Christopher Nolan è un bel mistero. Sbucato letteralmente dal nulla con un film minimale, Following, proiettato in giro per i festival, si è imposto prepotentemente nell’industria cinematografica americana, e di conseguenza mondiale, riuscendo a coniugare il cinema d’autore con quello mainstream ad alto budget e a incassi ancora più alti. I registi che sono riusciti a fare altrettanto si contano sulle dita di una mano. Poiché a breve uscirà nelle sale il suo nuovo film, Tenet, importantissimo per tanti aspetti dato anche il periodo storico che stiamo vivendo, vogliamo cogliere l’occasione per arrivare, e farvi arrivare insieme a noi, preparati a questo evento. Non parleremo di cosa andremo a vedere, impossibile quando si tratta di un film di Christopher Nolan, ma almeno avremo quell’arma in più per districare il complesso labirinto cinematografico che sarà Tenet.
Metto subito le mani avanti, parlare dell’intera filmografia di Christopher Nolan è un lavoraccio che mi fa tremare i polsi. È di sicuro un regista che amo, ma non è il mio preferito. È un regista capace di evolversi a livello esponenziale film dopo film e spiazzare completamente a ogni visione. È un regista che mette in primo piano l’impatto visivo dei suoi film, rendendolo parte integrante della storia ed è capace di unire l’autorialità di un’opera al consenso del grande pubblico, benché quest’ultimo esca dalla sala sempre con quella lieve sensazione di non aver capito un cazzo.
Christopher Nolan è riuscito addirittura a far amare i Cinecomic alla critica, una cosa che, in vita mia, mai mi sarei aspettato di vedere; anche se dall’altra parte ha costruito un precedente in cui la Warner/DC è rimasta invischiata come nelle sabbie mobili ed è riuscita, poi, a scontentare tutti: pubblico, critica e fandom. Ma prima di arrivare a parlare di quello, buttiamo le basi per capire la filmografia di Christopher Nolan, quello su cui il suo cinema è costruito.
Filmografia di Christopher Nolan: i temi
Uno dei temi fondamentali della filmpgrafia di Christopher Nolan è il Tempo e il suo scorrere, un filo rosso che li lega più o meno tutti e che, si capisce già dal trailer, sarà un elemento fondamentale di Tenet. Nolan, il Tempo (lo scrivo maiuscolo per sottolineare la sua importanza), lo piega a sua volontà, per scandire, costruire, montare e smontare la storia e il film stesso. Il Tempo, in ogni sua declinazione, è un personaggio vivo e presente nei suoi film, al pari degli altri attori, a volte è protagonista, altre volte agisce nell’ombra, altre volte è l’unica cosa che conta.
Un altro dei temi fondamentali di tutta la filmografia di Christopher Nolan è la percezione umana della realtà, degli avvenimenti e della scienza. Christopher Nolan nei suoi film analizza come l’uomo si rapporta con sé stesso, con il mondo che lo circonda, con quello che gli succede, con quello che fa succedere e con la scienza. Per Nolan l’essere umano è un labirinto di coscienza, incoscienza, sensazioni, emozioni, conoscenza, ignoranza, scienza e magia metafisica, tutto insieme e trovare la strada d’uscita non è sempre così facile, perché non è facile capire cosa sia “realtà” e cosa sia “fantasia”. Spesso nel cinema di Nolan le due cose coesistono, si affiancano, si uniscono, si sovrappongono, si confondono e diventano tutt’uno a seconda della prospettiva da cui vengono guardate; diventano ossessione, bisogno di vendetta, senso di colpa, voglia di rivalsa. Nel suo cinema c’è sempre il desiderio latente, tipicamente umano, di controllare tutto, ma il controllo, per sua natura, non ha niente di umano, anzi, è qualcosa che trascende l’essere umano. Non si può controllare quello che succede perché, a un certo punto, c’è sempre un bivio, un ostacolo, che fa deragliare tutto spingendolo verso il caos assoluto e l’unica cosa che resta da fare è accettare le cose per come sono, perché l’unico vero metodo di controllo che abbiamo è capire e prendere atto di quello che succede e ci circonda.
