Vaccini anti COVID-19: quanto sono frequenti e gravi gli effetti collaterali? | National Geographic

Vaccini anti COVID-19: quanto sono frequenti e gravi gli effetti collaterali?

Brividi, mal di testa e affaticamento sono sintomi assolutamente normali dopo un vaccino. Ma le reazioni possibili possono essere di vario tipo e non sono correlate alla risposta del sistema immunitario all’infezione da COVID-19.

da Linda Marsa

pubblicato 19-05-2021

vaccine side effects

BOGOTÀ, COLOMBIA – 10 APRILE: un’operatrice sanitaria riceve una dose del vaccino Pfizer-BioNTech presso un centro di vaccinazione drive-through istituito presso il centro commerciale di Bima ripristinato durante il lockdown per contenere la diffusione del coronavirus.

FOTOGRAFIA DI Guillermo Legaria, Getty Images

Il tema degli effetti collaterali può essere un potente deterrente alla vaccinazione.

Su questo argomento nel 1991 un gruppo di scienziati in Minnesota — presso il Dipartimento degli Affari dei Veterani degli Stati Uniti e presso la Mayo Clinic — idearono un esperimento per verificare la frequenza di queste reazioni indesiderate.

Lo studio coinvolse oltre 300 veterani di età superiore ai 65 anni cui era stato somministrato o un vaccino antinfluenzale seguito due settimane dopo da un’iniezione di placebo di soluzione salina oppure un’iniezione di placebo seguita due settimane dopo da un vero vaccino.

I ricercatori notarono che gli effetti collaterali erano equamente distribuiti tra i due gruppi, afferma Robert Jacobson, direttore sanitario del programma di scienza della salute della Mayo Clinic. “Circa il 5% dei pazienti aveva affermato di essere stato male come mai prima di allora dopo la somministrazione del vaccino”, racconta Jacobson. Metà di quelle persone avevano ricevuto il placebo eppure lamentavano il peggior mal di testa o il peggior attacco di febbre della propria vita. Questo esperimento ci dice, afferma Jacobson, che “è facile confondere una reazione allergica con nervosismo o uno stato emotivo oppure un disturbo di stomaco con l’ansia”.

Recenti studi mostrano che alcuni effetti collaterali, compresi quelli causati dai vaccini anti COVID-19, non sono dati dalle sostanze iniettate ma dalle nostre paure. “Questo fenomeno è stato osservato tra i militari, quando le giovani reclute, che pensano di poter sopportare qualsiasi cosa, svengono quando ricevono l’iniezione perché il loro organismo innesca una reazione eccessiva”, spiega Jacobson.

È una prova che può essere utile al personale medico che può rassicurare i pazienti dicendo che la maggior parte degli effetti collaterali sono normali e prevedibili e potrebbero anche non essere causati dall’iniezione. Nella fattispecie, negli studi sul vaccino Pfizer/BioNTech, il 23% dei soggetti di età compresa tra i 16 e i 55 anni che hanno ricevuto il placebo ha lamentato affaticamento dopo la seconda dose e il 24% ha riportato casi di cefalea.

Gli studi indicano che sette persone su dieci dopo la seconda dose manifestano qualche tipo di reazione. Alcuni avvertono dolore nel sito di iniezione; a volte possono verificarsi prurito o formicolio e una serie di sintomi simil-influenzali quali brividi e febbre, mal di testa e intensa stanchezza che possono costringere il paziente a un paio di giorni a letto. Tuttavia è importante considerare tali effetti collaterali in prospettiva, afferma Jacobson, “si tratta di manifestazioni lievi, temporanee e passeggere che scompaiono nell’arco di qualche giorno”.

Qual è la causa delle reazioni immunitarie?

I vaccini anti COVID-19 autorizzati — Pfizer, Moderna e Johnson & Johnson — contengono tutti un’impronta genetica per la produzione di proteine spike che si trovano sulla superficie del coronavirus e gli consentono di infettare le cellule umane. Quando ricevono queste istruzioni, le cellule umane iniziano a produrre copie della proteina spike. Siccome le cellule producono solo una parte del virus e non il patogeno stesso, non ci ammaliamo. La proteina spike, che da sola non può causare la malattia, può però attivare una risposta immunitaria a due fasi: esattamente quello che ci si aspetta che faccia.

La reazione fisica immediata al vaccino anti COVID-19 è provocata dal sistema immunitario innato. Quando una persona riceve l’iniezione, una raffica di globuli bianchi chiamati macrofagi e neutrofili arrivano sul sito di iniezione e iniziano a produrre sostanze chimiche chiamate citochine. Questa risposta innesca un’ampia gamma di sintomi, dall’infiammazione al gonfiore nel sito di iniezione, a febbre, affaticamento e brividi.

