mt-<br />

Atti S oc. L io. St . <strong>Patria</strong>. Voi. XXlll.<br />

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l’ altra allo Stella, dopo gli affari pubblici de’ quali amava<br />

intrattenersi con lui, parla <strong>di</strong> cose letterarie e più pre­<br />

cisamente dello storico latino. « T e ne prego, gli scrive<br />

celiando, tratta in tal modo Cornelio che costi sia ospite,<br />

non concitta<strong>di</strong>no ; né averlo tanto caro che scor<strong>di</strong>, come<br />

si narra dei Lotofagi, l’ antico domicilio » ( i ) . Era una<br />

copia <strong>di</strong> quel prezioso co<strong>di</strong>ce che il Niccoli aveva ge­<br />

losamente custo<strong>di</strong>to, non consentendone la trascrizione<br />

se non a pochissimi amici, tra cui Francesco Barbaro.<br />

La data della lettera ci chiarisce che do<strong>di</strong>ci anni prima<br />

che al card. Bessarione , lo storico latino era noto nel<br />

circolo dei letterati genovesi. Difatti solo nel '53 questi<br />

riusciva a trarne per suo uso una copia.<br />

Gottardo ebbe verde vecchiaia e vide gran parte degli<br />

avvenimenti del suo secolo: era ancor vivo nel ’88, poi­<br />

ché 1 ultimo atto che ci occorre <strong>di</strong> lui é appunto <strong>di</strong> quel-<br />

1 anno. IZ prima <strong>di</strong> morire ebbe il conforto <strong>di</strong> sentir le<br />

lo<strong>di</strong> del figlio Giuliano encomiato per il suo anim o vi­<br />

rile nell impresa <strong>di</strong> Otranto e da Sisto IV creato cava­<br />

liere dello spron d’ oro (2). Giuliano era uno dei patroni<br />

rari et pre<strong>di</strong>care- unde cultus ille tui et observatio nata est. Letus accepi litteras<br />

tuas’ ^ tus ^eS l> de<strong>di</strong>que operam ut rnox illustrissimo domino du ci rescriberetur : lit-<br />

t/ras magnificentie tue mitto et preter eas breve quoddam cu i inscriptio tua inest.<br />

Si quid a me ahud curari iubes, in<strong>di</strong>ca et vale. Ex Genua, idus fe b r . 14 44-<br />

(1) Lettera da Venezia a. 1440. Cfr. S a b b a d in i, op. cit.<br />

T. de. B r . tuus.<br />

(2) Elco il breve che Leonardo Grifo, per or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Sisto IV , m andava a<br />

Gottardo (Ms. Bibl. Università in Genova, copia tratta dal Co<strong>di</strong>ce M agliab. 116 ).<br />

Gotardo Stelle cancellario nostro<br />

— 98 —<br />

Dilecte fili salutem eie. Redeuntibus Januam patronis trirerniiurn classis nostre<br />

visum est nobis specialiter de Iuliano filio tuo, uno ex ipsis patronis, a liq u id ad le<br />

, ita enim virtus eius et laudabiliter impensa opera req u irit, quippe, qui iti<br />

cristiane religionis negocio viriliter se gessit, nostreque de eo optimae opinioni<br />

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- 99 —<br />

delle ventun galere, che la repubblica nel 1481 aveva<br />

armato per cooperare alla ricuperazione dell’ infelice città<br />

presa e menata a strazio dal Turco. Nel 1483 egli é<br />

noverato tra i padri del comune.<br />

Che cos’ é rimasto <strong>di</strong> Gottardo come letterato? In<br />

sostanza poco più che il nome, poiché non bastano ad<br />

una durevole fama letteraria, le lettere scritte per ragion<br />

d’ ufficio, e queste copiose, in parecchi volumi d’Archivio<br />

contrad<strong>di</strong>stinti dal suo nome, e l’ orazione da lui pro­<br />

nunziata <strong>di</strong>nanzi a Pio II nel congresso <strong>di</strong> Mantova. La<br />

repubblica, per timore <strong>di</strong> re Carlo VII che avversava la<br />

crociata voluta dal papa, non aveva inviato oratori in<br />

quell’ occasione. Pio II se ne dolse, instette e finalmente<br />

addì 25 ottobre 1459 il re accon<strong>di</strong>scese che Meliaduce<br />

Saivago e Gottardo Stella, da Venezia dov’ erano, si<br />

unissero agli inviati regi e si recassero a Mantova (1).<br />

Fu allora che il cancelliere genovese fece il suo <strong>di</strong>­<br />

scorso, povero fiore perduto tia’ fioretti e fioracci retto­<br />

ria che spampanarono allegramente all’ aure propizie <strong>di</strong><br />

quel congresso. Ed il Serra, ed il Neri più recentemente,<br />

lodano coteste scritture, per chiarezza e sapore <strong>di</strong> lingua<br />

classica, malgrado le in<strong>di</strong>spensabili voci moderne, per le<br />

appropriate sentenze in cui alcuna volta il lettore s’ av­<br />

viene <strong>di</strong> Cicerone e <strong>di</strong> Seneca, non che dei classici greci<br />

o de’ Padri della Chiesa. Il marchese Girolamo Serra<br />

plene correspoii<strong>di</strong>t. Nos autem in signum nostri erga eum amoris et propter eius<br />

merita ac etiam quia te paterne complectimus creavimus ipsum equitem auratum<br />

eumque, sicut ei <strong>di</strong>ximus, in <strong>di</strong>es commendatum habebimus ; quod pro consolatione tua<br />

volumus bis nostris litteris significare. Datum Corneti etc., <strong>di</strong>e IV oclobris 14 ÌSI,<br />

anno xi.° Pont. nost.<br />

(i) C fr. N e r i, art. cit<br />

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possedeva poi, come nella sua storia attesta, un co<strong>di</strong>ce,<br />

torse autografo ed unico, contenente <strong>di</strong> G ottardo un'altra<br />

orazione a Galeazzo duca <strong>di</strong> M ilano, una lettera conso­<br />

latoria ad Ambrogio Senarega in morte <strong>di</strong> su o figlio,<br />

un elogio storico a Gaspare Vimercate govern atore du­<br />

cale ed un’ esortazione agli anziani <strong>di</strong> G enova dell’ anno<br />

1466. Ed ancor esso, come tanti altri, andò sm arrito.<br />

Però molto probabilmente, se anche conservato, non avrebbe<br />

aggiunto gran cosa al suo nome. La cancelleria, vanto e<br />

tormento dell’ umanesimo, assorbiva la parte m igliore <strong>di</strong><br />

quegli uomini. Forse egli non ebbe, come l’ am ico suo<br />

Bracelli, il culto <strong>di</strong>sinteressato e modesto delle lettere;<br />

ma è pur vero che né il Bracelli nè alcun altro dei dotti<br />

notai cancellieri produsse quanto avrebbe p o tu to , colpa<br />

la penuria <strong>di</strong> tempo, e gli affari molti che preoccupavano<br />

e <strong>di</strong>straevano la mente.<br />

La stancavano anche: e il Bracelli, scrivendo all’A sse­<br />

reto, si rallegrava che fosse capitato a G enova Antonio<br />

da Pesaro, poiché la sua venuta gli procurava una va­<br />

canza più lunga delle pur sospirate ferie pasquali ( 1 ) . Se<br />

pensiamo che l’ ambito segretariato avrebbe, quasi certa­<br />

mente, tolto modo al Machiavelli <strong>di</strong> scrivere la M an­<br />

dragola e le sue gran<strong>di</strong> opere storiche, vien voglia <strong>di</strong><br />

bene<strong>di</strong>re anche la relegazione a San Casciano e la tor­<br />

tura onde lo regalarono i Me<strong>di</strong>ci.<br />

Del Curio, per andare in or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> tempo, avrei do­<br />

vuto <strong>di</strong>r prima; ma le poche notizie biografiche, che in<br />

questo luogo riassumo, si collegano in qualche parte con<br />

il Cassarino, e mi conducono senza salti a parlare <strong>di</strong> questo<br />

fi) Lettera cit. 5 giugno 1445.<br />

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— IOI —<br />

grammatico e degli altri. Mi sia dunque permesso, una<br />

volta tanto, <strong>di</strong> scusarmi anch’ io col verso :<br />

D irvelo prim a o poi tant' è lo stesso —<br />

e cominciamo. Egli era stato <strong>di</strong>scepolo del grammatico<br />

siciliano, col quale mantenne in seguito calda amicizia,<br />

sebbene non pare che persistesse molto negli stu<strong>di</strong>. Tra<br />

le lettere d ’ ufficio del Bracelli ve n’ ha una, in nome<br />

dell’ arcivescovo Bartolomeo Capra, con cui si raccomanda<br />

caldamente il giovine Giacomo Curio al re <strong>di</strong> Cipro.<br />

Da essa rileviamo che il Curio si recava colà coll’ in­<br />

tenzione <strong>di</strong> <strong>di</strong>morarvi, e <strong>di</strong> attendere forse alla merca­<br />

tura che attirava anche i figli <strong>di</strong> nobili famiglie in pro-<br />

vincie lontane dalla patria. La giovine età <strong>di</strong> lui non<br />

potrebbe giustificare altra congettura (i). Quanta <strong>di</strong>­<br />

mora vi facesse e che cosa positivamente, ignoro. Nella<br />

vita del Curio rimane una lacuna da quest’ anno fino<br />

al 1441, che non mi é riuscito <strong>di</strong> colmare. Certo in<br />

quest’ anno trovavasi già da qualche tempo nella cancel­<br />

leria genovese, o meglio forse al servizio de1 Fregoso,<br />

poiché a’ 2 gennaio era mandato dal doge Tommaso<br />

ambasciatore alla regina <strong>di</strong> Gerusalemme e <strong>di</strong> Sicilia. E<br />

da questo tempo, fino alla sua partita definitiva da Ge­<br />

nova, gli incarichi pubblici si seguono: nel 1446 amba­<br />

sciatore a Firenze, nel '48 al conte Francesco Sforza,<br />

(i) A rch . <strong>di</strong> Stato in G enova, Litterarum 3, Ja c o b i de B r a c ., 26 agosto 14 2 8 .<br />

Acce<strong>di</strong>! ad maiestatis vestre conspectum <strong>di</strong>scretus adolescens Iacobus Curius, civis<br />

noster <strong>di</strong>lectus, eo proposito ut scilicet sub umbra serenitatis vestre eiusque obsequiis<br />

intentus vitam agat. Sperat enim ut maiestas vestra in omne humanitatis et tnu-<br />

nificentie genus sponte sua proclivis devotissimum affectum eius gratum habitura<br />

s it . . . .<br />

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torse per il doppio giuoco voluto ed or<strong>di</strong>nato da G ian o<br />

con il conte e la lepubblica ambrosiana ( i ) > n e^ 5 °<br />

(8 novembre) per rallegrarsi con esso S fo rz a in quel<br />

mezzo <strong>di</strong>venuto duca <strong>di</strong> Milano. Ma aneli’ egli forse <strong>di</strong>­<br />

sperando per sé, in mezzo ai frequenti tum ulti g en o vesi,<br />

forse scontento <strong>di</strong> Pietro Fregoso, assai d iverso dal vec­<br />

chio doge Tommaso, abbandonava dopo q u e ll’ anno la<br />

patria e riparava a Napoli sotto la protezione <strong>di</strong> A lfo n so .<br />

Certo l’ esempio e la fortuna dell’ amico suo B a rto lo m e o<br />

Fazio dovettero entrarci per molto nella decisione presa.<br />

D’ altra parte un eru<strong>di</strong>to amanuense e m iniatore elegante,<br />

com’ era il Curio, doveva tornare assai utile al letterato<br />

ligure allora già salito al grado <strong>di</strong> storiografo del re<br />

Aragonese. Poiché Giacomo Curio non toccò pu n to le<br />

vette dell’ umanesimo, sebbene fosse m olto stim ato in<br />

corte, e l’ opera sua <strong>di</strong> supplemento alla traduzion e <strong>di</strong><br />

Arriano, che il Facio lasciava interrotta per m o r t e , ne<br />

<strong>di</strong>mostri la dottrina (2). Duole che sia per anco ine­<br />

<strong>di</strong>to e smarrito tra i manoscritti <strong>di</strong> casa G alliera il<br />

poemetto latino, che il Curio scriveva a com m em orare<br />

la splen<strong>di</strong>da vittoria conseguita da Paolo F re g o so nel<br />

1461 sopra i francesi, presso il colle <strong>di</strong> P ro m o n to rio .<br />

Di poesia latina il quattrocento genovese produsse cosi<br />

poco che, sto per <strong>di</strong>re, anche ogni piccolo pruno farebbe<br />

(1) C icala, Ms. cit., ad ann. 1448. — a II doge e il consiglio degli A n zian i<br />

gli <strong>di</strong>edero istruzione, nella quale si <strong>di</strong>ce essersi inteso che (il C on te) h a m utato<br />

con<strong>di</strong>zione e che ha fatto amicizia con Veneziani, e che lo <strong>di</strong>ca, acciocch é se<br />

ne possa havere cousolatione e che si escusi da prestare li danari dom and ati per<br />

le spese della guerra con Finaro ».<br />

(2) Amicissimi!j fu il Curulus Barlh. F a cii et a<strong>di</strong>utor in supplen<strong>di</strong>i ip siu s operibus.<br />

Mittarelli, op. cit.<br />

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— 103 —<br />

siepe ; ed inoltre sarebbe questa l’ unica opera veramente<br />

letteraria <strong>di</strong> Iacopo, su cui fondare il valore <strong>di</strong> lui come<br />

scrittore (i). Allo stato attuale, il suo ufficio in corte<br />

dell’Aragonese segnatamente, è anzi tutto quello <strong>di</strong> un<br />

bibliofilo ed amanuense, <strong>di</strong> un degno compagno insomma<br />

del Niccoli, <strong>di</strong> Vespasiano fiorentino, che intorno allo<br />

stesso tempo levavano <strong>di</strong> sé tanto nome, pur in que­<br />

sta parte materiale della produzione eru<strong>di</strong>ta. Camillo<br />

Minieri Riccio ci fa sapere che il nostro Iacopo era uno<br />

degli otto amanuensi stipen<strong>di</strong>ati dai re Alfonso e Fer­<br />

rante, e che percepiva dal regio tesoro la somma <strong>di</strong><br />

trecento ducati (2). Di alcuno de co<strong>di</strong>ci trascritti da lui<br />

ci danno poi notizie il Delisle ed il Prof. Mazzatinti.<br />

si trovano qua e là sparpagliati, uno nella Biblioteca<br />

Nazionale <strong>di</strong> Parigi, che raccolse in parte le spoglie della<br />

ricca biblioteca aragonese <strong>di</strong> Napoli, ed é una copia della<br />

storia <strong>di</strong> Giustino rilegata colle armi del re Alfonso in<br />

fine, scritta in rosso ed in maiuscole, portando questa<br />

sottoscrizione : Listini Epithome historiar. Trogi Pompei<br />

liber X L1II explicit <strong>di</strong>vo Alphonso regi, Iacobus Curlus<br />

ut potuit excnpsit; altri due sono nella biblioteca del se­<br />

minario <strong>di</strong> Siracusa ed in quella del principe Torella <strong>di</strong><br />

Napoli; il primo copia <strong>di</strong> cinque libri delle istituzioni<br />

del Trapezunzio de<strong>di</strong>cati ad inclitum regem Alphonsum,<br />

il secondo, il libro d’ ore dello stesso principe, adorno <strong>di</strong><br />

(1) Anni passati, mi scrive il comm. Belgrano, il canonico Grassi ne dava<br />

ragguaglio alla <strong>Società</strong> <strong>Ligure</strong> <strong>di</strong> <strong>Storia</strong> patria, come <strong>di</strong> lavoro che egli ebbe<br />

la fortuna <strong>di</strong> poter leggere a suo agio. Peccato che l’ egregio canonico non ne<br />

abbia tratta una copia.<br />

(2) M in ie r i R ic c io ; Cenno storico dell'Accademia Alfonsina, p. io, nota 8.<br />

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— 104 —<br />

miniature e con lo stemma aragonese ( i ) . C o d ici e mi-<br />

niaturature che, siccome bene osserva il P ro f. M azza­<br />

tinti, « illustrano la storia ancora in gran parte ignota<br />

della biblioteca dei re d’ Aragona ed offrono preziosi<br />

materiali per la storia della coltura nel seco lo X V ».<br />

Un altro lavoro del Curio si restringe ad essere in fine<br />

una compilazione: tuttavia é mirabile come in quel fer­<br />

vore <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> quattrocentisti tutte le forze d ell’ in gegn o ,<br />

dalle più alte alle più umili, avessero un utile im piego.<br />

Il Curio stesso, nella lettera de<strong>di</strong>catoria a Fer<strong>di</strong>nan do, ri­<br />

corda il motivo occasionale del libro. Alcuni m esi prim a<br />

della morte del magnanimo Alfonso, finito il desinare,<br />

questi si era ritirato nella ricca biblioteca della sua re­<br />

sidenza <strong>di</strong> Castelnuovo per ascoltarvi la so lita lezione<br />

quoti<strong>di</strong>ana <strong>di</strong> Antonio Panormita. Assistevano il figlio<br />

Fer<strong>di</strong>nando, il Curio ed alcuni altri famigliari, ed essendo<br />

stata fatta menzione del commentario <strong>di</strong> E lio D on ato<br />

sopra Terenzio, il re commetteva incarico al C u rio <strong>di</strong><br />

ridurlo, per maggior como<strong>di</strong>tà, in forma <strong>di</strong> vocabolario.<br />

Di tali sussi<strong>di</strong> nel commentare i classici sentivasi allora<br />

(i) 11 primo co<strong>di</strong>ce trovasi sotto l'in<strong>di</strong>cazione: fondo latino, n u m e ro 49 56. Il<br />

Trapezunzio fu regalato alla biblioteca del seminario <strong>di</strong> Siracusa dal conte C e ­<br />

sare Gnetani ; è membranaceo con iniziali miniate e consta <strong>di</strong> ff. 3 1 4 . In fine,<br />

in caratteri maiuscoli, leggesi: G e o r g ii T r a p e z u n t i i qnintus et u ltim u s rethoricum<br />

hber explicit: D ivi regis Alfonsi iussu Iacobus Curlus excripsit. Il libro p orta lo<br />

stemma nel recto del fol. 7, con questa nota in carattere m aiuscolo nel penul­<br />

timo foglio : Iacobus Antonius Curlus d iv i Alphonsi regis iussu e x scrip sit<br />

feliciter. Cfr. L éo po ld D e l i s l e ; Le Cabinet des Mss. de la Bibl. N a tio n a le , P aris,<br />

1868. G. M a z z a t in t i , La Bibl. Aragonese d i N a p o li, relazione a l M in istro<br />

delta Pubb. Istruzione, in Bollet. uffic. anno 18 8 7 , n. 1064. D e’ co<strong>di</strong>ci trascritti<br />

e miniati da un Ippolito Lunense al tempo <strong>di</strong> Fer<strong>di</strong>nando I dà pure im portanti<br />

notizie il benemerito Prof. M a z z a t in t i, R e l a cit. Nella de<strong>di</strong>ca d’ un trattato sulle<br />

pietre preziose da esso Ippolito volgarizzato, egli si denomina re g iu s lib r a r iu s .<br />

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— 105 —<br />

forte il bisogno e lo nota anche il compilatore: Caeteri,<br />

ut Papias, Ugutio, Catholicon et si qui alii huiusmo<strong>di</strong><br />

vocahularia, ut aiunt, e<strong>di</strong>derunt, non multi apud literatos<br />

habentur, quos ego tamen non <strong>di</strong>co negligendos (i). Cosi<br />

nacque il lavoro; enei modo identico mi figuro, ossia<br />

per un autorevole desiderio dell’ illustre suo mecenate,<br />

avrà avuto origine il commento alle opere <strong>di</strong> Strabone<br />

<strong>di</strong> cui fa menzione lo stesso Minieri Riccio (i). Questi<br />

cita l’ opera del Curio insieme con altre del Bessarione,<br />

del Bruni, del Bracciolini, come un nobile contributo<br />

all’ accademia napoletana della quale gli scrittori ci­<br />

tati furono decoro, e sarà anche vero se si faccia del­<br />

l’ accademia in appresso Pontaniana e del dotto circolo<br />

<strong>di</strong> umanisti in corte <strong>di</strong> Alfonso una cosa sola. La let­<br />

tera del Curio si <strong>di</strong>lunga con compiacenza sulle parole<br />

<strong>di</strong> consolazione, che gli rivolgeva il re sulla via Capuana<br />

in vederlo vestito a bruno per la morte del padre. L ’ im­<br />

maginate voi l’ augusto principe seguito da uno splen­<br />

<strong>di</strong>do corteggio <strong>di</strong> cavalieri, <strong>di</strong> prelati, <strong>di</strong> dotti e da un<br />

lungo codazzo <strong>di</strong> popolino vivace e loquace, in ammi­<br />

razione della severa eleganza del re sempre vestito <strong>di</strong><br />

nero alla spagnuola, sostare, <strong>di</strong>co, <strong>di</strong>nanzi all’ umile gram­<br />

matico e consolarlo del recente lutto con la famigliarità<br />

<strong>di</strong> un eguale?<br />

Penso <strong>di</strong>fatti che tra i maggiori luminari della corte,<br />

cioè il Panormita, il Fazio, il Manetti, ed il Curio ci<br />

corresse per importanza un bel tratto, sebbene il Tallarigo,<br />

fondato sopra non so quali documenti, accozzi il geno­<br />

(1) M i t t a r e l l i; op. cit.<br />

(2) M in ie r i R ic c io ; Breve cenno storico intorno all’ accademia Pontaniana,<br />

N apoli, 1865.<br />

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— io6 —<br />

vese con i primi due nell’ opera ingrata <strong>di</strong> raddrizzare<br />

le gambe al co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Tito Livio regalato da C o sim o ,<br />

assai malconcio e scorretto. « Mano mano che progre­<br />

<strong>di</strong>vano nella correzione, tenevano conferenze con Alfonso<br />

leggendo e chiosando il loro testo ». Fu allora che saltò<br />

in mezzo, armato della sua terribile clava gram m aticale,<br />

Lorenzo Valla, e alla presenza stessa del re , menando<br />

colpi da orbo a <strong>di</strong>ritta ed a mancina, fece sentire acerbo<br />

il dolore delle percosse al Fazio ed al Beccadelli ( i ) .<br />

Ma il Curio penso io che mettesse in servizio de due<br />

illustri interpreti ed amici non più che la sua grande<br />

perizia nel decifrare la scrittura antica; le chiose illustra­<br />

tive saranno state degli altri due e me ne conferma<br />

1 osservazione che il Valla nelle Invettive, dove giostra<br />

più terribilmente, si scaraventa bensi contro il Fazio ed<br />

il Beccadelli, ma tace sempre <strong>di</strong> Giacomo Curio.<br />

Del quale, non che della sua vita a Napoli, poco più altro<br />

potrei <strong>di</strong>re. Aveva però famiglia, e <strong>di</strong> essa non era fortu­<br />

nato. In una lettera ad un tale Battista Burgaro, scritta da<br />

Napoli il 15 novembre 1456, narra che il figlio prim oge­<br />

nito era fuggiasco da casa e vagabondo prima a Palerm o,<br />

poi a Venezia, sicché la povera madre accorata della<br />

morte <strong>di</strong> un altro figliuolino e <strong>di</strong> quella fuga giaceva gra­<br />

vemente inferma. Al leggere quel linguaggio addolorato<br />

nessuno dubita del suo amore paterno ; eppure troviam o<br />

in quella lettera alcuni particolari circa il c o n teg n o del<br />

Curio verso il figlio, che paiono ripiombarci nell’ in­<br />

civiltà del me<strong>di</strong>o evo. — « Usando, scrive egli, <strong>di</strong> ogni<br />

arte per ritrarlo dalla mala consuetu<strong>di</strong>ne, da ultim o presi<br />

(1) T a l ia r ig o , op. cit., I, p. 118.<br />

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a batterlo inumanamente, poiché lo volevo piuttosto<br />

morto che cattivo. Ma egli <strong>di</strong> giorno in giorno fattosi<br />

peggiore e temendo la severità mia, che avevo deciso<br />

per nessuna ragione <strong>di</strong> non risparmiarlo, se ne andò<br />

prima in Sicilia, quin<strong>di</strong> a Venezia » (i).<br />

Non parrebbe davvero un contemporaneo <strong>di</strong> Vittorino<br />

da Feltre; ma il secolo era pieno <strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>zioni, o,<br />

per <strong>di</strong>r meglio, l’ età che tramontava sbatteva ancora la<br />

sua ombra fosca ed antipatica sulla luce del tempo nuovo.<br />

Vedete il Boccaccio ; così voleva il geniale certaldese<br />

che si trattasse la donna, egli che pure aveva creato<br />

l’ immortale figura <strong>di</strong> Griselda ; così trattava il Petrarca,<br />

il gentile il soave Petrarca, il suo <strong>di</strong>sgraziato figliuolo.<br />

Il fuggitivo da casa del Curio era con tutta probabilità<br />

il trascrittore delle Filippiche che il Fazio aspettava im­<br />

paziente da Genova, prima che l’ amico mutasse co-<br />

testo soggiorno per quello <strong>di</strong> Napoli. N’ é fatto cenno<br />

in una lettera che il Mittarelli riporta senza data, ma<br />

che dovrebbe cadere verso il ’48, quando il Fazio o<br />

aveva già posto mano, o si apparecchiava a scrivere<br />

la storia <strong>di</strong> Alfonso (2). Per altro il triste incidente<br />

del figliuolo era occorso come s’ è veduto nel ’5 6, ossia<br />

nella prima <strong>di</strong>mora del Curio presso la corte napole­<br />

tana.<br />

Più tar<strong>di</strong> il re lo aiutò a maritare una figliuola, gli<br />

accrebbe lo stipen<strong>di</strong>o, lo lusingò nella vanità o nell’amor<br />

(1) Ms. B r., c. 137.<br />

— [07 —<br />

(2) Con lettera da Napoli, 26 sett. 1451, il Fazio ringraziava il Barbaro d ella<br />

cortese am icizia offertagli, ed avvertiva aver egli già pubblicati sette libri della<br />

sua storia; ora attendeva a vii altri. Cfr. S abba d in i, Lettere ine<strong>di</strong>te <strong>di</strong> F. Barbaro.<br />

Bisognerà quin<strong>di</strong> per la prima redazione, risalire almeno a tre anni innanzi.<br />

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proprio che é a un <strong>di</strong>presso la stessa cosa, con lo<strong>di</strong> e<br />

cortesi profferte.<br />

Il vocabolario terenziano compilato sopra il com m ento<br />

<strong>di</strong> Elio Donato Io scriveva in villa, lungi dal frastuono<br />

della popolosa città; ed in sostanza, se forse non potè<br />

colle liberali largizioni del monarca aragonese mantenere<br />

carrozza e cavalli come il coetaneo Giannozzo Manetti,<br />

per lo meno non credo ebbe a dolersi del tram utam ento<br />

dalla patria a Napoli. Nella lettera de<strong>di</strong>catoria a Fer<strong>di</strong>­<br />

nando commemora i dotti uomini che il defunto re ono­<br />

rava nella sua corte, e duolsi non avesse potuto inter­<br />

venirvi per l’ immatura fine anche Antonio C assarino,<br />

già professore <strong>di</strong> grammatica a Palermo, precettore <strong>di</strong><br />

esso Curio anni prima, e traduttore della P olitela <strong>di</strong><br />

Platone de<strong>di</strong>cata ad Alfonso.<br />

— i o 8 —<br />

II.<br />

Il nome del Cassarino mi conduce naturalmente a ragio­<br />

nare degli eru<strong>di</strong>ti chiamati come lettori pubblici e maestri<br />

<strong>di</strong> grammatica ad insegnare in Genova, o nelle città<br />

del dominio. Ma prima occorre premettere poche n o tiz ie<br />

sulle scuole ecclesiastiche e laiche, rifacendoci alquanto<br />

da più alto, ossia a’ secoli me<strong>di</strong>evali. Fu 1’ umanesimo<br />

che propriamente fece sentire il bisogno <strong>di</strong> un in segna­<br />

mento laico. Certe testimonianze della vitalità e perennità<br />

<strong>di</strong> esso anche ne’ secoli anteriori non mancano, e furono<br />

raccolte dal Carducci con quella competenza che a tutti<br />

è nota. Ma, per ripetere le sue stesse parole : — « non<br />

ostante le testimonianze che finora stu<strong>di</strong>osamente racco­<br />

gliemmo . . . intorno alla persistenza del sentimento clas-<br />

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— 109 —<br />

sico, pagano nelle lettere e ne’ maestri <strong>di</strong> lettere in<br />

opposizione al genio e allo spirito ecclesiastico e anche<br />

cristiano, non si può <strong>di</strong>sconoscere la prevalenza dell’ ele­<br />

mento ecclesiastico in tutta la coltura italiana dei se­<br />

coli IX e X » (r). Le scuole instituite ne’ principali<br />

centri d’Italia erano dunque ecclesiastiche, in ispecie epi­<br />

scopali. S’ intende che la Chiesa occupandosi del progresso<br />

in<strong>di</strong>viduale del chiericato, non de’ laici, anche lo spirito<br />

<strong>di</strong> quelle scuole aveva ad essere essenzialmente religioso,<br />

come nel sec. VIII era stato inten<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> Garlomagno<br />

che fosse. In quel tempo, ecco che cosa dovevano im­<br />

parare i ragazzi, secondo i moniti del Capitolare <strong>di</strong>retto<br />

da Aquisgrana il 23 marzo 789: psalmos, notas, can­<br />

tus, grammaticam per singula monasteria et episcopia <strong>di</strong>­<br />

scant et libros catholicos bene emendatos habeant, et pueros<br />

vestros non sinite eos vel legendo, vel scribendo corrumperc.<br />

Et si opus erit evangelium, psalterium et missale scribere,<br />

perfectae aetatis homines scribant, cum omni <strong>di</strong>ligentia.<br />

Tali le prime scuole episcopali che meglio rispondevano<br />

all’ ufficio loro. Ma in Genova e nella Liguria general­<br />

mente esse attraversano, durante i tre secoli dal IX al<br />

XI, tristi giorni <strong>di</strong> languore, e se pur c’ erano scuole <strong>di</strong><br />

grammatica, dovevano far <strong>di</strong>fetto gli insegnamenti più<br />

elevati del trivio, la <strong>di</strong>alettica e la rettorica. Risulterebbe<br />

ciò da un Capitolare <strong>di</strong> Lotario imperatore, che assegnava<br />

a’ genovesi lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Pavia, essendovi maestro quel<br />

Dungalo scozzese che mandato colà da Ludovico il Pio<br />

a professare lettere, ebbe parte nella grande polemica<br />

sul culto delle immagini provocata dal vescovo <strong>di</strong> To-<br />

(1) C a r d u c c i; La tra<strong>di</strong>tone romana nelle barbarie, V II.<br />

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ino (i). Ma già nel secolo X II anche le scuole <strong>di</strong> ret-<br />

torica o episcopali o claustrali, che non era la stessa<br />

cosa, si erano probabilmente rilevate e d iffu se , se nel<br />

duecento il genovese Giovanni Balbi, dell’ or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> San<br />

Domenico, compilava il Catholicon, opera che se incontrò<br />

<strong>di</strong> poi le censure severe del Valla e <strong>di</strong> altri um anisti,<br />

era importante allora e non cessò <strong>di</strong> essere adoperata<br />

neppure durante il fiorire dell’ eru<strong>di</strong>zione. Q u an d o più<br />

tar<strong>di</strong> sorse l’ insegnamento laico, questo si collocò accanto<br />

all ecclesiastico, che continuò a sussistere. Senza dubbio,<br />

per citare tra i tanti un esempio, insegnavano in una<br />

scuola claustrale que’ frati Antonio da B a rg a e Matteo<br />

da Viterbo <strong>di</strong> cui parla il Traversari in una sua lettera<br />

al Niccoli, e che da Firenze si erano trasferiti in G e­<br />

nova (2). Si era nel 1433.<br />

Sebbene Genova, non ultima tra le città italiane, pos­<br />

sedesse fin dal secolo X III scuole tenute e <strong>di</strong>rette da laici.<br />

Laico pare veramente che fosse quel P a g a n o , che nel<br />

1248 prometteva a Corrado Calvo banchiere <strong>di</strong> am ­<br />

maestrare Guglielmo ed Emanuele figli <strong>di</strong> lui nel Salterio<br />

e nel Donato, così che sapessero bene e com petentem ente<br />

leggere a giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> un buon maestro, e ciò me<strong>di</strong>ante<br />

il prezzo <strong>di</strong> lire do<strong>di</strong>ci (3).<br />

(1) C a r d u c c i; art. cit.<br />

(2) M a r t é n e e t D u r a n d ; op. cit., I li, lib. X V , ep. i. F r a t e r A n to n iu s de<br />