Arriviamo così al terzo elemento fondamentale della filmografia di Christopher Nolan: non fa sconti al pubblico. Non gli importa se lo spettatore capisce cosa effettivamente sta vedendo, o se lo capirà sul finale, mentre torna a casa, la sera a letto o la domenica successiva mentre è in chiesa a sentire la messa. Il pubblico viene messo allo stesso livello dei personaggi dei suoi film: quando i personaggi non hanno chiara la situazione e la dimensione in cui si stanno muovendo, nemmeno il pubblico deve averla. Il pubblico non ha diritto ad avere una visione superiore rispetto a chi è immerso nella storia. Può dipanarla insieme ai protagonisti, può arrivarci poco prima o subito dopo, nel migliore dei casi contemporaneamente, ma mai prima che sia necessario. Nolan non si perde in spiegoni lunghissimi non richiesti, come succede con la maggior parte dei blockbuster che non vogliono scontentare nessuno, ma lascia che sia lo spettatore a interpretare e interiorizzare una sua visione di quello che è successo sullo schermo, motivo per cui Nolan si rifiuta di registrare i commenti al film da inserire nei DVD e nei Blu Ray, la trova un’inutile perdita di tempo. Non essere considerato uno scimmione che ha bisogno delle spiegazioni ogni due scene, è la cosa che apprezzo di più di Nolan. Oltre ai titoli dei film composti da una sola parola, perlopiù indecifrabile finché non li vedi.
Fino a ora non ho usato a caso la parola “Labirinto” più volte, perché, appunto, il Labirinto, metaforico si intende, è un tema caro Christopher Nolan, tanto che anche la Syncopy Film, sua casa di produzione fondata con la moglie Emma Thomas, ha come logo proprio un labirinto e il nome deriva da Syncope, ossia, perdita di coscienza. Sembra che blatero a vanvera, ma tutto torna.
Altra piccola premessa, ho diviso la filmografia di Christopher Nolan in blocchi, piuttosto che scegliere di andare in ordine cronologico film per film, perché è meglio raccontarla così.
Filmografia di Christopher Nolan: gli inizi
Questo è il primo blocco di film che andremo a vedere e tra l’altro sono anche i suoi primi 3, ma è un puro caso. Tralascio volontariamente i corti che ha realizzato prima e dopo questi, ma nessuno vi vieta di recuperarli, se li trovate da qualche parte.
Nel 1998 esce il primo timido film di Christopher Nolan: Following. Girato con due lire nei week end per la bellezza di 9 mesi di fila, Following è la storia di uno scrittore squattrinato che segue le persone per avere idee da scrivere, fino a che non si fissa con un uomo che trasporta un borsone. I due si conoscono e instaurano un rapporto piuttosto sordido in cui, fino al finale, non si capisce chi sia il pedinato e chi il pedinante.
Following ha già il seme di quello che è il Christopher Nolan che conosciamo oggi: l’ossessione del protagonista per un qualcosa che non avrà mai davvero, che sia la realizzazione come scrittore o la femme fatale; un montaggio del film non cronologico; la storia presentata come un puzzle che deve essere composto pezzo per pezzo dallo spettatore, saltando avanti e indietro tra le due linee temporali del film, che poi vanno a confluire nel finale disarmante e asciutto, in cui ogni ruolo viene ribaltato e quello che credevamo non è mai stato il volano della vicenda.
Following è un film di appena un’ora e dieci minuti, che ha avuto il merito di far conoscere Christopher Nolan al mondo del cinema, grazie ai premi vinti nei festival e all’apprezzamento della critica e del pubblico. Se non l’avete visto non è un film immancabile che “Dovete correrlo a vedere altrimenti morite!“, anzi, potete vederlo se siete dei completisti della filmografia di Christopher Nolan e volete sapere come ha cominciato, altrimenti potete anche ignorarlo.
In realtà, quello che mi fa apprezzare Following è il fatto che sia la prova generale per quello che è il mio film preferito in assoluto, ma proprio evah!, di tutta la filmografia di Christopher Nolan: Memento.
Memento esce nel 2000. Subito viene accolto bene dalla critica e Nolan viene candidato ai Golden Globe e agli Oscar per la miglior sceneggiatura. Anche al pubblico piace, il che non è mai un male, anche se Memento non è un film facile. O meglio, la storia è piuttosto semplice e lineare, Leonard (Guy Pierce) è ossessionato dalla sete di vendetta verso un fantomatico John G. che, anni prima, gli ha ucciso la moglie e l’ha costretto a vivere con una grave menomazione: Leonard non assimila più ricordi, la sua memoria a breve termine è completamente andata, qualsiasi cosa gli succeda viene dimenticata dopo cinque minuti e gli unici ricordi che ha sono quelli fino all’omicidio della moglie. Ma questi ricordi sono veri o sono frutto dell’ossessione e del metodo che ha messo in atto per aggirare il suo handicap? Teddy (il grande Joe Pantoliano) è davvero suo amico e vuole aiutarlo, oppure gli mente come c’è scritto sul retro della polaroid che Leonard HA in tasca? La bella Natalie (Carrie-Ann Moss) come è entrata in tutta questa storia? E chi è l’uomo al telefono che continua a chiamare Leonard?
