Edmund Spenser in "Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco" - Treccani - Treccani

Edmund Spenser

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Patrizia Stoppacci
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

Spenser è il poeta inglese che meglio di tutti incarna, all’interno della letteratura dell’epoca elisabettiana, il proposito di fondere le diverse componenti poetiche inglesi con quelle europee, e più specificamente italiane e francesi, allo scopo di elevare il linguaggio poetico inglese alla pienezza di un vero Rinascimento. Definito il “nuovo poeta” o il “poeta dei poeti”, Spenser realizza la sua potente fantasia in un componimento di grande sintesi delle molteplici suggestioni letterarie e, con la Faerie Queene, dimostra la sua grande abilità e perizia tecnica creando la cosiddetta “stanza spenseriana”.

Premessa

Il clima culturale dell’Inghilterra del XVI secolo è caratterizzato dalla presenza di più elementi che concorrono alla nascita di una nuova elaborazione poetica, ed Edmund Spenser è il poeta capace di raccogliere le fila delle molte tradizioni poetiche per fonderle in un unicum originale e vivificante - dalla poesia dei classici greci e latini alla poesia medievale inglese del periodo d’oro, fino alla poesia rinascimentale italiana e francese.

Spenser infatti attinge dai classici e dai poeti in latino del Rinascimento così come dalla poesia in lingua volgare facendo soprattutto riferimento alla poesia italiana e francese. L’inequivocabile modello per l’opera maggiore di Spenser, ovvero The Faerie Queene è infatti la poesia di Ariosto e di Tasso, dai quali egli riprende anche l’uso dell’ottava che sarà alla base della forma metrica da lui elaborata e nominata “stanza spenseriana”.

La poesia di Spenser è famosa e apprezzata per la piacevolezza e l’armonia dei suoi versi, per la ricchezza e il fervore della fantasia e per la maestria nell’utilizzo delle consuetudini cavalleresche e delle allegorie medievali per creare avventure fiabesche, ma al contempo ricche di significati.

Nei componimenti spenseriani le influenze più disparate coesistono in un tutto armonico dove il platonismo, l’aristotelismo, le teorie estetiche italiane da Petrarca a Tasso e il suo idealismo protestante, traspaiono attraverso quella squisita musicalità del verso che incanta il lettore.

La vita

Edmund Spenser nasce a Londra nel 1522 da una famiglia di modesta estrazione, il padre infatti è un commerciante di tessuti. Ben poco si sa della prima parte della sua vita; dapprima Spenser studia alla Merchant Taylors’ School e si rivela ben presto studente capace e versificatore abilissimo. Già nel 1569 Van der Noodt pubblica alcune sue traduzioni dei versi di Marot e di Du Bellay nel Theatre of Worldlings (Panorama di personaggi notevoli). Nello stesso anno Spenser si reca a Cambridge dove, nel 1576, consegue il titolo di “Master of Arts”. Costretto a svolgere piccoli lavori per mantenersi agli studi, Spenser viene acquisendo una conoscenza approfondita delle lettere greche e latine, nonché di quelle italiane e francesi. A Cambridge stringe un solido legame di amicizia con lo studioso Gabriel Harvey, critico molto abile nello scoprire giovani talenti e sinceramente affezionato al poeta. Conosce anche il poeta Philip Sidney ed entra in contatto con gli ambienti di corte. Dagli anni di Cambridge, e dal contatto con Harvey, Spenser trae il suo amore per gli studi umanistici e la sua ferma educazione puritana e protestante che, fondendosi con il platonismo italiano e con la sua fervida immaginazione, approderà agli altissimi risultati della sua poesia, dallo Shepherd’s Calendar, ai Complaints, ai Four Hymns, e soprattutto alla Faerie Queene.