Barga perpetuus ac praeceps lector , antequam istinc p ro fisceretu r, tua om nia quae<br />

erant apud te, in<strong>di</strong>cesque librorum mihi <strong>di</strong>ligenter restituit, o ra v itq u e u l tib i suo<br />

nomine per litteras gratias agerem. Ipse, ut au<strong>di</strong>o, Genuam p ro fe c tu s est, neque ipse<br />

tantum, verum et frater Matthaeus Viterbiensis eo transm issus est. M an ca al so­<br />

lito la data, ma dalla lettera risulta che Cosimo viveva a llo ra a V e n e z ia : dun­<br />

que nell’ anno 1433.<br />

— no — .<br />

(3) Is n a r d i; <strong>Storia</strong> della Università <strong>di</strong> Genova, Genova, 1 8 6 1 , I, 243 segg.<br />

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Nel trecento, se non prima, é certo che si aprirono<br />

scuole <strong>di</strong> grammatica per opera <strong>di</strong> maestri non più<br />

claustrali, o sacerdoti addetti alle case vescovili, ma <strong>di</strong><br />

laici od anche ecclesiastici in<strong>di</strong>pendenti, che riscuotevano<br />

una tassa dai <strong>di</strong>scepoli, ovvero ricevevano uno stipen<strong>di</strong>o<br />

dal comune. E maestri concorrevano da <strong>di</strong>verse parti<br />

d’ Italia, fino a che il comune, nell’ anno secolare 1400,<br />

non ebbe preso il severo provve<strong>di</strong>mento, citato anche<br />

dall’ Isnar<strong>di</strong>, <strong>di</strong> escludere i precettori provenienti dalle<br />

Marche, Ducati, Toscana, Napoli, Romagna e Patrimonio<br />

della Chiesa. Si vietava a tutti costoro <strong>di</strong> insegnare in<br />

Genova ai fanciulli, pena ai trasgressori una multa <strong>di</strong><br />

mille fiorini d’ oro, e se non potessero pagarla la fusti­<br />

gazione e il bando perpetuo dal territorio genovese.<br />

Cagione n’ era quella turpe ricordata dall’Ariosto nella<br />

nota satira contro gli umanisti ; e poiché siamo soltanto<br />

all’ anno 1400, convien <strong>di</strong>re che la cancrena fosse vecchia<br />

assai più dello stesso umanesimo. Fu soltanto sullo<br />

scorcio del secolo XIV che la Repubblica si risolvette ad<br />

aprire scuole al tutto <strong>di</strong>pendenti da essa, dove i profes­<br />

sori <strong>di</strong> grammatica, stipen<strong>di</strong>ati con annua provvisione,<br />

insegnassero questa <strong>di</strong>sciplina insieme con le due altre<br />

che componevano il trivio.<br />

— Ili —<br />

E già sul finire del secolo XIII erasi costituito in Ge­<br />

nova un collegio <strong>di</strong> dottori <strong>di</strong> grammatica, forse per quella<br />

tendenza che fu peculiare al me<strong>di</strong>o evo <strong>di</strong> far sparire<br />

l’ azione in<strong>di</strong>viduale a benefizio della corporazione vigile<br />

sugli interessi comuni e rivolta a formare un ente nel-<br />

l’ ente ; fors’ anche per desiderio e volere de’ governanti,<br />

che credevano tutelare con ciò la moralità della scuola.<br />

L ’ atto notarile, che ne fa testimonianza, produce pure il<br />

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— 112 —<br />

nome <strong>di</strong> parecchi tra cotesti dottori, e in tanta scarsità<br />

<strong>di</strong> notizie sicure può essere curiosità non <strong>di</strong>sutile il sa­<br />

perli, e comprovano, parm i, indubbiamente il fiorire<br />

verso quel tempo <strong>di</strong> un insegnamento laico ( i) * Uno<br />

statuto genovese dello stesso anno 14 0 0 fa, del resto,<br />

comprendere meglio che non molte p a ro le , la ragion<br />

d’ essere del collegio e le sue incombenze. C h i voleva<br />

venire ascritto al m edesim o, con<strong>di</strong>zione in<strong>di</strong>spensabile<br />

per aspirare all’ insegnamento, doveva farne dom anda re­<br />

golare <strong>di</strong>nanzi all* ufficio dei sindaci. E questi eleggevano<br />

a loro volta una specie <strong>di</strong> commissione esam inati ice, che<br />

doveva inquisire sulla vita e i costum i del m aestro e<br />

sulla sua dottrina (2). In tal modo forse si evitavano<br />

i guai lamentati dall’A riosto per il suo seco lo , ma ne^<br />

tempo stesso il sapere si riduceva ad un m onopolio ^ 1<br />

pochi. S ’ intende che a siffatta regola, se pure il collegio<br />

dei dottori continuò a funzionare nel secolo X V , noi<br />

erano punto soggetti quei professori che per la ce e^<br />

acquistata, la repubblica chiamava in G en o va ad inS^<br />

gnarvi greco e latino, però che la loro elezio n e, o<br />

- a - r n r r a d o d i S t e f a n o<br />

(1) Un atto del 27 maggio 1298, registr. nel notulario <strong>di</strong> ^ ^ R ufinus de<br />

da Lavagna (Archiv. dei Notari), p. 59, com incia cosi : N o s w aS ister g in u s ,<br />

Dertona, magister Thomas de F irm o consules , magister B erthonus , ^us cano-<br />

mag. Salvus de Pontremulo, mag. R ollan<strong>di</strong>nus de R a p a llo , tnag- L e o n j ^ nne$<br />

nicus ecclesiae S. A m brosii, mag. Iacobus de Portu V e n e ris, niag-<br />

. j M onte lu c o , tnus"<br />

S. Ambrosio, mag. Gregorius de S e n is , m ag. B ellen g a riu s eie ilcae<br />

Franciscus de Camulio et mag. Pellegrinus de S e r v o , m a g is tri G r a m i q t a mrri(i'<br />

nomine nostro et . . . universitatis et co lleg ii universorum m a g istro ru m<br />

nn G u glie*010 u ‘<br />

ticae de civitate et suburbiis Ian u ae, — tutti costoro deputano u<br />

in • O r ig ìne e P<br />

Albara come loro procuratore generale alle liti. — D a P a s s a 'n • ^ Jt a l.,<br />

gresso dell’ istruì, popolare in Genova, G enova, 1867. Cfr. anch e A r c h .<br />

terza serie, V I, parte 2.% p. 167.<br />

(2) Cfr. D a P a s s a n o , op. cit.<br />

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— i i 3 —<br />

riconferma nell’ uffizio e nello stipen<strong>di</strong>o, si trova essere<br />

sempre devoluta al doge o governatore ed al consiglio<br />

degli anziani. "Non mi è riuscito, e si comprende come<br />

non fosse facile, <strong>di</strong> dare la serie continuata e sicura<br />

<strong>di</strong> cotesti pubblici professori durante il quattrocento,<br />

e la <strong>di</strong>fficoltà era accresciuta anche più dagli intervalli<br />

lunghi e non infrequenti frapposti tra l’ una e l’ altra<br />

elezione.<br />

Le raccomandazioni da parte dei citta<strong>di</strong>ni su questo<br />

sconcio non mancano e risultano dai fogliazzi d’ Ar­<br />

chivio; per altro neppur esse sempre ascoltate ( i) . Ad<br />

ogni modo la nota è abbastanza copiosa per i maestri<br />

<strong>di</strong> retorica nella seconda metà del secolo ed il lettore<br />

la troverà tra i documenti messi in fine, come appen­<br />

<strong>di</strong>ce ; per la prima metà citeremo i nomi dei più chiari.<br />

Bartolomeo Guasco andrebbe ricordato ancor qui tra i<br />

primi, ma io mi scrivo all’ opinione del Prof. Belgrano,<br />

eli’ egli cioè non fosse pubblico lettore in G enova, ma<br />

semplicemente il precettore de’ nipoti <strong>di</strong> Tommaso Fre­<br />

goso , prima che se n’ assumesse l’ incarico Giovanni<br />

Toscanella. E me ne persuade l’ osservare che a lui, come<br />

a persona fidata e famigliare della casa, venne da Tom ­<br />

maso commessa la custo<strong>di</strong>a de’ suoi libri; preziosi libri<br />

(i) Il decreto del 1474 per cui venne chiamato Giorgio Valla era promosso<br />

dalle seguenti considerazioni:<br />

— Au<strong>di</strong>tis nonnullis civibus commemorantibus in<strong>di</strong>gnum et inutile fore non<br />

esse in hac civitate hominem doctum ac probum et bonis moribus prae<strong>di</strong>tum, qui p u ­<br />

blico praemio legat adolescentibus illosque bonis moribus imbuat et eru<strong>di</strong>at litteris,<br />

quod optimum esse solet in omni statu et republica — stabilivano che si trovasse<br />

un soggetto idoneo a quest’ ufficio e se gli pagassero duecento lire genovesi. Ad<br />

ogni modo il Valla fu chiamato non prima del 15 luglio 1476, due anni dopo<br />

(Arch. <strong>di</strong> Stato in Genova, Diversorum, filza 39).<br />

Atti Sor.. Lio. St. <strong>Patria</strong>. Voi. XX111.<br />

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il cui inventario presenterò più avanti com e quello che<br />

nella storia della coltura genovese, panni abbia m olta<br />

importanza. Del resto ogni altra notizia sul G uasco ci<br />

è maggior riprova della costante devozione <strong>di</strong> lui alla<br />

casa Fregoso. Allorquando nel 1449 il doge Lod ovico<br />

Fregoso mandò il cugino Gian Galeazzo a governare la<br />

Corsica, tra coloro che accompagnarono il gio vin e nella<br />

barbara isola troviamo il nostro Bartolom eo. Il Braccio-<br />

lini che gli scriveva m eravigliandosi seco lui per quella<br />

<strong>di</strong>mora, lascia intendere che ci fosse con ufficio <strong>di</strong> po- * 1<br />

desta (in ea quae tibi dem andata est p r a e t u r a ) ; rna 1<br />

pubblico uffizio non esclude che il G uasco rendesse par<br />

ticolarmente apprezzata Y opera s u a , com e confidente e<br />

consigliere <strong>di</strong> colui che , insieme cogli altri nipoti del<br />

vecchio Tommaso, egli aveva avuto tem po prim a come<br />

alunno ( 1) .<br />

— ii4 —<br />

(1) Gian Galeazzo stette nell’ isola dal 14 19 al '5 3 ; nel qual anno ' ^<br />

vennero ceduti dalla Repubblica <strong>di</strong> G enova al Banco <strong>di</strong> S . G io rg io<br />

lippini, <strong>Storia</strong> <strong>di</strong> Corsica, lib. III). L a lettera del B racciolini cade a ^ ,^ ^ esu_<br />

questo spazio <strong>di</strong> tempo Eccola quale la riporta nel suo S p ic ile g i11111 ^ y ^ tjcana<br />

mendola, come egli avverte nella prefazione, da un C o d ic e della<br />

(.Spicilegium Rom anum , Hornae, 18 4 4 , tom. X , pag. 366, sotto il nunl<br />

« Bartholomaeo Guasco ianuensi.<br />

Cum quaererem de te saepius pro mea in te benivolentia ab iis qu ibu s<br />

calar te noturn et rarum esse, intellexi te iam dudum et m ulto lo n g iu s , q<br />

Mirabar cu n<br />

fuerat humanitas, esse apud Corsos gentem fe ra m atque inhum an am ■ ^ ^<br />

sis homo nostris stu<strong>di</strong>is, hoc est hum anitatis, ab ineunte aetate de<strong>di</strong>tissim ’<br />

sibi vellet tam <strong>di</strong>utina mora in tanta barbarie hom inum , q u ib u s im p e ra i ,<br />

•77 f ' n r ì Q S V C T S CIT i'<br />

praeesse, miserrimam servitutem putarem . Sed existimo te in ter iU ° s . ^ jQC<br />

tamquam apes inter dumeta, ex quibus mei colligunt ut com plean t a lv e a ^ua)H.<br />

si es animo in ea quae tibi demandata est p ra e tu ra , propositu m tuum ^ ^ ^<br />

quam non censeo aliquid pecuniae solius g r a t ii esse agendum (abiech sstm i<br />

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- iis —<br />

Nell’ identica con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> vita si trovò, per confes­<br />

sione sua, Antonio Astigiano nel 14 3 1, durante la breve<br />

fermata eh’ egli fece in Genova, se non che scambio<br />

<strong>di</strong> essere il precettore <strong>di</strong> una sola, lo fu <strong>di</strong> parecchie<br />

ricche famiglie e le sue lezioni sui classici alternava coi<br />

passatempi delle magnifiche ville, o borghesi o patrizie.<br />

Civibus a multis pretio conductus honesto,<br />

lncoepi natos instituisse suos,<br />

In quadam ex villis quas illi tempore semper<br />

Aestior cives incoluisse solent (i).<br />

Nella borghesia fastosa avida <strong>di</strong> go<strong>di</strong>menti e <strong>di</strong> potere<br />

onde fa pittura, se non in bei <strong>di</strong>stici, almeno con ani­<br />

mazione <strong>di</strong> linguaggio l’ Astigiano, è degno <strong>di</strong> nota<br />

cotesto favore che incontrava l’ insegnamento laico, ac­<br />

canto alla <strong>di</strong>ffusione e preponderanza <strong>di</strong> cui godeva<br />

pur sempre quello impartito dai conventi e monasteri.<br />

L ’ uno rispondente alla religiosità non mentita per<br />

anche, non ridotta ad una accorta ipocrisia; l’ altro allo<br />

spirito, alla moda de’ tempi nuovi. Ma quando tra il<br />

\ 6 e il ’47 egli procacciò <strong>di</strong> ritornarvi come lettore<br />

pubblico, malgrado i molti blan<strong>di</strong>menti e la cautela<br />

cc <strong>di</strong> non lasciarsi sfuggire qualunque accenno, per quanto<br />

piccolo, alle qualità ed alle inclinazioni particolari a<br />

et hominis et consilii nummis et quaestui de<strong>di</strong>tum esse) sed hoc <strong>di</strong>co, leviorem effici<br />

provinciae molestiam lucro quod proponitur laboribus nostris, praesertim si tale est<br />

quod possit loci incommodum reddere lenius. Id esse solet optimum levamentum<br />

aegritu<strong>di</strong>nis anim i. Attamen quaecumque causa te detineat, honestam illam ac ne­<br />

cessariam puto, neque aliquid a te Jieri iu<strong>di</strong>co, nisi optima ratione et consilio sin­<br />

gulari . Scripsi haec ad te non ut reprehenderem quod rebus tuis conducere arbitraris,<br />

sed ut elicerem causam loquen<strong>di</strong> teettm . Ego tuus sum . Vah . Florentiae , XV k a l.<br />

aprilis.<br />

(1) M u r a t o r i; Rer. Ital. Scrip., t. XIV.<br />

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ciascuno de’ personaggi » ( i) desiderati, o sperati suoi<br />

patrocinatori, malgrado tutto ciò, <strong>di</strong>co, non vi riuscì.<br />

Prima del '43 eravi invece, ed in tale qualità, il Cas­<br />

sarino col nome del quale ho dato principio a queste<br />

brevi notizie sui professori pubblici. Sappiamo anche<br />

che stipen<strong>di</strong>o egli vi percepiva, ossia lire genovesi 275<br />

coll’ obbligo <strong>di</strong> leggere gratis agli adolescenti tutto<br />

1’ anno, <strong>di</strong> scrivere la storia delle cose genovesi ed ogni<br />

inverno leggere al popolo (2). Non c era in verità da<br />

scialarla, e lo stipen<strong>di</strong>o del povero Cassarino ci fa ca­<br />

pire perchè una vera e larga fioritura umanistica rappre­<br />

sentata da pubblici maestri in Genova non ci fu : la<br />

repubblica non largheggiava nel loro trattamento e quel<br />

ch’è peggio si pagava talvolta stentatamente anche il poco,<br />

colpa i torbi<strong>di</strong> continui dello Stato. È vero che i pro­<br />

fessori contavano anche sugli introiti dell'insegnamento<br />

privato, e i governanti lo sapevano e ne toglievano pre­<br />

testo per lesinare sull’ emolumento del pubblico. Nel<br />

1450 a Giovanni Andrea Vigevio si assegnavano per<br />

la durata <strong>di</strong> un quinquennio lire 125 annue, praeter<br />

emolumenta quae a privatis percipit. Così sbarcavano<br />

essi il lunario nel secolo X V , come su per giù i loro<br />

tar<strong>di</strong> colleghi del secolo X IX , ed è certo prova dell’ in­<br />

gegnosità <strong>di</strong> chi piglia e <strong>di</strong> chi dà tanto scarsamente,<br />

dei tormentati e dei tormentatori ; ma ve la figurate voi<br />

la giornata del povero umanista obbligato a fare gram-<br />

matichetta da mattina a’ ragazzi, un po’ più tar<strong>di</strong> spie-<br />

(1) V a y r a , art. cit.<br />

— 1 1 6 —<br />

(2) Pro annuo salario Antonii Cassarmi siculi, qui obligatus est gratis legere<br />

adolescentibus toto anno, item historiam rerum janucnsiuw scribere et singula hieme<br />

populo legere, librae 275. — Regulae, anni 14 4 ).<br />

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— i r 7 —<br />

gare Virgilio e Cicerone a’ più gran<strong>di</strong>, legere adolescen­<br />

tibus,, salir poi le scale <strong>di</strong> una casa patrizia per le lezioni<br />

da impartirsi a qualche nobile rampollo, leggere final­<br />

mente al popolo la sera, colla giunta <strong>di</strong> farsi storio­<br />

grafo in un caso ? Per fortuna che l’ ultima clausola<br />

soleva restare lettera morta, né alcuno de’ professori<br />

in questi anni, che si sappia, scrisse <strong>di</strong> storia genovese.<br />

Anche il Cassarino era precettore del giovine Prospero<br />

Adorno, come abbiamo da una lettera in cui esorta il<br />

nobile alunno a stu<strong>di</strong>are e farsi onore.<br />

Ci si sente, almeno per me, il vecchio maestro ca­<br />

scante <strong>di</strong> vezzi rettorici e infatuato della sua classica eru­<br />

<strong>di</strong>zione che ostenta a proposito ed anche a sproposito:<br />

lo stile è ancor quello de’ contemporanei del Salutati (i).<br />

Più importante a noi la lettera eh’ egli scriveva al Curio,<br />

(i) Arch. Municip. Cod. Pallavicino, c. 61. Eccone qualche passo: Antonius<br />

Cassarinus fiorenti et aureo adolescenti Prospero Adurno. Lex apud maiores fuit,<br />

Prosper luce mihi ac vita iocun<strong>di</strong>or, ut si quis agrum haberet quem in<strong>di</strong>ligentia<br />

sineret silvescere et incullu infructuosum atque inutilem fieri censeret, huic multam<br />

irrogarent. . . Sed illis equius fortasse conce<strong>di</strong> potest ut agrum magis colant quam<br />

inoenium quibus aut natura vires ad hoc agendum denegavit, aut fortuna necessi­<br />

tatem quandam in<strong>di</strong>xit ut aliter facere non possint. Tibi vero, Prosper suavissime,<br />

ignosci nullo modo poterit nec facile conce<strong>di</strong> ut quicquid apud te sit cuius tu curam<br />

priore loco ducas quam ingenii, immo animi, immo tui. Nam cura rei compa­<br />

rande que alios solicitat vel occupatos nimium detinet, ea tibi nulla est, nec esse<br />

item debet: adest enim tibi parens optimus ac preclarissima domus vestre orna­<br />

mentum precipuum , qui cum tanta et indulgentia prosequatur et cum in urbe hac<br />

facile omnium sit princeps rebus et animi magnitu<strong>di</strong>ne, nihil maiore stu<strong>di</strong>o compescit<br />

quam ut quemadmodum reliquis rebus facile alios superas, ita doctrina superes et<br />

ad eam gloriam, quam a maioribus acceperis, ingenii etiam laudem a<strong>di</strong>icias. Adest<br />

item tibi, ul plane perspicio, ingenium aptum velox acre et magnarum rerum capax,<br />

ul nullum sit doctrine genus quod facile consequi non possit, adest etas bonis artibus<br />

co n ven ien tissim a, ut si paululum eniti volueris eo te venturum sperem ut nullus<br />

in patria tua sit quoi (sic) tu merito anteponi 11011 deleas. . .<br />

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— 1 18 —<br />

ancora nella cancelleria genovese, ma assente allora da<br />

Genova, forse per incarico della repubblica ( i ) .<br />

Lettera importante, <strong>di</strong>cevo, perché attraverso il latino<br />

impacciato del grammatico, ci fa intravvedere per un<br />

istante la vita letteraria genovese e 1* ambiente, curioso<br />

bensì <strong>di</strong> novità, ma involto ancora in molta ignoranza,<br />

facile a lodare piuttosto i ciarlatani e i prestigiatori che<br />

i veri dotti. Si parla, ben inteso, del vulgo. Una com ­<br />

pressa amarezza trapela dalle parole del Cassarino, come<br />

<strong>di</strong> uomo desideroso <strong>di</strong> lode che non s a , o non vuole<br />

acquistarla co’ mo<strong>di</strong> tenuti da tanti altri. Certo alle opi­<br />

nioni del maestro partecipava anche il Curio, quantunque<br />

più tenero senza dubbio della fama de’ suoi genovesi.<br />

Il Cassarino lo loda della sua carità <strong>di</strong> patria, però che<br />

nato in parte dove si ammiravano sconsideratamente ,<br />

per non <strong>di</strong>re con intenzione perversa e m aligna, le no­<br />

vità forestiere, e gli ingegni paesani si trascuravano, egli<br />

avesse sostenuto il domestico decoro, contro tanti che<br />

T obliavano, e potendo rimanere presso un re potentis­<br />

simo con molto onore e frutto, aveva preferito servire<br />

col suo ingegno la repubblica.<br />

Chi era cotesto re potentissimo? Secondo la conget­<br />

tura più facile e probabile mi pare si debba intendere<br />

Alfonso d’ Aragona, il grande mecenate <strong>di</strong> quel secolo,<br />

il principe cui <strong>di</strong>fatti egli ricorse più tar<strong>di</strong>. In tal caso<br />

si dovrebbe per necessità ammettere un’ ambasceria del<br />

Curio all’ Aragonese tra gli anni '40 e *46, della quale<br />

noi non abbiamo notizia. Gli sfoghi del Cassarino erano<br />

(1) É la lettera colla data del 1446, già citata, parlando dell’ immatura morte<br />

del Cassarino.<br />

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- ii9 —<br />

rivolti contro uno dei soliti nebuloni, che con ampolle<br />

e parole sesquipedali si trascinano <strong>di</strong>etro la folla degli<br />

illusi. Anche al Curio era noto costui, che il gramma­<br />

tico nasconde sotto il nomignolo <strong>di</strong> barbasculus.<br />

L ’ età aveva una spiccata inclinazione alla <strong>di</strong>sputa. Le<br />

forti in<strong>di</strong>vidualità sorte allo spezzarsi delle barriere me­<br />

<strong>di</strong>evali, l’ amore <strong>di</strong> gloria vivissima, l’ operosità gene­<br />

rale <strong>di</strong> tanti eru<strong>di</strong>ti dovevano produrne <strong>di</strong> frequente, seb­<br />

bene non sempre per la materia e la dottrina si stac­<br />

cassero dal me<strong>di</strong>o evo. Inoltre, per le stesse ragioni, era<br />

facile trasmodare dalla <strong>di</strong>sputa al litigio ed all’ invettiva.<br />

11 furor letterato a guerra mena.<br />

Nel caso particolare però non ce ne fu, grazie alla<br />

prudenza del Cassarino, non senza tuttavia duro sacri­<br />

ficio degli spiriti battaglieri dell' uomo. Succhiarsi lo<br />

sproloquio <strong>di</strong> un insulso cicalone intorno al sito delle<br />

stelle e dell’ anima per tutto il tempo <strong>di</strong> un desinare e<br />

starsene zitto, malgrado la voglia spasimata <strong>di</strong> rispon­<br />

dere, non ebbe ad essere piccolo sacrifizio. Le vivande<br />

imban<strong>di</strong>te dall' amico amfitrione gli andarono <strong>di</strong> traverso<br />

quel giorno, come egli stesso confessa, e per giunta<br />

alla derrata, il suo silenzio venne dai più interpretato,<br />

non come segno <strong>di</strong> moderazione, ma, Dio li perdoni,<br />

<strong>di</strong> insipienza. Frattanto, noi possiamo sorprendere un<br />

istante nella vita privata quegli uomini; non <strong>di</strong>rò nel-<br />

1’ abbandono convivale. Ma in fondo, malgrado le que­<br />

rimonie del Cassarino, non si era punto avversi neppure<br />

in Genova a’ buoni stu<strong>di</strong>, anzi si traeva numerosi ad<br />

u<strong>di</strong>re chi ne faceva argomento <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso. Che poi non<br />

si sapesse sempre vagliare il grano dal loglio, che la ver­<br />

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osità tenesse assai volte luogo <strong>di</strong> eloquenza, e non si<br />

guardasse tanto pel sottile in quella smania <strong>di</strong> novità<br />

pur che sia onde erano trasportati gli a n im i, questo<br />

avveniva un po’ da per tutto, e nel caso non significa<br />

nulla più <strong>di</strong> ciò, che i genovesi non erano gli ateniesi<br />

d’ Italia.<br />

— 120 —<br />

Appunto in quest’ anno *46, il Bracelli rendeva conto<br />

all’ amico Andreolo d’ una <strong>di</strong>sputa eh’ era avvenuta in<br />

y •<br />

aCCanl"<br />

mento de’ <strong>di</strong>sputanti, per il mirabile concorso degli<br />

spettatori (1). L ’ umanista genovese calcolava che non<br />

ci fossero accorse meno <strong>di</strong> cinquemila persone, sicché<br />

essendo impossibile ottenere la tranquillità ed il silenzio<br />

necessario, molti ne erano stati esclusi. 11 campione <strong>di</strong><br />

quel pugilato <strong>di</strong>alettico era un giovine <strong>di</strong> nome Fer<strong>di</strong>­<br />

nando e nativo <strong>di</strong> Cordova ch e, appena oltrepassato il<br />

ventesimo anno, aveva già viaggiato la Britannia, la<br />

Germania, la Gallia, da per tutto <strong>di</strong>sputando, e adesso<br />

si offriva pronto al doge Raffaele Adorno <strong>di</strong> sostenere<br />

la medesima gara con i più dotti genovesi. Ma le ven-<br />

totto questioni proposte e <strong>di</strong>battute in quell’ occasione,<br />

ci avvertono che non si era per anco usciti dai ferrati<br />

cancelli del me<strong>di</strong>o evo. Si aggiravano sulla teologia, e<br />

come autorità, scrive il Bracelli, citava con somma pre­<br />

stezza Agostino , Tommaso , Scoto et quem magistrum<br />

sententiarum vocant; veniva in seguito la fisica, e qui<br />

gran<strong>di</strong> citazioni <strong>di</strong> Aristotele, Averroé, Alberto xMagno,<br />

né un solo passo <strong>di</strong> costoro, ma tutto ciò che essi<br />

(1) Curioso tra le due lettere del Cassarino e del Bracelli il riscontro anche delle<br />

date: la prima è scritta da Genova, i li idus iunii 1446, la seconda, XVII kaì.<br />

iulii 1446.<br />

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1


— 121 —<br />

sparsamente avevano detto sull’ argomento ; nella me<strong>di</strong>­<br />

cina le pietre angolari, gli autori degli autori erano Ga­<br />

leno ed Avicenna, ma non soli, chè trovavano il loro<br />

luogo anche i moderni, il Gentile, Jacopo da Imola,<br />

Ugone da Siena ed altri. E a stuzzicare la curiosità<br />

non erano pretermesse nè l’ aritmetica, né la geometria,<br />

o l’ astrologia; ma la lettera del Bracelli è <strong>di</strong>fettiva <strong>di</strong><br />

notizie appunto dove la curiosità sarebbe maggiore.<br />

Con ciò si concedeva alla vaghezza, alla moda <strong>di</strong> <strong>di</strong>lar­<br />

gare il campo dell’ eru<strong>di</strong>zione, <strong>di</strong> esplorare ed inventa­<br />

riare 1’ ere<strong>di</strong>tà del passato, e si capiscono gli applausi<br />

dei più. Ma si capisce anche il <strong>di</strong>sprezzo non <strong>di</strong>ssimu­<br />

lato dell’ umanesimo, per quella in<strong>di</strong>gesta e pretensiosa<br />

sapienza, e come l’ appellativo <strong>di</strong> goti dato dal Valla<br />

agli stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto e <strong>di</strong> filosofia aristotelica dovesse<br />

ritornare frequente sulle labbra del grammatico (i) . Il<br />

quale d’ altra parte non poteva presso il vulgo farsi va­<br />

lere quanto meritava ; l’ indole pratica <strong>di</strong> nostra gente<br />

poneva ancora al <strong>di</strong> sopra dell’ eleganza <strong>di</strong> forma e del<br />

numero oratorio stu<strong>di</strong>osamente ottenuto, T utile ed il<br />

guadagno che derivava dalla perfetta conoscenza delle<br />

leggi e della me<strong>di</strong>cina (2).<br />

Uomo più dotto doveva essere l’ ariminese Pietro<br />

(1) V a lla ; Eleg., lib. Ili, Praefatio.<br />

(2) Al suo nobile <strong>di</strong>scepolo Prospero Adorno così, con in<strong>di</strong>gnazione mal trat­<br />

tenuta, scriveva:<br />

Nec ad ea te nane stu<strong>di</strong>a cohortor que fortasse vulgus imperitorum magis ad­<br />

miratur quam cognoscit, que merito parens tuus vir sapienti ss imus i ure quodam ir­<br />

risit, perinde (ac) vana atque inutilia. Sed ad ea que claros viros efficiunt bonos, mo­<br />

deratos, patrie utiles et suis, animi celsi atque invicti, a quibus non solum bene<br />

<strong>di</strong>cen<strong>di</strong> sed bene viven<strong>di</strong> etiam ratio petitur, que nullis molesta, que omnibus iocunda<br />

et que liberum hominem nescire vehementer dedecet (lett. cit.).<br />

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— 122 —<br />

Perleone, che pare succedesse verso il *46 al Cassarino<br />

nella cattedra <strong>di</strong> rettorica. Dalla morte del siciliano alla<br />

elezione del successore correrebbe quin<strong>di</strong> un intervallo<br />

<strong>di</strong> più che due anni ; ma io non credo che la repub­<br />

blica conducesse ad uno per volta i suoi professori, e<br />

me ne conferma 1’ osservazione che il Vigevio era chia­<br />

mato ad insegnare nel '5 0 , quando ancora <strong>di</strong>morava in<br />

Genova, come vedremo più innanzi, il Perleone. Forse<br />

i professori <strong>di</strong> grammatica si spartivano il lavoro , gra­<br />

duando ciascuno l’ insegnamento secondo la capacità<br />

<strong>di</strong>versa dei <strong>di</strong>scepoli. Comunque s ia , egli vi era e<br />

senza dubbio già da alcuni mesi nel *47, come si rileva<br />

da una lettera a lui del Filelfo (1). Vi si era tramutato<br />

da Milano, non è detto il perché, e sul principio ebbe<br />

a trovarcisi tutt’ altro che bene. Lo stipen<strong>di</strong>o era mi­<br />

sero, 250 lire, e, per giunta, soggetto a’ flutti contrari<br />

che sbattevano la barca dello Stato, talvolta o non si<br />

pagava affatto, o si pagava stentatamente. E il pover' uomo<br />

aveva moglie e figliuoli, quando non ci si mettevano<br />

<strong>di</strong> balla anche amici come il Filelfo, che con una mano<br />

scriveva a Niccolò Fregoso in favore dell’ amico nobili<br />

parole, coll’ altra chiedeva in dono al Perleone dei col­<br />

telli che gli operai genovesi sapevano molto bene imi­<br />

tare da quelli turchi, e si in<strong>di</strong>spettiva <strong>di</strong> non riceverli<br />

presto, dandogli dell’ avaro. Con quella gala <strong>di</strong> stipen<strong>di</strong>o!<br />