Leonard non ha la risposta a nessuna di queste domande, come non l’abbiamo noi, perché, a discapito di una storia lineare, Memento si svolge al contrario, diviso in sequenze di cinque minuti l’una, ogni sequenza va mentalmente posta prima di quella successiva. La prima inquadratura si apre su un particolare: una foto Polaroid che si “inviluppa”, l’immagine è chiara, ma piano piano sparisce. Va tutto a ritroso, il bossolo di un proiettile salta dentro una pistola e…
Questa è la firma d’autore di tutta la filmografia di Christopher Nolan, i suoi film si aprono sempre su un particolare che poi è la chiave di lettura del film. Per Following sono delle mani che si infilano dei guanti in lattice e toccano degli oggetti, apparentemente insignificanti, di una scatola di cui ignoriamo l’origine o il proprietario. In Memento; è la Polaroid che viene agitata mentre la foto scompare, per tornare a quel bianco lattiginoso, non impressionato, che è la mente costantemente formattata di Leonard. Per tutto il film seguiamo, nelle stesse condizioni di Leonard, l’andamento a ritroso della storia, sappiamo come finisce, ma cosa c’è all’inizio? Facciamo una fatica mastodontica a collegare quei cinque minuti che abbiamo appena visto con i cinque minuti successivi, che in realtà avvengono prima. Nolan ci infila le scarpe di Leonard e ci fa fare una passeggiata nel buio, per provare esattamente quello che prova lui, lo spaesamento, il non sapere dove siamo e perché siamo lì, fino al finale, che poi è l’inizio di tutto e proviamo una profonda pena e una tremenda paura per Leonard, che ora è abbandonato a sé stesso, al suo folle metodo per ricordare, spinto da un’ossessione per una vendetta che non verrà mai soddisfatta.
In Memento il Tempo va a ritroso, il colpo di scena è all’inizio della storia, che in realtà è il finale del film. E troviamo gli altri elementi fondamentali del cinema di Nolan: c’è lo spaesamento dell’essere umano incastrato in un labirinto di ricordi che non sa se sono veri o finti; c’è un insieme di personaggi di cui ignora il ruolo e le intenzioni; c’è l’ossessione e la vendetta; c’è una storia che si ripete e ripeterà in modo perpetuo e sempre più drammatico.
Piccola nota di colore, Memento ha avuto successo al cinema e in home video, tanto da fare una nuova edizione in DVD che, oltre a contenere il film originale, contiene anche una versione del film montata in ordine cronologico. Christopher Nolan non si è mai dichiarato entusiasta della cosa e in effetti, vedendola, posso concordare con lui, è una stronzata.
Grazie al successo di Memento, Christopher Nolan viene chiamato da Steven Soderbergh e George Clooney, per un progettino che coinvolge Al Pacino, Robin Williams, al suo primo ruolo da cattivo, e Hilary Swank, un semplice remake di un thriller psicologico norvegese, perché gli americani non importano i film stranieri, piuttosto che doppiarli o sottotitolarli, preferiscono rifarli da capo.
Nel 2002 esce nella sale Insomnia, viste le premesse, un regista qualsiasi avrebbe inserito il pilota automatico e avrebbe consegnato il suo compitino pulito, come piace agli americani, perché tanto ci avrebbero pensato i nomi inseriti nel film a portare la gente al cinema. Invece Christopher Nolan si rimbocca le maniche e confeziona un gioiellino pregno delle sue ossessioni: il Tempo, lo spaesamento cognitivo e il rimorso emotivo.