Il suo acceso puritanesimo lo spinge a una critica della politica di compromesso della regina Elisabetta I e, quando nel 1580 prende posizione in favore di Sidney contrario alle nozze di Elisabetta con il duca d’Alençon, figlio di Caterina de’ Medici, si attira l’astio della corte con una satira in cui, sotto spoglie animali, si prendono di mira cortigiani e uomini politici esaltando al contempo le qualità di perfetto cortigiano di Sidney. La satira, che circola manoscritta con il titolo di Mother Hubbard’s Tale, viene ritirata e Spenser viene trasferito in Irlanda in qualità di segretario del governatore dell’isola, Lord Grey. Dall’Irlanda, che considera un esilio, Spenser si allontana pochissime volte, ma la sua produzione poetica è copiosa e la stesura della Faerie Queene, la sua opera più importante iniziata nel 1579, procede fino al settimo libro. I soggiorni londinesi sono per lo più finalizzati a curare l’edizione delle proprie opere e a Londra il poeta riceve continue conferme del consolidamento della propria fama in patria, sia negli ambienti letterari che mondani e di corte. Nel 1594 Spenser sposa Elizabeth Boyle, la donna cantata negli Amoretti, con la quale vive nel castello di Kilcolman (nella contea di Cork), dove è autorizzato a risiedere a vita. Nel 1598, durante l’insurrezione di Hugh O’Neill, conte di Tyrone, il castello viene incendiato e Spenser è costretto a fuggire con la famiglia e fa ritorno in Inghilterra. Il suo stato di salute, da allora in poi, va peggiorando rapidamente fino alla morte, avvenuta nel gennaio del 1599. I suoi funerali, pagati dal conte di Essex che vuole seppellire Spenser accanto a Geoffrey Chaucer nell’abbazia di Westminster, sono una vera apoteosi cui partecipano personaggi illustri, letterati e cortigiani.

Opere giovanili e altre opere

La prima opera in cui Spenser manifesta il proprio genio poetico è The Shepherd’s Calendar pubblicata nel 1579. Dedicata a Philip Sidney, l’opera è composta da 12 egloghe pastorali, una per ogni mese dell’anno, e resta un componimento di modesto risultato poetico ma di notevole interesse storico-letterario. Avvalendosi dei modelli di egloghe italiane e francesi (in particolare Petrarca, Boccaccio, Sannazaro e Marot), e del successo della poesia pastorale all’interno della nuova cultura rinascimentale, Spenser utilizza un genere che ha già ottenuto pieno riconoscimento ed è già stato ampiamente utilizzato per scopi morali o satirici. Il poeta riesce a fondere le diverse componenti, da quelle più semplici e rustiche a quelle più elaborate e raffinate, con l’espediente del calendario che gli consente di introdurre una vasta gamma di temi senza apparente soluzione di continuità, mentre, attraverso l’introduzione dei pastori che si affrontano in tenzoni poetiche, può arricchire il proprio testo con una serie di poesie liriche negli stili più vari.

Pervaso di un acceso spirito puritano lo Shepherd’s Calendar è una vera e propria sperimentazione linguistica e metrica; Spenser si riallaccia esplicitamente ai metri di Chaucer e dei poeti inglesi delle generazioni precedenti e introduce voluti arcaismi accanto a parole nuove nel tentativo di conciliare eleganza formale e atmosfera rurale. Il componimento appare con un’introduzione e un commento probabilmente di Edward Kirke, compagno di studi a Cambridge, che accosta Spenser a Chaucer e a Virgilio e sottolinea il merito del poeta di aver preservato la continuità della poesia inglese e di averla fatta assurgere, come poesia in volgare, al rango delle altre poesie europee. Nell’opera sono numerosi gli accenni polemici alle questioni politiche e religiose del tempo, ad esempio nell’egloga di maggio Spenser - tramite il dialogo fra due pastori - attacca la mondanità e l’ipocrisia del clero inglese, mentre nell’egloga di luglio la satira protestante emerge dal dialogo fra un pastore superbo, che probabilmente rappresenta il vescovo di Londra, e un pastore umile che mette in luce l’idealismo protestante e puritano del poeta. L’egloga di ottobre ritrae Cuddie come modello di poeta perfetto ed esprime per la prima volta in lingua inglese l’ideale poetico rinascimentale.

Edmund Spenser

Pierce e Cuddie

The Shepheardes Calendar

PIERS:

Suvvia, Cuddie, solleva il grave capo,

Escogitiamo qualche passatempo

Per affrettar del riluttante Febo

La lunga corsa. Tu solevi guida

Essere già de’ giovani pastori

In rime, indovinelli e nelle gare;

Or essi in te son morti, e tu nel sonno.