Gli effetti collaterali sono dunque una reazione naturale alla vaccinazione. Questa risposta — chiamata “reattogenicità” — indica che il vaccino attiva una forte risposta immunitaria iniziale provocando una vasta gamma di sintomi. Dei circa 3.600.000 soggetti vaccinati che hanno partecipato a un sondaggio a febbraio, approssimativamente il 70% ha riportato dolore nel sito di iniezione, il 33% ha avvertito affaticamento, il 29% ha manifestato mal di testa, il 22% ha avuto dolore muscolare e l’11% brividi e febbre dopo la prima dose di vaccino anti COVID-19. I sintomi manifestati dopo la seconda dose sono stati ancora più pronunciati. Ciononostante, la risposta immunitaria ha breve durata e si esaurisce nell’arco di pochi giorni.

Perché esistono diverse reazioni al vaccino e cosa significano?

Non tutti manifestano effetti collaterali dopo la somministrazione del vaccino anti COVID-19. Alcuni non avvertono alcun disturbo sia dopo la prima che la seconda dose. Gli scienziati non sanno esattamente perché, afferma Sujan Shresta, immunologa presso il Center for Infectious Disease and Vaccine Research presso il La Jolla Institute for Immunology, in California. “Ma non è certo una sorpresa che ogni persona presenti una risposta immunitaria differente”.

Questa ampia varietà di casi è data da molteplici fattori. Le donne, ad esempio, generalmente presentano reazioni immunitarie più forti rispetto agli uomini e questo potrebbe essere correlato alla loro maggiore inclinazione a manifestare effetti collaterali a seguito delle iniezioni.

“Ognuno ha un sistema immunitario particolare e unico”, afferma John Wherry, direttore dell’Istituto di immunologia presso l’Università della Pennsylvania a Philadelphia. “È come la nostra impronta immunitaria che è data dal nostro materiale genetico, dal sesso, dall’alimentazione e dall’ambiente in cui viviamo nonché dalla nostra storia di vita ovvero le situazioni a cui il nostro sistema immunitario è stato esposto in passato e a cui è stato allenato a rispondere negli anni”.

Anche in chi non manifesta alcun tipo di reazione il vaccino svolge comunque il proprio compito perché il vero lavoro del sistema immunitario — e dei vaccini — avviene durante la seconda fase, o fase adattiva, della risposta immunitaria. Durante questa fase la proteina spike generata attraverso il vaccino istruisce le cellule B a produrre anticorpi contro il virus e le cellule T a cercare e distruggere le cellule infette. Ma sono necessari giorni, a volte settimane per realizzare una protezione durevole contro il virus.

Questa è anche la ragione per cui spesso si verificano reazioni più forti alla seconda dose del vaccino: tre settimane dopo la prima dose il sistema immunitario è già stato attivato e le cellule B e T sono pronte a combattere. Quando viene iniettata la seconda dose, risponde sia il sistema innato che quello adattivo.

Ancora non sappiamo però se una forte risposta al vaccino corrisponda a un forte sistema immunitario. Non sappiamo quindi nemmeno se chi non manifesta una forte risposta innata sia maggiormente vulnerabile al COVID o più resistente. “Non abbiamo dati a questo riguardo quindi non possiamo sapere se una persona che accusa forti effetti collaterali subirebbe un’infezione da COVID più grave o viceversa”, afferma Wherry.

Più effetti collaterali tra le donne

In uno studio di febbraio che ha analizzato i dati dei primi 13,7 milioni di vaccinati, il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie statunitense (CDC) ha rilevato che quasi l’80% dei pazienti che hanno riportato reazioni erano donne anche se rappresentavano solo il 61,2% dei vaccinati. Sulla stessa onda il CDC ha riportato che tutte le reazioni anafilattiche al vaccino Moderna si sono verificate in soggetti di sesso femminile; 44 dei 47 soggetti che hanno manifestato tali reazioni al vaccino Pfizer erano donne.

La maggioranza delle persone che hanno avuto gravi coagulopatie dopo la somministrazione del vaccino Johnson & Johnson ma anche con AstraZeneca in Europa e nel Regno Unito, erano donne. “Si è ipotizzato che gli ormoni abbiano un ruolo in questa predominanza — gli ormoni sono sempre i principali sospetti quando si evidenziano delle differenze in base al sesso”, afferma Wherry.

Molti altri fattori possono entrare in gioco in caso di tali squilibri di genere. Pare che le donne abbiano anche un sistema immunitario più robusto sia in termini di risposta innata che nelle reazioni immunitarie adattive. “Le donne presentano una risposta immunitaria più forte rispetto agli uomini ma è un’arma a doppio taglio perché questo implica anche che le donne hanno più probabilità di sviluppare malattie autoimmuni rispetto agli uomini”, afferma Shresta del La Jolla Institute for Immunology.

