Dodici fatti accaduti nel 2020 e che non dimenticheremo - La Stampa

A ripensarlo adesso, con l’ombra cupa del Covid-19 che sia allunga prolungano all’infinito questo 2020 al tramonto, l’assassinio del generale iraniano Qasem Soleimani, l’onnipotente architetto della strategia regionale della Repubblica islamica fulminato all’aeroporto di Bagdad da un raid ordinato e subito rivendicato dalla Casa Bianca, sembra distante come War Games. Quel 3 gennaio il presidente Donald Trump era non solo saldamente alla plancia di comando, da cui per altro minacciava da mesi gli ayatollah, ma guardava l’orizzonte della sua rielezione come una passeggiata senza nubi lungo cui riplasmare il Medioriente trascurato a suo dire dal predecessore Obama.

Teheran, ai funerali di Soleimani dal megafono si invoca "morte all'America"

L’Iran allora promise vendetta, si ventilò la guerra, ma, a parte una rappresaglia di missili balistici, non successe niente, come niente è successo il 27 novembre scorso, all’indomani dell’omicidio mirato dello scienziato nucleare iraniano Moshen Fakhrizadeh Mahabadi nei pressi di Teheran. E’ successo invece che gli Accordi di Abramo patrocinati da Washington sugellassero il riavvicinamento di Israele alle niente affatto democratiche petrol-monarchie e a una parte di mondo arabo sunnita in funzione anti-iraniana gettando le basi per una nuova geometria di alleanze che il nuovo presidente Joe Biden, pur intenzionato a ridiscutere con l’Iran prossimo alle presidenziali l’accordo sul nucleare stracciato da Trump, non rimetterà in discussione.

Francesca Paci


Carenza geopolitica o pietas umana distratta dal mondo grande e terribile, è stato con l’arresto di Patrick George Zaki che ci siamo ricordati dell’Egitto. Quando lo studente dell’università di Bologna, tornato a casa per le vacanze di Natale, è stato fagocitato dalla polizia all’aeroporto del Cairo abbiamo ravvivato le impolverate bandiere “verità per Giulio Regeni”. Era il 7 gennaio 2020, quasi cinque anni dopo il rapimento, la tortura e l’assassinio del nostro connazionale, violato poi ancora, a oltranza, dai mille depistaggi del regime militare del presidente Abdel Fattah al-Sisi. Patrick Zaki in realtà, con Giulio Regeni c’entra poco, non conosceva la famiglia né aveva manifestato per la sua causa più di altri attivisti, e l’associazione simbolica con il ricercatore friulano è forse una delle folli ragioni per cui da allora i giudici continuano a rinviare la custodia cautelare ogni 45 giorni, prolungando il fermo sine die quasi per ringhiare all’Italia che su un cittadino egiziano nessuno ha voce in capitolo.

Patrick Zaki resta in carcere: la storia del ricercatore detenuto dall'Egitto per "propaganda sovversiva"

Zaki è dentro per “istigazione alla rivolta” in virtù dei messaggi sulle proteste antigovernative del settembre 2019 postati su Facebook per tenere vivo lo spirito di un popolo piegato alla dittatura ma non spento. Zaki, come lo vediamo oggi dalle poche foto fatte filtrare alla famiglia, è il fantasma del ragazzo che era ma non molla, scrive di voler tornare presto a Bologna e Buon Natale: se il Cairo pensava di averlo silenziato nell’oblio, ha sbagliato: in questo sì è Giulio Regeni, "kulluna Giulio Regeni", come ripete ancora la meglio gioventù egiziana, siamo tutti Giulio Regeni.

Francesca Paci


Pandemia. La parola più angosciosa del 2020 è stata pronunciata dal direttore generale dell'Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus in una drammatica conferenza stampa di metà marzo. A sancire ufficialmente l’allerta sono state le inequivocabili rilevazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità: in due settimane il numero di contagi al di fuori della Cina era aumentato di 13 volte e quello dei paesi colpiti dalla nuova malattia era triplicato. Da quel momento il SARS-CoV-2 è stato classificato come minaccia per l’intera popolazione della Terra.