« È assurdo, aveva scritto lo stesso Filelfo al Fregoso,<br />

é certo assurdo che alcuno possa bene insegnare e ad<br />

un tempo combattere colf in<strong>di</strong>genza. È d’ uopo che l’ in­<br />

gegno dell’ uomo eru<strong>di</strong>to, se voglia adempiere al suo<br />

(1) Ex. Med., idus maiis, 14 4 7.<br />

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— 123 —<br />

ufficio, sia libero da ogni mercenaria cura ». Ma forse<br />

il Filelfo, avvezzo a’ rapi<strong>di</strong> sbalzi da un lusso smodato<br />

e non esente <strong>di</strong> borie nobilesche all’ estrema povertà,<br />

supponeva che il suo antico <strong>di</strong>scepolo fosse egualmente<br />

facile che lui a chiedere ed a lamentarsi poi <strong>di</strong> non aver<br />

ricevuto. Il Perleone nel '50 faceva invece pratiche per<br />

ritornarsene a Milano, e metteva per ciò in mezzo e il<br />

Filelfo e gli amici che aveva nella cancelleria milanese;<br />

ma il nuovo principato lottava anch’ esso colla penuria,<br />

frutto della lunga guerra, e non se ne fece nulla. Lo<br />

Sforza a chi lo sollecitava, aveva risposto bastargli il<br />

solo Filelfo, nè la cosa o il tempo consentivano allora<br />

altra spesa, specialmente non necessaria. Rimase dunque,<br />

ed altri vincoli sottentravano a trattenervelo ; già aveva<br />

tolto in moglie una genovese, ed il Comune nel 1451<br />

con onorevoli parole gli conferiva la citta<strong>di</strong>nanza, vo­<br />

lendo che colui il quale genovese era per animo lo fosse<br />

<strong>di</strong> fatto nella sua <strong>di</strong>mora. Va notato che tra gli anziani<br />

proponenti od approvanti cotesta alta testimonianza <strong>di</strong><br />

stima al Perleone, leggesi anche il nome <strong>di</strong> Niccolò<br />

Ceba (1). Esso ci riprova, se ve ne fosse bisogno, l’ e­<br />

sistenza <strong>di</strong> quel circolo <strong>di</strong> letterati genovesi onde già<br />

tenemmo parola e del quale era parte ed .ornamento<br />

precipuo l’ illustre viaggiatore. Non v’ ha dubbio che<br />

Niccolò dovesse, e tra i colleghi del Governo e presso<br />

il doge, caldeggiare la proposta che <strong>di</strong>ede luogo all’ o-<br />

norevole decreto. Ma il grammatico, 0 desiderasse più<br />

ampio campo dove <strong>di</strong>mostrarsi, o cedesse alla smania<br />

<strong>di</strong> vita avventurosa allora comune tra i maestri, fatto<br />

(1) Ve<strong>di</strong> Documento X, in fine. Ne debbo comunicazione al Prof. Belgrano.<br />

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— 124 —<br />

sta che non rispose alla fiducia espressa in quel de­<br />

creto, eh’ egli cioè si fisserebbe stabilmente nella nuova<br />

*<br />

patria d’ adozione, nè alle speranze degli amici suoi<br />

ed ammiratori. Nell’ ottobre del '52 era sulle mosse<br />

per ritornarsene a Rim ini, nel ’5 3 era già partito ( 1) .<br />

Fu solo nel ’ 5 7 che venne invitato alla cattedra <strong>di</strong><br />

eloquenza in Venezia, del che lo felicitava il Filelfo,<br />

essendosi eletto, gli scriveva, tal luogo dove la sua<br />

dottrina e la virtù otterrebbero il premio meritato.<br />

La sua <strong>di</strong>mora negli anni interme<strong>di</strong>i, la si indovina. In<br />

Rimini non avrebbe potuto non imbrancarsi tra i corti­<br />

giani del principe, <strong>di</strong> quel Sigismondo Malatesta che<br />

incarna il tipo della più complessa produzione del se­<br />

colo X V , voglio <strong>di</strong>re il tiranno d’ allora. E Malatesta<br />

accoglieva con liberalità i dotti che sapevano con arte<br />

esaltare il valore <strong>di</strong> lui, rex Sigism undus, e la bellezza<br />

della sua amanza, la <strong>di</strong>va Isotta.<br />

Il Perleone fece come tutti gli altri che s’ aggiravano<br />

nelle sale <strong>di</strong> quel curioso tirannello : cioè scrisse <strong>di</strong>scorsi<br />

epitalamici e versi. Non v’ è dubbio per me che il<br />

carme <strong>di</strong> cui fa menzione in una sua lettera il Filelfo,<br />

non fosse in lode <strong>di</strong> cotesta coppia principesca, poiché<br />

altro argomento fuor <strong>di</strong> questo non ve<strong>di</strong>amo trattato<br />

dai poeti che frequentarono in quel tempo la corte ari-<br />

minese (2). Nei <strong>di</strong>scorsi epitalamici, un genere anche<br />

più ibrido del sonetto per nozze o monacazione degli<br />

abatini arca<strong>di</strong>, sópra il fondo cristiano intesse le imagini<br />

e le fole pagane imparate dai lirici latini. Cosi negli<br />

(1) Lett. del Filelfo al figlio Mario, 27 sett. 1452 e 25 gennaio 145 3•<br />

(2) Lett. x iv kal. iulias 14 5 6 ' — De cannine quod scripsisti curabitur a me d i­<br />

ligenter et pro amicitia nostra.<br />

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sponsali <strong>di</strong> Giovanna Malatesta con Giulio Cesare Varano<br />

invoca dapprima propizi il Signore e la Madonna. E fin<br />

qui bene; ma nell’ ispirazione dell’ oratore seguitano poi i<br />

quattro numi patrii protettori <strong>di</strong> Rimini, e la gioconda<br />

Venere, massima conservatrice de’ coniugi, e finalmente<br />

Imeneo e Talasso. Al vedere, il Perleone, fresco della let­<br />

tura <strong>di</strong> Catullo, faceva <strong>di</strong> Talasso un’ altra <strong>di</strong>vinità (i).<br />

Ma gli egregi frutti che il Filelfo augurava da lui, dopo<br />

tanti travagli giunto in riposato porto, non apparvero (2).<br />

In Venezia sembra aspirasse all’ ufficio <strong>di</strong> storiografo<br />

della repubblica; ma non ne fu nulla neppur <strong>di</strong> questo,<br />

e morì nel ’63 non so se a Venezia o a Rimini (3).<br />

Gli davano lode <strong>di</strong> letterato valente sì in prosa che in<br />

versi, <strong>di</strong> gran conoscitore della storia e della letteratura<br />

greca. Ma nella corte ariminese, tra il Basini ed il Por-<br />

cello che ne scrivevano anche troppi, <strong>di</strong> lui non si cita<br />

un solo verso, né altre testimonianze importanti abbiamo<br />

del suo valore. Il Perleone appartiene alla schiera <strong>di</strong><br />

(1) Ve<strong>di</strong> M it t a r e lli, op. cit., p. 845. — Adsis iocun<strong>di</strong>ssima Venus et coniu-<br />

giorum maxima conservatrix et summum iurgiorum <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>aeque reme<strong>di</strong>um. Adeste<br />

Hymenee et Thalasse in nupliis invocati. Adeste omnia caelestia numina quae ullam<br />

iti terris ac nuptiis potestatem habetis, etc.<br />

(2) Lett. ex. Med., V la i. martias, 1453. — Effice, inquam, ut ex tot tantisque<br />

laboribus quos terra marique pertulisti egregius fructus aliquis emanet ad posteros.<br />

(3) Il M it t a r e lli mette come fuor <strong>di</strong> dubbio la notizia della sua morte avvenuta<br />

in Venezia: — Decessit in eadem urbe Venetiarum anno 1463, sepultus S. U rsuhm<br />

prope monasterium SS. Iohannis et Pauli 0. ff. Pre<strong>di</strong>catorum. — Il V o ig t ,<br />

op. cit., voi. I a pag. 426, lo fa ritornare nel 1458 da Venezia alla sua città<br />

nativa ; a pag. 586 lo <strong>di</strong>ce da quell’ anno in poi occupato ad istruire i figli<br />

delle case nobili veneziane e morto in Venezia nel 1463. — Il B atta g lim i,<br />

Della corte letteraria d i Sigismondo Pandolfo Malatesta, lo fa per contro morire<br />

in Rimini prima del 22 aprile dello stesso anno. — Desumo la notizia in<strong>di</strong>ret­<br />

tamente dal Gabotto, art. cit.; e il Battaglini, laus Deo, dovrebbe almeno aver<br />

dato la notizia autentica.<br />

- 12$ -<br />

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quei grammatici che come il Trebanio, Tom m aso Se­<br />

neca da Camerino, 1’ Aurispa e tanti altri, nella grande<br />

officina letteraria eru<strong>di</strong>ta della prima metà del secolo,<br />

occupano l’ umile posto <strong>di</strong> operai, bravi valenti operai<br />

che spendono oscuramente un bell’ ingegno a gettare i<br />

semi che dovevano fruttificare negli anni venturi.<br />

Di professori che insegnarono in altre città del dominio<br />

poco sappiamo, sicché ben lontani da una trattazione<br />

ampia e ragionata, non possiamo presentare qui che<br />

un piccolo manipolo <strong>di</strong> notizie. Ad ogni m o d o , ecco<br />

qualche cosa.<br />

— 126 —<br />

In Savona, <strong>di</strong>ce il Verzellino, insegnò verso il I 4 J 7<br />

il famoso Aurispa (i). Ma con tutta probabilità il suo<br />

insegnamento in questa città va anticipato <strong>di</strong> due o tre<br />

anni. Lo stesso Verzellino nelle sue Memorie aride e<br />

spesso monche, ma pure atten<strong>di</strong>bili quasi sempre, ci<br />

narra <strong>di</strong>fatti che nel ’ i 4 , per alcune <strong>di</strong>fferenze sorte<br />

tra la città <strong>di</strong> Savona e il suo vescovo Vincenzo Viale,<br />

il consiglio deliberò spe<strong>di</strong>re Giovanni Aurispa oratore<br />

al pontefice (2). Dunque 1’ Aurispa <strong>di</strong>morava in Savona<br />

per lo meno alcuni mesi prima <strong>di</strong> quell’ anno, dunque<br />

sul finire del '14 egli si recò oratore presso il papa a<br />

Costanza. Giovanni X X III sappiamo appunto che vi<br />

(1) V e r z e llin o ; Memorie <strong>di</strong> Savona, ed. dal can. Andrea A sten go, Savona,<br />

1885, voi. I, p. 292. Lo S p o to rn o , op. cit., II, 380, mentre cita il cronista<br />

savonese, porta come data il '19, ma è scorso <strong>di</strong> penna. Il T ir a b o s c h i , op.<br />

cit., per contro l’ anno 1415; e forse la data tra il'14 e il '15 èia più cre<strong>di</strong>bile.<br />

(2) « a. 1414. — Vincenzo Viale genovese, vescovo <strong>di</strong> Savona,... comparti<br />

la spesa del viaggio ai concilio Constanziense fra il clero e la sua persona. Ma<br />

perchè non appariva questo vescovo in totale contento de’ citta<strong>di</strong>ni, il consiglio<br />

deliberò spe<strong>di</strong>re Giovanni Aurispa oratore al pontefice, acciocché con altro<br />

prelato vi rime<strong>di</strong>asse; ma riuscì vano il pensiero » (pag. 290).<br />

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— 127 —<br />

era andato nell’ ottobre. Ma, se capisco bene il lin-<br />

guaggio sibillino del cronista savonese, quella legazione<br />

non ebbe poi effetto; e d’ altra parte dal '14 al 717<br />

nella vita dell’ umanista siciliano ci sarebbe una lacuna<br />

che non si sa come colmare. Il Verzellino, senza dar­<br />

sene punto pensiero, scrive poi che nel 1417 egli fu ac­<br />

cordato dagli anziani a leggere umanità a’ figliuoli de’<br />

citta<strong>di</strong>ni. Ma una lettera del Traversari ci avverte invece<br />

che in quell’ anno egli stava a Pisa, che ivi trovò il<br />

Niccoli fuggito da Firenze per la peste e che gli ven­<br />

dette un Tuci<strong>di</strong>de (1). Come mettere d’ accordo due<br />

notizie tanto <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>? Forse il Verzellino è qui come<br />

in alcun altro luogo poco esatto nella data, forse 1’ Au­<br />

rispa, sebbene invitato da’ savonesi, non vi andò. E in<br />

verità tra Savona e Pisa la scelta non poteva esser<br />

dubbia: Pisa lo avvicinava a Firenze e a quel circolo<br />

<strong>di</strong> dotti uomini nel cui numero egli ambiva allora <strong>di</strong><br />

essere ascritto. Dopo il '20 la vita dell’ umanista prese<br />

un altro corso, scorgendolo a migliore fortuna; ma le<br />

notizie date parmi non lascino dubbio sulla <strong>di</strong>mora <strong>di</strong><br />

lui in Liguria prima <strong>di</strong> quell’ anno, sebbene non preci­<br />

samente nel '17.<br />

Tommaso Fregoso intrattenne certo corrispondenza<br />

epistolare con lui, come dal tono della lettera da noi<br />

riportata è lecito congetturare; e il Bracelli tre<strong>di</strong>ci anni<br />

dopo, raccomandava all’ epicureo umanista, allora segre­<br />

tario apostolico, Giovanni Andrea Vigevio, un genovese<br />

maestro <strong>di</strong> grammatica, che desiderava collocarsi in corte<br />

<strong>di</strong> Roma. Nel campo delle supposizioni, non credo sia<br />

(1) M e h u s ; Atnbr. Trav. Epist., V I, 8.<br />

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4<br />

tra le avventate questa, che tanto il Fregoso come il Bia-<br />

celli avessero appunto occasione <strong>di</strong> conoscere 1 umanista<br />

siciliano durante la sua <strong>di</strong>mora in Liguria. Quanto al Vi-<br />

• t • *<br />

gevio, sembra che riuscisse poi ad acconciarsi al servizio<br />

<strong>di</strong> uno de’ car<strong>di</strong>nali, o <strong>di</strong> Sant’Angelo o Firmano ( i) ,<br />

ingrossando così quella turba cortigiana cercata e spre­<br />

giata a un tempo da’ signori, che l’Ariosto doveva più<br />

tar<strong>di</strong> felicemente <strong>di</strong>pingere in una delle sue satire. Il<br />

Vigevio non ne fu, a quel che pare, contento, poiché<br />

lo ve<strong>di</strong>amo procacciarsi <strong>di</strong> ritornare come maestro a<br />

Genova, dove già aveva insegnato nel ’5 o ; e nella pia<br />

tica gli era <strong>di</strong> aiuto il nostro Bracelli, che nelle lettele<br />

a lui in<strong>di</strong>rizzate si sottoscriveva affettuosamente suo<br />

figliuolo (2).<br />

III.<br />

Negli anni dal '48 al ’57, per i rapporti segnatamente<br />

che passavano tra il vecchio Filelfo e gli eru<strong>di</strong>ti geno<br />

vesi, occorre frequente il nome <strong>di</strong> Giovan Mario, ossia<br />

del figliuolo primogenito dell’ umanista tolentinate. Ma<br />

in questi Atti avendone già particolarmente <strong>di</strong>scorso il<br />

Prof. Gabotto (3), il mio compito è con ciò reso assai<br />

più facile, dovendomi limitare alle notizie in<strong>di</strong>spensabili<br />

alla mia trattazione e ad alcune poche che mi venne fatto<br />

<strong>di</strong> raccogliere intorno alle relazioni del giovine Filelfo<br />

con il Bracelli.<br />

(1) Questo nel '52, come risulta da lettera a lui <strong>di</strong>retta dal Bracelli, ad<strong>di</strong> 6<br />

luglio. — Arch. Civico, Ms. Pallavicino, c. 112.<br />

(2) Ms. Br. c. 32.<br />

(3) Voi. X IX , pp. 489 segg.<br />

— 128 —<br />

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— 1 2 9 —<br />

Giovanni Mario fu professore pubblico in Savona: il<br />

Rosmini afferma nel 1446, ventesimo dell’ età sua (1),<br />

ma io presto più fede al Verzellino, seguito dal Tira-<br />

boschi e dallo Spotorno, che all’ anno 1444 scrive: « Gio­<br />

vanni Mario Filelfo, figlio <strong>di</strong> Francesco, . . . eru<strong>di</strong>­<br />

tissimo nelle più nobili lingue e <strong>di</strong> veemente ingegno,<br />

s’ accordò per insegnar grammatica e rettorica a’ fi­<br />

gliuoli de’ savonesi, con salario <strong>di</strong> lire cento 1’ anno<br />

e lire venti per pigione della casa, pagategli dal pub­<br />

blico . .. » (2). Rimase egli a lungo in Savona ? Il<br />

Gabotto crede fino all’ estate del 1450, ma la lettera<br />

del vecchio Filelfo eh’ egli cita non é, panni, prova suf­<br />

ficiente , potendo benissimo essere accaduto che Gian<br />

Mario se ne partisse e vi ritornasse non una volta sola,<br />

con quella volubilità ed incostanza che, del resto, era la<br />

norma quasi unica della sua vita randagia. Difatti, se il<br />

Voigt non isbaglia, nel ’49 egli fu per alcun tempo presso<br />

il duca Borso in Ferrara, ma non si trattenne neppure<br />

colà, che dopo pochi mesi era nuovamente a Milano e<br />

da Milano sulle mosse per altri luoghi (3).<br />

A siffatta natura sei anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>mora in Savona pro­<br />

babilmente sarebbero sembrati supplizio intollerabile.<br />

Partito nell’ estate del '50, ve lo ritroviamo il 26 <strong>di</strong>­<br />

cembre <strong>di</strong> quello stesso anno, tuttavia non per farvi <strong>di</strong>­<br />

mora, ma come una breve sosta, prima <strong>di</strong> recarsi presso<br />

il marchese <strong>di</strong> Finale. E nel castello dei Del Carretto,<br />

collocato come un nido d’ aquile sull’ Apennino ligure,<br />

( 1) R o sm in i; Vita <strong>di</strong> F. Filelfo, t. Ili, pag. 87.<br />

(2) V er z ellin o , op. c it., I , 308. — T iraboschi, op. c it ., V I, I, 1 8 8 —<br />

S potorno , op. cit., II, 380.<br />

(3) V o i g t ; op. cit., p. 530.<br />

A tti Soc. L ig . S t. P a tria . Voi. XXIII. 9<br />

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tra il cielo che s’ incurvava azzurro e placido sul capo<br />

e il mare, campo aperto alle galere della temuta repub­<br />

blica, egli fu spettatore dell’ ultima fase della guerra e<br />

potè maturare a suo agio le facili ire contro Genova e<br />

i Fregoso, ire che sfogò poi nella sua istoria.<br />

Era una natura subitanea, insod<strong>di</strong>sfatta sempre degli<br />

altri, perchè presumente troppo <strong>di</strong> sé, incerta e superfi­<br />

ciale. Tutto il ’5i va speso in vani <strong>di</strong>segni, se ritornare<br />

presso il re Renato, siccome ne lo esortava il padre,<br />

ovvero a Milano, attraversando il territorio nemico della<br />

repubblica. E frattanto si aggirava ora a Finale , ora a<br />

Millesimo, in terre mal sicure, seguito della misera fa-<br />

migliuola, mal contento del servizio presso il re An­<br />

gioino, pauroso della peste che sapeva infierire a Milano, e<br />

dubbioso de’ genovesi che avevano ragione <strong>di</strong> sospettar<br />

<strong>di</strong> lui, proveniente da Finale focolare della resistenza, e<br />

imparentato coi Del Carretto (i). Litterae autem mittendae<br />

sunt opera tua Millesimum quam ocissime, raccomanda il<br />

padre a Niccolò Ceba 1’ 8 giugno 14 5 1. E il 13 S en~<br />

naio dell anno dopo non aveva per anco lasciato la Li­<br />

guria, come risulta da una commendatizia <strong>di</strong> Francesco<br />

Filelfo a Niccolò Fregoso. Si valse egli poi delle lettere<br />

<strong>di</strong> passo che il padre gli procurò con il favore dello stesso<br />

suo protettore e per l’ intercessione degli amici, e si recò<br />

a Milano, come desiderava facesse il vecchio Filelfo ? Il<br />

Rosmini lo crede e lo conduce nella capitale lombarda,<br />

dove satireggiò la soverchia facilità dell’ imperatore Fe­<br />

derico III a conferire titoli <strong>di</strong> conti palatini, dottori<br />

(1) Per la peste in Milano, dr. lettere <strong>di</strong> Fr. Filelfo al figlio, addì 9 sett. i 45r><br />

30 sett. ed ultimo <strong>di</strong>cembre dello stesso anno.<br />

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— i 3 i —<br />

nelle arti e poeti laureati (i). Ma è permesso dubitare<br />

se la satira <strong>di</strong> Mario, cui il Rosmini accenna, cada in<br />

quel tempo. O egli non si partì da Finale nel '52 o vi<br />

fece, colla smania <strong>di</strong> vagare che lui e Senofonte avevano<br />

ere<strong>di</strong>tata dal padre, sollecito ritorno, perchè lo ve<strong>di</strong>amo<br />

il i.° gennaio 1453 presentare al marchese Spinetta la<br />

sua storia — probabilmente egli <strong>di</strong>morava allora presso<br />

il Del Carretto — e già il padre nel settembre del '52<br />

ci avverte che era lontano da Milano, dove non so, ma<br />

certo non a Genova, come risulta da una lettera <strong>di</strong> esso<br />

Francesco a Mario : — « Il nostro amico Pietro Per­<br />

leone mi avvisò in questi dì che tra poco farà ritorno<br />

a Rimini, la qual cosa, tempo innanzi, aveva a te<br />

pure significato: se adunque desideri ottenere 1 ufficio<br />

e l’ emolumento che egli aveva in Genova, sarà facile<br />

occuparsene e il tentativo riuscirà, spero, secondo il tuo<br />

desiderio » (2). Mario 0 non volle, o non potè aveie<br />

la cattedra lasciata dal Perleone, come giustamente so­<br />

spetta il Gabotto, e si tramutò a Torino. Già vi si<br />

era accasato nel marzo del 1453 (3) ed esercitava l’ av­<br />

vocatura. — « Godo, gli scriveva il padre, che tu abbia<br />

rinvenuto costì un onorevole luogo: forse un giorno<br />

anche i torinesi ritorneranno in grazia colle muse. Però<br />

che cotesta città è nobile e vetusta, fondata, come credono,<br />

da Fetonte ». Ma infine, e non a torto, si doleva che<br />

potendo starsi in un ambiente letterario più importante,<br />

es:li si fosse ridotto in una città che non contava più<br />

O<br />

(1) R osmini; op. cit., Ili, pag. 108.<br />

(2) E p ist., libr. X, f. 12, lett. in data 27 settembre 1452.<br />

(3) Lett. <strong>di</strong> Fr. Filelfo, ad<strong>di</strong> 22 marzo <strong>di</strong> quell’ anno.<br />

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— 132 —<br />

<strong>di</strong> cinque mila abitanti, e neanche con 1’ ufficio che si<br />

conveniva a un dotto, ma trasformato in rabula merce­<br />

nario. Tuttavia il duca Ludovico <strong>di</strong> Savoia , lo stesso<br />

<strong>di</strong> cui vedemmo pure lodarsi Niccolò Ceba dal suo<br />

rifugio <strong>di</strong> Nizza, lo accolse con molto onore, gli conferì<br />

la laurea poetica, lo creò consigliere ducale. Di cotesti<br />

onori, tra cui la laurea, parla il maggiore Filelfo , nel<br />

trattatello da lui de<strong>di</strong>cato al pronipote del duca, Filiberto<br />

<strong>di</strong> Savoia, che sia detto per incidenza, non pare emu­<br />

lasse la signorile liberalità del nonno ( i) , e <strong>di</strong> nuovo li<br />

esalta ne’ suoi carmi latini :<br />

Coepisti tandem sua restituisse parenti<br />

Munera, vate M ari, quae mihi debueras.<br />

Ouod te magnanimus tanto insignirit honore<br />

Ipse Ludovicus gloria magna tibi est,<br />

Nani tanto placuisse duci, Sabbau<strong>di</strong>a cuius<br />

Imperio paret, fert tibi grande decus.<br />

lu<strong>di</strong>co postquam tibi tanti principis ambit<br />

Laurea pulchra comam etc. (2).<br />

È alla <strong>di</strong>mora del minore Filelfo a Torino che si ri­<br />

feriscono le lettere a lui <strong>di</strong> Giacomo Bracelli. Non ec­<br />

cedono il periodo <strong>di</strong> tre anni, dal 1455 ^ 57> ma un<br />

passo della prima <strong>di</strong> esse, comparato con la lettera <strong>di</strong><br />

Fr. Filelto, che già conosciamo, ci persuade vie meglio<br />

doversi portare al ’53 la partenza <strong>di</strong> Mario dalla Liguria<br />

e dai marchesi Del Carretto per Torino. Si accenna quivi<br />

(1) Per quel trattatello, <strong>di</strong>ce il Rosmini, op. cit., II, doc. n. 102, furono regalati<br />

a F. Filelfo ducati quattro!<br />

(2) Ode VI del libro V. Cfr. Rosm ini, op. cit., loc. cit..<br />

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— 133 —<br />

al lungo silenzio tenuto da Gian Mario verso il cancel­<br />

liere genovese e alle scuse che quello faceva all illustre<br />

amico, il quale, ben inteso, protestava cortesemente. Aspet­<br />

tava invece i suoi libri che dovevano esser cagione <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>letto a lui, <strong>di</strong> lode anche più grande al loro autore.<br />

E poiché il Filelfo magnificava i suoi progressi presso<br />

la corte <strong>di</strong> Torino, il Bracelli si compiaceva che per<br />

esso fosse smentita la massima : esser sempre rari e<br />

contennen<strong>di</strong> i premi proposti alla virtù, egli, per contro,<br />

come a pochi era accaduto nel suo secolo, non dubitava<br />

<strong>di</strong> chiamarli gran<strong>di</strong> ■ avevano dunque ad essere amplissimi,<br />

se misuravansi col suo ingegno e la felicissima memoria,<br />

due facoltà <strong>di</strong> cui aveva fatto singolare e quasi incre<strong>di</strong>bile<br />

esperimento. Dopo altre considerazioni, negava poi che egli<br />

avesse mai pensato <strong>di</strong> attendere agli annali genovesi, come<br />

alcuno aveva scritto a Gian Mario, e insisteva perché<br />

gli facesse parte delle sue opere, specialmente della storia<br />

sulla guerra <strong>di</strong> Finale. La terza lettera (2 marzo 1457)<br />

conferma il viaggio da Mario intrapreso nella Gallia cui<br />

accenna anche il maggiore Filelto, scrivendone a Tom­<br />

maso Franco; ma il movente non era stato 1 incostanza<br />

abituale, come si sarebbe potuto sospettare, bensì una<br />

missione commessagli dal duca e da lui <strong>di</strong>simpegnata<br />

abilmente: gli splen<strong>di</strong><strong>di</strong> doni ricevuti dai maggiori si­<br />

gnori <strong>di</strong> Francia attestavano chiaramente che egli era<br />

degno della amicizia dei re, degno della loro liberalità.<br />

Un curioso inciso in cui qui c imbattiamo, ci sof­<br />

ferma : ad principem meum delatum non est quod legato<br />

apud Senam agenti de<strong>di</strong>sti carmen. Che carme era cotesto<br />

che al doge Pietro Fregoso non era stato consegnato ?<br />

E nella quarta ed ultima delle lettere esistenti nel mano-<br />

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— r34 —<br />

scritto bracelliano si ritorna sullo stesso tasto. Dopo le<br />

lo<strong>di</strong> delle poesie inviategli dal giovine Filelto con 1 esa­<br />

gerazione <strong>di</strong> linguaggio allora tanto comune, soggiunge:<br />

« All illustre principe nostro consegnai quelle che erano<br />

sue, e non dubito eh’ egli farà <strong>di</strong> te il debito conto,<br />

essendo uso ad amare ed esaltare tutti coloro che son<br />

dotati <strong>di</strong> alcuna virtù » ( i) . In sostanza, il cancelliere<br />

genovese, scrivendo al minore Filelfo nei 1 4 5 ^ ’ 8^<br />

chiede la storia della guerra <strong>di</strong> Finale e con queste<br />

singolari parole : ea ('volumina) si vis mittito, que P^us<br />

lau<strong>di</strong>s et glorie allatura sint tibi, vel m ihi plus voluptatis,<br />

cuiusmo<strong>di</strong> futura puto que fìnariense respiciunt bellum.<br />

II libro adunque gli era ignoto ancora. E ancora<br />

nel 57 il Filelfo^ inviando de’ versi suoi al Bracelli, ne<br />

accludeva altri da consegnarsi a Pietro Fregoso, da cui<br />

ceito sperava lode, se non anche premio, come promet-<br />

tevagli 1 autorevole amico. Le osservazioni che, poste<br />

queste premesse, scaturiscono naturali, le indovineià il<br />

lettore che conosca solo un poco 1’ operetta del Filelfo.<br />

Annales in historiam fìnariensis belli.<br />

Inviava versi <strong>di</strong> panegirico e sperava lode e premio<br />

dopo le atroci ingiurie scagliate in quel libro contro i<br />

Fregoso ? Gli eru<strong>di</strong>ti sanno <strong>di</strong>fatti che questa storia <strong>di</strong><br />

Gian Mario é una continua violenta invettiva contro i<br />

genovesi e la famiglia in Genova dominante. Pietro Fre­<br />

goso in ispecie non vi é risparmiato, ed il passo dove lo<br />

scrittore pare alludere all’ uccisione <strong>di</strong> Niccolò Fregoso,<br />

cugino del doge, doveva infìggersi acuto come strale<br />

(i) Ms. Br. c. 117, lettera da Genova, 7 marzo 1455, c. 7, 3 gennaio i 45^><br />

c. 135, 2 marzo 1457, c- 29, 25 maggio 1457. Ved. Documento X I in fine.<br />

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nell’ animo del potente signore (i). Come si spiegano tutte<br />

coteste contrad<strong>di</strong>zioni ? Possibile che una storia scritta<br />

nel '52 o 53 in Liguria (2), sulla faccia dei luoghi e<br />

degli avvenimenti, non fosse ancora nota al Bracelli<br />

nel ’ 5 5, malgrado la viva curiosità che doveva produrre<br />

la notizia <strong>di</strong> un libro in cui si narravano fatti, si giu­<br />

<strong>di</strong>cavano ar<strong>di</strong>tamente cose e uomini o<strong>di</strong>erni e per opera<br />

<strong>di</strong> un dotto, <strong>di</strong> un eloquente umanista? Pairebbe dunque<br />

che questo lavoro, se anche presentato il 1. gennaio 145 3<br />

al marchese Spinetta, Mario si guardasse dal pubblicarlo,<br />

o forse non era che un primo abbozzo sul quale lo sto­<br />

rico venne poi lavorando in Toiino. Sta il fatto che<br />

nel ’56 il Bracelli, il Ceba, ed un grammatico (3), che<br />

forse era il Maggiolo, non lo conoscevano se non <strong>di</strong><br />

nome, e sono <strong>di</strong> parere che ciò fosse anche nel maggio<br />

del *57, quando il nostro Iacopo scriveva così calde lo<strong>di</strong><br />

sui versi fattigli recapitare da Gian Mario. La sfaccia­<br />

taggine <strong>di</strong> costui si lusingava sino al segno da credei e<br />

che il libercolo rimarrebbe sconosciuto a Pietro Fregoso,<br />

e che frattanto si poteva pure con lo<strong>di</strong> mendaci scroc­<br />

cargli qualche donativo ? Sono congetture campate in<br />

(1) Eccolo : Non malefactum <strong>di</strong>xere Frego sii (gli oltraggi fatti da’ genovesi ad<br />

un sacerdote). Quid tamen hoc malefactum <strong>di</strong>xerint, cum aut (non?) vereantur tri<br />

sobrinos et fratres parare et venenum et gla<strong>di</strong>os, in cognatasque adulteriis m ti?<br />

(col. 1197-1198).<br />

- 135 -<br />

(2) Cfr. G a b o tto , meni, cit., loc. cit., pag. 509.<br />

(3) Come in una lettera del Filelfo, ad<strong>di</strong> 22 gennaio 1452, citata dal Gabotto,<br />

si raccomanda al Perleone un Laurentium nostrum, così nella quarta ed ultima<br />

<strong>di</strong> queste lettere a Gian Mario, si fa dal Bracelli cenno <strong>di</strong> un Lorenzo gram ma­<br />

tico. Era il Maggiolo? Bisognerebbe riscontrare se nella vita del famoso me<strong>di</strong>co<br />

e filosofo genovese sia possibile una cosi lunga <strong>di</strong>mora in Genova, dal '52 al 57<br />

e spiegare il grammatico, con cui solo lo designa il cancelliere genovese. A me<br />

ne manca il modo. Cfr. G ab o tto , meni, cit., loc. cit., pag. 500, in nota.<br />

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— 136 —<br />

aria, nè io pretendo affermar nulla; ma poiché le con­<br />

trad<strong>di</strong>zioni, come appare per queste lettere del Bracelli,<br />

sussistono, era pur debito <strong>di</strong> una monografia che toc­<br />

casse <strong>di</strong> cotesta singolare figura <strong>di</strong> eru<strong>di</strong>to, 1’ accennarle.<br />

