In Finalmente l'alba, il nuovo film di Saverio Costanzo (nei cinema), Gabriele Falsetta è l'ambiguo Piero Piccioni. Un'anticipazione, di quello che sarà il suo crudele gerarca fascista Roberto Farinacci nel prossimo M. Il figlio del secolo su Sky, la serie tratta dal best seller di Antonio Scurati. Dove M sta per Mussolini.
Finalmente l’alba: Gabriele Falsetta, è Piero Piccioni nel nuovo film di Saverio Costanzo
L'attore (anche nell'attesissimo M su Sky) racconta il film, nei cinema dopo la premiere al Festival di Venezia. Un incubo cinematografico-reale, in cui interpreta il protagonista di uno dei cold case più neri della nostra Storia
Gabriele Falsetta in Finalmente l'alba
Alba Rohrwacher, Gabriele Falsetta e Rebecca Antonaci in Finalmente l'alba: la clip | Video
Ma concentriamoci sull'oggi e su Finalmente l'alba. Tornare agli anni '50 per raccontare il nostro presente, con la tentazione di indagare quel che si nasconde dietro la fabbrica dei sogni che è il cinema. Dopo la Hollywood di Babylon di Damien Chazelle, la Cinecittà il Finalmente l'alba di Saverio Costanzo in cui si aggira Mimosa (Rebecca Antonaci). Il film è l'occasione per conoscere meglio il genovese (di padre calabro) Gabriele Falsetta.
Finalmente l'alba: la protagonista del film Rebecca Antonaci
Finalmente l'alba: trama, cast e durata del film in costume di Saverio Costanzo
Nel film (durata: 119 minuti), dedicato dal regista al padre Maurizio Costanzo, Falsetta è Piero Piccioni. Musicista e autore di colonne sonore, figlio di un potente uomo politico della DC, è il compagno della diva Alida Valli (Alba Rohrwacher). Nella Roma del 1953 (anno del film) fu l'ambiguo protagonista - e principale sospettato - nel caso dell'omicidio di Wilma Montesi. Il film parte da qui, distaccandosene per raccontare altro.
Piero Piccioni nel 1957. Foto Getty
«Il primo caso di assassinio mediatico», lo definisce lo stesso Costanzo. «Questa è una storia sul riscatto dei semplici, degli ingenui, di chi è ancora capace di guardare il mondo con stupore». Un viaggio, "lungo una notte", che trasformerà in donna la giovane Mimosa (Rebecca Antonaci). Arrivata a Cinecittà con madre e sorella maggiore, viene scelta al posto di quest'ultima come comparsa del kolossal hollywoodiano che stanno girando. La ragazza di borgata accetta l'invito del gruppo di star americane (Lily James, Joe Keery, Willem Dafoe) e con loro trascorre ore indimenticabili. Nel bene e nel male.
Finalmente l'alba: la recensione
Un film sulla fine dell'innocenza, anche "di un Paese", come evidenzia Costanzo, che del volto innocente della giovane protagonista fa la sua forza. E intorno alla quale orchestra un coro di dannati e disperati, ospiti della esclusivissima festa nella villa di Capocotta, a un passo dal mare, dove tutto si svolge.
Uno spazio limitato, a volte troppo, che condiziona lo sviluppo dell'azione e dei personaggi. Ma che risulta allo stesso tempo funzionale allo scopo. Tra suggestioni felliniane e la poesia di Cesare Pavese, cronaca nera e falsi storici (voluti, proprio per evitare l'effetto nostalgia). Finalmente l'alba è un film più articolato e drammatico di quel che sembra in superficie. Che nei suoi momenti migliori, riesce a mostrarci come Ieri e Oggi non sono diversi. Le nostre stesse miserie, l'ossessione per il male e la fascinazione per i carnefici che ci fa sempre e rapidamente dimenticare le vittime. L'abitudine ad affrontare il mondo nascosti dietro una maschera. Quella che a volte teniamo anche quando siamo soli.
Il trailer di Finalmente l'alba
Finalmente l'alba: l'intervista a Gabriele Falsetta, nel film Piero Piccioni
Si parte dal caso Montesi, ma si parla di altro: di cosa?
Di fatto Saverio non voleva raccontare del caso Montesi, per cui tutti i personaggi di contorno sono funzionali a un'altra storia. Un po' come in C'era una volta a Hollywood di Tarantino, nel quale Sharon Tate si salva, perché si racconta la fine di un sogno. Lo stesso di Mimosa, una ragazza al centro di una favola, nera se vuoi. Lei è totalmente inadeguata e avulsa da quel mondo.