Altri studi hanno mostrato che la risposta delle donne a mezza dose di vaccino antinfluenzale era la stessa degli uomini a una dose intera quindi è possibile che le donne non abbiano bisogno di dosi intere di vaccini anti COVID-19. “C’è questa idea di dose standard che va bene per tutti ma questa potrebbe essere invece in parte la causa della maggiore incidenza di reazioni tra le donne”, afferma Rosemary Morgan, scienziata che si sta specializzando nelle differenze di genere presso la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health. “C’è inoltre una componente comportamentale: le donne sono più inclini ad andare dal medico ed essere proattive a seguito della manifestazione di sintomi”.

Effetti collaterali vs eventi avversi

“Gli effetti collaterali e gli eventi avversi, che spesso vengono confusi, sono però due tipi diversi di reazione”, afferma Wherry. “Gli effetti collaterali sono piuttosto comuni: si verificano più o meno nel 50-70% dei casi; gli eventi avversi invece sono rari e inattesi come i casi di coagulo”.

Immediatamente dopo l’iniezione, da due a cinque persone su un milione manifestano anafilassi, una grave reazione allergica che causa un forte calo nella pressione sanguigna e difficoltà respiratoria. Ma anche questa condizione è facilmente trattabile con epinefrina e antistaminici, ecco perché i pazienti devono rimanere sotto osservazione per 15 minuti circa dopo aver ricevuto il vaccino anti COVID-19.

I casi di coaguli associati al vaccino Johnson & Johnson che si sono verificati entro 6-13 giorni dalla somministrazione del vaccino possono essere pericolosi e anche mortali ma l’incidenza è piuttosto bassa: si sono registrati solo 23 casi confermati su 8,4 milioni di dosi di vaccino.

“Sono casi molto rari”, afferma Ofer Levy, direttore del programma di vaccini di precisione del Boston Children’s Hospital e professore di pediatria presso la Harvard Medical School. “Il rischio di contrarre il COVID e potenzialmente morire è molto più elevato rispetto a quello dello sviluppo di coaguli a causa del vaccino”.

Conosciamo tutti gli effetti avversi?

C’è la preoccupazione che ci possano essere altri eventi avversi che non sono stati osservati o correlati ai vaccini.

I tre vaccini anti COVID-19 che sono stati autorizzati negli Stati Uniti sono stati testati su decine di migliaia di persone negli studi clinici e i produttori hanno seguito almeno la metà dei vaccinati per due mesi o più dopo la somministrazione della seconda dose. Ma ora che oltre 116 milioni di americani sono stati completamente vaccinati, emergono i rari effetti collaterali che non compaiono nei piccoli gruppi delle sperimentazioni — per questo i sistemi di monitoraggio sono molto importanti.

In Italia sono state oltre 46.000 le segnalazioni di reazioni avverse su oltre 9 milioni di dosi di vaccino somministrate, fino a oggi. Il vaccino Johnson & Johnson, raccomandato in Italia per gli over 60 dopo le valutazioni dell'Ema sui rari casi di trombosi, "è un vaccino a dose singola e resta tale" ha chiarito il direttore generale dell'Aifa, Nicola Magrini.

Negli USA ci sono molteplici sistemi: il Sistema di segnalazione degli eventi avversi dei vaccini (Vaccine Adverse Event Reporting System, VAERS), il Vaccine Safety Datalink e il nuovo programma di tracciamento telefonico del CDC, v-safe.

Ognuno di questi sistemi ha i suoi limiti, incluso il fatto che “perché i dati vengano registrati è necessario che il paziente sospetti che la sua condizione di salute sia correlata alla vaccinazione e scelga di entrare nel processo non semplice di compilare il relativo modulo”, afferma Katherine Yih, biologa ed epidemiologa presso la Harvard Medical School, che si sta specializzando in malattie infettive, immunizzazione e monitoraggio di sicurezza dei vaccini. “Abbiamo in atto un imponente sistema di monitoraggio ma non possiamo essere sicuri che contempli tutti i casi”.

Per di più questi incidenti mostrano solo una correlazione. In altre parole, se qualcuno muore o subisce un infarto dopo essere stato vaccinato, i medici non sanno se l’evento è stato realmente innescato dal vaccino. Solo ulteriori analisi possono stabilirlo.

La rapida identificazione delle rare coagulopatie collegate al vaccino Johnson & Johnson ha avuto un effetto rassicurante. I sei casi inizialmente segnalati hanno portato la FDA e il CDC a sospenderne temporaneamente l’uso. Quando il Comitato consultivo sulle pratiche di immunizzazione del CDC si è riunito ad aprile per determinare il destino del vaccino, erano stati rilevati 15 casi su sette milioni di persone che avevano ricevuto il vaccino. “La scoperta di quella associazione con il vaccino Johnson & Johnson — che è molto rara — è una reale dimostrazione dell’efficacia del nostro programma”, afferma Jacobson della Mayo Clinic”. A questo punto della pandemia un rischio inferiore a tre su un milione non può essere rilevante nello stabilire su come procedere”.