Sarebbe una delle faccie più scadenti ed abbiette del<br />

vario e ricco poliedro umanistico. Ma il fatto, se anche<br />

strano, non è però impossibile. Un uomo, la cui vita<br />

sregolata e zingaresca spingeva assai volte a men<strong>di</strong>care<br />

da amici e protettori 1’ elemosina <strong>di</strong> un soccorso, che<br />

nell’ opuscolo Della vita e de' costumi <strong>di</strong> Dante non si<br />

peritò <strong>di</strong> offendere la memoria del grande poeta con in­<br />

venzioni ed imposture ciarlatanesche, poteva anche in un<br />

caso tramutarsi in impudente cortigiano.<br />

Del cancelliere genovese dopo quest’ ultima lettera del<br />

maggio 1457 non si trova più nulla in<strong>di</strong>rizzato a Gian<br />

Mario. Un silenzio che potrebbe pur essere significativo.<br />

Anche più scarse sono le notizie sugli altri professori<br />

pubblici in Savona. Il Prof. Gabotto scrive che forse<br />

nella sua <strong>di</strong>mora in questa città Gian Mario conobbe<br />

Venturino de’ Priori. Era savonese e la cosa é affatto<br />

naturale; che si sappia però, Venturino non tenne inse­<br />

gnamento nella sua città prima del *73. Erra quin<strong>di</strong><br />

grossolanamente il Ban<strong>di</strong>ni, quando afferma che questo<br />

fu successore del Filelfo nella cattedra genovese (i)*<br />

Nè 1 uno né 1’ altro furono mai professori in Genova ,<br />

e per quel che riguarda il Priori, egli fu un successole<br />

<strong>di</strong> Gian Mario assai in ritardo.<br />

Ed ora per ritornare alla città dominante, questa vanta,<br />

oltre i citati, nel pubblico insegnamento <strong>di</strong> bei nomi :<br />

(1) B an<strong>di</strong>ni; Cut. cod. lat. Bibl. Laur., t. III, p. 804.<br />

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- 137 -<br />

Giorgio Valla che lesse grammatica e retorica probabil­<br />

mente nel '76 e negli anni successivi, fino al *79 (1),<br />

Paolo Partenopeo, Gian Paolo Maffei, Iacopo Bonfa<strong>di</strong>o<br />

non meno famoso per l’ ingegno e la dottrina che per<br />

la tragica morte. Ma questi appartengono al secolo X V I<br />

e quin<strong>di</strong> eccedono i confini assegnati a questo lavoro.<br />

Una lista <strong>di</strong> altri assai meno illustri, a .cominciare dal<br />

Vigevio verso la metà del quattrocento e giungendo ai<br />

primi anni del secolo seguente, il lettore troverà in fine,<br />

nell’ appen<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> documenti (2). L ’ ultimo che ebbe in­<br />

vito <strong>di</strong> leggere pubblicamente nello stu<strong>di</strong>o genovese fu<br />

Torquato Tasso nel 1587, e non venne. Poco dopo i<br />

Gesuiti ottenevano dalla Signoria licenza <strong>di</strong> fabbricare<br />

la chiesa <strong>di</strong> S. Ambrogio ed attigua a questa un e<strong>di</strong>­<br />

ficio per il loro collegio, nel quale tenere letture pub­<br />

bliche su tutte le professioni.<br />

Così lo stu<strong>di</strong>o del latino e del greco <strong>di</strong>veniva un<br />

loro monopolio, e abbandonato l’ ufficio dell’ umanesimo<br />

che mirava ad integrare 1’ autore con l’ illustrazione dei<br />

luoghi, de’ tempi, de’ costumi tra cui si svolge 1’ opera<br />

sua, si fece senza <strong>di</strong> que’ cànoni critici; e ridotti i clas­<br />

sici ad altrettanti tipi immutabili ed universali dell’ arte,<br />

si nascose sotto il lussureggiar delle fion<strong>di</strong> la scarsità e<br />

1’ insipidezza del frutto.<br />

(1) Da non scambiarsi, come fa il Mehus (Bart. F acii, De viris illustribus,<br />

p. xxvi), con Lorenzo Valla. Il mordace e terribile umanista romano non fu<br />

mai professore in Genova. Giorgio vi fu invitato con deliberazione del ducale<br />

governatore e del consiglio degli anziani in data 16 luglio 1476 e con lo sti­<br />

pen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> 200 lire genovesi all’ anno (Archivio <strong>di</strong> Stato in Genova, Diversorum<br />

caliceli, filza 39). Nel 1480, 9 maggio, Ibleto Fieschi si lagnava che il Valla<br />

fosse stato licenziato.<br />

(2) Ved. Documento X II.<br />

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- i38 -<br />

C A P IT O L O IV.<br />

M E C E N A T I, L IB R I E L IB R E R IE .<br />

Genova non ebbe un libraio principe come il fioren­<br />

tino Vespasiano e neppure mecenati della splen<strong>di</strong>dezza<br />

<strong>di</strong> Cosimo, per cui l’ arte libraria potesse avvantag­<br />

giarsi rapidamente, siccome avvenne in Firenze. Ma ^<br />

qualche cosa si fece pur qui, e se non tutto per merito<br />

de suoi citta<strong>di</strong>ni, per la posizione geografica almeno<br />

più presso ai maggiori centri <strong>di</strong> coltura, non manco<br />

neanche a Genova un movimento librario che potesse<br />

competere, per un esempio, con Napoli e fosse un modesto<br />

riflesso della mirabile attività e perizia fiorentina. Se non<br />

che a Napoli tutto si appuntava nel sovrano aragonese,<br />

magnifico e costante protettore <strong>di</strong> dotti, dal cui favore<br />

ne se<strong>di</strong>ci anni eh’ egli ebbe <strong>di</strong> regno, la città riconobbe<br />

tutto il suo splendore. In Genova le cose correvano<br />

1 * i<br />

alquanto <strong>di</strong>versamente, per la capitale ragione cui pi<br />

volte accennammo delle politiche mutazioni, che al <strong>di</strong>re<br />

del Piccolomini facevano stupire ad un tempo 1 oriente<br />

e 1 occidente (i). La protezione accordata dal capo dello<br />

Stato era adunque passeggiera, come transeunte era il<br />

suo governo, né i dotti o gli amatori <strong>di</strong> co<strong>di</strong>ci antichi<br />

e preziosi cimelii potevano sempre trovarvi quella faci­<br />

lità che rinvenivano altrove. Che per altro, anche in<br />

( i) A e n . S y l v i i ; Historia de Europa, ed. cit., p ag. 4 4 5 .<br />

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— 139 —<br />

uomini dottissimi durasse 1’ opinione che Genova e le<br />

altre città del dominio possedessero copia grande <strong>di</strong> an­<br />

tichi co<strong>di</strong>ci, ci é attestato dalle parole del Guarino al<br />

Lamola, quando questi nel 1448 aveva intrapreso alcune<br />

•<br />

escursioni in Liguria: — « Non ti stancare, mio ottimo<br />

Lamola, <strong>di</strong> rintracciare i dotti personaggi, ossia gli antichi<br />

libri <strong>di</strong> cui cotesta Liguria dev’ esser piena. Esplora ogni<br />

biblioteca ed i sepolti nella polvere e nel sor<strong>di</strong>dume re­<br />

voca e suscita alla mon<strong>di</strong>zie ed alla luce. Auguro che<br />

tu possa scoprire le lettere <strong>di</strong> Plinio » (1). — Proba­<br />

bilmente fattore principale della favorevole opinione era<br />

il grande concetto che si aveva pur sempre della ric­<br />

chezza e del carattere intraprendente de’ genovesi. E <strong>di</strong>co<br />

pur sempre, poiché esso era antico, come la fama <strong>di</strong> bel­<br />

lezza delle sue donne. Rambaldo <strong>di</strong> Vaqueiras per una<br />

<strong>di</strong> costoro che andavano non <strong>di</strong> rado spose ai re d’ O-<br />

riente, scriveva il primo contrasto bilingue della nostra<br />

letteratura; ed i versi provenzali malamente attribuiti<br />

dal Quadrio a Federico Barbarossa, tra le cose parecchie<br />

amate e preferite dal poeta, citavano pur anche l’ onorare<br />

del genovese:<br />

Piacemi il cavalier francese,<br />

E la dama catelana,<br />

L’ onorar dal genovese,<br />

E la corte <strong>di</strong> Castellana,<br />

Lo cantar provenzalese,<br />

E la danza trivigiana,<br />

E lo corpo aragonese,<br />

E la perla in<strong>di</strong>ana,<br />

Mani e ciera dell’ inglese,<br />

(1) Giorn. Lig., anno XII, pag. 391.<br />

E ’l donzello <strong>di</strong> Toscana (2).<br />

(2) Q u a d r io ; Della storia edella ragione d'ogni poesia, Milano, 1 7 4 1 , II, pag. i n .<br />

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State certi che nell’ onorar del genovese il poeta ci<br />

comprendeva anche il maggior bene ambito dagli uo­<br />

mini : la ricchezza e la potenza. Non so se il Lamola<br />

abbia atteso <strong>di</strong> proposito alle ricerche cui lo spronava<br />

il Guarino: certo non scoperse le lettere <strong>di</strong> Plinio.<br />

Ma tuttavia non mancavano tra’ genovesi, bibliofili e<br />

possessori <strong>di</strong> biblioteche. Già toccammo <strong>di</strong> Andreolo<br />

Giustiniani. All’ uscire del trecento un Bartolomeo <strong>di</strong><br />

Iacopo, valente giureconsulto ed oratore, lasciava mo­<br />

rendo una raccolta <strong>di</strong> co<strong>di</strong>ci il cui inventario, pur som­<br />

mario, é segno certo in chi li possedeva <strong>di</strong> una coltura<br />

notevolissima. Oltre le opere giuri<strong>di</strong>che copiose, la bi­<br />

blioteca conteneva, buon numero <strong>di</strong> autori classici e<br />

me<strong>di</strong>evali quali raramente si trovavano presso un sem­<br />

plice privato (i).<br />

— 140 —<br />

Tra libri e letterati troviamo pure un illustre mila­<br />

nese che tenne per quattro anni, ossia dal 1428 al 32<br />

il governo <strong>di</strong> Genova in nome del duca Filippo Maria,<br />

voglio intendere l’ arcivescovo <strong>di</strong> Milano, Bartolomeo<br />

Capra (2). Godeva fama <strong>di</strong> uomo assai versato negli<br />

(1) Clr. B e l g r a n o ; Della vita privata de’ genovesi, c. X X V III. N o v a t i ,<br />

Bart. <strong>di</strong> Iacopo, in Giorn. Ligustico, 1890, p. 23 segg.<br />

(2) Intorno all’ anno che il Capra venne a Genova come governatore, cade<br />

qualche dubbio. Dal passo <strong>di</strong> una lettera scritta dal Traversari al N iccoli, il<br />

prof. Sabba<strong>di</strong>ni giunge alla conclusione che 1 ’ archiepiscopus m e<strong>di</strong>olanensis cui<br />

in quel luogo si accenna fosse Bartolomeo Capra, e che quin<strong>di</strong> costui occupasse<br />

1’ ufficio <strong>di</strong> governatore, almeno sin dal febbraio 1424 (S a b b a d in i ; G u arin o Ve­<br />

ronese e g li archetipi <strong>di</strong> Celso e Plauto, p. 10). L ’ induzione certo 6 logica, ma<br />

invalidata da altre testimonianze che, per ricerche fatte, potei rinvenire. Difatti<br />

il Verzellino (Memorie cit., I, 290), un compilatore, come già ebbi a <strong>di</strong>re, ma che<br />

lavorò sopra cronache e documenti, porta l’ anno 1428. Ecco l’ i n t i e r o passo :<br />

« Fu ricevuto con onorevolezza in Savona, l’ anno 1428, ad<strong>di</strong> 26 aprile, ed a<br />

spese del pubblico, Bartolomeo Capra, arcivescovo <strong>di</strong> Milano, inviato a Genova<br />

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— I4 I -<br />

stu<strong>di</strong> ecclesiastici: allorché Ambrogio Traversari fu colto<br />

da scrupoli, più affettati che veri, per la traduzione<br />

delle vite <strong>di</strong> Diogene Laerzio desiderata da Cosimo e<br />

dal Niccoli, uno de’ due giu<strong>di</strong>ci che decise sulla con­<br />

venienza o no, da parte del pio generale de’ Camaldo­<br />

lesi, <strong>di</strong> tradurre uno scrittore profano, fu appunto il<br />

Capra. O forse l’ astuto monaco volle correggere con<br />

questa scelta l’ austero giu<strong>di</strong>zio che temeva fosse dato<br />

da Antonio da Massa, il secondo giu<strong>di</strong>ce eletto. Noi<br />

sappiamo <strong>di</strong>fatti che anche 1’ arcivescovo Capra era in­<br />

tinto più che <strong>di</strong>scretamente della pece pagana. Al licen­<br />

zioso poeta dell 'Ermafro<strong>di</strong>to faceva s.ipere che egli aveva<br />

desiderio vivissimo <strong>di</strong> leggerlo (i), e a chi gli chiedeva<br />

perchè avesse cura <strong>di</strong> tener sempre, come servi suoi,<br />

sopra u n a g a le ra , la quale <strong>di</strong> ritorno portò a Savo n a il Car<strong>di</strong>nal G ia c o m o I s o ­<br />

lani, b o lo g n e se , che doveva andare a M ilano ».<br />

Il C ic a la invece (ms. cit.) segna l’ aprile dell’ anno 1427- Finalmente nelle<br />

lettere dell’Archivio <strong>di</strong> Stato in Genova (Litterar. registri, n. 1779' cancelliere<br />

G. Bracelli) 1’ ultima che rinvenni, scritta in nome del car<strong>di</strong>nale Giacomo Iso­<br />

lani, governatore ducale, ha la data del 23 febbrajo 1428. Colla data del 3 marzo,<br />

stesso anno, esiste una lettera in nome del Capra al vicario <strong>di</strong> Albenga per un<br />

salvacondotto da accordarsi.<br />

Del resto, se il viaggio del Parentucelli in Lombar<strong>di</strong>a è da porsi nella se­<br />

conda metà del 1427 (Cfr. Sabba<strong>di</strong>ni, op. cit., p. 40) e la lettera <strong>di</strong> lui al Nic­<br />

coli é in data del 4 giugno 1428, come la fissa lo stesso Prof. Sabba<strong>di</strong>ni, anche<br />

per questa via verrebbe ad essere infirmato, 0 sospetto per lo meno, 1 anno 24.<br />

Ecco il passo: Cum Me<strong>di</strong>olani fuimus de Cornelio Celso invento in basilica Am­<br />

b r o s ia n a investigavi. Inveni esse apud arcbiepiscopum me<strong>di</strong>olanensem, qui tum Ianuae<br />

erat, a quo nescio si obtinere potuissem, cum librum illum iam<strong>di</strong>u expectarit<br />

(Sabba<strong>di</strong>ni, op. cit., p, 24). Senza pretenderla quin<strong>di</strong> all esattezza del Bianconi,<br />

che pone la venuta del Capra al 28 febbraio 1428 (Lettere sopra Celso, p. 116,<br />

n. 9), tuttavia sono io pure d’ avviso che essa si debba protrarre fino ai primi<br />

mesi <strong>di</strong> quest' ultimo anno.<br />

(1) V o ig t; op. cit., I, 478.<br />

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ellissimi giovani rispondeva: perché solo ne’ corpi de­<br />

formi entrano ad abitare le anime turpi. Disonestà in<br />

egregia forma é assai rara (1).<br />

Il concetto era platonico, ma ravvicinato alle eleganti<br />

lubricità dell’ Ermafro<strong>di</strong>to che il dotto prelato si <strong>di</strong>lettava<br />

<strong>di</strong> leggere, poteva esser tratto ad un’ ingiuriosa interpre­<br />

tazione. Piace meglio trovarlo sollecito, anche tra le<br />

nuove cure <strong>di</strong> governo, della ricerca e dello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />

co<strong>di</strong>ci antichi e in ciò egli certo deve collocarsi tra gli<br />

uomini più benemeriti che avesse allora la repubblica<br />

genovese. Quando nel 1427, durante il suo viaggio in<br />

Lombar<strong>di</strong>a col car<strong>di</strong>nale Albergati, Tommaso Parentucelli<br />

chiese dell’ archetipo <strong>di</strong> Celso scoperto <strong>di</strong> fresco nella<br />

basilica ambrosiana, seppe che esso si trovava a mano<br />

del Capra in quel tempo appunto mandato al governo<br />

<strong>di</strong> Genova. E nel 27, o nel ’28, credo sia da porsi una<br />

visita fatta dal Bracelli a Gasparino Barzizza in Milano<br />

collo speciale incarico da parte dell’ arcivescovo <strong>di</strong> farsi<br />

consegnare dall’ umanista, non veramente il famoso co<br />

<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Lo<strong>di</strong> scoperto anni prima da Gerardo Landriani<br />

e contenente i tre libri completi de Oratore, il Brutus<br />

o De claris oratoribus e Y Orator in<strong>di</strong>rizzato a Bruto,<br />

ma la copia che Gasparino per suo uso aveva fatto <strong>di</strong><br />

quest ultimo trattato e che volontieri imprestava agli<br />

amici.<br />

Nel 28 cade <strong>di</strong>fatti il viaggio che Iacopo faceva quale<br />

cancelliere de’ sei ambasciatori genovesi incaricati <strong>di</strong><br />

( 1 ) A e n . S y l v i i ; Comment., ed. c it ., p. 4 8 5 . — Bartholomeus Caprantis me<strong>di</strong>o<br />

ìanetisis ecclesiae antistes idcirco se ministros form a praestantes quaesivisse <strong>di</strong>cebat<br />

quoniam turpes animi turpia corpora incolerent. Improbitatem autem in egregia<br />

form a perraro compertam esse.<br />

— 142 —<br />

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— 143 —<br />

complire il duca per le sue nozze con Maria <strong>di</strong> Savoia. Il<br />

buon Barzizza che proseguiva la sua fatica sopra Cice­<br />

rone dello stesso amore con cui proseguono i padri i loro<br />

figliuoli, ringraziava il Capra che avesse scelto per quel<br />

geloso negozio un uomo dabbene e negli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> uma­<br />

nità così addentro qual era il Bracelli ; i pre<strong>di</strong>letti stu<strong>di</strong><br />

onde il Capra sopra ogni altra cosa si <strong>di</strong>lettava (i).<br />

Ma un mecenate <strong>di</strong> ben maggiore importanza verso<br />

lo stesso tempo é quel Tommaso Fregoso che ci avvenne<br />

già più volte <strong>di</strong> ricordare. Egli protettore liberale <strong>di</strong><br />

stu<strong>di</strong>osi e cultore esso stesso <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> classici, egli certo<br />

possessore <strong>di</strong> una buona biblioteca, avrebbe ad essere<br />

appunto il mecenate onde fa cenno il Guarino nel 1428.<br />

E che la supposizione <strong>di</strong> una ricca biblioteca posseduta<br />

da Tommaso non sia infondata, me ne accerta T inven­<br />

tario, pubblicato dal Delisle, dei libri che trovavansi nello<br />

stu<strong>di</strong>olo <strong>di</strong> lui e che nel 1425 erano commessi alla cu­<br />

sto<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Bartolomeo Guasco (2). Si deve supporre che<br />

qui fossero i più preziosi soltanto, o quelli che il<br />

(1) S a b b a d in i; Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Gasparino B arbin a su Quintiliano e Cicerone, Livorno,<br />

1886, p. 13.<br />

(2) Veci. Documento X III, in fine. L’ inventario, mi valgo delle parole stesse<br />

dell’ egregio Belgrano che volle farmene cortese comunicazione, è inserto alla<br />

fine <strong>di</strong> un bel co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Tito Livio e d’ altri storici della Nazionale <strong>di</strong> Parigi,<br />

scritto ne’ principi del secolo XIV (Lat., n. 5^9°) > e comincia così: Inventa­<br />

rium eorum librorum qui inuenti sunt in pul[c]herrimo stu<strong>di</strong>olo magnifici contini<br />

domini Thotne de Campo Fregoso, Sar\ane tunc domini, qui custo<strong>di</strong>e recommissi<br />

sunt Bartholomei Guaschi <strong>di</strong>e . xx . novembris . m. cccc . xxv. Cfr. Catalogus<br />

co<strong>di</strong>cum mss. Bibl. Reg. Paris., IV, 1 4 8 ; D e l is l e , Le Cabinet des mss. de la<br />

Bibl. N at., II, 346. Il co<strong>di</strong>ce appartenne già a Francesco Petrarca e per la<br />

storia <strong>di</strong> esso è importante la notizia che si legge nel foglio 367 : Emptus A vi-<br />

niotte 1 3 5 1 , <strong>di</strong>u tamen ante possessum: appartenne poscia ai Fregoso, ne quali,<br />

come si vede da certe annotazioni, durò almeno fino al sec. X V I. Cfr. B e l­<br />

g r a n o , Annali Genovesi <strong>di</strong> Caffaro ecc., Roma, 1890, voi. I, p. xxiv.<br />

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— 144 —<br />

signore desiderava <strong>di</strong> avere più a mano. E chi <strong>di</strong>a una<br />

scorsa a quell’ inventario, giu<strong>di</strong>cherà non esagerata ne<br />

vana la lode data al Fregoso <strong>di</strong> geniale cultore <strong>di</strong> classici<br />

stu<strong>di</strong>. Quanto <strong>di</strong> più essenziale in questa parte posse­<br />

deva il me<strong>di</strong>o evo, e ciò che 1’ eru<strong>di</strong>zione del secolo X IV<br />

vi aveva aggiunto per opera segnatamente del Petrarca,<br />

ed inoltre in buon numero opere <strong>di</strong> storia antica e mo­<br />

derna, molta storia, molta oratoria come si conveniva<br />

ad un sapiente uomo <strong>di</strong> Stato, tutto questo troviamo<br />

raccolto nell’ elegante stu<strong>di</strong>olo del signore <strong>di</strong> Sarzana.<br />

Non esagerava dunque punto coir Aurispa allorché nel 39<br />

gii scriveva che Plauto così colla soavità sua lo adescava<br />

che, chiuso ogni altro libro, egli prendeva piacere <strong>di</strong><br />

quell’ unico soltanto. Da cotesto inventario conosciamo<br />

<strong>di</strong>fatti che Plauto e Terenzio non gli erano ignoti ed<br />

insieme con essi Virgilio^ Livio, il tragico Seneca^ e<br />

Cicerone, nelle lettere specialmente ancora rare, e Gellio,<br />

Notti Attiche e Plinio, <strong>Storia</strong> Naturale, libri avidamente<br />

cercati da amanuensi e bibliofili, non che Svetonio e<br />

quel Valerio Massimo che anni dopo venne felicemente<br />

imitato da un altro Fregoso, doge anch’ esso della sua<br />

repubblica.<br />

Sul prezzo dei libri in Genova riferirò questa notizia<br />

per incidenza data dal Bracelli ad Andreolo Giustiniani.<br />

Il cancelliere aveva fatto copiare per conto dell amico<br />

un co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Tolomeo, e gli scriveva che la spesa<br />

per la pergamena, il libraio, miniatore e legatore am­<br />

montava in totale a quin<strong>di</strong>ci lire genovesi (i)- ^ on<br />

era caro. Il povero Perleone che voleva acquistale da<br />

(1) L e tte ra 2 lu glio 1440.<br />

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- r45 -<br />

Melchiorre, libraio milanese, un esemplare delle lettere<br />

<strong>di</strong> Cicerone riceveva avviso dal Filelfo che costui pre­<br />

tendeva del volume <strong>di</strong>eci ducati. Ma osserva giustamente<br />

il Voigt che riesce assai <strong>di</strong>fficile segnare una norma<br />

generale sui prezzi dei libri in quel tempo (i).<br />

Certo non era Genova il paese dove si potesse tro­<br />

vare un or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> amanuensi abile e bene costituito<br />

quale lo offriva Firenze, ed a nessuno sarebbe caduto<br />

in mente <strong>di</strong> cercare qui il libraio che sapesse allestire<br />

una biblioteca. Non mancavano per altro menanti ed<br />

anche uomini che sapessero elevarsi più in alto <strong>di</strong><br />

quest’ umile professione, ne sia esempio il Curio, e<br />

neppure un certo commercio <strong>di</strong> libri antichi. Se il Bra­<br />

celli rispondeva a Cipriano De Mari nel ’5 3 : essere <strong>di</strong>f­<br />

ficile trovare allora in Genova un V egezio che fosse ad<br />

un tempo abbastanza corretto e venale, gli è perchè libri<br />

antichi occorreva anche qui, senza dubbio, <strong>di</strong> comprarne<br />

e <strong>di</strong> venderne (2). Ed in ciò i maestri vaganti avevano<br />

parte principalissima. Il Filelfo, nel 1448, voleva acqui­<br />

stare la biblioteca lasciata dal Cassarino ed in ispecie un<br />

co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Platone, e verso quel medesimo tempo aspet­<br />

tava con impazienza un Ardano che il Perleone gli<br />

faceva trascrivere, o trascriveva egli stesso nei ritagli<br />

<strong>di</strong> tempo. Ma il Perleone la tirava per le lunghe; e il<br />

Filelfo che amava servirsi <strong>di</strong> tutti ed esser servito presto,<br />

scriveva con un po’ d’ impazienza : Cura ut valeas . . .<br />

et ad me Arrianum historicum quamprimum des. Ma<br />

cinque anni dopo, non scoraggiato, ritornava ancora alla<br />

(1) V o i g t ; o p c it., I, 398.<br />

(2) M s. B r . c. 1 2 1 , G e n o v a , 6 giu gn o 1 4 5 3 .<br />

A t t i S o c. L ig . Soc. P a tria . Voi. XXIII. 10<br />

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carica: Reliquum est ne res trahatur in annum : maturato<br />

est opus.<br />

Il Voigt, che m’ occorre spesso <strong>di</strong> citare, <strong>di</strong>ce che il<br />

Filelfo, ban<strong>di</strong>to da Firenze e rotto co’ Me<strong>di</strong>ci, ebbe un<br />

bel cercare altrove gli scritti <strong>di</strong> Arriano e Diodoro. Di<br />

vero, dubito assai se il primo <strong>di</strong> questi due l’ abbia mai<br />

ricevuto, come desiderava, copiato dal Perleone. Tra<br />

queste con<strong>di</strong>zioni ed alti e bassi <strong>di</strong> favore, versò 1 arte<br />

libraria sin verso la fine del secolo : essa seguiva, com è<br />

naturale, le vicissitu<strong>di</strong>ni della coltura umanistica nel do­<br />

minio genovese. Malinconico acquisto sarà stato pei il<br />

nostro Iacopo quello <strong>di</strong> cento ottanta sette volumi e <strong>di</strong><br />

alquante reliquie che dalla perduta Pera passarono nel<br />

1461 a Genova e furono depositati presso i frati della Ma­<br />

donna del Monte, insieme con altri ventiquattro ed una<br />

icona <strong>di</strong> nostra Donna, depositati presso i frati <strong>di</strong> Santa<br />

Maria <strong>di</strong> Castello. I depositari si obbligavano a restituire<br />

quei preziosi avanzi del saccheggio, se mai Pera si ri<br />

cuperasse per i genovesi, e tra gli ufficiali che intei ven<br />

nero all’ atto <strong>di</strong> deposito si trova appunto anche Giacomo<br />

Bracelli (1).<br />

— 146 —<br />

Egli non visse abbastanza per vedere la meravigliosa<br />

invenzione del secolo, la potente leva che doveva scalzare<br />

tanti rottami del passato, la stampa insomma. I primi<br />

torchi in Genova non furono impiantati che nel 1 4 7 1 ? e<br />

in questa parte l’ opera <strong>di</strong> Antonio Mattia <strong>di</strong> Anversa e<br />

Lamberto <strong>di</strong> Delft fu così attiva, che ben presto 1 arte<br />

tipografica genovese si esercitò su larga scala, mandan<br />

(1) B e l g r a n o ; Documenti della colonia genovese <strong>di</strong> Pera, in A tti della Soc.<br />

<strong>di</strong> St. <strong>Patria</strong>, voi. X III, pp. 279, 280,993; e Appen<strong>di</strong>ce allo stesso voi., taV<br />

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— H I —<br />

dosi libri in Lombar<strong>di</strong>a, a Napoli ed altrove (i). Tra<br />

il '73 e il ’74 poi usciva in Savona, parimenti a stampa, il<br />

Boezio, Consolatio philosophiae, pei torchi <strong>di</strong> un Bono Gio­<br />

vanni, frate agostiniano tedesco, e nell’ officina <strong>di</strong> costui<br />

con ufficio <strong>di</strong> correttore troviamo un uomo a noi già<br />

noto, il maestro Venturino de’ Priori. Secondo il costume<br />

del tempo, in testa al volume si leggono alcuni suoi<br />

versi che ci porgono un breve saggio dell’ abilità poetica<br />

<strong>di</strong> Venturino, ahimè, assai scarsa. E dopo le prime cure<br />

sul Boezio, altre egli ne spendeva per l’ impressione del<br />

Dottrinale <strong>di</strong> Alessandro Villa Dei, impressione che certo<br />

fu anteriore al 1480, poiché in quest’ anno Venturino<br />

già era pubblico professore in Alba (2). La soscrizione<br />

in fine del volume loda la <strong>di</strong>ligenza spesavi su dal gram­<br />

matico. « In altri luoghi per <strong>di</strong>fetto de’ librai, il Dot­<br />

trinale era riuscito scorretto, ma ora per merito <strong>di</strong><br />

Venturino grammaticus eximius, quam emendatissimum<br />

verrebbe a mano dei lettori ». E vi si accenna pur anche<br />

alle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong>sagiate tra cui la stampa erasi fatta. La<br />

peste infieriva a Genova, in Asti ed altrove e su quel<br />

principio lo stampatore non aveva ancora potuto prov­<br />

vedersi <strong>di</strong> tutto ciò che era necessario all’ arte sua (3).<br />

Come si comprende dalle opere citate e prescelte per<br />

essere impresse, la nuova invenzione ne’ suoi primor<strong>di</strong><br />

serviva anzitutto alle necessità della scuola. Alla pari<br />

con Severino Boezio che quantunque fosse stato un co­<br />

ti) Staglielo ; Appunti e documenti sui primor<strong>di</strong> dell’ arte della stampa in Ge­<br />

nova, in Atti cit., voi IX, pag. 323 e segg.<br />

(2) S p o t o r n o ; op. cit., II, 380.<br />

(3) G iu lia n i; Notizie sulla tip. ligure sino a tutto il secolo XVI, in Alti cit.,<br />

voi. cit., pp. 32 e segg.<br />

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aggioso e sincero rappresentante della classica tra<strong>di</strong>zione<br />

pagana, pure agli spiriti cristiani offrivasi cinto della<br />

santa aureola del martire morto per la fede, alla pari<br />

con esso, <strong>di</strong>co, veniva il Dottrinale del Villa Dei, un<br />

rifacimento in insipi<strong>di</strong> versi del trattato <strong>di</strong> Prisciano, ma<br />

che pure era riverito anche dalle scuole dell’ umanesimo,<br />

e sul quale tempestarono chi sa quanti uomini insigni,<br />

tra gli altri Aldo Manuzio, il vecchio Guarino e tutti<br />

i suoi <strong>di</strong>scepoli. La grammatica era una potenza anche<br />

nel secolo X V , né la scuola sapeva ancora abiurare<br />

quella dottrina <strong>di</strong> cui luci massime erano stati Donato<br />

e Prisciano. Curioso riscontro: tra le opere delle quali<br />

la stampa si attribuisce al Gutenberg trovasi pure il<br />

Catholicon <strong>di</strong> fra Giovanni Balbi da Genova (1) . Ma<br />

ormai era il crepuscolo <strong>di</strong> un’ età che passava. L ’ Ivani<br />

alle prime notizie de’ torchi impiantati in Roma cosi<br />

scriveva da Volterra a Ludovico Fregoso, sollecitandolo<br />

a giovarsene per il figlio Agostino : — « Costoro hanno<br />

1 officina loro zeppa <strong>di</strong> volumi, sicché ti sarà facile<br />

concludere con essi un utile negozio e meritevole <strong>di</strong><br />

plauso. Abbia il nobile giovinetto le epistole <strong>di</strong> Gero­<br />

lamo, le opere <strong>di</strong> Lattanzio, Orazio, Aristotele, e Quinto<br />

Curzio, Cesare, Livio, Sallustio, Plutarco, la Cirope<strong>di</strong>a<br />

<strong>di</strong> Senofonte, gli Opuscoli morali e filosofici dell elo­<br />

quente Cicerone e le <strong>di</strong>vine, se cosi m’ é lecito espri­<br />

mermi, orazioni <strong>di</strong> lui » (2). Spuntava l’ alba <strong>di</strong> un<br />

nuovo secolo che le conquiste dell’ umanesimo, ristrette<br />

fino allora a pochi o privilegiati o coraggiosi e pazienti,<br />

(1) C a s t e l l a n i ; L'origine tedesca deU’ inven\ione della stampa, V e n e z i a , 1889,<br />

p. 38.<br />

— 148 —<br />

(2) Lettere Ivaniane, ms. cit., I, c. 115.<br />

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— 149 —<br />

propagherebbe a milioni d’ uomini, amplierebbe per mi­<br />

lioni <strong>di</strong> voci. Un dotto francese calcola a due milioni<br />

il numero dei volumi stampati in Venezia, nel primo<br />

trentennio d’ esercizio dell’ arte tipografica colà (i).<br />

E il primo libro, che in Venezia venne alla luce per<br />

l’ opera dei torchi, fu quello delle epistole ad familiares<br />

<strong>di</strong> Cicerone (2).<br />

CAPITOLO V.<br />

E p i s t o l a r i o d e l B r a c e l l i .<br />

Questa trattazione sarebbe troppo manchevole, se non<br />

considerassimo alquanto più <strong>di</strong> proposito il valore del<br />

nostro segretario in quella parte che costituisce una<br />

delle glorie dell’ umanesimo, voglio <strong>di</strong>re nella corrispon­<br />

denza pubblica, eh’ egli durante cinquant’ anni tenne per<br />

obbligo del suo ufficio, e nella privata dove la dottrina<br />

e i pregi dello stile avevano certo miglior campo per<br />

<strong>di</strong>mostrarsi. Il Bracelli giovine faceva le sue prime<br />

prove, quando Gasparino Barzizza, <strong>di</strong>lungandosi dagli<br />

esempi del Petrarca e del Boccaccio, sorgeva appunto<br />

per lo stile epistolare campione del ciceronianismo, e il<br />

Bruni e quel geniale ingegno che fu il Poggio, inse­<br />

gnavano che cosa doveva essere la nuova prosa latina,<br />

se voleva accostarsi alla floridezza e alla flui<strong>di</strong>tà del-<br />

1’ oratore romano.<br />

(1) A. B er n a r d ; De l'origine et des débuts de Vimprimiere en Europe; Paris,<br />

