La programmazione di Fuori Orario dal 7 al 13 aprile

Proseguono i cicli su Yasujirō Ozu e F for Femmine con due film di Agnès Varda ed Heart of a Dog di Laurie Anderson. Da stanotte.

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Domenica 7 aprile dalle 2.10 alle 6.00

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Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

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presenta

F FOR FEMMINE 7 – Ritratti

a cura di Fulvio Baglivi

ER

(Italia, 2020, b/n, dur., 60’)

Regia: Marco Martinelli

Con: Ermanna Montanari

Un film dedicato all’arte e alla vita di Ermanna Montanari, compagna di vita e di arte del regista Marco Martinelli, composto con materiali d’archivio delle opere costruite negli anni da Marco e Ermanna. A fare da filo è una lunga camminata di Ermanna filmata di spalle sul ciglio di una strade della Pianura, nelle immagini d’archivio compaiono tanti amici e compagni di viaggio, tra cui Gianni Celati, che tra i tanti meriti ha anche quello di aver spinto Ermanna a scrivere il suo splendido libro L’abbaglio del tempo (La nave di Teseo, 2021). Presentato in anteprima a Filmmaker Festival 2020. Questa che presentiamo è una versione con piccoli cambiamenti rispetto alla versione mandata in onda precedentemente da Fuori Orario.

“Il film nasce dal desiderio di rendere grazie all’arte straordinaria di Ermanna, volto e voce, ricambiando il dono che mi ha fatto in quarant’anni di vita e teatro insieme.” [Marco Martinelli]

VARDA PAR AGNÈS                                 

(id., Francia, 2019, col., dur., 115’, v. o. sott., it.,)

Di: Agnès Varda

Agnès Varda ripercorre la sua vita di artista con citazioni e rimontaggi dai suoi stessi film. Tra i massimi cineasti del cinema contemporaneo Agnès Varda ha esordito nel 1955 con La Pointe courte, considerato il film anticipatore della Nouvelle Vague. Nel corso della sua carriera ha realizzato oltre cinquanta film. Ha vinto il Leone d’Oro a Venezia 1985 nel con Sans toit ni loi e ricevuto, tra gli altri premi, la Palma d’onore del Festival di Cannes (2015), il Pardo alla carriera del Festival di Locarno (2014), l’Oscar d’onore per l’insieme della sua carriera (2017). Agnès Varda è scomparsa a 91 anni nel 2019. Varda par Agnès è il suo ultimo film.

“Nella mia vita ho fatto una grande varietà di film. Quindi devo dirvi cosa mi ha portato a fare questo lavoro per così tanti anni. […] Potremmo chiamarla ‘lezione magistrale’, ma non mi sento una maestra e non ho mai insegnato. Non mi piace l’idea. Non si tratta tanto di raccontare nuovamente le storie, è più una questione di struttura e di intenti e di fonti d’ispirazione. Ma non volevo farne una cosa noiosa. Così si svolge in un teatro pieno di gente, o in un giardino, e cerco di essere me stessa e di trasmettere l’energia o l’intenzione o il sentimento che voglio condividere. È quello che chiamo ‘cinescrittura’, in cui le scelte partecipano a qualcosa che si chiama ‘stile’. Ma stile è un termine letterario. Quindi ‘cinescrittura’ sono tutti gli elementi che credo vadano considerati, o scelti o usati, per fare un film”. (Agnès Varda, dal catalogo del Cinema Ritrovato, Cineteca di Bologna)

 

Venerdì 12 aprile dalle 1.40 alle 6.00

ANCORA E SEMPRE OZU

La trasparenza, un altro mondo e lo stesso (1948-1962) (6)

a cura di Lorenzo Esposito, Simona Fina, Fulvio Baglivi, Roberto Turigliatto

Da venerdì 29 marzo fino a venerdì 12 aprile Fuori Orario dedica un nuovo omaggio a Yasujiro Ozu presentando 11 film dell’ultimo periodo del regista (1948-1962), restaurati negli ultimi anni dalla Shochicku e distribuiti anche in sala da Tucker.