Per questo il suo Piero Piccioni non si vede tantissimo...
Anche a me sarebbe piaciuto fare una fiction di 18 episodi tutta su di lui. Alla fine questa esperienza, più che nutrire il mio ego, mi ha permesso di passare una settimana sul set con Willem Dafoe, Lily James, Costanzo stesso, osservando tante cose. E per quanto riguarda la cronaca... Cosa ci sia stato oltre all'omissione di soccorso della povera Wilma Montesi, risalire a quanti fossero, non lo sapremo mai probabilmente... Certo Piccioni, figlio di un democristiano di primo livello, si concedeva lussi e divertimenti poco in linea coi precetti della Democrazia Cristiana a cui apparteneva il padre.
Gabriele Fasletta è nato a Genova il 18/8/1981. Styling Allegra Palloni, maglia Officine Artistiche. Foto Roberta Krasnig/Ufficio stampa
Accodarsi a un certo tipo di persone è patetico e inutile
Ci sono ancora feste come quella del film? E a un attore di oggi serve ancora partecipare a quel tipo di serate?
È qualcosa che mi ha sempre affascinato, anche se più nelle versioni statunitense o britannica, non tanto quella italiana. Quando sono arrivato a Roma e cercavo di capire quale fosse il mio posto nel mondo, mi è capitato di avvicinare situazioni un po' particolari. Forse anche mosso dalla curiosità e da un certo senso del proibito... Ma non è qualcosa che mi ha mai attratto più di tanto, forse perché ero già abbastanza grandicello e avevo fatto le mie esperienze. Trovavo inutile, e patetico, accodarsi a un certo tipo di persone. Io credo profondamente nel lavoro e nel lavorio, nel gradimento dei registi, delle produzioni, del pubblico. Mimosa, come Dante, si aggira in questi gironi infernali, tra prelati e politici, produttori e artisti, ma oggi è tutto diverso. Con i social, si fa una festa per postare una storia, più che per sfruttare certi incontri. In generale c'è più moralismo che negli anni '50, '60 o '70, e lo vedi sin dalla scrittura. C'era più coraggio nei film di Petri, Nanni Loy. Negli States gli attori sfondavano le camere d'albergo. Oggi sono tutti vegani e fanno yoga.
Mimosa oggi sarebbe un'attrice di una serie Netflix
E lei?
Io sono un po' diverso. Vorrei tanto essere più salutista, avere più cura di me. Ce l'ho in altri modi. Quando ho cominciato, c'era qualcosa di romantico e decadente che mi attirava molto in quelle vite. Oggi so che questo lavoro è molto più concreto. È un'altra epoca. Mimosa oggi sarebbe un'attrice di una serie Netflix, con dei valori e uno stile di vita molto più sano e meno pericoloso. Oggi a Hollywood se ne stanno a casa e si vedono per i gala. Non ci sono più le ville con piscina dove muoiono i batteristi. O la povera Natalie Wood scomparsa in mare, o Marilyn. E neppure Heath Ledger, River Phoenix o Philip Seymour Hoffman, del quale il 2 febbraio ricorrevano i dieci anni dalla morte.
Rebecca Antonaci e Joe Keery, nel film il divo americano a Cinecittà per un film
L'addio alla scuola e i mille lavori
C'è della nostalgia, un po' pericolosa in tutto questo: o no?
Io sono cresciuto in un paesino piuttosto chiuso, con problemi sociali mai risolti, a metà degli anni '90. Da adolescente, l'immagine di quegli anni ribelli era sicuramente più romantica, e un po' più pericolosa. A livello internazionale c'era una scena musicale che ti portava ad atteggiarti in un certo modo... Io poi ho avuto una vita un po' particolare, con tanti bivi. Fino alla terza media pensavo di poter continuare gli studi, ma già al primo anno di liceo ho lasciato la scuola e sono andato a lavorare in una fabbrica di elementi in plastica, con varie mansioni. Per sette anni. Ma ho fatto miliardi di lavori: ho lavorato in porto, come cameriere, anche in altri paesi. Poi per caso ho scoperto il teatro.
A 16 anni avevo la vita di un quarantenne
Come per caso?