1853, par. II, 197.<br />

(2) Cfr. C. C astellan i; La stampa in Venezia dalia sua origine alia morte <strong>di</strong><br />

Aido Manuzio seniore, Venezia 1889.<br />

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— 150 —<br />

Più tar<strong>di</strong>, negli anni ver<strong>di</strong> e maturi, potè ammirare<br />

il fervore inquieto, assai volte battagliero, <strong>di</strong> tutta quella<br />

gloriosa schiera <strong>di</strong> dotti che fu prima a <strong>di</strong>ssodare il<br />

ronchioso terreno della coltura greco romana, fino a che<br />

il Valla non gittó nel campo de' ciceroniani il grido<br />

della rivolta. Tuttavia farebbe errore chi <strong>di</strong> quelle rumo­<br />

rose contese volesse trovare in<strong>di</strong>zio o segno nell’ epi­<br />

stolario del nostro. Non v’ ha nessuna lettera <strong>di</strong> lui che<br />

accenni anche da lontano alla tanto <strong>di</strong>battuta questione<br />

della forma, nessuna in cui egli lasci pur sottintendere<br />

quale fosse il suo criterio estetico. Chi voglia dunque<br />

giu<strong>di</strong>carlo deve sottoporre alla prova oggettiva gli scritti<br />

suoi e , poiché qui si ragiona delle lettere , mettere a<br />

<strong>di</strong>samina così le private come quelle eh’ egli scriveva<br />

d’ or<strong>di</strong>ne pubblico. Panni si possa sicuramente affermare<br />

che se anche il Bracelli conosceva, e non v’ ha dubbio,<br />

le opinioni espresse dall’ amico Barzizza nel suo tratta­<br />

tello De compositione, non egli tuttavia si ascrisse mai<br />

al gruppo de’ ciceroniani, né riuscì tale più che non lo<br />

fossero l’ amico suo Flavio Biondo ed il Poggio.<br />

Rispetto poi alle lettere ufficiali allorché entrò nella<br />

cancelleria genovese, vi trovò stabilita la vecchia ti a<strong>di</strong>­<br />

zione lasciatavi dagli Stella, la quale era pur sempre un<br />

notevole progresso in confronto del passato. E ssi, gh<br />

amici del venerato secretario fiorentino Coluccio Salutati,<br />

portavano nel chiuso ambiente me<strong>di</strong>evale come un aura<br />

<strong>di</strong> umanesimo, e facevano presentire, pur nell’ asprezza<br />

ed ari<strong>di</strong>tà dello stile cancelleresco, lo splendore e l effi­<br />

cacia dell’ eloquenza. Ma che lungo cammino rimanesse<br />

ancora a fare nel particolare della lingua e dello stile<br />

ci é in<strong>di</strong>cato, non che da’ predecessori suoi, anche dalle<br />

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- 15 1 -<br />

prime lettere <strong>di</strong> esso Bracelli. Ve<strong>di</strong>amone una all’ impe­<br />

ratore Sigismondo per felicitarsi della sua assunzione<br />

all’ impero: é del 14 11. Basteranno pochi passi perché<br />

il lettore si faccia un’ idea esatta <strong>di</strong> quello stile scadente<br />

, della lingua corrotta, del periodo slegato e<br />

talvolta senza grammatica: lacebat sine principe orbis<br />

terre prostratus et populus christianus — proh dolor! —<br />

5ine eo principe, ad inertiam resolutus et inimicorum no­<br />

minis lesu Christi, verbera et horrenda mala presensit, et<br />

Italia que tot victoriarum decora ipso orbe quaesivit, guer-<br />

rarum variis agitata procellis, vertens ferrum ab hostili<br />

sanguine, <strong>di</strong>u in se armata detinuit, et beati Petri navi­<br />

cula , variis collis (?) a fluctibus sine portubus <strong>di</strong>u errans<br />

horruit precipitium (1).<br />

Perfino il vocabolo grossolanamente coniato, è in<strong>di</strong>zio<br />

puro e semplice della pigrizia da parte dello scrittore<br />

nel sostituirvi in cambio il giusto vocabolo latino. Po­<br />

niamo a riscontro <strong>di</strong> questa la lettera che il cancelliere<br />

in nome della repubblica scriveva al re d Aragona, come<br />

risposta a quella del Panormita. Essa è del 1456. Qua­<br />

rantacinque anni <strong>di</strong> intervallo ci avvertono delle con­<br />

quiste dell’ umanismo pur anche nella cancelleria geno­<br />

vese. 11 segretario dà principio con una magnifica entrata:<br />

Infinitas prope a te, praeclarissime rex, pacis bellique tem­<br />

poribus accepisse liter as meminimus, eam quidem verborum<br />

moderationem habentes, ut liquido appareret eas et a rege<br />

et a moderatissimo rege profectas esse. Hae vero quas de­<br />

cimo augusti <strong>di</strong>e datas nuper legimus, adeo ab illis omnibus<br />

(1) A rch. <strong>di</strong> Stato in Genova ; I a c . d e B r a c e l l e i s , Litterarum 1, num . g en e­<br />

rale 17 7 7 , lett. 238, 12 settembre 1 4 1 1 .<br />

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/


— I52 —<br />

degenerant, ut si tuum nomen tollas, asseverandum sit eas<br />

ncque tuae maiestatis esse nec civilis a licu iu s v iri, tanto<br />

enim stu<strong>di</strong>o hic eius operis architectus vecor<strong>di</strong>s in m ale<strong>di</strong>­<br />

cendo facun<strong>di</strong>ae gloriam affectasse videtur, ut quod quorno-<br />

doque loqut regem deceat oblitus sit.<br />

11 monarca aragonese, implacabilmente nem ico della<br />

repubblica, aveva rinfacciato a’ governanti <strong>di</strong> questa la man­<br />

cata tede negli accor<strong>di</strong>, ma con un linguaggio cosi violento<br />

eh ebbe a riuscir nuovo nelle tra<strong>di</strong>zioni della <strong>di</strong>plomazia<br />

italiana. Questa dalla con<strong>di</strong>zione de’ tempi costretta ad<br />

armeggiarsi tra scaltrimenti e ripieghi bassi <strong>di</strong> sovente e<br />

biasimevoli, aveva però acquistato, per virtù de’ nuovi<br />

stu<strong>di</strong> classici, finezza <strong>di</strong> concetto e <strong>di</strong>gnità grande <strong>di</strong> trase.<br />

11 Panormita con la leggerezza avventata, sebbene elegante<br />

e geniale che lo <strong>di</strong>stingue, pareva volerla rom pere con le<br />

buone regole, sicché non era fuor <strong>di</strong> proposito , se il<br />

cancelliere genovese ve lo richiamava. Del resto, egli<br />

aveva troppo buon giuoco, quanto ad arg o m e n ti, sul<br />

Panormita. Invero anche la politica genovese era incerta<br />

e ad un tempo capziosa e violenta, ma era se non altro<br />

governata dalla prudenza o dall’ astuzia. A lfo n so , in<br />

cambio, rispetto a Genova, era guidato piuttosto da<br />

un rancore personale che da un’ alta ragione <strong>di</strong> stato.<br />

Ed il giu<strong>di</strong>zio che deve pronunciarsi <strong>di</strong> lui com e padrone<br />

del regno <strong>di</strong> Napoli, non parmi che gli torni favorevole.<br />

Gli mancava un chiaro concetto delle vere con<strong>di</strong>zioni<br />

italiane, né sapeva bene che si volesse: badando solo<br />

agli interessi del momento, insospettisce senza sapeile<br />

vincere, le due repubbliche che ancora avevano qualche<br />

peso sulla bilancia dei destini d’ Italia ; c o llo Sforza<br />

non sa essere risolutamente né amico, né nem ico;<br />

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- 153 —<br />

ora minaccia i papi, ora si umilia troppo, invocando da<br />

essi la riconferma <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto che nessuno gli conte­<br />

stava, e da tanti intrighi non raccoglie se non debolezza<br />

e <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne amministrativo in casa, ambizioni ed inimi­<br />

cizie mal sopite al <strong>di</strong> fuori. Era naturale che il secretario<br />

balenasse nelle ragioni, quando il reale signore <strong>di</strong>mo­<br />

strava tanta volubilità <strong>di</strong> propositi. Non a torto quin<strong>di</strong><br />

alla sfilata <strong>di</strong> accuse ed ingiurie del re, replicava il se­<br />

cretario genovese, rinfacciandogli i balzelli incomporta­<br />

bili imposti ai popoli <strong>di</strong> Sicilia e <strong>di</strong> Sardegna, coll’ igno­<br />

bile pretesto <strong>di</strong> una crociata contro i turchi eh’ egli<br />

non mai aveva avuto in animo <strong>di</strong> fare. E per tre anni<br />

i genovesi avevano attesa ed invano la flotta regia<br />

strombazzata, magnificata : Nos interim certa spe tuae<br />

classis confirmati singulis annis naves, viros, arma, triticum<br />

christianis orientalibus suppe<strong>di</strong>tare, utque forti animo cala­<br />

mitates suas ferrent, literis ac legationibus exhortari brevi<br />

affuturas vires opulentissimi regis........ Il re non s’ era<br />

mosso, il re abbandonava a crudelissimi nemici i cristiani<br />

per la cui salute asseriva essersi levato al soccorso. E<br />

poiché non contro la nazione genovese egli millantava<br />

far guerra, bensì contro i fe<strong>di</strong>fraghi che tenevano sban­<br />

<strong>di</strong>ti dalla patria tanti ottimi ed egregi citta<strong>di</strong>ni, così<br />

con nobiltà romana concludeva il Bracelli: De civibus<br />

nostris, quorum te charitate moveri <strong>di</strong>ctitas, hoc sibi per­<br />

suadeat Maiestas tua, illi quidem cum saturni mentem re­<br />

sumpserint, re<strong>di</strong>bunt in patriam non suis viribus sed man­<br />

suetu<strong>di</strong>ne nostra, preoptabuntque aequo iure cum suis agere,<br />

quam fidem tuam rursum experiri (i). Restringendoci<br />

( I ) G i u s t i n i a n i, o p . c it ., ad a . 1 4 5 6 ; il quale reca n e ll’ o rig in a le latin o<br />

a n c h e la lettera del r e , <strong>di</strong> m an o del P a n o rm ita .<br />

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- 154 —<br />

allo stile, <strong>di</strong>rei che per gusto latino e sobrio movimento<br />

e legatura del periodo il Bracelli si lasci in<strong>di</strong>etro il suo<br />

celebre contrad<strong>di</strong>tore. Più geniale il Panorm ita ed agile,<br />

ta sentire nel suo latino alcunché dell’ armonia del<br />

nostro i<strong>di</strong>oma; più grave, più ciceroniano il nostro,<br />

se non nelle parole, che anch’ egli era piuttosto un<br />

eclettico, almeno nel colorito.<br />

Le altre lettere contenute nel co<strong>di</strong>ce e che si collo­<br />

cano quasi tutte tra le suddette due date, rendono bene<br />

immagine <strong>di</strong> quel periodo <strong>di</strong> tempo che corse dal con­<br />

cilio <strong>di</strong> Costanza alla presa <strong>di</strong> Costantinopoli , periodo<br />

<strong>di</strong> maneggi politici assai volte tortuosi per gli Stati<br />

italiani, <strong>di</strong> assidui rivolgimenti per G enova , la quale<br />

né sapeva star contenta della libertà, nò rassegnarsi alla<br />

servitù. Tutti gli elementi che com pongono lo stato<br />

moderno, parte de’ quali erano un’ ere<strong>di</strong>tà del me<strong>di</strong>o<br />

evo, lottavano ferocemente per la preminenza <strong>di</strong> un solo,<br />

o per trovare nell’ organamento politico un modo <strong>di</strong><br />

coesistenza, ma lo stato non si formava. E <strong>di</strong> quell’ ar­<br />

ruffio <strong>di</strong> cose, <strong>di</strong> quella lotta, il carteggio <strong>di</strong>plomatico<br />

de’ cancellieri umanisti è un fedele riflesso. O ra é la<br />

lettera <strong>di</strong> complimento per rallegrarsi dell’ esaltazione<br />

altrui, o per annunciare quella de’ propri signori al po­<br />

tere ; e siffatte occasioni nella repubblica genovese non<br />

mancavano. Altre volte è l’umanista stesso, che in per­<br />

sona propria supplisce nel suo secolo ai <strong>di</strong>ari <strong>di</strong> inven­<br />

zione posteriore, e partecipa a mecenati ed amici gli<br />

avvenimenti <strong>di</strong> cui egli é informato. Forse non mai<br />

come in questo tempo 1* epistolografia servi stupenda­<br />

mente all’ ufficio <strong>di</strong> fornire ad una numerosa classe <strong>di</strong><br />

persone una copia considerevole <strong>di</strong> n o tizie , <strong>di</strong>scusse,<br />

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- *55 -<br />

ventilate, alte insomma a costituire un’ opinione pub­<br />

blica. Si legga per un esempio la lettera che il Bracelli<br />

scriveva a Giovanni Cossa allora, per ciò che sembra,<br />

in corte <strong>di</strong> re Raniero, nell’ occasione che Giovanni<br />

d’Angiò si apparecchiava con gli aiuti del padre e dello<br />

zio , re <strong>di</strong> Francia, ad assalire il regno <strong>di</strong> Napoli. 11<br />

nostro cancelliere, forse per incarico del governatore<br />

Ludovico la Vallèe, ci fa sapere che teneva informato<br />

giorno per giorno il duca <strong>di</strong> quanto gli paresse degno<br />

<strong>di</strong> nota, e anche in questa sod<strong>di</strong>sfaceva con brevità al<br />

suo debito <strong>di</strong> cronista, cc II re <strong>di</strong> Francia stava per tenere<br />

un consiglio <strong>di</strong> signori in cui si tratterebbe anche delle<br />

faccende italiane; il papa non pareva che fosse quale i<br />

regi legati avevano creduto: la repubblica era molestata<br />

assai dal duca <strong>di</strong> Milano, dal grave pericolo che correva<br />

CafTa, dalle con<strong>di</strong>zioni della Corsica, dove già si era<br />

spe<strong>di</strong>to parte dei cinquecento fanti che la Signoria \i<br />

aveva destinato: il re <strong>di</strong> Francia <strong>di</strong>cevasi avesse erogato<br />

per I’ impresa del regno <strong>di</strong> Napoli molte migliaia <strong>di</strong><br />

scu<strong>di</strong>, ma ancora ignorava quanti fossero ». A sua \olta<br />

domanderà un altro giorno notizie al Giustiniani, al<br />

De M ari, ad altri, per farne parte ad amici e pro­<br />

tettori. Scrivendo a quest’ ultimo nel 1453 in Francia,<br />

dove viveva, dopo le notizie <strong>di</strong> Pera asse<strong>di</strong>ata e pres.i<br />

dal Turco, soggiunge: Tu cum recens partam in Aqui­<br />

tania victoriam pulcre admodum descripseris, cura ut earum<br />

quoque rerum exitum ex te cognoscamus (1).<br />

(1) A pag. 26 già abbiamo recato la lettera <strong>di</strong> Giano Fregoso, in cui si rin<br />

graziava il Biondo per gli utili avvisi che questi mandava intorno alle nout<br />

che accadevano nella Curia romana.<br />

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— i j6 —<br />

Forse è <strong>di</strong> mano del Bracelli anche la lettera <strong>di</strong>gni­<br />

tosissima e, nello stile cancelleresco, assai bella, con cui<br />

Tommaso Campofregoso annunciava al duca <strong>di</strong> Milano<br />

la sua liberazione dal doloroso carcere <strong>di</strong> Savona (i).<br />

Il co<strong>di</strong>ce più volte citato la pone tra quelle senza dubbio<br />

<strong>di</strong> lui e ci si sente la maniera del nostro. Gottardo<br />

forse non avrebbe saputo scrivere nulla <strong>di</strong> cosi misurato<br />

e tuttavia, in tanta compostezza, elegante. Di mano<br />

certamente del Bracelli, che in suo proprio nome lo in­<br />

<strong>di</strong>rizzava al re d’Aragona, havvi un curioso documento<br />

che <strong>di</strong>rei però inspirato al cancelliere dal doge (2). È<br />

in sostanza un ampio elogio <strong>di</strong> Ludovico Campotregoso<br />

da poco successo nel dogato al fratello Giano. Perché<br />

poi <strong>di</strong> tante lo<strong>di</strong> <strong>di</strong> umanità, <strong>di</strong> dolcezza e <strong>di</strong> devozione<br />

verso 1’ Aragonese, Dio sa quanto m eritate, assumesse<br />

incarico il Bracelli, non saprei <strong>di</strong>re, se non si voglia<br />

pur qui ripetere ciò che verificavasi in tanti altri casi,<br />

esser debito dell’ umanista, fosse egli secretario <strong>di</strong> un<br />

principe o cancelliere <strong>di</strong> una repubblica, nascondere sotto<br />

l’onda sonora <strong>di</strong> un bel periodo i proce<strong>di</strong>menti obliqui<br />

della politica. La lettera finisce dando ragguaglio degli<br />

avvenimenti nell’alta Italia ed in ispecie nella Lombar<strong>di</strong>a,<br />

della quale lo Sforza voleva farsi signore. Della presa<br />

<strong>di</strong> Finale, che era avvenuta alcun tempo prima, certo con<br />

<strong>di</strong>spiacere del re, nella lettera non si fiata.<br />

Tutto questo può dare un’ idea de’ tempi e dell’ abi­<br />

lità dell’ uomo come secretario e <strong>di</strong>plomatico. Ma un<br />

argomento si porgeva in cui tutti erano sinceri e che<br />

(t Fu già pubblicata dal N eri ne! Giornale Ligustico, a n n o X V , p a g . 1 8 3 .<br />

(2) Ms. Br. c. 7 5 ; G enova, 2 m a g g io 14 4 9 . V ed i Docum tnto X I V in fine.<br />

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- *57 -<br />

strappava accenti passionati <strong>di</strong> dolore e <strong>di</strong> sdegno a dotti<br />

ed indotti, voglio <strong>di</strong>re la con<strong>di</strong>zione delle colonie che,<br />

dopo l’ infausto anno '53, venivano ad essere esposte<br />

senza <strong>di</strong>fesa alla brutale scimitarra del Turco. Chi legga<br />

le lettere che in questi anni i cristiani d’oriente, i greci<br />

scampati all’ ecci<strong>di</strong>o scrivevano a’ papi, o a’ signori <strong>di</strong><br />

occidente, invocando soccorso, s’incontra in brani <strong>di</strong> vera<br />

e forte eloquenza (1). E anche nella miscellanea che ci<br />

sta sott’ occhio parecchie sono le lettere <strong>di</strong> mano del<br />

Bracelli in cui si sollecitano, si scongiurano <strong>di</strong> aiuto<br />

papa Calisto e il re d’Aragona, con un vigore <strong>di</strong> pen­<br />

siero, con un’ evidenza <strong>di</strong> linguaggio che farà stupoie<br />

a chi le paragoni con la fredda impersonalità delle storie<br />

lasciateci dagli umanisti. Gli é che i modelli qui erano<br />

messi da banda e la parola <strong>di</strong>ventava lespiessione fedele<br />

dell’ animo <strong>di</strong> tutti, commosso e trepidante per il destino<br />

<strong>di</strong> tanti infelici. Nel 55 Pietro Fregoso raccomanda a<br />

Calisto i popoli <strong>di</strong> Lesbo, Scio, Ro<strong>di</strong>, Cipio che, se<br />

fossero privati dell’ atteso soccorso, o si darebbero alla<br />

<strong>di</strong>sperazione, 0 rinnegata la tede <strong>di</strong> Cristo si sprofon­<br />

derebbero nelle brutture del culto <strong>di</strong> Maometto. Ecco,<br />

come saggio, la traduzione fedele del passo che tien<br />

<strong>di</strong>etro nella lettera: « Questo se la nostra età avesse a<br />

vedere, santissimo Padre, se questo supremo cumulo <strong>di</strong><br />

mali avesse a caderci sopra nel nostro tempo, quanto<br />

sarebbe meglio non esser vissuti? e dall’ utero, siccome<br />

piangendo <strong>di</strong>sse 1’ antico, essere trasferiti alla fossa ? A<br />

siffatte querele specialmente ci muove l’ annunzio che la<br />

(t) Cfr. D o n z e l l i n o , Epistolae principum: ex Cbio, <strong>di</strong>e x i v aug. 14 55 ; Mao-<br />

nenses civitatis et insulae Chii Romano Pontifici.<br />

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flotta turchesca fortissima <strong>di</strong> navi già sia pervenuta in<br />

vista <strong>di</strong> Scio, della quale se si renda padrona, inutilmente<br />

Ro<strong>di</strong>, inutilmente Cipro e le altre isole verranno poscia<br />

soccorse » (i).<br />

Non é anche finito l’anno e si ritorna all’ assalto. Il<br />

magistrato, che si era istituito per la guerra contro il<br />

Turco, rappresenta al pontefice gli sforzi fatti dalla<br />

repubblica per salvare le sue fiorenti colonie. — « Non<br />

è vile plebe, esclama, quella per cui interce<strong>di</strong>amo,<br />

ma quell’ angolo del Ponto contiene l’ impero <strong>di</strong> Tre-<br />

bisonda con numerose illustri città, contiene Caffa, se<br />

non per l’ ambito delle mura, per la moltitu<strong>di</strong>ne degli<br />

abitanti forse degna che sia anteposta a Costantinopoli,<br />

contiene Soldaia e Cembalo, terre non ispregevoli, con­<br />

tiene infine Amastra, città una volta fam osa, ed ora<br />

anche più per la fama de’ suoi santi vescovi....... » (2).<br />

Parole al vento: ed altre più calde, più insistenti e pur<br />

troppo egualmente vane, leggiamo nel '56 e negli anni<br />

successivi. Era fatale che tanto fervore d’ a n im o , tanta<br />

eloquenza <strong>di</strong> linguaggio accompagnasse e seguisse gli<br />

indegni funerali della grandezza della patria.<br />

(1) Ms. Br. c. I, 2; lett. 26 agosto 1 4 5 5 : Hate si ttas nostra spectatura est, sanctis­<br />

simi Pater, si bec malorum omnium suprema in tvum nostrum eruptura sunt, guanto<br />

satius esset non vixisse? tl tx utero, ut Jlens ille cecinit, a J tumulum esse Iram-<br />

latos? Ad boc precipue questus nos nunc movet quod fa m a est eius regis classem, et<br />

quidem prei'aìidam, iam Chium infestam pervenisse, qua s i potiatur in s u la , frustra<br />

postea Rhodo, frustra Cypro aliisque insulis succurreretur.<br />

(2) Ms. Br. c. 2 ; lett. 5 n ovem b re 1 4 5 5 : Et ne quis fo rsita n pulet pro v ili nos<br />

pUfacuIa verba facere, habet ponlicus ilit angulus imperium Trape-ontinum claris<br />

urbibus frequens, habet Capbam, non ambitu quidem moenium , sed populorum mul­<br />

titu<strong>di</strong>ne Costantinopoli facile praeferendam , habet Soldaiam , habet Sim bolum haud<br />

contemnenda oppida; habtl denique Amastram urbem quondam celebrem , sed sanctorum<br />

episcoporum fama celebriorem.....<br />

— IJS —<br />

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- 159 —<br />

Gli é il sentimento che si prova leggendo quelle pa­<br />

gine: che cosa resta dell’ opera degli umanisti sepolti<br />

ne’ polverosi scaffali delle biblioteche e degli archivi e<br />

per pietà, a quando a quando, esumati da qualche stu­<br />

<strong>di</strong>oso ? Che cosa resta <strong>di</strong> tanti eroici sforzi, <strong>di</strong> tante<br />

generose abnegazioni degli uomini attori nel dramma<br />

<strong>di</strong> quel tempo? Perchè non v’ ha dubbio, molti <strong>di</strong> co­<br />

loro che fanno la loro fugace apparizione <strong>di</strong> mezzo a<br />

queste pagine erano mossi da onesti fini, anche allor­<br />

quando commettevano il male, e si affaticarono e pati­<br />

rono per il conseguimento della giustizia , o <strong>di</strong> quella<br />

parte <strong>di</strong> giustizia che a’ loro occhi splendeva come<br />

bene desiderabile. Tutti sentivano, senza forse render­<br />

sene chiara ragione, che mancavano in quella società i<br />

due elementi che costituiscono principalmente un go­<br />

verno, la sicurezza de’ governati, il progresso delle isti­<br />

tuzioni. Quelli invece erano in preda ad una perenne<br />

violenza, queste si raggiravano in un circolo vizioso e<br />

fatale. Occorreva per conservare la tranquillità dell animo<br />

una forte dose <strong>di</strong> stoicismo, e stoici furono molti degli<br />

eru<strong>di</strong>ti nel secolo XV, tentando <strong>di</strong> accordare la dottrina<br />

filosofica con quella cristiana. Come vi riuscissero non<br />

é qui il caso <strong>di</strong> ricercare : essi ad ogni modo questa<br />

confortante persuasione nutrirono che la rassegnazione<br />

raccomandata dalla fede non tosse essenzialmente <strong>di</strong>sso­<br />

nante dalla impassibilità raccomandata dagli stoici (i)-<br />

A Francesco Spinola caduto prigione de \eneziani,<br />

mentre combatteva per il Visconti, il Bracelli scriveva.<br />

Scio multos ad te de<strong>di</strong>sse mestas litteras et luctibus plenas.<br />

(i) Cfr. N o v ati, Epistolario <strong>di</strong> C. Salutati, in Bull, dell' 1 st. stor. ttal., n. 4.<br />

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— i6o —<br />

Ego vero non modo mestus non sum sed gaudeo, quod<br />

au<strong>di</strong>o omnia te pro <strong>di</strong>gnitate tua Jacere et c a la n u ta ta li hanc<br />

magno atque eìato animo ferre. S i iocunda n u bi est gloria<br />

tua, illa <strong>di</strong>co vera et solida que virtu ti seniper in m x a est,<br />

quid erit cur qui secun<strong>di</strong>s in rebus liberahtate ac modestia<br />

tua letari solebam, idem ipse non leter hac magnanimitate<br />

et fortitu<strong>di</strong>ne animi tui, fortune impetum continentis ?....<br />

Vera gloria, que nisi a virtute profiscitur g lo ria non est,<br />

magis elucet adversante quam blan<strong>di</strong>ente fo rtu n a . E cita<br />

Attilio Regolo, Catone e Socrate ( i ) . T u tta v ia negli<br />

anni maturi il nostro secretario non sfoderò più con<br />

eguale sicurezza tanti inflessibili aforismi, com o<strong>di</strong> soltanto<br />

• •<br />

allorché alla simpatia um ana, debita agli sventurati, si<br />

sostituisce molta ari<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> cuore. Ed anche prim a degli<br />

anni maturi si ravvide <strong>di</strong> certi traviam enti dello spirito 1 •<br />

ne’ quali altra volta era cadu to, co m e, per esem p io, 1<br />

non aver prestato fede all’ esistenza del purgatorio, lascian<br />

dosi adescare dagli speciosi argomenti de’ scismatici<br />

e <strong>di</strong> altri increduli. Notevole questo per uno stu<strong>di</strong>o de<br />

sentimento religioso in quei secoli, c h e all’am ico Giovanni<br />

Giustiniani, forse inclinato allo stesso errore, raccoman<br />

<strong>di</strong> leggere le rivelazioni <strong>di</strong> B rigida, la santa svedese.<br />

Anch’egli, come l’amico suo Ivani e com e m o l t i allora,<br />

aveva grande opinione delle virtù profetiche <strong>di</strong> lei e<br />

quelle visioni trattava come cosa salda: « 1 ° versava<br />

nell" errore e mi trasse alla luce della verità la mag<br />

giore delle sibille, la beata Brigida, che non solo la<br />

triplice <strong>di</strong>visione del purgatorio e i tormenti dell anime<br />

colà espianti con perspicuo linguaggio d escrisse, nia<br />

(l) Ms. Br. c. 4 7 2 : Ex Gtnua, X hai. ja n . 1 4 ) 1 .<br />

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anche vide il martirio <strong>di</strong> taluna che sapeva esservi<br />

relegata et <strong>di</strong>vinitus fu ammonita sul modo <strong>di</strong> porgerle<br />

soccorso » (i).<br />

Come si pare chiarissimo, 1’ uomo era credente e, se<br />

non basti, anche mistico, congiunto, più che non si<br />

sospetterebbe in un umanista, col mondo soprannaturale.<br />

E la preoccupazione persistente della vita d’ oltretomba<br />

legittimava pur anche l’ intromissione dello stato laico<br />

nelle cose religiose. I governanti non solo si arrogavano<br />

la cura del bene materiale de’ soggetti, ma altresì la <strong>di</strong>re­<br />

zione dei loro cuori e 1’ ufficio <strong>di</strong> guidarli al consegui­<br />

mento dell’ eterna felicità. Nel 1445 Raffaele Adorno pre­<br />

gava il pontefice <strong>di</strong> collocare Bernar<strong>di</strong>no da Siena fra i<br />

beati; nel 1453 Pietro Campofregoso esaltava a Nicolò V<br />

i <strong>di</strong>giuni, l’ aspra penitenza, i mirabili effetti ottenuti dai<br />

frati dell’ osservanza presso il popolo genovese, e pregava<br />

il papa a favorire ed amplificare gli ascritti a quel pio or­<br />

<strong>di</strong>ne (2). In<strong>di</strong>viduo e stato la intendevano dunque ad un<br />

medo in questa gelosa parte del sentimento religioso. Al­<br />

lorché le navi che nel 1412 dovevano sferrare dal porto<br />

<strong>di</strong> Genova per soccorrere Bonifacio, incontrarono insupe­<br />

rabile ostacolo nei venti contrari, Tommaso Fregoso<br />

(1) Ed. <strong>di</strong> Parigi cit., fol. 53, lett. da Bogliasco, 13 agosto 1438: Quo in<br />

errore cum aliquan<strong>di</strong>u et ipse versarer, explicuit me et ad veritatis lucem deduxit<br />

omnium sybillarum clarissima, beata Brigida, quae non solum triplicem purgatorii<br />

stationem et animarum cruciatus perspicuis verbis descripsit, sed etiam plerasque<br />

animas sibi cognitas ibi torqueri conspexit, et quibus auxiliis iuvari possent <strong>di</strong>vi­<br />

nitus monita fuit. Quod ideo <strong>di</strong>xisse volui, ut siquid esset quod te in hac materia<br />

legere iuvaret, scias revelationes eius hic esse penes me, quibus arbitrio tuo uti possis.<br />

(2) Ms. Br. c. 106, e Arch. Municip. Ms. Pallavicino, c. 27, lettera <strong>di</strong> Raf­<br />

faele Adorno, 15 sett. 1445; e<strong>di</strong>z- Parig' c!t-’ f- ^°> lettera <strong>di</strong> Pietr0 Fre‘<br />

goso, 6 marzo 1453.<br />

— 16 1 —<br />

A t t i S o c. L ig . S t. P a tri*. Voi. XXIII. 11<br />

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si recò devotamente a supplicare Nostra D onna dell’ in­<br />

coronata ed il miracolo avvenne. N on mancarono<br />

naturalmente i derisori ; ma il Bracelli, una delle menti<br />

illuminate del suo secolo, anni dopo ancora, narrandolo<br />

esclama: « garriscano quanto lor piace e ci scherniscano<br />

coloro che negano Dio aver cura delle cose umane » (i) .<br />

Tuttavia sapeva a tempo usar libertà ne’ giu<strong>di</strong>zi, un<br />

po’ <strong>di</strong> quella libertà che inspirava il santo sdegno <strong>di</strong><br />