CUDDIE:

Sulla zampogna a lungo il mio dolore,

Piers, io cantai, e logore e spezzate

Sono tutte, le mie canne d’avena

E la mia triste Musa ha ormai esaurito

Le sue riserve e poco ben n’ha tratto,

E ancor meno guadagno. Un tal diletto

Fa la cicala povera, e languente

La fa giacere quando il verno incalza.

I vaghi canti ch’io solea comporre

La fantasia de’ giovani a nutrire

E delle pecorelle, gran diletto

Procuran loro; a me che bene viene?

Hanno il piacer costoro, io scarsa lode;

Batto il cespuglio, e a lor volan gli augelli:

Che ben da questo può venir a Cuddie?

PIERS:

Cuddie, la lode è meglio del compenso,

E pur la gloria supera il guadagno:

Oh! quale onor riuscire a contenere

Gli ardor di sregolata giovinezza

Con buon consiglio, oppur spronarla avanti

Col dolce canto, ove condur la vuoi.

Tosto che a modular cominci i canti,

Come s’aprono a te rustiche turbe!

Par che tu l’alma lor privi de’ sensi;

Proprio come il pastor che la sua donna

Dal triste albergo di Plutone andonne

Senza permesso a tôrre; e gl’infernali

Cani domò co’ melodiosi canti.

CUDDIE:

Lo strascico screziato del pavone

Lodano i bimbi e guardan con stupore

L’occhio lucente e fiammeggiante d’Argo;

Ma chi per ciò di più lo ricompensa?

O per questo gli dà un granel di più?

Tal lode è come il fumo che si spande

Via per il ciel, tali parole sono

Soltanto vento e si dileguan tosto.

PIERS:

Allora lascia il rozzo e vil garzone,

E dall’umile polve ti solleva:

Canta Marte cruënto e guerre e giostre,

Volgiti a quei che cingono imponente

Una corona, ai cavalier temuti

Di cui corrode l’armatura intatta

La ruggine, e si fan sempre più scuri

I loro caschi che niun colpo intacca.

Là può la Musa tua spiegare l’ala

Di volo ansiosa, e può spaziar lontano

Dall’est all’ovest; o se più ti piace

Potrà posarsi sulla bella Elisa;

O se cantar vuoi in più possenti note,

Fra i cavalieri il prediletto esalta

Che al baston portò primo l’orso bianco.

E quando il persistente, vigoroso

Sforzo, delle tue corde indebolito

Avrà il tenore alquanto, allor potrai

D’amore e d’allegria canti intonare,

E carole chiassose, e del Mugnaio

Potrai condur la ronda, e fusse Elisa

Pur nello stuolo di color che danzan!

Così del nostro Cuddie dovrà il nome

Davvero risonare fino al cielo.

Testo originale:

PIERCE:

Cuddie, for shame hold vp thy heauye head,

And let vs cast with what delight to chace,

And weary thys long lingring Phoebus race.

Whilome thou wont the shepheards ladde to leade,

In rymes, in ridles, and in bydding base:

Now they in thee, and thou in sleepe art dead.

CUDDIE:

Piers, I haue pyped erst so long with payne,

That all mine Oten reedes bene rent and wore:

And all my poore Muse hath spent her spared store,

Yet little good hath got, and much lesse gayne.

Such pleasaunce makes the Grashopper so poore,

And ligge so layd, when Winter doth her straine.

The dapper ditties, that I wont deuise,

To feede youthes fancie, and the flocking fry,

Delighten much: what I the bett for thy?

They han the pleasure, I a sclender prise.

I beate the bush, the byrds to them doe flye.

What good thereof to Cuddie can arise?

PIERS:

Cuddie, the prayse is better, then the price,

The glory eke much greater then the gayne:

O what an honor is it, to restraine

The lust of lawlesse youth with good aduice:

Or pricke them forth with pleasaunce of thy vaine,

Whereto thou list their trayned willes entice.

Soone as thou gynst to sette thy notes in frame,

O how rurall routes to thee doe cleaue:

Seemeth thou dost their soule of sence bereaue,

All as the shepheard, that did fetch his dame

From Plutoes baleful bowre withouten leaue:

His musicks might the hellish hound did tame.