Ero stanco delle otto ore al giorno, a 16 anni facevo la vita di un quarantenne. Avevo la fidanzatina, andavamo al ristorante, in vacanza: un po' troppo e troppo presto. Un giorno, mosso da un qualche desiderio di fuga, in pausa ho aperto un vecchio elenco del telefono e ci ho buttato sopra un dito. Potevo finire a fare taglio e cucito e invece sono finito sul Teatro Stabile di Genova. Ho chiamato per partecipare a un corso, ma mi hanno detto che si trattava di un percorso di tre anni e mi hanno dato il numero di un'altra scuola. Da lì è partito il duende. Il teatro mi ha disciplinato molto, placato certi istinti. Quando sono arrivato a Milano, al Piccolo Teatro, mi sembrava di essere a Las Vegas...
E dopo dieci anni, adesso è a Roma. A Cinecittà...
Vivo a Ponte Lungo, ma sono sempre a Piazza Vittorio. Scendo di casa e vado a piedi. Mi piace. Tutto il giorno a pensare al lavoro, agli amici, alle relazioni... Ci sto bene.
M, la serie Sky: Il mio Farinacci è un vero bastardo
Prossimamente la vedremo in M, la serie Sky: cosa può anticiparci?
Che è stata una epifania. Lavorare con Joe Wright, Luca Marinelli... Mi sento un po' orfano, adesso che è finita. Nonostante Farinacci...
Roberto Farinacci, collaboratore stretto del Mussolini di Marinelli, gerarca e segretario del Partito Nazionale Fascista: l'ha definito un "bastardo".
Sì. È vero che non devi giudicare il personaggio che interpreti, ma in questo caso non c'era da parte degli autori alcuna volontà di considerarne l'umanità. Giustamente, a mio avviso. Ho letto libri su libri: le biografie di Balbo, Mussolini, Dino Grandi. Farinacci era una bestia, con un'ambizione e un'ignoranza fortissime. Da capostazione di una piccola frazione in provincia di Ferrara è morto fucilato, mentre scappava in Svizzera con 12 milioni di euro di oggi. Si era comprato la laurea e si faceva pagare per arianizzare gli ebrei di Milano. Era un fanatico nazista. È stato il primo a contattare Himmler e Hitler, che poi lo hanno ripudiato... Faceva schifo pure a loro. Era veramente un essere infimo, squallido, ma di grande potere.
Roberto Farinacci a colloquio con Hitler a Berlino, nel 1940. Foto Getty
Quanto di questo vedremo in M?
Non lo posso dire, ma sono soddisfatto del risultato. E dello spazio che mi ha dato Joe Wright, più di quello che mi era stato concesso, anche se stanno giusto montando gli ultimi episodi e siamo tutti in attesa. Credo che tutti abbiamo sentito la responsabilità di raccontare una storia, l'oscurità di un periodo che molto spesso da noi viene edulcorato. Qui invece è raccontato in modo drastico, e ne sono contento. È difficile avere questo coraggio.
Amo il teatro, ma adoro il cinema. Purtroppo da noi tutto è intossicato dalla cultura di governo
E il teatro?
Amo molto il teatro, moltissimo, ma il cinema lo adoro. De teatro mi piace tantissimo il processo, gli archi che si creano, le persone con cui lavori. È veramente un workshop, e non a caso insegno a San Giovanni, qui a Roma, in una scuola fondata dal mio amico Ivan Alovisio, compagno del Piccolo, e da Lucrezia Guidone. Si chiama Point Zero. La formazione mi sta riavvicinando al teatro e mi sta tornando anche un po' la voglia di vederlo. E nonostante situazioni come quella del golpe notturno con la nomina di De Fusco. Sono rimasto schifato, ma è il segno triste del clima culturale del nostro paese. Da noi non c'è un teatro libero, non intossicato da questo modo di governare la cultura.
Non sarà il momento di creare una sua pagina su Wikipedia?
La verità? Mi sembra pretenzioso farsi la pagina da soli. Su IMDB mi aggiungono i credit di ogni cosa che faccio, anche quando non me le ricordo, ma una pagina di wikipedia scritta di mio pugno mi farebbe un po' tristezza. Che me la scriva qualcun altro. Se lo facessi io, farei una cosa alla Robert Downey Jr. con la foto segnaletica di me arrestato da ragazzino durante una manifestazione. O in stato di ebrezza, la vita e la morte, nudo, nel bagno di un motel. O a Santa Marinella, in un albergo vicino al mare, bello e maledetto come andava di moda una volta.