Coronavirus, l'annuncio dell'Oms: "È una pandemia"

Da marzo il calcolo quotidiano delle infezioni tiene con il fiato sospeso l’umanità. In dieci mesi la curva planetaria dei contagiati e deceduti non ha mai consentito all’Oms un ridimensionamento del livello di allarme. “Tutti i parametri (diffusione, gravità, inazione) indicano che Covid-19 può essere caratterizzato come una pandemia. Non è una parola da usare con leggerezza o disattenzione. Oms e paesi devono mettere in campo ogni azione per rallentare il virus e controllare le epidemie in ciascuna nazione. Sono misure necessarie anche se mettono a dura prova le società e le economie", mise in chiaro Tedros Adhanom Ghebreyesus.

Giacomo Galeazzi


Contango d’aprile. Il prezzo del petrolio ha subìto questo fenomeno, non così usuale, intorno alla metà del secondo mese di lockdown primaverile. L’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec), con l’aggiunta del Messico, decise di tagliare la produzione mondiale di greggio, sull’onda dei confinamenti. Meno 9,7 milioni di barili al giorno. Aerei a terra, navi in rada, industrie pesanti chiuse. Sovrapproduzione. C’erano più barili di oro nero di quanto ne domandasse il mercato. E avvenne il contango, ovvero quando i prezzi futuri sono superiori al prezzo spot corrente. Ciò che è accaduto quando il valore del singolo barile di West Texas Intermediate (WTI), il greggio nordamericano, è andato sotto zero su alcuni future.

I motivi per cui se il prezzo del petrolio cala il costo del carburante rimane quasi invariato


Le maggiori compagnie americane - ExxonMobil, Chevron, Sunoco, Gulf Oil e ConocoPhillips - decisero che non era più conveniente spedire il petrolio dalla terraferma al primo sbocco sul mare, dal Texas al Golfo del Messico. Troppe 500 miglia. Via libera alla sforbiciata sulla produzione, che ha fatto crollare il prezzo dell’oro nero fin sotto i 20 dollari al barile. Con l’arrivo dei vaccini, tuttavia, gli analisti si attendono un graduale ritorno alla normalità.

Fabrizio Goria


Il 25 maggio viene ucciso a Minneapolis, in Minnesota, George Floyd, cittadino afroamericano deceduto dopo il violento arresto da parte di quattro poliziotti bianchi. Il filmato mostra l’agente Derek Chauvin che tiene immobilizzato Floyd premendo per 8 minuti e 46 secondi il ginocchio sul collo dell’arrestato. Un episodio di giustizia violenta che fa riemergere in tutti gli Stati Uniti tensioni razziali mai sopite, rilanciando il dibattito sull’operato discriminatorio di una certa parte delle forze dell’ordine.

Minneapolis, l'arresto di George Floyd visto da tre prospettive diverse: ecco cosa è successo

Seguono settimane di dimostrazioni guidate dal movimento Black Lives Matter, in alcuni casi fagocitate da manifestazioni violente, saccheggi e scontri con la polizia. E successivamente tra gruppi radicali della sinistra e formazioni e milizia della destra estrema. Alcuni stati mobilitano la Guardia nazionale. Ne seguiranno altri episodi di giustizia violenta e di ritorsioni sanguinarie contro la polizia. Di fatto è l’episodio che cambia il corso delle elezioni presidenziali. Donald Trump, il cui secondo mandato era dato per certo sino a febbraio, dopo essere travolto dal virus, finisce nel mirino per i commenti considerati divisivi e discriminatori. 

Francesco Semprini


“In coordinamento con le forze armate iraniane, circa 150 località, sospettate di ospitare i militanti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), sono state prese di mira” e colpite. Così il 17 giugno 2020 la Turchia dichiarava in un rapporto ufficiale l’inizio dell’operazione. “Claw Eagle”, artiglio d’aquila, una serie di attacchi aerei e incursioni di terra  nel Kurdistan iracheno. Alle azioni militari della Turchia si sono aggiunte nell’arco di pochi giorni quelle della Repubblica Islamica dell’Iran, che condivide con Ankara una storica inimicizia con il Kurdistan iracheno, contestandone lo stesso diritto all’esistenza.