CVDDIE:

So praysen babes the Peacocks spotted traine,

And wondren at bright Argus blazing eye:

But who rewards him ere the more for thy?

Or feedes him once the fuller by a graine?

Sike prayse il smoke, that sheddeth in the skye,

Sike words bene wynd, and wasten soone in vayne.

PIERS:

Abandon then the base and viler clowne,

Lyft vp thy selfe out of the lowly dust:

And sing of bloody Mars, of wars, of giusts,

Turne thee to those, that weld the awful crowne,

To doubted Knights, whose woundlesse armour rusts,

And helmes vnbruzed wexen dayly browne.

There may thy Muse display her fluttryng wing,

And stretch her selfe at large from East to West:

Whither thou list in fayre Elisa rest,

Or if thee please in bigger notes to sing,

Aduaunce the worthy whome shee loueth best,

That first the white beare to the stake did bring.

And when the stubborne stroke of stronger stounds,

Has somewhat slackt the tenor of thy string:

Of loue and lustihead tho mayst thou sing,

And carrol lowde, and leade the Myllers rownde,

All were Elisa one of thilke same ring.

So mought our Cuddies name to Heauen sownde.

Traduzione:

E. Spenser, The Shepheardes Calendar, versione con testo a fronte, introduzione e note di A.M. Crinò, Firenze, Sansoni, 1950

Nel 1591, dopo l’apparizione dei primi tre libri della Faerie Queene (1590), Spenser pubblica Complaints: Containing Sundry Small Poems of the World’s Vanity, un volume di componimenti minori che spesso sono legati, direttamente o indirettamente, ad accadimenti contemporanei. Il volume contiene The Ruins of Time, The Tears of the Muses, Virgil’s Gnat, traduzione in ottave di un epillio latino attribuito a Virgilio; e anche la già citata Mother Hubbard’s Tale, un’abile satira sulla corte elisabettiana in forma di favola, di evidente ispirazione chauceriana. Nel 1595 Spenser pubblica un altro poemetto, Colin Clout’s Come Home Again, che è uno tra i più interessanti e felici componimenti occasionali del poeta. L’allegoria pastorale racconta un episodio della vita personale di Spenser, la visita resagli da Sir Walter Raleigh in Irlanda e il successivo soggiorno londinese del poeta. L’elegia pastorale Astrophel viene composta in occasione della morte prematura di sir Philip Sidney (1586), ma il poema manca di un’autentica ispirazione e fa emergere invece la convenzionalità, in epoca elisabettiana, di questo genere di componimenti. Pur essendo anch’essi frutto dell’elaborazione di un tema convenzionale, gli Amoretti si rivelano un esempio più vivo e raffinato. Nella raccolta di 89 sonetti d’argomento amoroso il poeta celebra il suo amore per Elizabeth Boyle, poi sua sposa, a imitazione del Petrarca e del Tasso raggiungendo un’uniformità e una fluidità ritmica di sapiente tessitura espressiva. L’Epithalamion è una celebrazione del matrimonio del poeta, avvenuto nel 1594 in Irlanda, ed è un componimento di maggior pregio rispetto ai precedenti sia per la musicalità delle strofe sia per la struttura solida che dà unità alla variegata materia del poemetto. L’esposizione del giorno delle nozze è alla base anche del poema nuziale Prothalamion, scritto in occasione del doppio matrimonio delle figlie del conte di Bridgewater nel 1596; esso mostra tuttavia uno stile più convenzionale con un tono quasi araldico.

Nel 1596 Spenser pubblica i Four Hymns, raccolta di quattro composizioni scritte in periodi diversi: le prime due scritte negli anni giovanili sui temi dell’amore e della bellezza terreni, le altre scritte negli anni della maturità sull’amore e la bellezza celesti. Qui emerge con chiarezza il platonismo spenseriano di matrice soprattutto italiana, dall’influenza dei filosofi neoplatonici italiani da Marsilio Ficino a Giordano Bruno, a quella di Baldassare Castiglione.

