Il folk in Italia esiste: 10 nomi di artisti e band tutti nostrani che lo dimostrano

01 aprile 2020

Il folk in Italia esiste: 10 nomi di artisti e band tutti nostrani che lo dimostrano

Si sa, il fascino dei cantautori con i capelli lunghi che girano il mondo con una chitarra acustica in spalla non è molto parte di questo nostro immaginario italico. Quando torniamo dall'Inghilterra ci mancano sempre i belloni con la barba che suonano i brani di Bob Dylan nei pub, i buskers agli angoli delle strade e quell'atmosfera intima, quel ritrovarsi negli ostelli con gli olandesi che cantano tra chitarrine e tamburelli, gli sguardi innamorati di due che si ritrovano a strimpellare lo stesso pianoforte. C'è chi dice che il folk in Italia siano solo i simil Mannarino, ma con un po' di impegno si possono scovare artisti e band meravigliosi, che ci possono far ritrovare quel tipo di sensazioni che pensavamo di aver lasciato all'ultimo live di Passenger.
Ecco dieci nomi che dovreste davvero segnarvi.

Lilac Will
Da Roma, i Lilac Will sono quel gruppo appassionato e sincero che non ci meritiamo, silenziosi, delicati, che suonano senza far rumore, che ci accompagnano nello studio o in queste ore di quarantena dove tutto sembra sospeso. La televisione, i genitori, il divano. Hanno pubblicato da poco il loro primo album (anche se sono in giro da parecchio) dal titolo Tales From The Sofa (appunto!), quattro parole che sono la sintesi di un disco intimo, caldo. La voce di Francesca poco impostata, sincera come non eravamo più abituati da tempo, come quella di una ragazzina. Hanno avuto la fortuna di avere anche Roberto Angelini come ospite e questo non è che l'ultimo di una serie infinita di motivi che dovrebbe portarci ad ascoltarli.

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TUM
E se avete bazzicato per i centri sociali e circoli Arci di Milano qualche anno fa, di certo non vi saranno sfuggiti i Pocket Chesnut che vedeva lo stravagante Tum come front-man, ora solista (anche se lui stesso afferma che i 10 anni passati con i Pocket Chesnut non hanno potuto fare a meno che influenzarlo, e anche parecchio) con il suo nuovo album dal titolo Take off and landing. Qui dentro c'è l'ukulele che ci si porta dietro quando viaggiamo, le storie di una trasferta in India, Mumbai, scene musicali che ancora non ci sono arrivate, una vera e propria autobiografia musicale, ricca di suoni, influenze e urla che, davvero, è un peccato tenere nascosta.

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Fil Bo Riva
Italianissimo, ma forse più famoso all'estero. Era circa tre anni fa quando durante un festival al Magnolia fa capolino in line-up anche lui, da Berlino, stivaletti a punta e una voce che avrebbe fatto venire i brividi anche a Tom Smith degli Editors (che avrebbero, tra l'altro, suonato sul palco di fronte a breve). Poi, a sorpresa, un accento romano e un primo EP dal titolo If You're Right, It's Alright che ho consumato, consigliato, imposto nelle playlist di tutti i miei conoscenti. Fil Bo Riva, non importa che cosa fa e che adesso si sta dando all'electro-pop, sarà per sempre quel ragazzino sul palco piccolo del Magnolia e sarà il protagonista di un 2016 in cui non parlavo d'altro ed ero molto insopportabile.

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Mr. Alboh
E' sempre tre anni fa, facendo avanti e indietro per le vie di Milano, vi sarebbe potuto capitare di incontrare questo personaggio: cappello a tesa larga, una camicia di jeans, una custodia della chitarra aperta e qualche copia di un suo disco con le copertine da lui disegnate («e non lo so fare, disegnare dico» diceva). Le sue storie sono di chi ha lasciato un lavoro per andarsene a suonare in giro, tra Italia e Germania, tra Bergamo e Monaco, di chi ogni tanto ha bisogno di parlare di Bon Iver, che se gli capita di suonare con Stu Larsen ne è felice per mesi. Un personaggio fantastico, che mi è rimasto dentro per anni e che ancora adesso non riesco a non andarmi a spulciare su Spotify. Spero faccia lo stesso effetto positivo anche a voi.