Gioacchino calabrese, <strong>di</strong> santa Caterina, <strong>di</strong> santa Bri­<br />

gida, de’ fautori della primitiva povertà evan gelica, in<br />

una parola. A proposito <strong>di</strong> un convento <strong>di</strong> francescani<br />

fondato in Genova nel 1440 e dell’ accorrere <strong>di</strong> devoti<br />

d’ ogni banda per acquistarvi indulgenze, soggiunge :<br />

« Certo é che da questo affollamento quasiché incre<strong>di</strong>­<br />

bile, poiché ciascuno dava un tanto in ragione de’ suoi<br />

mezzi, senza le spese largamente fornite ai frati raccolti,<br />

venne ad arricchirsene fuor del dovere la chiesa <strong>di</strong> quel<br />

san Francesco che si fece glorioso dallo spregio delle<br />

ricchezze » (2).<br />

Il moto degli Ussiti significò, nel secolo X V , la ri­<br />

forma popolare religiosa fuori della Chiesa , santa Bri­<br />

gida ed altri nobili spiriti la riforma popolare in grembo<br />

alla medesima. Quando il Bracelli negava l’esistenza del<br />

purgatorio risentiva, forse senz’ avvedersene , alcunché<br />

degli ar<strong>di</strong>menti del moto religioso in Germ ania. Egli<br />

però si affrettò a rientrare nel dogma e fu naturale.<br />

L’ Italia, in complesso, non partecipò neppure nel secolo<br />

seguente alla riforma germanica, e, dopo il concilio <strong>di</strong><br />

(1) B r a c elli, Dilla guerra <strong>di</strong> Spagna, testo e v e r s io n e d i F . A liz e r i, G e n o v a ,<br />

>8$6, p. 34.<br />

(2) Br a c e l li, op. cit., e<strong>di</strong>z. cit., p. 2 7 4 .<br />

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Costanza in ispecie, gli italiani furono per la Chiesa<br />

cattolica che, senz’armi proprie, aveva tuttavia sfolgorata-<br />

mente vinto e domo ogni tentativo <strong>di</strong> ribellione. Inoltre<br />

il papato appariva ancora una forza, e non era stolta utopia<br />

10 sperare che da esso uscisse la salvezza d’ Italia. Sem­<br />

brerà congettura nostra campata in aria questa e non è :<br />

tra alti e bassi cotesta fede risorse ancor viva nel Bracelli,<br />

quando assunse la tiara un dotto e celebrato umanista,<br />

11 Parentucelli. Citiamo: « A noi farebbe d’ uopo un<br />

nuovo Ercole che il secolo nostro liberasse da tante<br />

fiere e mostri, e come troppe volte fu augurato avrebbe<br />

ad essere il romano pontefice, il quale, nel vergognoso<br />

torpore degli altri principi, unico rifugio è rimasto al-<br />

l’ Italia ne’ suoi gran<strong>di</strong>ssimi mali. Questi la cui clava<br />

domò mostri maggiori <strong>di</strong> quella d’ Ercole, dovrebbe co­<br />

stringere tra ferrei ceppi gli scellerati che, siccome fos­<br />

sero prorotti da sforzato carcere, imperversano libera­<br />

mente ». La lettera è del 6 luglio 1452, a quel Vigevio<br />

che viveva allora in Roma (1).<br />

Il Piccolomini alcuni mesi prima aveva chiesta per<br />

il suo signore la corona imperiale al papa, che egli<br />

<strong>di</strong>ceva la sorgente vera e genuina dell’ imperium (2);<br />

durava ancora l’ eco dell’ incoronazione <strong>di</strong> Federico III,<br />

da cui l’autorità ed il cre<strong>di</strong>to dell’ imperatore era uscito<br />

menomato, e l’amico Gottardo Stella in quei giorni in­<br />

viato come ambasciatore al papa, certo aveva magnifi­<br />

cato la splen<strong>di</strong>dezza della cerimonia (3). Il Bracelli e<br />

gli amici suoi poterono dunque per un istante illudersi<br />

(1) Arch. Municip., Ms. Pallavicino, c. 116.<br />

(2 ) G r e g o r o v i u s , op. cit., VII, 1 3 3 .<br />

(3) G i u s t i n i a n i, op. cit., V, 381.<br />

— 163 —<br />

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che il pontefice umanista, collocandosi tanto più in alto<br />

<strong>di</strong> quella larva d’ imperatore germ anico, riuscisse col<br />

braccio secolare e colla potenza morale sopratutto, a farsi<br />

autore e moderatore della pace d’ Italia.<br />

La caduta <strong>di</strong> Costantinopoli appena un anno dopo e<br />

le successive vittorie dei turchi, essendo spettatore<br />

inerte il papato, avranno senza dubbio destato gli illusi<br />

dal dolce sogno.<br />

II.<br />

Il Bracelli confessava <strong>di</strong> non aver grazia alcuna né<br />

ispirazione per far versi. Non conosco <strong>di</strong> lui altro <strong>di</strong><br />

poetico, tranne pochi <strong>di</strong>stici in morte del doge Giano<br />

ch’ egli dettava per espresso desiderio del cugino Niccolò<br />

Fregoso ed ancor essi inviati piuttosto per correggerli<br />

che per pubblicarli: rectius egeris si emendaveris quam si<br />

edas (1). Ve<strong>di</strong>amolo almeno attendere alla lettura dei<br />

poeti ed affaticarsi per la loro giusta interpretazione. Era<br />

il gusto del tempo e vi partecipavano anche gli eccle­<br />

siastici, coloro che un secolo prima si sarebbero fatto<br />

scrupolo <strong>di</strong> leggere uno scrittore profano. L a lettera <strong>di</strong><br />

(I) Si trovano nell’ e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> P arigi cit., fol. 6 j v. A d o g n i m od o non <strong>di</strong>­<br />

spiacerà leggerli qui:<br />

— 164 —<br />

Hit Itimi a l Utmi fmlfosé lìirpi intim i<br />

Qmrm rjfm il imtimim p ttttlp iltu H it,<br />

Hmit it d i'é l mirmm ftrm ti • ( I n i <strong>di</strong>tortm,<br />

S4J p im i c a m i t i , f i m i J fJ rrttfmi taim i,<br />

Firrié «n tttrt, f i U p •«< tra fu r tn lii,<br />

hlripitU fila i! J tm tn fernsilimm.<br />

P tu ftil kit p tlrU i kimjt Jmj imitimi tornei,<br />

Dijrmijt étUrm» fmi fmil impiria,<br />

Qmi miti M im i rnmmei km,; faU Mganrwf,<br />

Im pilali L*limm limitami firn mi tmìt.<br />

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cui parliamo è <strong>di</strong>retta infatti a Raffaele Pornassio, dome­<br />

nicano insigne, maestro <strong>di</strong> teologia e, dal 1430 al *50,<br />

generale inquisitore nella Liguria e nelle Marche. Un<br />

personaggio ragguardevole, come si vede, e il Fazio e<br />

il Quetif ne enumerano i meriti come scrittore (1).<br />

Per richiesta del Pornassio, sembra, il Bracelli toglie<br />

a ragionare sulla quarta egloga <strong>di</strong> Virgilio, argomento<br />

<strong>di</strong> tante <strong>di</strong>sparate interpretazioni nel me<strong>di</strong>o evo. E ben<br />

vero che l’ austero domenicano non credeva con ciò<br />

uscire della materia a lui prescritta, però che egli faceva<br />

sua l’ opinione accolta con tanto favore dagli scrittori<br />

cristiani del IV secolo, cioè che Virgilio fosse stato in<br />

quel carme veri<strong>di</strong>co profeta <strong>di</strong> Cristo. Così in una sua<br />

opera radunava opportune sentenze <strong>di</strong> Platone, Aristotele<br />

ed altri filosofi, a <strong>di</strong>mostrare vie meglio il consenso <strong>di</strong><br />

essi con la religione cristiana.<br />

L ’ umanesimo, sul proposito <strong>di</strong> Virgilio scrittore della<br />

famosa IV egloga, ritorna alla interpretazione oggettiva<br />

reale, senza lasciarsi traviare da pregiu<strong>di</strong>zi <strong>di</strong> esegesi in<br />

senso cristiano. Anche tra le lettere <strong>di</strong> Francesco Filelfo,<br />

avvene una a Mario in cui l’ opinione recisamente opposta<br />

a questo senso è <strong>di</strong>chiarata in modo esplicito. Questi<br />

aveva parlato dell’ egloga, attenendosi alla vecchia tra<strong>di</strong>­<br />

zione ed il padre ribatte : « Ciò che scrivesti <strong>di</strong> Vir­<br />

gilio è del tutto favoloso. Però che egli non intese<br />

parlare <strong>di</strong> Cristo, ma del figlio <strong>di</strong> Pollione e <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> lui<br />

quello che molto innanzi la sibilla, per certo afflato <strong>di</strong>­<br />

vino, aveva <strong>di</strong> Cristo vaticinato » (2). Così che per il<br />

( 1 ) B a r t h . F a c ii, De viris illustribus, p. 42- - Q uetif et E c h a r d , Scriptores<br />

or<strong>di</strong>nis prae<strong>di</strong>catorum, t. I, p. 831.<br />

— i6j —<br />

(2) Lettera a Gian Mario, Milano, XIV kal. martias 1454-<br />

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Filelfo la sibilla cumana aveva bensì profetato del reden­<br />

tore, ma il mantovano con quel carme non aveva voluto<br />

annunciare se non lo splen<strong>di</strong>do pronostico del figlio <strong>di</strong><br />

Pollione.<br />

Più <strong>di</strong>ffusamente il Bracelli: — « Tu m i chie<strong>di</strong> quando<br />

quei vaticini s’ hanno dunque ad avverare, se in Virgilio<br />

non si parla punto <strong>di</strong> Cristo venturo. Io nè penso che<br />

Virgilio sia stato profeta, né che egli volesse passare agli<br />

occhi nostri come un vate informato del futuro. Difatti,<br />

che c’ é in tutto quell’ elogio del secolo aureo che chia­<br />

ramente non suoni come lode <strong>di</strong> Cesare A ugusto, o <strong>di</strong><br />

Pollione? » — Ed oppone alcune delle <strong>di</strong>fficoltà che si<br />

incontrano, ove si voglia torcere l’ interpretazione <strong>di</strong><br />

que’ versi ad altro senso, soggiungendo: io toccherò <strong>di</strong><br />

alcune, ma più <strong>di</strong> venti altre potrei addurre che tuttavia<br />

lascerò indovinare a chi mi legge. In sostanza, ecco le<br />

sue obbiezioni: « La materia del carme bucolico è umile<br />

<strong>di</strong> sua natura; non si può dunque supporre che un grande<br />

poeta come Virgilio lo eleggesse a trattare il soggetto<br />

più sublime fra quanti ve ne sono. E g li incomincia:<br />

Sicelides musa e, paulo m aiora canam us. A veva parlato<br />

sin allora <strong>di</strong> greggi e <strong>di</strong> pastori: gli pareva ora <strong>di</strong> assur­<br />

gere alquanto più alto. Ma che saravvi allora <strong>di</strong> gran­<br />

<strong>di</strong>ssimo, o se possibile é un grado m aggiore <strong>di</strong> esso,<br />

se questo profondo arcano della <strong>di</strong>vina sapienza si <strong>di</strong>ca<br />

essere solo alquanto maggiore ai buoi ed agli agnelli."<br />

Coloro che, scambio <strong>di</strong> Astrea o la giustizia, vogliono<br />

nella vergine riconoscere Maria che riede, insegnino in<br />

che modo può ritornare chi ancora non é stato. N a m<br />

re<strong>di</strong>re testatur aliquem venisse, abisse et postea iterum venire.<br />

Né per saturnia regna s ’ hanno da intendere gli aurei<br />

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secoli che sono una favola de’ poeti. Basti per tutti il<br />

testimonio <strong>di</strong> Mosé che nel Genesi, <strong>di</strong>scorrendo de’ <strong>di</strong>­<br />

scesi dai due primi padri, novera anzi tutto un fratricida<br />

ed una vittima innocente. In conclusione, Virgilio non<br />

fu profeta, Virgilio, prima ancora che Pollione, intese a<br />

celebrare magnificamente Augusto; e quella pace, che sotto<br />

costui toccò in sorte al mondo romano, ben poteva <strong>di</strong>rsi<br />

procedere dal cielo, quasi ombra ed imagine <strong>di</strong> quell’ eterna<br />

pace <strong>di</strong> cui stava per essere nunzio il redentore » (1).<br />

Il Bracelli probabilmente aveva cognizione esatta delle<br />

dottrine de’ messianici e sibillisti, che vennero poi ad<br />

appuntarsi nella leggenda me<strong>di</strong>evale che conduceva 1’ apo­<br />

stolo delle genti al sepolcro dell’ antico poeta, e nell’ epi­<br />

so<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Stazio che Dante introdusse nel canto X X II<br />

del Purgatorio (2). Ma la lettera <strong>di</strong>mostra pure che<br />

l’ umanesimo, anche se professato da uomini ortodossi<br />

<strong>di</strong> fede come il nostro cancelliere, aveva ormai preso<br />

altra via. Notevole é la negazione recisa dell’ età del-<br />

l’ oro, ossia <strong>di</strong> quello stato <strong>di</strong> natura che presso i pa­<br />

gani fu immagine <strong>di</strong> un vivere civile più perfetto, e <strong>di</strong><br />

cui si compiacquero in seguito tanti scrittori, comin-<br />

(1) Ms. Br. c. 37; lettera ex suburbano meo, -V kal. octobris (manca 1 anno).<br />

— Ve<strong>di</strong> Documento X V in fine.<br />

(2) In certo inno che ancora durante il secolo XV si usava <strong>di</strong> cantare in<br />

Mantova ad onore <strong>di</strong> S. Paolo, sono i seguenti versi che esprimono 1 accorato<br />

dolore dell’ apostolo per non esser giunto in tempo a convertire Virgilio alla<br />

fede cristiana:<br />

— 167 —<br />

Ad Mnronis mausoleum<br />

Ductus, fu<strong>di</strong>t super cum<br />

Piac rorctn lacrymae;<br />

Quem te, inquit, red<strong>di</strong><strong>di</strong>ssem,<br />

Si te vivum invenissem.<br />

Poetarum maxime !<br />

C fr. G r a f ; Roma nella memoria e nellt immaginazioni del me<strong>di</strong>o evo, II, 2 0 6<br />

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— léS -<br />

ciando da' cinquecentisti italiani per giungere sino al sen­<br />

timentalismo rivoluzionario <strong>di</strong> Rousseau e <strong>di</strong> Saint Pierre.<br />

Passiamo alle lettere che toccano dell’ argom ento più<br />

gra<strong>di</strong>to al Bracelli, le storie. Intorno a questa materia<br />

sonvene nel co<strong>di</strong>ce da noi tolto in esame parecchie, e<br />

tutte hanno il fine <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssipare le tenebre addensate da<br />

tanti secoli d’ incuria e d’ ignoranza, <strong>di</strong> sbrogliare la<br />

selva aspra e forte de’ pregiu<strong>di</strong>zi e degli errori. Glie ne<br />

dava occasione il Biondo, che nel 1454 lavorava intorno<br />

alle Deca<strong>di</strong>. Come per l’ Italia illustrata aveva nel "48<br />

avuto ricorso all’ umanista genovese, che gli inviava<br />

l’ opuscoletto : Descriptio orae ligusticae, cosi ora chiede-<br />

vagli notizie storiche intorno a Genova. E il Bracelli a<br />

rispondere: « che nutriva speranza <strong>di</strong> potergli mandare<br />

l’ istoria genovese dall’ anno 110 0 al 14 0 5, dopo il qual<br />

anno stimava che quanto avevano operato i suoi concit­<br />

ta<strong>di</strong>ni era tanto noto, da non abbisognare alcuno scritto;<br />

tuttavia, se necessario, avrebbe volontieri supplito. Circa<br />

poi a’ fatti prima del 110 0 , nessuno scrittore nostrano<br />

avevali mandati a memoria, sicché bisognava ricorrere ad<br />

estranei per le notizie <strong>di</strong> quel tempo che gli fossero<br />

mancate » (1). Gli inviava dunque, com ’ é facile inferire<br />

dalle sue parole, gli annali <strong>di</strong> Caffaro e de’ suoi conti­<br />

nuatori, forse la cronaca <strong>di</strong> Iacopo da Varagine e senza<br />

dubbio quella <strong>di</strong> Giorgio Stella. Il Biondo era ricorso<br />

anche al doge, forse stimando poter avere, senza più,<br />

in imprestito il co<strong>di</strong>ce posseduto dal C o m u n e , ma la<br />

cosa non era cosi facile. Vcrutn haec q u a e ita recipio,<br />

exscribenda erunt, nam n u lli sunt annales p u b lic i, qui<br />

1) Ms. Br, c. 1 9 , G e n o v a , 14 n ovem bre 1 4 5 4 .<br />

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mitti possint et qua <strong>di</strong>xi exemplaria privatorum sunt.<br />

Finalmente, due mesi dopo, la copia promessa fu in<br />

pronto; e, nell’ atto <strong>di</strong> trasmetterla all’ amico, il segretario<br />

genovese faceva dello Stella onorevole encomio. « Non<br />

troverai in lui, scrive, eleganza <strong>di</strong> parole ed ornamenti,<br />

o precetti <strong>di</strong> rétori, ma ciò che massimamente si con­<br />

viene ad uno scrittore, la cura e il desiderio della verità,<br />

cosi che tu non avrai a rimproverargli nessun parziale<br />

amore <strong>di</strong> patria, nessun o<strong>di</strong>o del nemico. Curioso scru­<br />

tatore del vero, egli narrò con eguale candore le vittorie<br />

e le sconfitte » (1). A me piace ravvisare in queste<br />

parole un elogio all’ onestà del buon cronista, a quella<br />

probità letteraria che senza dubbio Giorgio Stella ebbe,<br />

e che per brillare non bisognava de’ lenocinii dell’ arte<br />

umanistica. Era insomma il motto <strong>di</strong> Tacito sine ira et<br />

stu<strong>di</strong>o, che il nostro cancelliere parafrasava in lode dello<br />

Stella e che ogni scrittore dabbene è in debito <strong>di</strong> os­<br />

servare.<br />

— 169 —<br />

Io mi sono chiesto più volte leggendo questa lettera<br />

del Bracelli se fosse ragione sufficiente quella da esso<br />

addotta <strong>di</strong> sopra, ossia che dopo il 1405 le imprese dei<br />

genovesi erano a tutti note, per non mandare al Biondo<br />

anche gli annali <strong>di</strong> Giovanni Stella, o se nell’ esclusione<br />

<strong>di</strong> costui dall’ elogio eh’ egli tesse per il fratello, non ci<br />

fosse una riposta intenzione. Risposta sicura, o almeno<br />

assai probabile potrebbe forse ricavarsi da una più esatta<br />

cognizione della vita dei due cronisti genovesi e dalle<br />

relazioni eh’ essi intrattennero co’ dotti del tempo loro.<br />

O non avrebbe forse a congetturarsi che lo smaccato<br />

(1) Ms. Br. c. 117, Genova, 4 febbraio 145 s-<br />

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adulatore <strong>di</strong> Giovanni Lemeingre non riusciva gran fatto<br />

simpatico al nostro Bracelli? (1).<br />

Gli stu<strong>di</strong> del Burckhardt, del Villari, non che <strong>di</strong> altri<br />

benemeriti eru<strong>di</strong>ti, hanno riven<strong>di</strong>cato il posto onorevole<br />

che va dato al Biondo, per il concetto n u ovo ed ar<strong>di</strong>to<br />

in allora <strong>di</strong> scrivere una storia universale che dalla ca­<br />

duta dell’ impero romano giungesse sino a’ suoi giorni,<br />

illustrando tanta mole <strong>di</strong> lavoro con istu<strong>di</strong> pazienti sulle<br />

fonti degli autori in ogni secolo, e recandovi sempre il<br />

soccorso <strong>di</strong> una buona critica. L ’ importanza <strong>di</strong> essa poco<br />

venne compresa, se non fu <strong>di</strong>sconosciuta affatto, dalla<br />

turba de’ dotti contemporanei infatuata unicamente della<br />

torma. Nell’ ingiusto oblio in cui il suo autore venne<br />

lasciato da molti, ed anche dal papa um anista tanto<br />

esaltato da’ letterati del suo secolo, Niccolò V insomma,<br />

piace che i meriti suoi fossero compresi alm eno da un<br />

eclettico geniale, il Piccolomini (2), e da un grave istorico,<br />

il nostro cancelliere. Questi apprezzava, co m ’ era dovere,<br />

quel vasto cumulo <strong>di</strong> pazienti ricerche e lo ascriveva ad<br />

insigne merito del Biondo, dolendosi che i principi della<br />

loro età non facessero almeno de’ belli ingegni stima<br />

eguale a quella che facevano delle armi ( 3 ) . Eguale<br />

ammirazione aveva attestata nel '48, al ricevere dal-<br />

(1) Cfr. G iustin ian i, op. cit., ad a. i \02.<br />

(ì ) A en. S ylv ij ; Hisl. de E u ro p i, in Opera omnia, B a s i l e a , 1 5 7 1 , p- 4 S‘)-<br />

Unum tamen e doctis ab eo neglectum miramur, Blondum F la v iu m ForolivUnsem<br />

qui tes a declinatione Romani Imperii usque ad aetatem nostram foto orbe paratas,<br />

mirabili or<strong>di</strong>ne in tres <strong>di</strong>gessit Decadas. Romam describendo in s ta u ra v it, Italiam<br />

illustravit, deinde triumphantem Urbem scribere adorsus, omnem nobis vetustatem<br />

aperuit. Sed ita fuerunt hominum mores, nam perraro quemquam extollit pontifex<br />

quem praecessor amavit.<br />

(3) Ms. Br. c. 1 9 , lett. cit.<br />

— 170 —<br />

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l’ amico suo l’ opera De Roma instaurata. 11 lavoro<br />

con felice successo da lui condotto a termine era tale<br />

da spaurire ogni dottissimo uomo; le membra del-<br />

l’ aeterna Urbs, mercé sua, risorgevano al sole latino, belle<br />

<strong>di</strong> gloria: per lui si rivedeva come in immagine la<br />

vecchia Roma. Quante fatiche e <strong>di</strong>fficoltà non aveva<br />

incontrato per sottrarre alla caligine del tempo tanti<br />

nomi <strong>di</strong> luoghi, né soli nomi, ma il ricordo ormai<br />

illangui<strong>di</strong>to de’ gloriosi fatti ivi accaduti ! E rifare la<br />

storia <strong>di</strong> quelle rovine che nel volgere de’ secoli si erano<br />

succedute, le une sulle altre, e che ora i nipoti, o avi<strong>di</strong><br />

o noncuranti, riducevano in cenere e calce ! Però egli<br />

non poteva tenersi dall’ esclamare che al Biondo il suo<br />

secolo, ed ogni classe <strong>di</strong> persone, dotti ed indotti,<br />

nonché la stessa posterità, andavano <strong>di</strong> moltissimo<br />

debitori (i).<br />

— I7 I —<br />

Ha ragione il Villari <strong>di</strong> <strong>di</strong>re che la critica storica na­<br />

sceva allora spontaneamente, prima che gli scrittori i<br />

quali la promuovevano ne fossero pienamente consape­<br />

voli (2). Non è minore perciò il merito <strong>di</strong> coloro che<br />

consapevolmente si stu<strong>di</strong>arono <strong>di</strong> giovarsene nelle loro<br />

dotte ricerche. Un terreno pressoché inesplorato era an­<br />

cora la Geografìa storica: il me<strong>di</strong>o evo aveva fatto po­<br />

chissimo nel campo geografico, si descrittivo come sto­<br />

rico. Persino della Siria e della Palestina, paese tanto<br />

frequentato dall’ epoca delle crociate in poi, si avevano<br />

notizie incomplete ed inesattissime. Il Biondo tentò, per<br />

quanto i tempi glie lo consentivano, la geografia e l’ ar-<br />

(1) Ms. Br. c. 89, Genova, 30 <strong>di</strong>cembre 1448.<br />

(2) V illa ri ; N. Machiavelli, III, 201.<br />

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— 172 —<br />

cheologia della nostra penisola, me<strong>di</strong>ante l’ It a lia illustrata;<br />

l’ amico suo ebbe il <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> un lavoro anche più<br />

coscienzioso da farsi per la Liguria e lo esponeva in<br />

chiari termini al Biondo. Ma se ne esagerò fuor <strong>di</strong> modo<br />

le <strong>di</strong>fficoltà, o forse nella con<strong>di</strong>zione degli stu<strong>di</strong> archeologici<br />

d’ allora esse erano veramente gravi : fatto si é che il<br />

<strong>di</strong>segno rimase pur troppo allo stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>segno. « Un<br />

giorno, egli <strong>di</strong>ce, i limiti della regione ligure furono<br />

larghissimi, però che da Oriente vi appartenessero Pisa<br />

e il territorio de’ Liguri Apuani, e da occidente Pompeo<br />

Trogo ponesse Marsiglia come confine tra L ig u ri e Galli ».<br />

Ecco adunque il compito che uno scrittore avrebbe do­<br />

vuto proporsi: rimettere in luce quelle antichissim e <strong>di</strong>­<br />

visioni geografiche ormai abolite e quasi, per cosi <strong>di</strong>re,<br />

sepolte, stabilire entro quali precisi confini trovavasi la<br />

Liguria, quando PApuano e il Marsigliese si annovera­<br />

vano tra’ Liguri : ma, soggiunge, non havvi uom o del<br />

nostro secolo, quantunque dottissimo, ch’ io riputassi<br />

idoneo a quest’ opera » ( i) . Si restrinse quin<strong>di</strong> a fare,<br />

( l) Lett. ad Bl. FI. ap. secret, 14 4S prim a aprilis in e d iz . c i t . , P a r i g i , 1S 2 0 .<br />

Questa lettera, raffrontata con u n 'a ltr a ad A n d reo lo G iu s t in ia n i <strong>di</strong> cu i ripro­<br />

dussi un passo a pag. 4 4 , d i lu o go ad una curiosa c o n t r a d d iz io n e . P a rre b b e<br />

da essa che il Bracelli, sul finire del 1 4 4 7 , 0 nei prim i m e s i d e l '4 8 , scrivesse<br />

P opuscolo Descriptio orae ligusticae, consentendo all' invito d i A n d r e a B a rto lo m e o<br />

Imperiale tornato allora da R o m a , e in servizio del B io n d o c u i a b b is o g n a v a n o<br />

quelle notizie per la sua grande o p e ra , P Italia illustrata. D i v e r o il G is c a r d i<br />

(Origine e fasti della nobiltà ligustica, m s della C iv i c o - B e r ia n a , v o i. I l i , p. 1 1 0 5 )<br />

segna sotto Panno 14 4 8 una am basceria d elP Im p e riale a l p a p a . P e r c o n tro la<br />

lettera ad Andreolo mette fuori <strong>di</strong> dubbio che la Descriptio g i i e r a finita nel<br />

1 4 4 2 , non so lo , m a nota a molti. N o n p o ten d o , tanto m e n o , d u b ita r e della<br />

veriti delle due date, è forza dunque il supporre che fin d a q u e s t ’ a n n o il B r a ­<br />

celli avesse terminato il suo opuscolo, salvo a ritornarci s o p r a , ra ffa z z o n a n d o lo<br />

per adattarlo alle esigenze d ell'a m ico , sei anni dopo.<br />

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- 173 —<br />

ciò che nei primi del secolo seguente con larghezza anche<br />

maggiore rifece il Giustiniani, ossia un’ accurata d esen­<br />

zione del paese compreso, come voleva Plinio, tra il<br />

Varo e la Magra, unendovi pochi cenni intorno alle cose<br />

più memorabili. 11 Biondo, cui fece parte dell’ opuscolo,<br />

certo glie ne fu grato, perchè inseri nella sua opera la<br />

descrizione del Bracelli quasi con le stesse parole, solo<br />

colorendo in piccola parte il <strong>di</strong>segno del nostro me<strong>di</strong>ante<br />

notizie storiche desunte da Livio e citazioni <strong>di</strong> Virgilio,<br />

<strong>di</strong> Lucano e <strong>di</strong> altri poeti latini.<br />

Riassumendo, al Bracelli più che <strong>di</strong> vera e grande<br />

operosità propria va data lode qui <strong>di</strong> un’ intuizione chiara<br />

ed acuta. Egli intuì tutto il valore <strong>di</strong> quell’ investiga­<br />

zione illuminata dall’ esame critico dei fatti <strong>di</strong>scussi, va­<br />

gliati attentamente. Dal canto suo, pur concedendo al<br />

gusto degli umanisti per la storia considerata prima <strong>di</strong><br />

tutto come opera d’ arte, non vi rimase estraneo, ed i<br />

suoi libri sopra la guerra <strong>di</strong> Spagna lo attestano, come<br />

vedremo, e lo attestano queste sue lettere. Siamo agli<br />

inizi, ben inteso, e si tratta unicamente <strong>di</strong> rettificare o<br />

impugnare fatti particolari, istorici o geografici. Le idee<br />

gran<strong>di</strong> e giuste, le massime politiche originali che co­<br />

stituiscono un sistema e preludono ad una vera scienza<br />

storica e politica, faranno la loro apparizione mezzo se­<br />

colo più tar<strong>di</strong>, con il Machiavelli. Cosi nella lettera ci­<br />

tata a proposito dell’ Instauratio Urbis, corregge un errore<br />

dell’ amico, che attribuiva il promontorio Miseno alla<br />

Lucania ( i) ; e confuta l’ opinione che l’ apostolo Pietro<br />

sia perito tra’ supplizi indetti da Nerone contro i cri-<br />

(i) Ms. Br. c. 89.<br />

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— 174 -<br />

stiani designati come autori dell’ incen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> R om a, se-<br />

condo che narra Tacito negli Annales ( i ) . E ben vero<br />

che cita aneli’ egli quale argomento favorevole alla sua<br />

tesi le supposte epistole <strong>di</strong> Seneca a Paolo — e allora chi<br />

non avevaie per autentiche? — ma si vale pur anche<br />

<strong>di</strong> un opportuno riscontro tra la durata dell’ incen<strong>di</strong>o che<br />

fu nella maggior violenza <strong>di</strong> sei giorni, com e esso Tacito<br />

afferma, e il <strong>di</strong> nel quale ogni anno la chiesa suole com­<br />

memorare l’ apostolo, per concludere che tra le due<br />

notizie <strong>di</strong> tempo avvi troppo forte <strong>di</strong>saccordo, che la<br />

detta opinione per conseguenza ó insostenibile (2 ). Così<br />

appurava date e fatti, scrivendo ad altri am ici. A Cipriano<br />

De Mari, che in una fortezza presso A m biodura (forse<br />

Ambiani, da cui l’ o<strong>di</strong>erno nome <strong>di</strong> A rn ien s?') credeva<br />

<strong>di</strong> riconoscere un’ antica costruzione <strong>di</strong> C esare, cosi<br />

risponde: « Che lo sia davvero, come ti piace credere,<br />

stento assai a persuadermene : non ricordo <strong>di</strong> aevr<br />

veduto in nessun luogo notata la costruzione <strong>di</strong><br />

cotesta fortezza. Tuttavia se tu ti fon<strong>di</strong> sopra la te­<br />

stimonianza <strong>di</strong> qualche scrittore, gli si deve aver fede,<br />

se sopra quella del volgo, muta, prego, <strong>di</strong> parere; non<br />

fu la Gallia privilegiata della felicità <strong>di</strong> cosi lunga pace,<br />

né tanto rare furono in lei le calamità prodotte dalla<br />

guerra, che abbia potuto durare fino ad o ggi un opera<br />

compiuta mille e cinquecento anni sono ». E delinea a<br />

gran<strong>di</strong> tratti la storia del paese, movendo da epoche più<br />

vicine e più note. « Dapprima barbari tiranni, quin<strong>di</strong> duci<br />

romani anche più feroci che ora lo ricuperavano, ora lo<br />

(1) Libro X V , 38, 44.<br />

(2) Vcd. per le lettere del Bracelli al Biondo, il Documento X V I in fine.<br />

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perdevano,, con in<strong>di</strong>cibile strazio de’ miseri popoli, e<br />

poi svcvi, vandali, goti, alani, borgognoni che misero<br />

quella regione a ferro ed a fuoco; non <strong>di</strong>ciamo nulla<br />

delle gueire a memoria nostra; ma durerai fatica a cre­<br />

dei e, dopo questo, che possa pure apparire traccia <strong>di</strong> una<br />

costtuzione eseguita da’ soldati <strong>di</strong> Cesare, non che una<br />

fortezza allora costruita si veda incolume tuttora » (i).<br />

E dallo stesso De Mari vuol sapere se l’ affluente che<br />

sbocca nel Rodano presso Lione sia l’Arari e che nome<br />

gli <strong>di</strong>ano i francesi (2); dal Poggio desidera notizie<br />

sopra un orrendo saccheggio che Genova, secondo una<br />

tn<strong>di</strong>zione, avrebbe sopportato da’ saraceni nel 935 del-<br />

1 èra volgare e <strong>di</strong> cui mancavano sicure prove. « Però<br />

che, osservava il Bracelli all’ illustre amic'o, sebbene<br />

quella calamità non sia cosi antica da essere affatto <strong>di</strong>­<br />

menticata, ché anzi ne rimangono presso noi alcune<br />

memorie, tuttavia esse ci furono tramandate dagli scrit­<br />

tori. con tanta, non so <strong>di</strong>re se ignoranza o negligenza,<br />

che essa è più simile ai sogni ed alle favole che al<br />

vero » (3). È lo stesso fatto che leggesi nel Giusti­<br />

niani portato sotto l’ anno 936 , e lo storico, pare, si<br />

riferisce al ricordo fattone da Flavio Biondo ; ma cade in<br />

un maggiore abbaglio, quando nello stesso 936 dà come<br />

regnante in Italia Berengario II che venne in ritardo<br />

nientemeno <strong>di</strong> quin<strong>di</strong>ci anni (4).<br />

(1) Ms. Br. c. 121, Genova, 6 giugno 1453.<br />

(2) Lett. citata.<br />

— 175 —<br />

(3) Genova, 8 aprile 1449. Ve<strong>di</strong> ms. cit. a pag. 12 <strong>di</strong> questa memoria.<br />