Spenser opera di nuovo una geniale fusione fra le componenti dell’amor cortese medievale, del platonismo e del suo intenso idealismo protestante. Ma una menzione particolare merita anche l’unica opera in prosa di Spenser, A View of the Present State of Ireland, pubblicata postuma (nel 1633) benché presentata alla regina Elisabetta nel 1597, cui Spenser consiglia la maniera forte per risolvere la questione irlandese.

La Faerie Queene

Il capolavoro di Spenser è The Faerie Queene, un poema epico dalla trama complessa che avrebbe dovuto includere 12 libri (nel piano generale ne erano previsti addirittura 24), ciascuno dei quali dedicato a una delle dodici virtù morali personificata in un cavaliere.

Nella sua componente più propriamente avventurosa e cavalleresca, l’opera risente dell’influsso di Ariosto (il cui Orlando furioso si prospetta come un grande modello) e di quello di Tasso, soprattutto per il clima morale in cui si svolgono le vicende. Si tratta di una costruzione dal progetto ampio e complesso e mantiene una forte unitarietà anche nella parte pervenutaci, della quale ci rimangono solo sei libri e frammenti del settimo (poiché Spenser non riesce a portarla a conclusione prima della morte, nel 1599).

I primi tre libri vengono pubblicati nel 1590 e i restanti tre nel 1596, mentre compaiono nel loro insieme e con il frammento del settimo, intitolato Two Cantos of Mutability, solo nel 1609.

La strofa d’invenzione spenseriana conferisce all’opera un ritmo peculiare ed estremamente musicale: si tratta dell’ottava ariostesca con un alessandrino finale (verso composto da due settenari) che si presta a una grande varietà di effetti. E in concomitanza con questo nuovo metro Spenser adotta un linguaggio particolare, volutamente arcaico, ma nel quale i vocaboli vengono vivificati dal contesto eroico. Il tema generale del poema consiste nella raffigurazione della regina Elisabetta nella regina delle fate (con il nome di Gloriana) che, tenendo corte per 12 giorni, riceve altrettanti cavalieri cui offre l’occasione di distinguersi; ciascun libro è così dedicato alla descrizione delle gesta di ciascun cavaliere che rappresenta una virtù. Nel primo libro ad esempio sono narrate le gesta del cavaliere della Croce Rossa, modellato a rappresentare la Santità e la Chiesa anglicana sull’immagine di san Giorgio. E come quest’ultimo infatti, egli si cimenta nella lotta contro un drago che infesta il paese di Una, simboleggiante la Verità o la vera religione. Nel secondo libro vengono narrate le avventure di sir Guyon, simbolo della temperanza e allo stesso tempo di Ognuno insidiato da varie malattie nella salute dell’anima e del corpo. Nel decimo canto di questo libro è inserita una genealogia dei re inglesi, da Bruto a Gloriana-Elisabetta. Il terzo libro è dedicato a Britomarte, simbolo della Castità, e il quarto sviluppa il tema generale dell’amore nelle sue varie sfumature, lasciando emergere l’ingegnoso lavoro di sintesi operato da Spenser nell’unire idee platoniche con elementi della tradizione dell’amor cortese. Il quinto libro ha come protagonista Artegal, il cavaliere della Giustizia e vi compaiono in numero maggiore che altrove i riferimenti a fatti storici contemporanei al poeta, ad esempio l’esecuzione di Maria Stuarda.

Edmund Spenser

Legend of the Knight of the Red Crosse, or of Holinesse

The Faerie Queene

“E sia”, rispose, “ma del luogo i rischi

Tu ignori, e se vergogna è nel ritrarsi

Saggezza è sulla soglia rattenere

Il piede anzi che a forza esser cacciati.

Di Smarrimento è questo il bosco, e questa

È la tana d’Errore, mostro orrendo,

Aborrito dagli uomini e da Dio;

Quindi: guàrdati, dico”. “Scappa, scappa”,

Gemette allora il tremebondo nano: “Per uomini viventi il luogo è insano”

Per nulla arresta il giovane campione

Vogliono d’ardimento e pien di fuoco;

Nell’antro tenebroso avanza: cupo

Traluce intorno il luccichio dell’arme,

Poco men d’ombra oscuro: l’empia fiera

Discerne infine, quale di colubro

Mezzo suo corpo orribilmente attorto,

E il restante di femmina in figura,

E così sconcio e disgustoso e immondo che più vile ribrezzo non ha il mondo.