Tra maggio e settembre, secondo dati di ong internazionali, oltre 50 mila ettari di terra sono stati resi inabitabili dai continui bombardamenti, costringendo gli abitanti alla fuga e infliggendo gravi danni agli insediamenti e all’ecosistema, malgrado i ripetuti appelli del Presidente del Governo Regionale del Kurdistan a risparmiare le zone dei civili. I rappresentanti del Kurdistan iracheno sono convinti che tra i tre Stati confinanti - Turchia, Iran e Iraq - sia stato stipulato un tacito patto inteso a danneggiare il loro territorio. Turchia e Iran punterebbero al controllo della parte di Kurdistan che si estende dai confini iraniani a quelli turchi, mentre l’Iraq aspira al controllo della zona che include Erbil. 

Alla difficile situazione sul territorio si sono poi aggiunti gli effetti legati alla pandemia di Coronavirus, che ha sia indebolito le strutture interne, sia reso più facile, alla comunità internazionale, allentare il monitoraggio sul rispetto dei diritti umani e sulle eventuali  violazioni compiute. 

Francesca Sforza


Il 30 luglio 2020, dalla base di Cape Canaveral in Florida, parte la missione Mars2020 della Nasa destinata a portare su Marte il quinto rover americano, Perseverance, il primo progettato per cercare tracce di vita sul Pianeta rosso. È il derivato dal predecessore Curiosity a cui sono state applicate diverse migliorie. Il lancio avviene con un razzo Atlas 5. Lo sbarco su Marte è uno degli obiettivi fortemente voluti dal presidente Donald Trump in materia di conquista dello spazio. L’obiettivo dell’agenzia Usa è infatti gettare le basi per la futura esplorazione umana, portando a bordo del vettore spaziale materiali per tute e casco destinati agli astronauti che cammineranno sulla superficie del Pianeta rosso.

Nasa, il lancio di Perseverance: la sonda che esplorerà Marte

A bordo del rover Perseverance c’è “Sherloc” che ha l’obiettivo di esaminare i campioni di materiale. Dopo il lancio, il veicolo spaziale rileva problemi di temperatura che vengono prontamente risolti, proseguendo il viaggio regolarmente, in una sorta di carovana spaziale che vede in successione la sonda Hope degli Emirati Arabi Uniti, lanciata il 21 luglio, e quella cinese Tianwen 1, lanciata il 23 luglio. Per tutte le missioni l’arrivo è previsto nel febbraio 2021.

Francesco Semprini


Un dittatore che per rimanere sul trono dopo 26 anni al potere arresta gli oppositori e trucca le elezioni. Un popolo che scende in piazza, guidato da una squadra di giovani donne. La rivoluzione iniziata in Belarus il 9 agosto, dopo che Aleksandr Lukashenko ha rubato a Svetlana Tikhanovskaya la vittoria nelle urne, è l'ultima battaglia per la libertà in Europa, un 1989 a scoppio ritardato in quella che era rimasta in buona parte una riserva del socialismo surreale.

L'Ue non riconosce il risultato delle elezioni bielorusse, il discorso di Charles Michel

È una rivolta popolare come non se ne vedevano più da trent'anni, operai e intellettuali, giovani e vecchi, capitale e provincia, ma soprattutto tante donne, che sfidano i manganelli della polizia giorno dopo giorno, in una rivoluzione paziente, fantasiosa e tenace che attinge dalle tradizioni di un passato partigiano quanto dalle alte tecnologie di Telegram. Insieme alla protesta delle vicine polacche contro il divieto di aborto, le belarusse stanno smentendo la triste fama di un Est Europa postcomunista e reazionario, in una ventata di libertà e coraggio.
Anna Zafesova