Per Fuori Orario si tratta di un ritorno, venti anni dopo lo storico TUTTO OZU del 2003,  quando Enrico Ghezzi presentò 33 film del regista sopravvissuti e disponibili allora, una programmazione epocale, che fu seguita non solo in Italia, e che resta senza equivalenti in nessuna altra televisione del mondo.

La programmazione di oggi riprende in parte il titolo di allora: “Ancora e sempre Ozu – La trasparenza, un altro mondo e lo stesso”. Poco prima di morire Ozu confidò al suo operatore: “Gli stranieri, un giorno, capiranno i miei film”, aggiungendo con un sorriso: “E a dire il vero no. Diranno, come tutti, che i miei film sono poca cosa”.

Ormai da decenni si è avviata la “comprensione” di Ozu, ma possiamo dire che questo processo di conoscenza sia giunto davvero al termine, e a delle conclusione definitive? “Ancora e sempre Ozu” significa per noi riaffermare una ricerca in progress che serva a sfatare i tanti luoghi comuni con cui anche gli estimatori più entusiasti hanno avvolto e frainteso l’opera del cineasta, ben più ricca, variegata e complessa di quanto si pensi generalmente. Ozu  non è “il più giapponese” dei registi giapponesi, lavorò per tutta la vita fin dal muto sotto contratto di un grande studio,  per tutta la vita amò i film americani, il suo regista preferito era Lubitsch, e realizzò tra l’altro uno dei più bei film noir di tutti i tempi, La donna della retata. Lo “stile Ozu” anche nell’ultimo periodo, quello che presentiamo, non è affatto un sistema chiuso, ma prevede innumerevoli variazioni e sfumature che non abbiamo ancora terminato di scoprire. “Forse un giorno capiranno i miei film”…

BUON GIORNO                   VERSIONE RESTAURATA

(Ohayō, Giappone, 1959, b/n, dur. 90’, v.o. sott., it.)

Regia: Yasujirō Ozu

Con: Saburi Shin, Kogure Michiyo, Tsuruta Kōji, Chishū Ryū, Awashima Chikage, Tsushima Keiko

Ozu prende spunto dal suo film del 1931 Sono nato ma… per farne ancora una sublime elegia, dove “cerca di affrontare questioni davvero importanti non tanto agevolmente”.

Il film viene girato in una zona periferica di Tokyo. Due bambini sono attratti dalla casa di un vicino perché ha un televisore, dove possono vedere i loro incontri di sumo preferiti. Tuttavia, i loro genitori vietano loro di visitare i vicini perché si pensa che la moglie sia una cantante di cabaret. Per questo motivo, i due ragazzi, Minoru e Isamu, fanno pressione sulla madre affinché compri loro un televisore, ma la madre si rifiuta. Quando il padre lo viene a sapere, chiede ai ragazzi di fare silenzio quando fanno i capricci. Minoru si arrabbia e afferma che gli adulti sono sempre impegnati in inutili convenevoli come il “buongiorno” e si rifiutano di dire esattamente ciò che intendono. Tornati nella loro stanza, Minoru e Isamu decidono di fare uno sciopero del silenzio contro tutti gli adulti.

TARDO AUTUNNO

(Akibiyori, Giappone, 1960, col, dur., 124′)

Regia: Yasujirō Ozu

Con: Setsuko Hara, Yoko Tsukasa, Mariko Okada, Kuniko Miyake, Chishū Ryū, Nobuo Nakamura, Sadako Sawamura, Ryūji Kita, Fumio Watanabe