Mentre si giace sopra il suo lordume,

La smisurata coda, ancor che avvolta

In nodi e spire, tutta la caverna

Di mortifero sprone irta pervade.

Mille nati di lei, cui notte e giorno

Di sue mammelle velenose ciba,

Di varia forma ognuno, orridi tutti,

Come la nuova luce il covo schiara,

In bocca alla nutrice, sbigottiti, in un baleno son tutti spariti.

Balzò, quella, turbata dalla tana,

Innanzi si scagliò divincolando

L’immonda coda intorno al capo infame,

Ora disciolta e tesa: guardò in giro,

E poi che l’uomo in maglia e arme vide,

Cercò di trarsi indietro, sì la luce

Quale veleno odiava a lei mortale,

Usa in deserta tenebra tenersi,

Dove nessuno chiaro ella vedeva, né chiaro alcuno veder lei poteva.

Testo originale:

Yea, but (quoth she) the Peril of this Place

I better wot than you, tho now too late,

To wish you back return with foul Disgrace;

Yet Wisdom warns, whilst Foot is in the Gate,

To stay the Step, ere forced to retreat.

This is the wandring Wood, this Error's Den,

A Monster vile, whom God and Man does hate:

Therefore I reed, beware. Fly, fly (quoth then

The tearful Dwarf) this is no place for living Men.

But full of Fire and greedy Hardiment,

The youthful Knight could not for ought be staid,

But forth unto the darksome Hole he went,

And looked in: His glistring Armour made

A little glooming Light, much like a Shade,

By which he saw the ugly Monster plain,

Half like a Serpent horribly displaid,

But th' other half did Woman's Shape retain,

Most loathsom, filthy, foul, and full of vile Disdain.

And as she lay upon the dirty Ground,

Her huge long Tail her Den all overspred,

Yet was in Knots and many Boughtes upwound,

Pointed with mortal Sting. Of her there bred

A thousand young ones, which she daily fed,

Sucking upon her poisonous Dugs, each one

Of sundry Shapes, yet all ill favoured:

Soon as that uncouth Light upon them shone,

Into her Mouth they crept, and sudden all were gone.

Their Dam upstart, out of her Den effraide,

And rushed forth, hurling her hideous Tail

About her cursed Head; whose Folds display'd,

Were stretch'd now forth at length without Entrail.

She look'd about, and seeing one in Mail

Armed to point, sought back to turn again;

For Light she hated as the deadly bale,

Ay wont in defers Darkness to remain,

Where plain none might her see, nor she see any plain.

E. Spenser, The Faerie Queene, versione con testo a fronte, introduzione e note di C. Izzo, Firenze, Sansoni, 1954

Il sesto libro narra le avventure di Sir Calidore, il cavaliere della Cortesia, e qui il poeta si rifà a un concetto di “gentilezza” quale è stato elaborato nel Rinascimento e in particolare dal Castiglione. Il frammento contiene invece una riflessione sul rapporto fra ordine e mutevolezza, dove la discussione fra Mutevolezza e Natura approda alle riflessioni del poeta su questi temi, delle quali ci giungono solo pochi versi.

Le qualità dell’opera non si rivelano solo attraverso la creazione dei numerosi personaggi o delle incessanti avventure, ma soprattutto attraverso l’alto valore delle parti descrittive, dalle grandi parate allegoriche alle evocazioni di un ambiente naturale o fantastico. Nel suo insieme la Faerie Queene è un poema estremamente composito, anche per la varietà straordinaria di toni e situazioni, in cui si fondono splendidamente le tematiche letterarie e gli spunti filosofici dell’età elisabettiana. Anche se si tratta di un’opera incompleta il lettore non può sottrarsi al fascino del racconto e della musicalità dell’insieme. I temi cavallereschi sono sapientemente combinati con i patriottici, quelli religiosi con quelli platonici, le componenti medievali con quelle più moderne in una costruzione di fervida e potente fantasia. Di qui il titolo, attribuito a Spenser dai romantici, di “poeta dei poeti”.

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