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È morto Gastone Moschin, l’architetto di «Amici miei»

di Fr.Pr.

Gastone Moschin (al centro) nel ruolo del Melandri in Amici miei (Ansa)

2' di lettura

Dopo il Sassaroli, il Mascetti, il Necchi e il Perozzi, se ne va anche il Melandri. Gastone Moschin era Rambaldo l’architetto, l’«ultimo cavaliere» della saga cinematografica di Amici miei rimasto in vita, artefice di memorabili zingarate e testimone diretto - per quanto non sempre protagonista - della grande stagione di Cinecittà intesa come la Hollywood sul Tevere. Se n’è andato questo pomeriggio all’età di 88 anni all’Ospedale Santa Maria di Terni, dove era ricoverato da qualche giorno.

Veneto di origine, come molti della sua generazione aveva cominciato con il teatro, interpretando Cechov prima per la Compagnia del Teatro Stabile di Genova, poi per il Piccolo di Milano. Era l’inizio degli anni Cinquanta, decennio a metà del quale Moschin e debutta al cinema con il film La rivale di Anton Giulio Majano. Il primo titolo di grande seguito che interpreta è L’audace colpo dei soliti ignoti (1959), sequel del capolavoro di Mario Monicelli diretto da Nanni Loy, ma è con Gli anni ruggenti (1962), trasposizione di Gogol nel ventennio fascista a opera di Luigi Zampa, che si fa notare e comincia a diventare una presenza fissa delle produzioni del periodo, spaziando come pochi tra i generi.

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Gastone Moschin, dal «Conformista» ad «Amici miei»

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Uomo d’azione tra i Sette uomini d’oro
Riesce credibile al fianco di Walter Chiari nelle commedie (La rimpatriata di Damiano Damiani), dà un contributo importante ad Antonio Pietrangeli nel portare sul grande schermo il racconto La visita di Carlo Cassola, è uomo d’azione in Sette uomini d’oro, film nel quale per la prima volta è protagonista. Caratterista di enorme versatilità, frequenta lo spaghetti western (Gli specialisti di Sergio Corbucci), il cinema d’autore con Bernardo Bertolucci (Il conformista) e il poliziottesco (Milano Calibro 9). Lo ingaggia perfsno Francis Coppola per la seconda parte del Padrino, ma il grande salto nell’immaginario collettivo dell’Italia cinefila avviene nel 1975, quando Monicelli, che ha il compito tutt’altro che semplice di portare a termine la grande incompiuta di Pietro Germi, gli cuce addosso il ruolo dell’architetto Rambaldo Melandri in Amici miei.

Melandri, l’eterno bambino
Eterno bambino, trascinato dal cane e dalla moglie fino alla rovina, Moschin disegna con l’architetto un personaggio indimenticabile che riproporrà cinque anni dopo nel secondo capitolo e poi in quello conclusivo a firma di Loy. L’ultima apparizione ha il marchio della serialità televisiva con un cameo in Don Matteo nella stagione 2000/2001 mentre il teatro lo ha visto protagonista fino all’ultimo. Era un uomo buono, eternamente impegnato a giocare a nascondino con la sua vera immagine che celava sotto mille maschere davanti alla cinepresa o per il suo pubblico di ogni sera.

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