Terz’ultimo film di Ozu, Tardo autunno, seppur venato da una commistione rara di saggezza e malinconia, si ricollega alle commedie girate da Ozu negli anni Trenta (come per esempio Dove sono finiti i sogni di gioventù?). “In questo mondo tutti riescono a far diventare difficili anche le cose più semplici. Anche se sembra complicata, la sostanza della vita può essere inaspettatamente molto semplice. Ecco, questo è ciò che volevo esprimere in questo film. […] Far emergere una tristezza dignitosa togliendo tutte le componenti drammatiche e non facendo piangere i personaggi. Far sentire l’esistenza di ciò che chiamiamo vita senza utilizzare avvenimenti particolari. Questo è ciò che ho provato in tutti i modi a mettere in scena” (Y. Ozu, Scritti sul cinema, a c. di F. Picollo e H Yagi, Donzelli 2016)

Tre amici di mezza età ed ex compagni di università – Mamiya (Shin Saburi), Taguchi (Nobuo Nakamura) e Hirayama (Ryūji Kita) – si ritrovano per una cerimonia commemorativa in occasione del settimo anniversario della morte di una compagna di università, Miwa. Sono presenti anche la vedova di Miwa, Akiko (Setsuko Hara), e la figlia ventiquattrenne Ayako (Yoko Tsukasa). I tre amici sottolineano tra loro quanto Akiko sia rimasta attraente anche a quarant’anni. I tre amici discutono dell’opinione comune che sia giunto il momento per Ayako di sposarsi, ma Ayako è contraria perché non vuole lasciare sola madre. I tre amici pensano che si tratti di una scusa e iniziano a ipotizzare che Ayako si sposerà se Akiko si risposerà. Questa situazione crea un dissapore fra madre e figlia, ma le due donne trovano da sole il modo di spiegarsi l’un l’altra.

 

Sabato 13 aprile dalle 2.15 alle 7.00

F FOR FEMMINE 8 – VISIONE NERA

a cura di Fulvio Baglivi

LUCI DAL FUTURO (FANTASTICO): INCONTRO CON MOTUS

(Id., Italia, 2024, colore, 25’ circa)

A cura di: Fulvio Baglivi

Con: Daniela Nicolò e Enrico Casagrande

Daniela Nicolò e Enrico Casagrande, in arte Motus, presentano Tutto brucia sottolineando quanto sia terribilmente attuale e attraversi performance e incontri della prossima Supernova (Rimini 17-21 aprile) la rassegna/happening di arti performative che curano dallo scorso anno. Supernova non è diversa dalle altre opere Motus, che sia una rassegna o uno spettacolo teatrale l’ibridazione, mutazione e movimento al di fuori dei binari consueti e stabiliti segnano ogni progetto della “creatura Motus”, dagli inizi ormai più di trenta anni fa fino all’ultimo Frankenstein (2023).

TUTTO BRUCIA                                           PRIMAVISIONETV

(Id., Italia, 2021, colore, 90’ circa)

Ideazione e regia: Daniela Nicolò e Enrico Casagrande

Con: Silvia Calderoni, Stefania Tansini e R.Y.F. (Francesca Morello) alle canzoni e musica live

Ricerca drammaturgica: Ilenia Caleo

Libera riscrittura delle Troiane di Euripide, attraversata dalle parole di Sartre, Judith Butler, Ernesto De Martino, Edoardo Viveiros de Castro, Donna Haraway e NoViolet Bulawayo, è un progetto con due interpreti (Silvia Calderoni e Stefania Tansini) più la presenza in scena di R.Y.F. (Francesca Morello) con la sua musica live e le canzoni scritte insieme a Ilenia Caleo (autrice della drammaturgia). La città in rovina, le macerie della guerra, le conquiste coloniali, la cenere, i cadaveri e il vuoto di uno spazio nero dove tutto è già accaduto viene attraversato da Ecuba, Cassandra, Polissena, Andromaca. Un mondo di dolore e lamento tanto simili a quello che viviamo adesso.