Alla fine di settembre, un conflitto che dura da decenni tra l’Armenia e l’Azerbaigian per l'enclave del Nagorno-Karabakh ha smesso di essere “congelato”, come veniva definito dai tempi della guerra etnica degli Anni Novanta, per esplodere nel peggiore combattimento nell’area dei tempi recenti. Si tratta di frontiere abituate ai micro-scontri e ai micro-conflitti proprio in ragione del particolare statuto del Nagorno-Karabakh, internazionalmente riconosciuto come parte dell'Azerbaigian ma abitato da una popolazione di etnia armena. Gli scontri sono stati violenti e ripetuti, interrotti, nell’arco di un paio di mesi, da tre cessate il fuoco che regolarmente venivano violati. . Il 9 novembre, infine, un accordo di pace mediato dalla Russia firmato da entrambi i contendenti  è riuscito a porre fine a un conflitto che in sei settimane ha ucciso migliaia di persone.

Nagorno-Karabakh, le famiglie incendiano le loro case

L'accordo ha permesso all'Azerbaigian di mantenere un territorio significativo, conquistato con i combattimenti, e di entrare in possesso di aree precedentemente appartenuti agli armeni. Allo stesso tempo però ha lasciato la capitale della regione del Nagorno-Karabakh, Stepanakert, sotto il controllo armeno, protetta dalle forze di pace russe. L’accordo ha in sostanza impedito che la zona si trasformasse in un campo di battaglia per procura, con la Turchia a fianco degli azeri e la Russia degli armeni, per chissà quanto tempo ancora. Un intervento, quello della Russia, che ha per il momento impedito prossime escalation. Il clima, tuttavia, non può dirsi completamente pacificato: la reazione degli armeni all’accordo è stata tanto violenta che prima di abbandonare le loro case agli storici nemici le hanno date alle fiamme.

Francesca Sforza


Ha continuato a urlare “Allah Akbar” anche dopo l’arresto, Brahim Aoussaoui, il 21enne tunisino che il 29 ottobre ha sgozzato tre persone nella cattedrale di Notre-Dame de l'Assomption di Nizza, prima di essere bloccato dalla polizia. Due vittime, il sagrestano della chiesa, un laico di 55 anni con due figli e una signora di 70 anni, sono morte sul colpo per le ferite profonde alla gola provocate dalla furia omicida, una donna di 44 anni di origini brasiliane, invece, è riuscita a fuggire, ma è deceduta poco dopo nel bar in cui si era nascosta. “Dite ai miei figli che li amo”, sono state le sue ultime parole.

Attentato a Nizza, il sindaco: "Il killer continuava a gridare Allah Akbar"

Il killer era arrivato in Europa via Lampedusa il 20 settembre, trasferito in un centro per migranti a Bari il 9 ottobre, dove ha fatto perdere le sue tracce, per poi rispuntare in Francia. Con sé aveva due cellulari, il Corano e un foglio rilasciato dalla Croce Rossa italiana. Non aveva ancora fatto domanda di asilo e non era schedato tra le persone pericolose. Il terrore è tornato a colpire Nizza, a quattro anni e mezzo dall’attacco jihadista con un camion sulla Promenade des Anglais. Non erano passati neanche quindici giorni da un altro folle gesto di matrice islamista, la decapitazione da parte di un ceceno, il 16 ottobre a Conflans Saint-Honorine, vicino Parigi, del professore Samuel Paty, “colpevole” di avere mostrato in classe vignette su Maometto del giornale satirico Charlie Hebdo. “La Francia è sotto attacco”, ha detto il presidente Emmanuel Macron, “ma non rinunceremo ai nostri valori, alla libertà di credere e non credere”. 