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Comaneci
Il mio primo approccio coi Comaneci fu durante una rassegna in programma a La Scighera di Milano, localino (ino per l'atmosfera ma non certo per le dimensioni, anzi copre circa 500 metri quadrati) nel cuore della Bovisa che offriva, quando una pandemia globale ancora non l'aveva impedito, una programmazione di concertini (ini davvero stavolta) folk. La particolarità dei Comaneci, in quel concerto come più avanti quando imparai a conoscertli, è sicuramente quella di riuscire a presentare brani di un folktronic straziante, con una leggerezza ed ironia anche nel presentarle al pubblico, che mi ha conquistata sin da subito. Non per forza le canzoni tristi, vanno ascoltate in modo triste.

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Girless
Quando stavo scrivendo quest'articolo riempiendolo, a posteriori me ne rendo conto, di nomi banalissimi e retrò, è venuto in mio soccorso l'amico e collega Alessandro Mainini segnalandomi un paio di nomi, tra cui anche Girless, di cui non ho potuto fare a meno di innamorarmi sin dai primi giri di Backdoors, dal suo ultimo album See You When Fascism is Whipped. Da Rimini, quella invernale però, dove non c'è nessuno e tutto sembra sospeso fino all'estate dopo, dove tutti sono anche un po' tristi e arrabbiati.

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Palm Down
E sempre tra i magici consigli di Alessandro Mainini, c'era anche questo Palm Down, nome d'arte di Francesco Zappia, chitarra acustica e un passato ad ascoltare le band emo durante un'adolescenza di provincia. E non c'è niente da fare, la combo Vans a scacchi più chitarra acustica è trascinante e vincente. Trovare un termine che riunisca emo, punk-rock e folk tutto insieme, potrebbe essere utile a centrare meglio questo ragazzo di Roma, nerd, quell'amico che delle medie che alla fine rimane sempre. Palm Down vi entrerà nel cuore.

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Violetta Zironi
Me lo ricordo ancora. Era il periodo che guardavo X-Factor, non chiedetemi che anno fosse, e all'improvviso arriva questa ragazzina timida, con le stampelle, un ukulele e una voce assurda. Ricordo di aver tifato segretamente per lei e, nonostante non avessi seguito neanche tutte le puntate e non so bene cosa sia successo dopo, ricordo che mi capitò di sentirla per caso (in apertura a Fil Bo Riva) e di essermi resa conto come l'animo caldo e ferito di Violetta Zironi mi fosse sempre rimasto dentro, come se fossimo vecchie amiche restate in contatto per anni superficialmente, per poi scoprire di essere ancora molto simili.

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The Sleeping Tree
Folk acustico da cameretta. Mi imbatto su Youtube in questo ragazzino con due buffi dread, in un video di sette anni fa. Il video parte con Stai andando? rivolto al ragazzo che sta facendo le riprese. Un cantautore triestino che però sembra arrivare dal nord d'Europa, anche guardandolo prima ancora che parta la sua The Way You Were Dancing, con la dovuto devozione a nomi come Elliot Smith e Damien Rice. Un progetto essenziale, che non si vergogna delle produzioni misere e, anzi, ne fa un orgoglio sincero.

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David Ragghianti
Ancora un passo indietro per l'ultimo nome di questa lista, più precisamente nel 2015, quando forse eravamo tutti troppo concentrati sul ritorno dei Verdena, David Ragghianti pubblicava il suo Portland, un altro minimalista folk che ha deciso di ridursi al minimo, senza risultare mai banale (merito anche della limpida produzione del mentore Giuliano Dottori degli Amor Fou). Testi in italiano per un genere che l'italiano non ha ancora saputo conquistare, accenni di Amor Fou, Morgan e Fabi, senza mai rinnegare i riferimenti à la Ben Harper. Un disco che dovrebbe esser iconico, un punto di riferimento raro e delicato che, per quanto possa esser stato dimenticato dai più, dovrebbe esser recuperato, come un vecchio libro che c'era stato regalato anni fa ma che non avevamo ancora aperto, in questo strano periodo di reclusione.

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