“Silvia/Ecuba sussurra queste parole intrecciate alle musiche e liriche di R.Y.F., Stefania squarcia l’aria con un pesante coltello e un falcetto da contadino, come nei riti collettivi di cordoglio scomparsi dal sud Europa. Basta forse questa immagine per entrare in Tutto brucia.” [motusonline.com]

HEART OF A DOG                          

(USA, 2015, col., dur., 75’, v.o. sott. it.)

Regia: Laurie Anderson

Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia del 2015

Film-saggio autobiografico, Heart of a Dog è un racconto personale dell’artista che esplora i temi dell’amore, della morte e del linguaggio. La voce della regista è una presenza costante mentre, in un canto senza soluzione di continuità, si snodano, come in una corrente, la e storie del suo cane Lolabelle e di sua madre, le fantasie dell’infanzia, oltre a teorie filosofiche e politiche. Il linguaggio visivo spazia tra animazione, film in  8 mm. Dell’infanzia dell’artista, immagini stratificate e grafica in movimento ad alta velocità. La musica, firmata dalla regista, percorre tutto il film con brani per violino solista, quartetti, canzoni ed elettronica ambient.

“Come artista ho fatto musica, dipinti, installazioni, scultura e teatro. Ma sono soprattutto una narratrice. Fare Heart of a Dog mi ha permesso di tradurre la mia opera in una forma che non avevo mai utilizzato in  questo modo. Benché io abbia spesso usato immagini su schermi multipli in una performance multimediali, questa è la prima volta che cerco di collegare le storie in un film narrativo a struttura libera., ricorrendo a immagini e animazione per finire le frasi. La questione al centro di Heart of a Dog è: che cosa sono le storie? Come sono fatte e come sono raccontate? Dall’inizio alla fine mi ha guidato lo spirito di David Foster Wallace, il cui “ogni storia d’amore è una storia di fantasmi” è stato il mio mantra. Altre guide sono state per me Wittgenstein e Kierkegaard”. (Laurie Anderson, dal catalogo della Mostra del Cinema di Venezia)

CLEO DALLE 5 ALLE 7                                              

(Cléo de 5 à 7, Francia, 1962, b/n, dur., 87’, v. o. sott., it)

Regia: Agnès Varda

Con: Corinne Marchand, Antoine Bourseiller, Dominique Davray, Dorothée Blamk, Michel Legrand, Jean-Luc Godard, Anna Karina

Prodotto come film “nouvelle vague” a basso costo da Georges de Beauregard sulla scia di A bout de souffle  di Godard e Lola di Jacques Demy. Alle 5 del pomeriggio, il 21 giugno 1961, Cléo scoppia a piangere da una cartomante. Attende il risultato di un esame medico. Ha paura di avere un cancro. Per novanta minuti, in mezzo a orologi a pendolo che segnano il trascorrere del tempo, non la abbandoniamo per un istante.  La paura l’ha svegliata. Inizia a osservare gli altri, i passanti, gli avventori dei caffè e un’amica premurosa. Va in un parco a guardare gli alberi e incontra un soldato a fine licenza. La complicità che nasce tra i due, in questo momento pericoloso delle loro vite, placa Cléo. Lui l’accompagna all’ospedale prima di ripartire per la guerra d’Algeria. Vivono un momento di grazia nel giorno più lungo dell’anno.

“Un ritratto di donna inserito in un documentario su Parigi, ma anche un documentario su una donna e l’abbozzo di un ritratto di Parigi (…). Il film si snoda al presente. La macchina da presa non abbandona mai Cléo dalle cinque alle sei e mezzo. Se il tempo e la durata sono reali, lo sono anche i tragitti e le distanze. All’interno di questo tempo meccanico, Cléo sperimenta la durata soggettiva: “il tempo non passa mai” o “il tempo si è fermato”. Lei stessa dice: “Ci resta così poco tempo” e, un minuto dopo: “Abbiamo tutto il tempo”. Mi è sembrato interessante far sentire questi movimenti vivi e diseguali, come una respirazione alterata, all’interno di un tempo reale in cui i secondi si misurano senza fantasia”. (Agnès Varda, 1962)

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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