La filosofia di Fight Club, Tyler Durden è il Superuomo? - Il Superuovo

La filosofia di Fight Club, Tyler Durden è il Superuomo?

L’affascinante personaggio sprezzante di ogni morale e costume interpretato da Brad Pitt ci colpisce come pochi altri, Nietzsche ci spiega il perché con il suo concetto di Übermensch.

Il film di David Fincher del 1999 è ormai assurto a cult di genere, ritagliandosi di diritto un posto fra i film più significativi nella cultura pop del terzo millennio. Eppure non si tratta solamente di un thriller d’azione qualunque. Qualsiasi persona lo veda può infatti intravedere un profondo sottotesto che scava nella percezione che abbiamo della nostra identità nella società postmoderna dominata da un consumismo sfrenato, e delle conseguenze che esso ha sulla nostra vita. Il film fa sua questa inquietudine e ci regala un’esperienza catartica, in cui la fa da protagonista un personaggio di cui tutti, almeno una volta nella vita, sogniamo di vestire i panni, un personaggio che non si cura dei canoni entro i quali la società ci chiede di rientrare, rendendosi finalmente artefice del proprio destino.

Il nichilismo passivo dell’ultimo uomo

Il protagonista senza nome di Fight Club è un every-man della generazione a cavallo del nuovo millennio, privo di identità proprio perché questo è il fulcro della sua forza simbolica. Potrei essere io, potresti essere tu, potrebbe essere qualsiasi uomo o donna stanco ed alienato da una posizione mediocre ed invisibile all’interno della società, che continua a vivere solo per automatismo, una rotella nell’ingranaggio ben oliato che è il sistema che lo sfrutta e lo annichilisce annullandone l’identità. Questo è l’ultimo uomo Nietzscheano, un nichilista completo, ma passivo, consapevole della morte di Dio (della morale, dei valori, della Verità), ma insensibile a tale realtà.  Egli è un uomo completamente adagiato in un mondo in cui la sua prima preoccupazione è quale mobile Ikea comprare per arredare il salotto, quale cravatta indossare per andare a lavoro, e che solamente dopo aver compiuto questa scelta banale si sente completo. Questo sistema abbrutisce l’individuo, rendendolo un automa privo di volontà, che sperimenta unicamente l’illusione di essa, e si ritrova inevitabilmente a subire una lenta morte dell’anima. Un prodotto di una società castrante non può essere forte e vitale, ma al contrario sottomesso e indifeso, un guscio d’uomo con il disperato bisogno di provare qualcosa, qualsiasi cosa.

Ecce homo

Quando l’esistenza del protagonista sembra ormai destinata ad un lento e passivo decadimento, ecco che entra in scena Tyler, il salvatore. Una figura ideale, bellissimo e sicuro di sé, strafottente delle regole, virile, individualista e libero: tutto quello che il protagonista desidera essere. Tyler ci rivela che “le cose che possiedi alla fine ti possiedono” e ci risveglia, dandoci un’alternativa, ricordandoci che la vita vale la pena di essere vissuta. Tyler rappresenta l’impulso dionisiaco, il “sì alla vita”, una forza prorompente e primordiale che risveglia gli appetiti più profondi e vitali dell’uomo: il sesso, la lotta per la sopravvivenza, un’eversiva ed estatica “forza violenta di distruzione“. Proprio la violenza ed il dolore purificatore diventano il centro sul quale si impernia il risveglio del protagonista ed il superamento della sua passività, poiché quello di Tyler è un nichilismo attivo, volto non solo ad una semplice negazione, ma ad una costruttiva affermazione, un autosuperamento che celebra la volontà di potenza e crea spazio per nuove, eccitanti possibilità.

L’eterno ritorno

Da questo momento il protagonista è finalmente vivo, si appropria del suo destino compiendo scelte, accettando il caos che domina la realtà e l’inevitabilità della morte, consapevolezza che dà senso all’esistenza. Con l’istituzione del Fight Club si introduce  l’ultimo concetto Nietzscheano di grande importanza nella storia: l’eterno ritorno dell’uguale. Difatti, il club muterà rapidamente da fratellanza di uomini liberi e uguali, desiderosi di scatenare la carica vitalistica a lungo repressa in un ambiente “sicuro”, a vera e propria setta basata sul culto della personalità di Tyler. Ecco che la rivoluzione compie il suo corso e dalla distruzione dell’ordine costituito si profila all’orizzonte l’istituzione di un nuovo sistema non meno repressivo, anzi, dalle spiccate connotazioni pseudo-fasciste. Questo è l’elemento destinato a ripresentarsi inevitabilmente, pur cambiando forma. Questo evento, oltre ad essere un brillante riferimento alla reale “nazificazione” della filosofia di Nietzsche, si rivela un monito per le conseguenze di una manifestazione estrema di forza e volontà e come essa possa essere strumentalizzata per i fini di un’ideologia. Il messaggio finale del film non è dunque una banale esaltazione dell’anarchia, come molti detrattori credono, ed è invece molto simile a quello di Nietzsche stesso: una spinta all’automiglioramento, al rifiuto di ogni abitudine e presunto valore che in realtà celano il giogo dell’omologazione, al fine di imbracciare il Dioniso che è in noi ricordandoci l’importanza di vivere.

 

 

 

 

 

 

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