Letizia Tortello


Il 4 novembre Joe Biden, già vicepresidente per otto anni con Obama, senatore per oltre tre decenni del Delaware, batte Donald Trump e mette fine alla presidenza più divisiva e controversa della recente storia americana. Biden è il presidente eletto più vecchio di sempre ed entrerà alla Casa Bianca con Kamala Harris, senatrice afro-indiana 56enne della California. E’ la prima donna a ricoprire l’incarico di vice. L’America è spaccata, Trump e i suoi accoliti riversano rabbia e ricorsi in ogni tribunale d’America, invocano l’intervento della Corte suprema ma il presidente che ha messo a soqquadro la politica Usa, riscritto alleanza internazionali, scatenato la guerra commerciale con la Cina e bisbocciato con la Russia di Putin, non vince nemmeno un ricorso.

Joe Biden presidente, il discorso dopo le elezioni: "L'America ci ha scelto, domani sarà un giorno migliore"

Alla fine Biden si prende 306 voti elettorali, 34 più del quorum necessario. Alla stessa quota arrivò Trump nel 2016 contro Hillary. Eppure Trump sfonda il muro dei 70milioni di elettori, sei milioni meno del rivale ma una cifra impressionante che condizionerà comunque le scelte della futura amministrazione. Se vuole risanare l’America, dovrà tener conto che c’è una fetta importante del Paese che sta con Donald, le sue sparate, i suoi tweet ma anche i suoi successi politici (al netto del flop nella gestione del Covid). Le cancellerie occidentali – pur con delicatezza istituzionale dovuta – brindano al ritorno di un democratico alla Casa Bianca. Confidano nella ripresa del discorso lasciato a metà con la fine dell’era Obama. Clima, nucleare iraniano, diplomazia del dialogo al posto dei tweet incendiari, azioni comuni su Russia e Cina. E il Medio Oriente da maneggiare con cura e insieme. Questa l’agenda europea. Il 20 gennaio Biden si insedierà e capiremo presto se quella europea sarà un’agenda o un libro dei sogni.

Alberto Simoni


Trenta giorni intensi, frenetici, a tratti disperati. Unione europea e Regno Unito hanno speso il mese di dicembre nella spasmodica attesa di un accordo raggiunto solo all’ultimo minuto, il giorno della vigilia di Natale. Prima di allora in pochi avrebbero scommesso su un lieto fine, per come si erano messe le cose. I negoziati tenuti nel corso dei primi 10 giorni del mese non hanno prodotto nulla, tanto che il 10 dicembre la Commissione europea si è vista costretta a proporre misure di emergenza mirate per prepararsi a un eventuale scenario di uscita senza accordo. Sei mesi di estensione delle regole in vigore per collegamenti aerei e stradali tra le due sponde del canale della Manica, e il mantenimento delle regole vigenti per la pesca per un altro anno. Il tutto per evitare contraccolpi per l’economia. Il Parlamento europeo si mostra disponibile a sedute natalizie straordinarie in caso di accordo, per incentivarne uno.

Brexit, Johnson: "Accordo raggiunto. Il più grande mai fatto"

Bruxelles e Londra tengono fede agli impegni negoziali, in una lotta contro il tempo. A distanza di una settimana, il 17 dicembre, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, discute al telefono con il premier britannico, Boris Johnson. La tedesca ammette che restano «grandi divergenze» e che «colmarle sarà molto difficile». Parole che suonano come una resa. Tanto che al vertice dei capi di Stato e di governo dell’UE del 20 e 21 dicembre di Brexit non si parla, c’è giusto una semplice informativa del negoziatore capo, niente di più. La scarsa rilevanza in agenda dà il senso della drammaticità della situazione. Il via libera definitivo all’accordo sul bilancio comune 2021-2027 permette tuttavia l’attivazione dello speciale fondo di adeguamento per la Brexit, con 5 miliardi di euro per gli Stati membri più direttamente colpiti dall’uscita di Londra (Irlanda, Belgio, Paesi Bassi tra tutti). I giorno seguenti, 22, 23, e 24 dicembre, vedono le parti sedute al tavolo. Si rincorrono voci di possibili accordi, e alla fine pochi minuti prima delle 16 del 24 dicembre l’annuncio del lieto fine.

Emanuele Bonini

I commenti dei lettori