(4) Lo S h e p h e r d (Vita <strong>di</strong> Poggio Bracciolini, Firenze, Ricci, 1 8 2 5 ) che<br />

pure si valse <strong>di</strong> questa lettera del Poggio, accumula in poche linee parecchie<br />

inesattezze. Accetta la sbagliata determinazione <strong>di</strong> tempo dell’ umanista fioren­<br />

tino , secondo il quale la strage accadde nel decimo anno dell’ impero <strong>di</strong><br />

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11 Bracciolini compiacque con prontezza alla preghiera<br />

dell’ amico. Due erano le fonti della notizia, la cronaca<br />

compilata da Sigiberto Gemblacense , nell’ unico mano­<br />

scritto che gli venne trovato rovistando nei monasteri<br />

inglesi, e la storia <strong>di</strong> un frate Colonna che sopra<br />

<strong>di</strong>versi scrittori aveva condotta la sua compilazione fino<br />

al pontificato <strong>di</strong> Bonifacio V ili. Questi asseriva ciò che<br />

dall’ altro era narrato <strong>di</strong>ffusamente, ossia che nel 935<br />

una fonte in Genova gettò sangue e, nell’ anno istesso,<br />

sopravvenne una flotta <strong>di</strong> saraceni che prese la città<br />

con grande strage de’ citta<strong>di</strong>ni, solo fatta eccezione delle<br />

donne e dei fanciulli che furono condotti schiavi. Il<br />

Bracelli notava, per suo conforto, la rapi<strong>di</strong>tà con cui seppe<br />

la sua patria sanare cosi gravi ferite. Difatti Genova che<br />

nel 935 era stata <strong>di</strong>strutta, cento sessanta quattr anni<br />

dopo già era potente in mare e soccorreva <strong>di</strong> numeroso<br />

naviglio 1’ esercito cristiano alla prima crociata.<br />

Quest’ amore della ricerca e della speculazione storica<br />

gli venne compagno fino all’ ultimo. Già vecchio cadente,<br />

nel 1460, trovava tempo e lena per intrattenersi col-<br />

l’ Ivani sul pre<strong>di</strong>letto argomento, questa volta a propo­<br />

sito della Cirope<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Senofonte che e g li, consentendo<br />

coll’ amico, riconosceva essere anziché un istoria, un<br />

romanzo storico, in cui l’ autore rappresentava un suo<br />

tipo ideale <strong>di</strong> principe guerriero. E ribatteva sopra alcuna<br />

Enrico I , il che la porterebbe a ll’ an n o 9 2 9 ; confond e G i o v a n n i X I c o n il d e­<br />

cim o che cessò <strong>di</strong> portare la tiara nel 9 2 8 e, fin a lm en te , p o n e p e r il fatto<br />

data del 9 3 9 eb e non è giustificata da n ulla c c o n tra d d ic e e s p lic it a m e n t e al<br />

parole del B racciolini.<br />

Ve<strong>di</strong> per le due lettere del B racelli e la risposta del P o g g i o , il Docutiiento XVII<br />

in fine.<br />

— 176 —<br />

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- 177 —<br />

delle con<strong>di</strong>zioni necessarie ad una storia ben fatta, con­<br />

<strong>di</strong>zioni che, a suo parere, l’ ateniese in quell’ opera non<br />

aveva osservate. Il Bracelli non vi riconosceva la <strong>di</strong>li­<br />

genza e perizia militare solita allo scrittore delVAnabasi<br />

e delle Elleniche. — Illud facile animadvertet quisquis Z e­<br />

no phontem attentius legerit, quedam ab eo bella narran<br />

bellorumque victorias que quibus locis, quibus hostium du­<br />

cibus , quo perduelli sint parte nusquam invenias, quae,<br />

lege historiae, nequaquam silentio praeteriri licuit, quod pro­<br />

fecto homini doctissimo non contigisset, si animus ei fuisset<br />

historiam complecti (i). È vero per altro che se anche<br />

ci sono, non bastano siffatte doti a formare una bella e<br />

buona istoria.<br />

Queste sono le lettere più notevoli <strong>di</strong> lu i, che mi<br />

venne fatto <strong>di</strong> rinvenire: altre forse potrebbero trovarsi<br />

rovistando nelle raccolte manoscritte, se pure non sono<br />

copie <strong>di</strong> quelle già conosciute, o ine<strong>di</strong>te o a stampa (2).<br />

(1) Ms. Br. c. 36, Genova, 29 agosto 1460.<br />

(2) Oltre la miscellanea della Bibl. Civica in Genova in<strong>di</strong>cata coll abbrevia­<br />

zione Ms. Br., il ms. Pallavicino dell’Arch. Municipale e le lettere d ufficio<br />

esistenti nell’Archivio <strong>di</strong> Stato, mi valsi per la compilazione <strong>di</strong> questa monografia<br />

delle seguenti lettere a stampa:<br />

Di un’ appen<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> trenta lettere che trovasi nell’ e<strong>di</strong>zione più volte citata<br />

<strong>di</strong> tutte le opere del Bracelli, fatta in Parigi 1’ anno 1520, pe torchi dell Ascensi.<br />

Queste lettere vanno dal foglio 52 al 70, ove si legge: F in is X X X elegantiarum<br />

epistolarum ab excellentissimo viro lacobo Bracelleo genuensium secretorio aut scri­<br />

ptarum aut <strong>di</strong>ctatarum.<br />

Altre cinque lettere, e non due come afferma il Mazzucchelli sulla fede del<br />

Giustiniani, tutte <strong>di</strong>rette ad Andreolo, sono impresse in fine del libro d Enea<br />

Platonico, De immortalitate animorum, nella ristampa fatta in Genova da Fran­<br />

cesco Maria Farroni l’anno 1645, in 4.0; ed una è stata pubblicata dal Car<strong>di</strong>nal<br />

Quirini, a carte 193 delle Epistolae <strong>di</strong> Fr. Barbaro.<br />

La lunghissima lettera inserita dal Giustiniani a pag. 207 de suoi Annali,<br />

in risposta ad una del re Alfonso <strong>di</strong> Napoli, già venne citata.<br />

Taccio delle riproduzioni parziali da alcuni fatte, come p. e. dall Argelati<br />

A t ti S o c. L io . S t. P a tria . Voi. XXIII. 12<br />

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— 178 —<br />

Dal lato archeologico avrebbero forse potuto tornare<br />

importanti quelle che il Pizzicolli <strong>di</strong>ceva essergli state<br />

scritte dal nostro secretario, e eh’ egli giu<strong>di</strong>cava elegan­<br />

tissime (1); ma, e nei due co<strong>di</strong>ci esaminati, e nelle altre<br />

pubblicazioni che in maggiore 0 minor numero inseri­<br />

rono lettere del genovese, non mi riuscì trovarne una<br />

sola <strong>di</strong>retta al viaggiatore anconitano.<br />

Tuttavia quello che abbiamo veduto finora, basta, io<br />

penso, per assegnare un cospicuo luogo al Bracelli nel<br />

movimento umanistico che si verificò nella sua patria du­<br />

rante il quattrocento. Egli fu non ultimo rappresentante<br />

<strong>di</strong> quel sapere che venne man mano acquistando sempre<br />

maggiore importanza, perché seppe entrare nella corrente<br />

d’ idee del suo secolo e farsi pratico, nell’ atto che affer­<br />

mava la più alta ragione raggiunta dal genere umano.<br />

Ed ognuno ammirerà, credo, la coerenza strettissima<br />

che corre in lui tra l’ uomo ed il letterato. L ’ uno com­<br />

pletava l’ altro, sicché il lettore s’ incontra con piacevole<br />

meraviglia in un umanista, ossia in uno <strong>di</strong> coloro che<br />

(B ib l Script. Med., t. I , par. I I , col. 709), che ristampò dall’ e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Parigi<br />

una lettera <strong>di</strong>retta dal Bracelli a Leonardo Grifo. Il Soprani (op. cit.) fa men­<br />

zione <strong>di</strong> un Liber epistolarum del nostro Bracelli, ma forse è l’ appen<strong>di</strong>ce stessa<br />

che trovasi nell’e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Parigi; l’Oldoini (Athenaeum Ligusticum) cita pari-<br />

menti cinque lettere e<strong>di</strong>te in Rom a nel 1 5 7 }, anche queste, p a re , non altro se<br />

non le Epistole scritte dal secretario genovese d’ or<strong>di</strong>ne pubblico ed inserite a c . 66<br />

nell’ e<strong>di</strong>zione della sua storia fatta in R o m a, appunto nel 1573, colle parole:<br />

Jacobi Bracellei Epistolae quinque de magnis rebus aliorum nomine conscriptae.<br />

Infine il Mazzucchelli (Scrittori d’Italia, t. II) menziona un co<strong>di</strong>ce della Bi­<br />

blioteca <strong>di</strong> S . Marco in Firenze, che conteneva parecchie lettere del nostro, e<br />

l’ opuscolo Descriptio orae ligusticae. Non ne ho notizia: probabilmente andò<br />

smarrito, se pure il Mazzucchelli stesso, citando <strong>di</strong> seconda m an o, non ripetè<br />

l'erro re 0 1’ equivoco commesso da altri.<br />

(1) V e d i il passo dell’ Itinerarium, a pag. 27.<br />

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— 179 —<br />

meritarono, non a torto, il nome <strong>di</strong> gla<strong>di</strong>atori della<br />

penna, la cui vita e la cui operosità vanno del pari<br />

scevre da ogni macchia e da ogni rimprovero. Gli é<br />

che la misura e la forza che si palesano nel suo carat­<br />

tere, il nostro Iacopo le trasfondeva senza ostentazione,<br />

naturalmente, nei suoi scritti, alcuni de’ quali li <strong>di</strong>resti<br />

non indegni della gravità e dell’ eloquenza romana. Solo<br />

una qualità ti avviene, leggendolo, <strong>di</strong> desiderare in lui,<br />

ossia un maggiore ar<strong>di</strong>mento, una partecipazione più<br />

franca alle questioni che agitarono nel suo tempo la so­<br />

cietà politica e la repubblica letteraria. Fra tanta eleganza<br />

e facon<strong>di</strong>a latina, gli mancava la genialità artistica posse­<br />

duta in cosi alto grado dal Bracciolini; fra tanta <strong>di</strong>gnità<br />

misura e imperturbato dominio <strong>di</strong> sé medesimo, gli fa­<br />

ceva <strong>di</strong>fetto il coraggio del Salutati e del Valla.<br />

CAPITO LO VI.<br />

D e i c in q u e l ib r i s u l l a G u e r r a d i S p a g n a<br />

E DI ALTRE STORIE ERUDITE.<br />

La sua perizia in quell’ arte istorica che con stu<strong>di</strong>o ed<br />

amore coltivò, e che venne raffigurando nelle lettere ve­<br />

dute, il Bracelli volle <strong>di</strong>mostrarla in questi libri sulla<br />

guerra <strong>di</strong> Spagna, 1’ opera a cui specialmente si racco­<br />

manda il suo nome. Ne formano argomento la lotta<br />

che Genova ebbe per molti anni con Alfonso re d’Ara­<br />

gona, <strong>di</strong>venuto in seguito fortunato possessore del reame<br />

<strong>di</strong> Napoli. Il Bracelli lo considera, e non ingiustamente<br />

dal suo punto <strong>di</strong> vista, come uno spagnuolo conquista-<br />

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— i8o —<br />

tore <strong>di</strong> una provincia d’ Italia e nemico acerbo della sua<br />

repubblica; quin<strong>di</strong> il titolo <strong>di</strong> Guerra <strong>di</strong> Spagna.<br />

Premesse alcune brevissime notizie sull’Aragona c sui<br />

re che la tennero, lo storico narra la guerra dei geno­<br />

vesi con Alfonso per il contrastato possesso <strong>di</strong> Bonifacio<br />

nella Corsica, e quin<strong>di</strong> quella lunga o<strong>di</strong>ssea napoletana<br />

che ebbe come episo<strong>di</strong> principali la battaglia <strong>di</strong> Ponza<br />

e l’ asse<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Napoli. Il Bracelli scelse dunque un sog­<br />

getto <strong>di</strong> storia contemporanea, né pare si curasse degli<br />

ostacoli che impaurirono il Guarino. Anche 1’ umanista<br />

veronese era tentato <strong>di</strong> scrivere la storia de’ suoi tempi ;<br />

e tuttavia osservava: se essa voglia essere luce <strong>di</strong> verità,<br />

conviene che non conceda nulla, o al favore o alla pas­<br />

sione, che non blan<strong>di</strong>sca e non offenda, ed infine deve<br />

aprire le cagioni della guerra, mettere a nudo i costumi,<br />

la tede, la probità degli interessati ed i vizi contrari.<br />

Ma queste qualità dello storico un tempo o<strong>di</strong>ose, ora<br />

gli sono apposte a delitto capitale (i). Il buon vecchio<br />

Guarino metteva il <strong>di</strong>to sulla piaga. Anche il Machia­<br />

velli sospettò che il Bruni ed il Poggio fossero stati<br />

impe<strong>di</strong>ti <strong>di</strong> scrivere la storia civile <strong>di</strong> Firenze dal<br />

timore <strong>di</strong> « offendere i <strong>di</strong>scesi <strong>di</strong> coloro, i quali per<br />

quelle narrazioni si avessero da calunniare » (2). Con­<br />

siderazione cotesta che potrebbe spiegare molte delle<br />

deficienze che riscontransi nella storiografia del quattro-<br />

cento, e principalissima la seguente: che vera storia ci­<br />

vile allora non ci fu. Ma restiamo per ora alle idee del<br />

Bracelli. La definizione ciceroniana <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>sciplina<br />

(1) Cfr. lettera del Guarino a Battista Bevilacqua, in C arlo R osmini ; Vita<br />

e <strong>di</strong>sciplina <strong>di</strong> Guarino Veronese, Brescia, 1805.<br />

( 2 ) Proemio alle Storie Fiorentine.<br />

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era ben fìssa nella mente degli umanisti, e da essa pro­<br />

cede anche il nostro storico : Historia est testis temporum,<br />

lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetu­<br />

statis (i). Citazione, sebbene scritta in su tutti boc­<br />

cali <strong>di</strong> Montelupo, qui forse non oziosa, perchè ad essa<br />

dovremo riferirci più d’ una volta in questo capitolo.<br />

Del suo tenore era persuasissimo anche il Bracelli, che<br />

nella prefazione alla sua opera scrive: « La storia ap­<br />

prende non tanto l’ or<strong>di</strong>ne de’ fatti e de’ tempi, ma<br />

quel che più vale, per quali arti e consigli siano cre­<br />

sciuti gli imperi, per quali vizi all’ opposto rovinassero,...<br />

insomma non v’ ha nulla che sia per noi a desiderarsi<br />

0 a schivarsi <strong>di</strong> cui tu non rinvenga sicuri esempi<br />

presso gli storici. Ma fra quante utili lezioni essa può<br />

darci, le più desiderabili ci sono somministrate dalla<br />

nostra nazione. L ’ esempio dei nostri desta più viva e<br />

più forte l’ emulazione ». Anche il Fazio riputava dovere<br />

dello scrittore rinunciare a’ greci e romani da tanti pre­<br />

feriti, riven<strong>di</strong>cando invece dall’ oblio le memorie del suo<br />

secolo, se vogliasi tar opera fruttuosa a contemporanei<br />

ed a concitta<strong>di</strong>ni in ispecie. Ben inteso era fermo che<br />

ufficio della storia fosse anticipare e prevenire le dure<br />

lezioni dell’ esperienza.<br />

— 181 —<br />

Parlando del libro del Bracelli, io lo raffronterò, quando<br />

mi venga in acconcio, con i Commentari del Fazio, sia<br />

perchè l’ argomento è in molta parte identico, sia perché<br />

1 loro autori, tra gli storiografi umanisti della repubblica<br />

genovese, occupano meritamente il luogo più onorevole.<br />

Il Muratori, nella prefazione agli Annali del Senarega<br />

(i) C ice ro n e, De oratore, lib. II.<br />

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- 182 —<br />

da lui inseriti nella sua grande raccolta, professava<br />

ammirazione per la egregia schiera degli storici sincroni<br />

genovesi che emularono degnamente nel <strong>di</strong>re i fatti<br />

della loro repubblica (i). In un lavoro de<strong>di</strong>cato<br />

all’ umanesimo in Genova non sarà dunque fuor <strong>di</strong><br />

proposito, penso, determinare con qualche ampiezza il<br />

carattere che i due maggiori umanisti genovesi <strong>di</strong>edero<br />

alle loro storie. Troveremo ancor qui le caratteristiche<br />

universali : interesse puramente letterario ed astratto, <strong>di</strong>­<br />

letto nello scrittore e nell’ opera <strong>di</strong> una viva coscienza<br />

de’ tempi e delle loro necessità politiche, sociali o re­<br />

ligiose; amore dell’ in<strong>di</strong>vidualismo, tendenza moralizza­<br />

trice. Sarà dunque <strong>di</strong>scorso inutile il nostro, un’ uggiosa<br />

ripetizione <strong>di</strong> cose dette e ridette a sazietà? Mi lusingo<br />

che ciò non sia: alcuni caratteri generali mal possono<br />

convenire sempie ed in tutto ad ogni singola storia:<br />

sarebbe ingiustizia confondere in un mazzo buoni e<br />

cattivi, esageratori <strong>di</strong> un vizio e stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> qualche<br />

virtù non ispregievole ; né storia letteraria completa e<br />

sicura potrà tentarsi finché tutti i monumenti del nostro<br />

passato non siano ben noti e giu<strong>di</strong>cati. In attesa <strong>di</strong><br />

Pigmalione che infonda la scintilla <strong>di</strong> vita nell’ inerte<br />

statua, non isdegniamo la modesta parte che può toc­<br />

carci nell’ oscura fatica dello statuario.<br />

Ma il nostro compito sarebbe assai facile a <strong>di</strong>simpe­<br />

gnarsi se ci attenessimo all* usanza <strong>di</strong> parecchi critici, e<br />

vecchi e recenti, alcuno de’ quali anche va per la mag­<br />

giore. Li ho consultati per il Bracelli: in verità non ne<br />

francava il pregio. I più si fermano sulle qualità dello<br />

f i ) Rtr. Ilal. Script., t. X X I V .<br />

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stile, ed ancor questa sarebbe utile ricerca, se dello stile<br />

e della lingua giu<strong>di</strong>cassero storicamente, e non in modo<br />

così astratto. Ma che conto si ha a fare <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zi<br />

che si restringono alle parole : bello, aureo, elegante,<br />

adorno? ovvero, se si muta solfa, è per ricorrere ad un<br />

termine <strong>di</strong> paragone. Il Giustiniani, per un esempio, <strong>di</strong>ce<br />

la storia del Bracelli scritta al modo <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> Cesare<br />

e cita il Beroaldo, un giu<strong>di</strong>ce cre<strong>di</strong>bile come sa ognuno:<br />

lo Spotorno contonde, e pur citando il Beroaldo stesso,<br />

paragona il Bracelli nello stile a Sallustio. Il Giovio<br />

c’ incastra un bel periodo senza compromettersi ( i ) , il<br />

Foglietta, il Soprani, lo Zeno ecc. si ripetono. Quanto al<br />

Fazio è fuori <strong>di</strong> contestazione, un felice imitatore <strong>di</strong><br />

Cesare : lo <strong>di</strong>cono tutti e ha da esser vero, ma come si<br />

convenga la veloce evidenza <strong>di</strong> Cesare alle mortali len­<br />

tezze e alle minuziosità stucchevoli dello storiografo<br />

d’Alfonso, nessuno <strong>di</strong>ce. Così procede cotesta critica<br />

monca ; e ciascuno <strong>di</strong> essi esaltando fuor misura una<br />

specie <strong>di</strong> mignone, fanno tutti insieme stupire che tante<br />

siano le stelle nel firmamento letterario; se non che la<br />

provvida luce del sole avvisa che le importune lucciole<br />

sono vili bruchi e l’ esperienza rende i lettori sensati<br />

<strong>di</strong>ffidenti o increduli del vero.<br />

È risaputo che un fenomeno letterario per essere com­<br />

preso nella sua interezza vuol essere stu<strong>di</strong>ato come fatto<br />

storico, come fatto psicologico, come tatto estetico.<br />

Sotto il primo <strong>di</strong> questi aspetti, la storiografia si venne<br />

(i) Scripsit enim Alpbonsi Regis res bello gestas, omnium scriptorum collatione,<br />

qui nuper antecesserint, longe gravissime, si eius seculi nondum perpolitam eloquen­<br />

tiam cum ea conferamus quae demum, inducta subtiliore antiquorum imitatione, can­<br />

<strong>di</strong><strong>di</strong>or evaserit. P auli J ovii Elogia.<br />

— i83 —<br />

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- i 84 -<br />

adattando, lungo il secolo X V , alle con<strong>di</strong>zioni già<br />

dette: un contenuto tutto eleganza e vuota esteriorità,<br />

un’ osservazione acuta dell’ in<strong>di</strong>viduo che sapeva emergere<br />

dalla folla, osservazione recata non solo negli atti della<br />

sua vita politica, ma negli in<strong>di</strong>zi più recon<strong>di</strong>ti del suo<br />

carattere morale; l’ esaltazione della torza. Tale il fatto<br />

storico, ma la spiegazione psicologica qual era? Non<br />

deve essa cercarsi nell’ opinione pubblica <strong>di</strong> quel tempo<br />

e nell’ educazione dell’ umanista ?<br />

Gli italiani del rinascimento ebbero agio <strong>di</strong> conoscere<br />

il predominio che le in<strong>di</strong>vidualità potenti esercitano sopra<br />

i loro contemporanei, sicché finirono per ravvisare in<br />

esse quasi un’ ineluttabile necessità che non è mossa<br />

mai da circostanze esteriori, ma che al contrario im­<br />

prime il suo impulso alle circostanze stesse e costringe<br />

gli avvenimenti ad un corso inaspettato. Cosi fatto é pur<br />

anche l’ amore del volgo, della moltitu<strong>di</strong>ne che adora<br />

sempre il buon successo. L’ uomo che riassume in sé<br />

una fase dello spirito eterno dell’ umanità, che costringe<br />

nel suo il pensiero <strong>di</strong> tutti e lascia sulla terra un’orma<br />

profonda <strong>di</strong> sé, sia coll’ altezza dell’ ingegno, sia col va­<br />

lore del braccio, o coll’ uno e l’ altro insieme, non dura<br />

gran fatica a persuadere le turbe fanatiche esser egli un<br />

pro<strong>di</strong>gio e gli avvenimenti un semplice balocco della<br />

sua volontà. Per tal modo il prodotto <strong>di</strong> un’ epoca <strong>di</strong>­<br />

venta ii fattore e l’ arbitro dell’ epoca stessa.<br />

Questa puerile illusione si vede in ogni tempo. Ma nello<br />

stato della società politica durante il quattrocento era inevi­<br />

tabile che essa possedesse del pari il volgo ed i letterati.<br />

L ’ azione della provvidenza, che il me<strong>di</strong>o evo aveva ve­<br />

duta in ogni fatto della vita, era cessata per i più; la<br />

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- i85 —<br />

legge naturale che governa il fenomeno politico e sto­<br />

rico era ancora <strong>di</strong> là da venire; non sussisteva se non<br />

il motivo personale, ed un uomo, o più uomini, che<br />

incarnavano le ragioni del loro tempo. Specchio <strong>di</strong> quelle<br />

idee, anche la storia riducevasi a subor<strong>di</strong>nare tutto alle<br />

cause in<strong>di</strong>viduali, a tessere il panegirico del tiranno, il<br />

virtuoso per eccellenza del rinascimento, i cui tratti ca­<br />

ratteristici, <strong>di</strong> ferocia o <strong>di</strong> astuzia <strong>di</strong>plomatica, si possono<br />

riconoscere in tutti gli attori <strong>di</strong> quel complicato dramma,<br />

da Cosimo de’ Me<strong>di</strong>ci e Francesco Sforza a Cesare<br />

Borgia, e che non obbe<strong>di</strong>va a nessuna necessità dell’ am­<br />

biente sociale, anzi, come la sacerdotessa d’ Apollo vio­<br />

lentata da Alessandro, quelle obbe<strong>di</strong>vano a lui.<br />

Inoltre, molta parte in questo modo d’ intendere e <strong>di</strong><br />

scrivere la storia aveva l’ educazione speciale all’ umanista.<br />

Il maggior numero <strong>di</strong> essi erano notai cancellieri, se­<br />

cretar! <strong>di</strong> una repubblica o <strong>di</strong> un principe. Nessun posto<br />

più <strong>di</strong> quello invi<strong>di</strong>ato, e tuttavia nessuno dove più<br />

pungenti fossero le spine. Come cancelliere, per riuscire,<br />

bisognava rinunciare ai gusti ed alle abitu<strong>di</strong>ni proprie,<br />

trasformarsi a modo e grado del padrone; come storico,<br />

l’ uomo consapevole <strong>di</strong> tanti intrighi, <strong>di</strong> tanti tenebrosi<br />

raggiri, doveva procedere colla massima cautela, quando<br />

metteva mano a scrivere. 11 vecchio Guarino aveva ra­<br />

gione : certe verità suonavano come tra<strong>di</strong>mento e delitto<br />

capitale. Si potrebbe forse citare, quale prova del con­<br />

trario, il Machiavelli, che privato inerme scrisse pur dei<br />

Me<strong>di</strong>ci onestamente il vero; ma l’ esempio del Machia­<br />

velli non tiene. Prima <strong>di</strong> tutto, la forza dell’ opinione<br />

a’ suoi giorni aveva preso tale sviluppo, che certe ve­<br />

rità erano universalmente sentite e proclamate ; secondo,<br />

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Firenze, la città degli esperimenti politici e de’ mo<strong>di</strong><br />

civili <strong>di</strong> governo, era specialmente adatta a produrre non<br />

uno storico soltanto, ma una intera pleiade <strong>di</strong> storiografi<br />

in<strong>di</strong>pendenti. Ciò non si verificava facilmente altrove,<br />

e, nel secolo XV, Genova in particolare aveva mala voce<br />

per la violenza e ferocia con cui si combattevano tra<br />

loro le fazioni; e nel *51, mentre appunto il Bracelli at­<br />

tendeva alla storia della Guerra <strong>di</strong> Spagna, era occorso<br />

il caso <strong>di</strong> Galeotto De Mari, eloquente nel suo pro­<br />

cesso sommario e sbrigativo. Cito dal Giustiniani : « 11<br />

doge Pietro Fregoso, il quale era assai molestato <strong>di</strong>a<br />

principi italiani e dai fuorusciti genovesi, e ebbe sospetto<br />

<strong>di</strong> Galeotto De Mari,... lo fece impiccare sulla piazza <strong>di</strong><br />

S. Francesco, togato, con le pianelle in pie<strong>di</strong>, e con una<br />

polizza ai pie<strong>di</strong> che <strong>di</strong>ceva : Hic homo locutus est ea quae<br />

non licent ».<br />

— 186 —<br />

Veniva in secondo luogo il preconcetto per gli an­<br />

tichi modelli. Quegli immortali esemplari <strong>di</strong> Livio, Sal­<br />

lustio, Cesare, scambio <strong>di</strong> rinvigorire la mente dello<br />

scrittore, <strong>di</strong> aggiungergli ala, lo impacciavano, come<br />

avviene sempre a tutti coloro che, 0 parlando o scri­<br />

vendo, vogliono parere <strong>di</strong>versi da quel che sono. La<br />

legge che essi s’ imponevano <strong>di</strong> non raccontare se non<br />

fatti capaci <strong>di</strong> decorosa esposizione, <strong>di</strong> magnificenza ora­<br />

toria , li portava inconsapevoli ad una rappresentazione<br />

iperbolica, ad avvolgere nell’ ampio panneggiamento degli<br />

eroi romani que’ signori e que’ capitani <strong>di</strong> ventura che<br />

erano tutt’ altro, li portava necessariamente a falsare i<br />

criteri morali, perché e fatti e personaggi già erano fal­<br />

sati. Cosi sbagliata strada, la rettorica imperversava. E<br />

a che si riduceva <strong>di</strong>fatti la preparazione storica <strong>di</strong> quegli<br />

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uomini se non alla rettorica? La quale poi mi par <strong>di</strong><br />

sentire più artificiosa, più eccessiva in coloro che face­<br />

vano specialmente professione <strong>di</strong> letterato: per rimanere<br />

nel caso nostro, mi par maggiore nel Fazio che nel Bra­<br />

celli. Direi insomma, che nello storiografo <strong>di</strong> Alfonso<br />

molti fiori posticci provengano dalla scuola del Guarino,<br />

del quale fu <strong>di</strong>scepolo, e dai modelli oratori preferiti dal<br />

maestro; che nel Bracelli per contro il senso della mi­<br />

sura e la severa eleganza siano come un’ eco de’ gran<strong>di</strong><br />

giureconsulti romani da lui stu<strong>di</strong>ati in giovinezza. Osser­<br />

vazione sulla quale per altro non intendo insistere molto,<br />

però che so benissimo che i vantaggi derivanti dallo<br />

stu<strong>di</strong>o della giurisprudenza romana sotto il rispetto del<br />

gusto estetico erano poi <strong>di</strong>strutti dagli innumerevoli bar­<br />

bari giuristi e glossatori, i goti frustati dal Valla a<br />

Pavia.<br />

— 187 —<br />

La corrispondenza epistolare del Fazio con Francesco<br />

Barbaro dà una chiara idea <strong>di</strong> questo modo rettorico <strong>di</strong><br />

considerare la storia presso i più: poco importava che<br />

essa fosse veri<strong>di</strong>ca, purché fosse bella, e la modestia non<br />

impe<strong>di</strong>va che si chiamassero al paragone gli ammirati<br />

greci. « Comprendo benissimo l’ opera mia non esser<br />

cosi fatta che si possa <strong>di</strong>re <strong>di</strong> lei ciò che Cicerone della<br />

famosa Minerva <strong>di</strong> Fi<strong>di</strong>a: potersi essa esporre nell’ arce ».<br />

Così il Fazio, e il Barbaro a rispondergli: « Te fortu­<br />

nato più <strong>di</strong> Apelle, Lisippo e Pirgotele, poiché non<br />

l’ effigie del corpo d’Alessandro, come que’ valentuomini,<br />

ma l’ effigie dell’ animo d’Alfonso e i consigli e le virtù<br />

<strong>di</strong> lui fosti stimato degno <strong>di</strong> consecrare a memoria sem­<br />

piterna ». Si affrettasse dunque, tale il consiglio, a narrare<br />

le azioni c i costumi <strong>di</strong> quell’ illustre principe, perché<br />

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- iSS -<br />

dalla varietà dei casi, dalle vicissitu<strong>di</strong>ni della fortuna<br />

cotest’ insegnamento scaturisse a’ lettori : essere le cose<br />

umane soggette a mille traversie . . . Apelle, finito il<br />

capo <strong>di</strong> Venere con arte meravigliosa, lasciò incompiuto<br />

il restante del corpo: s’ affrettasse egli ad impartire altrui<br />

ed a procacciare a sé l’ immortalità del nome ». Con<br />

siffatti criteri Bartolomeo Fazio incastrava non meno<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>eci concioni tra <strong>di</strong>rette e in<strong>di</strong>rette soltanto nel primo<br />

libro de’ Commentari, e la massima parte dell’ opera<br />

taceva consistere nel racconto <strong>di</strong> espugnazioni e battaglie,<br />

dove, s'intende, campeggia eternamente una figura sola,<br />

quella <strong>di</strong> Alfonso. Lo scrittore vorrebbe darle il rilievo<br />

<strong>di</strong> una statua colossale, e non riesce se non a rimpiccio­<br />

lirla e guastarla: pur tuttavia riscuoteva applausi e ri­<br />

compense da’ contemporanei. Narra Vespasiano che alla<br />

lettura <strong>di</strong> un capitolo dove si descriveva con vivi colori<br />

la presa fatta dal re <strong>di</strong> un castello, Alfonso rapito d’ en­<br />

tusiasmo donò al suo istoriografo in un tratto mille e<br />

cinquecento fiorini d’ oro. E facciamo grazia al lettore<br />

de’ soliti aneddoti narrati da tutti per <strong>di</strong>mostrare l’ am­<br />

mirazione accordata allora all’ antichità, non esclusa la<br />

letteratura storica. Ciò non avviene mai se l’ opera dello<br />

scrittore non trovi una larga corrispondenza nel pensiero<br />

del pubblico e un consenso, <strong>di</strong>rei quasi, universale. Si<br />

plutarcheggiava nella storia, perché facevasi altrettanto<br />

nella vita ; si glorificava da quella la forza, perché la<br />

politica egoistica del tempo non conosceva più altra<br />

legge, e l’insegnamento che ricavavasi era pur sempre<br />

il seguente: tutto essere nelle mani della fortuna, che<br />

leva alle stelle o travolge a suo capriccio nel tango:<br />

però la gloria che si acquista con forti fatti vince il potere<br />

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— 189 —<br />

della fortuna. L’ errore stava in ciò, che chiamavansi<br />

latti gloriosi le miserabili gesta <strong>di</strong> alcune schiere mer­<br />

cenarie e <strong>di</strong> alcuni ladroni fortunati.<br />

Forza e fatalità: ecco la doppia nemesi che governa<br />

la vita, lo spirito e la storia del rinascimento.<br />

II.<br />

Così nel Fazio come nel Bracelli — e s ’ intende che<br />

circoscriviamo a questi due un carattere comune più o<br />

meno a tutti — si osserva benissimo l’ incedere e il<br />

progre<strong>di</strong>re <strong>di</strong> cotesta forza egoistica e fatale, che si<br />

espande simile ad un’ enorme e mostruosa fioritura sul<br />

giar<strong>di</strong>no d’ Italia. Riassumo dai Commentari del primo.<br />

Dopo tanto travagliarsi l’Aragonese abbandona ad un<br />

tratto, l’ anno 1423, in aspetto <strong>di</strong> fuggiasco, il regno <strong>di</strong><br />

Napoli, senza che la sua partenza sia giustificata da ve­<br />

runa torte necessità. L’ e<strong>di</strong>ficio da lui eretto con tanti<br />

stenti in breve cade. Per via assalta Marsiglia, più ladrone<br />

<strong>di</strong> mare che re, e la saccheggia orrendamente: poi non<br />

sapendo che far <strong>di</strong> meglio va a combattere i mori<br />

d’Africa, non ne ricava nessun profitto e ritorna. Ancor<br />

questa una vera avventura <strong>di</strong> condottiero vago <strong>di</strong> peri­<br />

coli, coperta dalla maschera dell’ interesse religioso. Dopo<br />

<strong>di</strong> ciò vorrebbe tentar <strong>di</strong> nuovo l’ impresa <strong>di</strong> Napoli,<br />

ma l’ animosità <strong>di</strong> Giovanna contro <strong>di</strong> lui lo persuade a<br />

concedere al tempo, e ritornarsene in Ispagna. Conse­<br />

guente alla risoluzione presa, fornisce <strong>di</strong> vettovaglie la<br />

sua flotta <strong>di</strong> Sicilia, afferra Trapani, per <strong>di</strong> là sciogliere<br />

le vele alla volta della patria. Ma che? non lo permette<br />

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— 190 —<br />

il mare, e, sul punto <strong>di</strong> levar l’ ancora, conviene star tre<br />

mesi immobili in attesa <strong>di</strong> un vento favorevole « come<br />

se un arcano fato prescrivesse non essere lecito partirsi<br />

d’Italia al destinato conquistatore del regno napolitano ».<br />

Difatti, quasi ad un tempo, muoiono Ludovico d’Angiò<br />

e Giovanna II; Giovanni Caracciolo, il favorito della<br />

regina, l’aborrito nemico dell’Aragonese, era stato assassi­<br />

nato alcun tempo prima. Pareva fosse pensiero degli<br />

dei togliere <strong>di</strong> mezzo chiunque potesse far contrasto ad<br />

Alfonso. Ma imparino gli uomini a non rallegrarsi o<br />

dolersi sconsideratamente, poiché l’ esito del cose umane,<br />

é nascosto alle nostre povere menti. Un sasso scagliato<br />

dalle navi regie aveva guasta in modo irreparabile la<br />

trireme genovese, che doveva trarre in salvo da Gaeta<br />

Francesco Spinola ed Ottolino Zoppo insieme col pre­<br />

si<strong>di</strong>o posto alla <strong>di</strong>fesa dalla città. Preclusa quin<strong>di</strong> qua­<br />

lunque via <strong>di</strong> scampo: bisognava aspettare con fermo<br />

viso la potente flotta che guidava dalla Sicilia Pietro<br />

d’ Aragona e <strong>di</strong>fendersi <strong>di</strong>speratamente. E la <strong>di</strong>fesa, in<br />

effetto, si prolunga tanto che sopraggiunge l’Assereto<br />

con l’ armata genovese, si appicca la battaglia <strong>di</strong> Ponza,<br />

la flotta del re é rotta e presa, cadono prigionieri Al­<br />

fonso stesso, due de' suoi fratelli, il re <strong>di</strong> Navarra e i<br />

principali baroni <strong>di</strong> Spagna e delle due Sicilie. Ecco<br />

dunque tutto perduto; e lo storico si sofferma a lungo<br />

sul fatto memorabile. Ma no, non é perduto nulla. —<br />

Non 1’ abbiam detto che questa storia é una fantasma­<br />

goria prodotta dal caso, signore dalle mille sorprese?<br />

Il cristiano mette in quiete la sua coscienza tacendo ser­<br />

vire il caso o la fatalità a Dio, e la lezione <strong>di</strong> morale<br />

che ne scaturisce resta pur sempre la stessa. « I miseri<br />

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mortali, sciama l’ autore, si crucciano delle avversità, né<br />

sanno che a sé solo Id<strong>di</strong>o riservò 1’ esito delle cose le<br />

quali vanno accolte in buona parte, comunque siano » ( i) .<br />

Per essere logici gli uomini avrebbero dovuto adagiarsi<br />

in un comodo quietismo, lasciando che il caso se ne<br />

incaricasse; ma com’ era possibile ciò se tutto suonava<br />

ammirazione del grande, dello sbalor<strong>di</strong>toio, adorazione<br />

del buon successo, se tutti si prosternavano <strong>di</strong>nanzi alla<br />

fama?<br />

— I9I —<br />

Frattanto, quali furono i motivi che indussero Filippo<br />

Maria Visconti a guerreggiare il re Alfonso? quali le<br />

potenti ragioni che gli fecero mandar libero l’ augusto<br />

prigioniero, che egli teneva nelle mani per un caso inspe­<br />

rato ; né basta, che lo mossero a spianargli egli stesso la<br />

via del regno? Lo storico non lo <strong>di</strong>ce. — « Filippo era<br />

impaziente <strong>di</strong> quiete ed avido d’ impero ; in pace guerra,<br />

in guerra cercava pace » (2) — si era preso <strong>di</strong> simpatia<br />

per Alfonso; ce n’ era <strong>di</strong> troppo per ispiegare una con­<br />

dotta inesplicabile in un uomo <strong>di</strong> stato.<br />

L ’ autore, nella sua assoluta in<strong>di</strong>fferenza politica, non<br />

sembra sospettare mai che anche un’ ombra <strong>di</strong> dubbio<br />

possa cadere nell’ animo <strong>di</strong> chi legge. Vi par <strong>di</strong> assistere<br />

all’ ultimo atto <strong>di</strong> una comme<strong>di</strong>a del Goldoni, con la sua<br />

brava <strong>di</strong>dascalia alla scena ultima del quint’ atto: tutti<br />

contenti, e Deus ex machina è la forza che conquideva<br />

tutti, umili e gran<strong>di</strong>, che serena e fatale guidava la so­<br />

cietà italiana alla gloria, alla ricchezza, alla potenza, <strong>di</strong>­<br />

cevano i saggi del momento ; all’ ignoto, forse pensarono<br />

( 1 ) F a z i o ; o p . cit., lib. IV .<br />

(2) F azio; ivi.<br />

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i saggi <strong>di</strong> mezzo secolo dopo. Nessuno saprà mai lo<br />

strappo doloroso che si nascose sotto l’ arguto sorriso<br />

degli spiriti magni del cinquecento, consapevoli in cuor<br />

loro che tutto precipitava, né proposito umano poteva<br />

farvi riparo.<br />

— 192 —<br />

Teniamo pur conto al Fazio che gli toccò trattare<br />

da principio alla fine <strong>di</strong> piccoli fatti dove la misura é<br />

<strong>di</strong>fficile, il valore dell’ autore non ha campo <strong>di</strong> <strong>di</strong>mo­<br />

strarsi ; il lettore stenterà però a perdonargli la freddezza<br />

che intirizzisce continua lungo quelle eterne pagine, la<br />

noia che piomba sul cuore al leggere la descrizione <strong>di</strong><br />

tante battaglie ed asse<strong>di</strong> che solo <strong>di</strong>fferiscono tra loro<br />

per il nome. Dubito se anche uno scrittore militare po­<br />

trebbe trovare qui il fatto suo. Nel Bracelli eguale é<br />

l’ eru<strong>di</strong>zione, eguale in fondo il concetto ch’ egli porta<br />

della letteratura storica; ma l’ apparato rettorico é più<br />

sobrio, il movimento della narrazione più passionato, la<br />

prosa più mossa, più colorita. Ed inoltre lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />

penetrare per entro le cause dei fatti lo si sente qua e<br />

là, come non mancano le prove <strong>di</strong> quell’ indagine critica,<br />

onde gli accenni furono veduti nelle lettere al suo dotto<br />

amico Flavio Biondo. Per un esempio, le ragioni che,<br />

secondo il Bracelli, indussero Filippo a mandar libero<br />

il re <strong>di</strong> Napoli prigioniero sono valide e persuadono,<br />

non si tratta più <strong>di</strong> un puro capriccio personale. Era il<br />

timore de’ francesi che messi nel reame avrebbero pres<br />

sato da due parti opposte il Milanese, con presente<br />

pericolo che infine se l’ ingoiassero; era la coscienza<br />

dell’ errore commesso fin allora, seguendo gl impL|lsl<br />

dell’ o<strong>di</strong>o e dell’ amore, anziché la seria politica <strong>di</strong> Gian<br />

Galeazzo padre suo, il quale non faceva grande stima<br />

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— i93 —<br />

degli altri principi, ma sempre aveva temuto il nome e<br />

le forze dei francesi (i).<br />

Ludovico il Moro, se n’ avesse avuto notizia settan­<br />

tanni dopo, le avrebbe dette parole profetiche. Così, per<br />

citare ancora, il Fazio non ha un passo che faccia riscon­<br />

tro con quello in cui il cancelliere genovese spiega<br />

l’ etimologia del nome Catalani, o dà notizia sull’ ori­<br />

gine delle fazioni guelfa e ghibellina. Sono due pagine<br />

come in quel tempo era solito <strong>di</strong> scriverne, tra la grande<br />

turba degli eru<strong>di</strong>ti che sfaccettavano frasi, soltanto un<br />

altro, voglio intendere il Flavio.<br />

Era documentata quella storia? Sì, come poteva esserlo<br />

la storia contemporanea e tenendo conto dell’ idea che<br />

essi se ne formavano. Avrebbero dovuto ricordare e gio­<br />

varsi <strong>di</strong> quanto era risaputo per riferto d’ amici, visto,<br />

giu<strong>di</strong>cato; giovarsi dei mille <strong>di</strong>scorsi che correvano per<br />

la folla, vagliando il buono dal cattivo; giovarsi dei<br />

giu<strong>di</strong>zi che avevano u<strong>di</strong>to pronunziare dagli intendenti,<br />

non solo, ma poiché lo storico presso il suo governo<br />

era a secretis, consultare le relazioni degli agenti, valersi<br />

dei documenti che solo i governi allora erano in grado<br />

<strong>di</strong> procurare. Ma per ciò sarebbe occorso uno stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />

verità così ardente da tramutarsi, sto per <strong>di</strong>re, in una<br />

specie <strong>di</strong> apostolato. Ahimè, già lo sappiamo, le verità<br />

che infamano, spiacenti in ogni tempo, erano allora pe­<br />

ricolose. Quin<strong>di</strong> tratto tratto una premura <strong>di</strong> nascondere,<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>ssimulare, <strong>di</strong> attenuare, che toglie tede anche alle<br />

pagine sincere; quin<strong>di</strong> la tendenza, tra due versioni <strong>di</strong>­<br />

scor<strong>di</strong> o contrad<strong>di</strong>torie, ad accogliere quella che lusingasse<br />

( i) L ib r o III.<br />

A t t i S oc. L io. St . <strong>Patria</strong>. Voi. X X III.<br />

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— r94 —<br />

<strong>di</strong> più l’ orgoglio o la vanità de’ propri padroni. Di Fi­<br />

lippo Visconti, tenebrosa e strana figura <strong>di</strong> tiranno, il<br />

Fazio, che pure doveva conoscerlo, fa il seguente ri­<br />

tratto: Erat in primis ingenio peracri ac callido, in lar­<br />

giendo profusus, in parcendo fa c ilis, in colloquio mitis,<br />

cultus corporis cl mun<strong>di</strong>tiarum, omnisque lenocinii negli gens,<br />

venan<strong>di</strong> cupidus ; caeterum quietis impatiens, ac imperitan<strong>di</strong><br />

avidus, in pace bellum, in bello pacem quaerebat; simulan<strong>di</strong><br />

ac <strong>di</strong>ssimulan<strong>di</strong> egregius artifex ; in milites quam in cives<br />

indulgentior: copiarum duces maxime extollebat. A d haec<br />

sive fortitu<strong>di</strong>nis amore, sive periculi metu, se ab omni om­<br />

nium consuetu<strong>di</strong>ne sequestraverat, praeterquam quorundam<br />

paucorum, quos ille sibi solitu<strong>di</strong>nis socios delegerat. Lega­<br />

tos ad se. missos per suos plurimum au<strong>di</strong>ebat; quin et Si-<br />

gismundum imperatorem romanum, Me<strong>di</strong>olanum aliquando<br />

profectum, ut inde Romam peteret, videre non sustinuit: et<br />

tamen in tanta solitu<strong>di</strong>ne vitam agens omnem Italiam<br />

arnus territabat, concutiebatque ut, non inscite, quidam <strong>di</strong>­<br />

xerit: Philippus sedendo vincit.<br />

Questa non é menzogna, ma non é neppure intera<br />

la verità. È il vero posto sotto la luce più favorevole<br />

che venne fatto allo scrittore <strong>di</strong> ottenere, e lo stile con<br />

1 antitesi frequente, con la frase vibrata e colorita, ma­<br />

schera, anziché palesare il pensiero.<br />

Dall impresa <strong>di</strong> Toscana nel 1448, e più precisamente<br />

dall asse<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Piombino, il re si levava in aspetto <strong>di</strong><br />

\into « quasi che rotto da campo » <strong>di</strong>ce il Machia­<br />

velli ( 1) ; ma che fare se l’ eroe non pativa la vergogna<br />

<strong>di</strong> una sconfitta, e, in qualunque modo andasse, nome<br />

(1) Storie Fiorentine, V I, 16.<br />

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— 195 —<br />

<strong>di</strong> vinto dallo storico non lo doveva avere ? Presto<br />

dunque un compiacente fascio d’ ombre, che nasconda le<br />

parti deboli del quadro: il mare tempestoso non lasciava<br />

toccare il lido alle navi regie, le vettovaglie minaccia­<br />

vano <strong>di</strong> penuriare, prudenza consigliava <strong>di</strong> rimandar la<br />

guerra a miglior tempo: é tutto vero, ma delle infer­<br />

mità che serpeggiavano nel campo, frutto della mal<br />

aria, non si fiata; de’ due mila morti che ci furono,<br />

tanti ne conta il Machiavelli, meno ancora; e il re ritorna<br />

a Napoli, dove l’ aspettavano feste tanto più strepitose<br />

quanto più meschini erano i risultati della spe<strong>di</strong>zione.<br />

Dissimulare era vezzo per una falsa idea della <strong>di</strong>gnità<br />

e gravità storica, era necessità talvolta imposta da’ ri­<br />

guar<strong>di</strong>. Dal famoso Sergianni, il favorito della regina,<br />

il Fazio non sa ricavare nessun partito, egli che pure<br />

ne’ ritratti era abile : certamente quell’ eroe <strong>di</strong> alcove<br />

reali gli parve indegno <strong>di</strong> lui. Il Bracelli, giunto colla<br />

narrazione al 1442, racconta della cospirazione <strong>di</strong> Gio­<br />

vanni Antonio Fieschi contro Tommaso Fregoso; ma non<br />

<strong>di</strong>ce una parola delle indegne minacce che questi ebbe a<br />

patire nella torre dell’ orologio, nè della crudele prigionia<br />

in Savona per or<strong>di</strong>ne del doge Raffaele Adorno (1).<br />

Eppure il Bracelli scriveva gli ultimi tre libri dopo il '50,<br />

essendo doge della repubblica Ludovico Fregoso (2).<br />

Circa alle fonti, ecco l’ opinione che parmi si debba<br />

formare chi ha letto quelle storie. In molti casi non<br />

v’ ha dubbio che lo scrittore ebbe ricorso alla tra<strong>di</strong>zione,<br />

(1) Lib. V , pag. 295, e<strong>di</strong>z. cit,<br />

(2) Ce ne informa egli stesso nel libro 111, dove parlando <strong>di</strong> Francesco Sforza<br />

soggiunge : ed ora è duca de’ Milanesi.<br />

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fosse poi scritta od orale. Il Bracelli, per un esempio,<br />

riporta i <strong>di</strong>scorsi che si facevano alla giornata prò e<br />

contro il re, dopo la battaglia <strong>di</strong> Ponza (1) . Lo stesso<br />

si <strong>di</strong>ca de’ documenti che facilmente aveva a mano il<br />

secretario <strong>di</strong> una repubblica, o <strong>di</strong> un principe: lettere<br />

<strong>di</strong> cancelleria, o <strong>di</strong> agenti e ministri presso corti stra­<br />

niere, istruzioni relative impartite ai medesimi, notizie<br />

che anche in via privata egli riceveva.<br />

Il racconto della presa <strong>di</strong> Napoli, e nel Bracelli e nel<br />

Fazio, porta l’impronta della relazione scritta sopra luogo,<br />

eco dei mille spettatori e partecipi al fatto. E le due<br />

narrazioni in sostanza collimano, sebbene il Fazio si<br />

piaccia per molti particolari farne un episo<strong>di</strong>o romanzesco;<br />

il Bracelli, più lontano dagli avvenimenti, si restringe alle<br />

circostanze essenziali e parla sempre in modo dubita­<br />

tivo (2). Cosi pure il Fazio non lavorava, penso, <strong>di</strong><br />

memoria nelle tante descrizioni <strong>di</strong> asse<strong>di</strong> e <strong>di</strong> espugna­<br />

zioni che riferisce, ed anche meno allorché riporta in<br />

istile che vuol gareggiare con la maestà liviana i termini<br />

(1) Ecco il passo: Ferunt, cum in familiari sermone quidam regis consilium, ut<br />

fit, cum exitus rerum infelix est, damnarent, quod se, fratresque omnes, totque re­<br />

g ia s prope parts principes velut aleae obiecerit, respon<strong>di</strong>sse regem: Rationem se,<br />

non impetum secutum esse, et quisquis opulentissimum regnum victoriae praemium<br />

recte expendat, haud profecto negaturum esse, magnitu<strong>di</strong>nem periculi a praemii ma­<br />

gnitu<strong>di</strong>ne longe superari. Quippe, expugnata genuensi classe, extemplo Caie tam,<br />

velut spe sublata, de<strong>di</strong>tionem facturam Juisse, nec ullos post eam maritimos populos<br />

inventum iri, qui victori regi portas obstruere ausuri fuerint. Pentiores tamen sen­<br />

tentiam eius improbasse cre<strong>di</strong>ti sunt, idque non tam quod infausto eventu pugna­<br />

tum est, quam quod affirmabant, si paullo concitatius mare fuisset, maximam re­<br />

giarum copiarum partem iacentes ac nauseantes, sine ullis armis capi potuisse, nec<br />

quicquam rebus eius matis favisse quam immotam illam , ac vere aestii'am pelagi<br />

malaciam. Bracelli, op. cit. lib. III.<br />

— 196 —<br />

(2) Il Giustiniani scarta il Fazio e segue il Bracelli, talvolta traducendo alla lettera.<br />

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— 197 —<br />

della pace stipulata tra i genovesi ed Alfonso (i).<br />

Uguale osservazione potrebbe farsi per l’autore del De<br />

bello hispanico. Non è dunque l’ ignoranza dei documenti<br />

originali che sia più da rimproverarsi agli storici uma­<br />

nisti. Ma è anche vero eh’ essi se ne servivano male,<br />

perché non riponevano in ciò il merito precipuo del loro<br />

lavoro: essi non intendevano punto fare il processo degli<br />

avvenimenti politici, non pronunciarne la sentenza; vo­<br />

levano scrivere belle istorie, emuli dell’ eloquenza latina;<br />

e chi non li giu<strong>di</strong>ca sotto cotesto aspetto necessariamente<br />

deve fraintenderli. A noi, in fondo, piace meglio la rude<br />

semplicità dei primi cronisti: d’ accordo. Oh la bella<br />

cronaca <strong>di</strong> Caffaro, <strong>di</strong> meraviglia erodotea, oh l’ inge­<br />

nuità del Varagine e il semplice racconto degli Stella !<br />

Se confronto Giovanni Stella con i due dotti umanisti<br />

nella descrizione della battaglia <strong>di</strong> Ponza, per citare un<br />

solo passo ai tre comune, confesso che il primo mi<br />

commove per la sincerità dell’ affetto, gli altri, <strong>di</strong> tanto<br />

a lui superiori nell’ arte <strong>di</strong> raccontare, mi lasciano freddo.<br />

Come si sente in quella pagina, dal vecchio cronista<br />

dettata poco dopo la memorabile vittoria, l’ orgoglio<br />

della nazione genovese vincitrice <strong>di</strong> tanti superbi re e<br />

baroni, e il fremito d’ ira che invase ciascuno, osservando<br />

l’ indegna condotta <strong>di</strong> Filippo Visconti ! E come balzan<br />

dal vivo quelle figure! Il buon cronista, senza saperlo,<br />

é artista assai più potente de’ due illustri suoi concitta­<br />

<strong>di</strong>ni che lavoravano e martellavano con tanto stu<strong>di</strong>o la<br />

loro prosa. Biagio Assereto è vero uomo del quattro-<br />

cento. Vedetelo in quel rozzo latino . . . Quietis impatiens<br />

(i j F azio, op. cit., lib. V ili.<br />

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— 198<br />

animosus Capitaneus noster, vir quidem togatus et militaris,<br />

qui optime novit hortari suos, orationem unam ornatissimam,<br />

quam profecto eius simiUm <strong>di</strong>ceres quam Catilina cum<br />

Antonio <strong>di</strong>micaturus suis exorsus est, ad naves singulas<br />

maternd linguil conscriptam transmisit, quae magno fuit<br />

a<strong>di</strong>umento exercitui nostro. Nam etsi verba Principis in<br />

sub<strong>di</strong>tos virtutem non addant, neque ignavos strenuos effi­<br />

ciant, compertum tamen habemus ad exercitium gerendarum<br />

rerum et vivacitatem animorum illa pertinere. Filippo Vi­<br />

sconti é il capitale nemico del nome genovese; già da<br />

un pezzo ei guardava con occhio torvo ed animo infesto<br />

i nuovi sud<strong>di</strong>ti; non contento dell’ umiliazione, anche<br />

l’ insulto ora aggiungeva, costringendo il vincitore ad<br />

accogliere con applauso il re <strong>di</strong> Navarra rimandato<br />

Genova e scortarlo sotto baldacchino (sub pallio) sino<br />

al palazzo a lui destinato per residenza. Eppure se costoro<br />

avessero vinto, avrebbero incrudelito nei nostri, ché lo<br />

si sapeva ed era chiaro più del sole — quod luce clarius<br />

compertum est. — Queste cose sciamava il popolo: Heu<br />

inau<strong>di</strong>tum facinus! perfidus inimicus et plusquam hostis,<br />

tanta cum nostrorum sanguinis effusione et impensis, iusto<br />

bello vincitur et detinetur et libertati donatur . . . Sed et<br />

celestis ingenii poeta ait: stat sua cuique <strong>di</strong>es. Questom isto<br />

<strong>di</strong> antica semplice buona fede nel cronista con l’ ammi­<br />

razione ingenua per la nuova eloquenza — quell’ ora­<br />

zione <strong>di</strong> Biagio, osserva egli, l’ avreste paragonata al<br />

<strong>di</strong>scorso che fece Calilina a’ suoi, poco prima della<br />

battaglia — quel come presentimento delle nuove for­<br />

tune che aspettavano le lettere e l’ arte storica, senza<br />

però pretenderci, perché il buon notaio apparteneva al<br />

passato che se n’ andava, tutto ciò, <strong>di</strong>co, a noi piace,<br />

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- 199 —<br />

come dopo il prodotto dell’ innesto, il frutto che si spicca<br />

dall’ albero natio.<br />

Ma pensiamo invece alla viva impressione che dovette<br />

produrre sui contemporanei la storia eru<strong>di</strong>ta, essa che<br />

si <strong>di</strong>staccava tanto dai mo<strong>di</strong> soliti, che nella sua com­<br />

pagine organica sapeva lumeggiare -con arte i fatti più<br />

rilevanti, collocare, nella penombra gli altri <strong>di</strong> minor<br />

conto, raggruppandoli per un determinato effetto, e in­<br />

trodurre tante concioni magnifiche <strong>di</strong> stile, tante vive<br />

descrizioni d’ imprese militari, tanti ritratti <strong>di</strong> celebri per­<br />

sonaggi.<br />

Il Burckhardt (i) osserva che « anche fuori del campo<br />

della poesia gli italiani hanno avuto, primi fra tutti gli<br />

europei, una decisa propensione e attitu<strong>di</strong>ne a descrivere<br />

esattamente l’ uomo storico ne’ suoi tratti e nelle sue<br />

qualità intime ed esteriori », ed assegna cospicuo luogo<br />

tra i biografi del secolo X V al Fazio, che però non<br />

conosceva. La lode pare un po’ esagerata. Ma chi legga<br />

il libro <strong>di</strong> questo, De viris illustribus, e le Storie, non<br />

può non osservare la sua perizia nel <strong>di</strong>segnare i carat­<br />

teri, sicché si <strong>di</strong>rebbe che prenunzi non indegnamente i<br />

bei modelli nel genere del Machiavelli, Niccolò Valori,<br />

Guicciar<strong>di</strong>ni, Varchi ed altri. Tuttavia nelle biografie é<br />

molto sobrio ; per lo più sono schizzi anziché ritratti o<br />

vite, sebbene la brevità non tolga che talvolta si lasci<br />

andar la mano ad imbellire troppo la medaglia. 1 ra la<br />

pittura eh’ egli fa dell’ ultimo Visconti a tinte tutte rosee<br />

e quella <strong>di</strong> Pier Can<strong>di</strong>do Decembrio <strong>di</strong> verità stupenda,<br />

ci corre un bel tratto. Meglio quei quadretti non scarsi<br />

( i ) O p . cit. I , 203; 1 1 , 73.<br />

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— 200 —<br />

<strong>di</strong> efficacia si collocano nel contesto della sua storia (i).<br />

Il Bracelli nervoso, perspicuo con minori pretensioni,<br />

non eccelle nel ritratto; si potrebbe anzi <strong>di</strong>re che propria­<br />

mente ritratti non ve ne siano nel De bello hispanico,<br />

ma, a mio parere, è assai più valente del Fazio nello<br />

scegliere tra la minutaglia de’ fatti ciò che gli giova, re­<br />

spingere il resto nel fondo del quadro, fondere insieme<br />

i materiali raccolti, e dare unità allo stile, e alla sua<br />

prosa una fisionomia, <strong>di</strong>rei quasi, originale (2).<br />

(1) Parm i meriti <strong>di</strong> essere riferito il breve parallelo che stabilisce tra Niccolò<br />

Piccinino e Francesco Sforza (op. cit., lib. VII). Cum eo (Niccolò) de rei militaris<br />

principatu qui posset concertare, unus ex omnibus copiarum ducibus suae tempestatis<br />

inventus est Franciscus Sfortia, vir in annis plurimum excellens, fecitque dubium<br />

uter alteri anteponendus esset. Nam cum scientia rei militaris atque auctoritate pares<br />

putarentur, <strong>di</strong>versa tamen utriusque consilia in bello erant. Nicolaus utique <strong>di</strong>micare<br />

paratior, praelium ex occasione protinus sumere, hostem celeritate praevenire, excur­<br />

sione fatigare, levis armaturae equite, magis quam pe<strong>di</strong>te uti, fortes modo atque<br />

asperos milites amare, hostium numero non terreri. Franciscus vero arte et soler lia<br />

magis nitens, raro, nisi ex destinato, confligere, sedendo atque obsedendo hostem<br />

frangere : pe<strong>di</strong>tatum multifacere, argento atque auro cultos milites habere, potenlwrem<br />

se hostem non temere aggre<strong>di</strong>. Denique Nicolaus in milites indulgentior, Franciscus<br />

saevior habebatur. *<br />

(2) E ra tuttavia impossibile che le forti in<strong>di</strong>vidualità della sua repubblica non<br />

facessero colpo sopra un intelletto acuto e partecipe al vivo moto del suo<br />

secolo, come il Bracelli. Ed egli pure scrisse un opuscoletto sopra alcuni degli<br />

illustri genovesi (De claris genuensibus, Parrgi, 1520, fol. 4$ e se g g .); ma essen­<br />

dosi astenuto <strong>di</strong> parlare de’ viventi, perchè non paresse concedere in parte anche<br />

minima a ll’ amore 0 all’ o<strong>di</strong>o 0 ad altro affetto meno lodevole, e d’ altro canto<br />

poco rinvenendo del passato, però che gli annalisti, contenti <strong>di</strong> aver fatti da<br />

narrare, non s’ erano curati <strong>di</strong> tramandare il nome degli uomini al loro tempo<br />

insigni, per tutto ciò era forza che riuscisse molto breve. L 'o p e ra è de<strong>di</strong>cata al<br />

padre Ludovico Pisano dell’ or<strong>di</strong>ne dei pre<strong>di</strong>catori, e vorrebbe essere una rapida<br />

commemorazione <strong>di</strong> quanto ebbe <strong>di</strong> più notevole la genovese repubblica per sa­<br />

pere, bontà, verecon<strong>di</strong>a, inflessibile giustizia. A <strong>di</strong>fferenza del Fazio, non sempre<br />

ha cura <strong>di</strong> darci il ritratto, ma vuole che dai brevi cenni, dagli aneddoti sobria­<br />

mente narrati, dal tutto infine, il lettore si formi un’ idea adeguata degli uomini<br />

per la cui virtù la sua patria ebbe ad acquistare nominanza e potenza. Nello<br />

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Il lettore lungo quei cinque libri non prova mai stan­<br />

chezza, perché sente che 1’ autore ha sban<strong>di</strong>to le inutili<br />

lentezze, che non vuol <strong>di</strong>r tutto, ma <strong>di</strong>r bene il poco<br />

trascelto. Faceva egli stesso professione <strong>di</strong> brevità; e <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>lungarsi nella narrazione <strong>di</strong> un pro<strong>di</strong>gio si scusa come<br />

stile, nel modo <strong>di</strong> colorire mi ricorda Valerio Massimo, che forse, come Battista<br />

Fregoso anni dopo, l’ umanista aveva presente nello scrivere. Citiam o. In lode<br />

<strong>di</strong> Lamba D ’ Oria non spende più <strong>di</strong> un periodo; ma per severa bellezza ed<br />

evidenza lo <strong>di</strong>rei non inferiore a’ passi più riputati dello scrittore latino: Aurius<br />

Lamba in siitu illirico bellum gerens, devicta iam prope Venetorum classe, cum<br />

nunciatum ei esset filium fortiter <strong>di</strong>micantem caesum fuisse, un<strong>di</strong>s, inquit, eum com­<br />

mendate : nobilissima enim ipsi sepultura continget, quod pro patria strenue pugnan­<br />

tem et iam victorem maria servabunt. — Nella trattazioue tiene l’ or<strong>di</strong>ne seguente :<br />

dapprima tre santi vescovi, Romolo, Felice, S iro , un cenno <strong>di</strong> quattro rig h e;<br />

quin<strong>di</strong> alcuni monaci, e poi i letterati, tra cui Giovanni Balbo, l’ autore del Ca­<br />

tholicon, e Andalò <strong>di</strong> Negro, il precettore del Boccaccio. Ancor questa non più<br />

<strong>di</strong> una semplice menzione. Seguono guerrieri, e citta<strong>di</strong>ni celebrati per alcun<br />

nobile fatto e per uffici sostenuti. Della tenacia ligure, che popolava <strong>di</strong> fiorenti<br />

colonie le sponde del Corno d’ oro e del mar N ero, <strong>di</strong>ffondendo da Pera a Sa-<br />

mastri terrore e riverenza pel nome del gran comune, notevole esempio è il<br />

seguente: Simon Vignosus cum, perdomita insula, Chium urbem obsideret,<br />

e<strong>di</strong>xerat ut si quis in vineis aut pomariis, invilo domino, deprehenderetur virgis<br />