Insomnia si svolge in Alaska, dove ci sono 6 mesi di buio e 6 mesi di luce. Il Tempo viene scandito dal Ritmo Cardiano, il ciclo sonno/veglia detta il ritmo dei giorni e delle notti dando un senso al tempo che scorre. Ma cosa succede se questo ciclo viene tolto dall’equazione, quando alle 10 del mattino e alle 10 di sera c’è sempre la stessa luce? Che la giornata non finisce mai, il Tempo si dilata a dismisura, la mente, dopo un po’, viene immersa in una melassa densa, nella quale le emozioni e i ricordi avanzano a fatica, come ovattate e avulse dal mondo, mescolate le une con le altre, in uno stato confusionale costante, dove il vero si confonde con l’immaginazione. Ed è quello che succede al detective Will Dormer (Al Pacino), che soffre di insonnia, forse a causa della luce perenne del posto; forse a causa dei pensieri legati agli Affari Interni che gli stanno facendo le pulci; forse a causa dell’omicidio di una ragazza su cui sta indagando; forse per quello che ha fatto al suo collega e non sa più se è stato un incidente o un atto volontario. Mano a mano che la coscienza di Will, per la mancanza di sonno, comincia a vagare in una landa desolata in cui non ha più alcun riferimento temporale, perché il sole e la luce sono sempre presenti ventiquattro ore al giorno, anche la sua mente prende le distanze da ciò che lo circonda, dalla realtà e il suo obiettivo di catturare il killer della ragazza, diventa un’ossessione, perché è andato troppo oltre, perché l’ha eletto capro espiatorio di tutti i suoi peccati.
Anche Insomnia si apre con un simbolismo che ci dà la chiave per interpretare il film: la prima inquadratura è il particolare di una goccia di sangue che macchia il polsino di una camicia e quel rosso acceso comincia a penetrare nelle fibre, sempre più in profondità, allargandosi sempre di più; provare a strofinare quella macchia, non fa altro che espanderla, spingerla sempre più a fondo nella camicia, renderla indelebile. Esattamente quello che combina Will Dormer, più o meno coscientemente nel film. Quello che poteva essere tranquillamente considerato un incidente, a furia di strofinargli sopra menzogne e mezze verità, si espande a dismisura e diventa impossibile da recuperare.
Filmografia di Christopher Nolan: la trilogia di Batman
Questa parte, così a naso, è quella che attirerà su di me le ire di voi lettori. Vediamo se riesco a non farmi bruciare la macchina parlando di questa, che può essere considerata una filmografia a se stante, all’interno della filmografia di Christopher Nolan.
Per parlare de “I Batman di Nolan“, come li chiamiamo noi amici intimi, dobbiamo prima creare un contesto. Fino al 2005, anno in cui è uscito Batman Begins, i Cinecomic, in generale, e Batman in particolare, erano morti. La gente ricordava con affetto i due Batman di Tim Burton, ma aveva ancora gli occhi bruciati da quelle trashate camp di Joel Schumacher (riposi in pace), compreso George Clooney con su una tuta con i Bat-Capezzoli.
L’Hulk di Ang Lee era uscito nel 2003, ma, a parte la critica che aveva apprezzato il suo risvolto Sheakespeariano, il pubblico lo aveva snobbato proprio per lo stesso motivo, decretando, tra le altre cose, la fine della carriera da super-star di Eric Bana. Iron-Man, titolo che ha dato il LA agli introiti miliardari del Marvel Cinematic Universe, sarebbe uscito solo nel 2008.
Però, nel 2003, la Warner/DC sa che Batman è la gallina dalla uova d’oro, comunque lo metti, i soldi li fa e pensava a un reboot del personaggio al cinema. Christopher Nolan, forte dei successi fino a quel momento avuti, si propone per dare al personaggio una nuova vita, magari più dignitosa. La Warner/DC decide di dargli carta bianca e Nolan, affiancato dallo pseudo-guru dei cinecomic David Goyer, rielabora alcuni capisaldi dei fumetti, come Batman: Anno Uno di Frank Miller, e sforna un Batman Begins molto realistico e crudo.
Il ruolo di Batman/Bruce Wayne è affidato a Christian Bale (il doppiaggio con accento romano di Claudio Santamaria è una storia horror di cui magari parliamo un’altra volta); Michael Caine è il mitico Alfred Pennyworth, guida spirituale, coscienza e padre putativo di Bruce Wayne; Liam Neeson è Ra’s Al Ghoul, una delle nemesi di Batman mai vista al cinema; Gary Oldman si cala nei baffetti del commissario Jim Gordon, il delegato a salire sul tetto ad accendere il Bat-Segnale; Cillian Murphy è Johnatan Crane, lo Spaventapasseri, altro nemico mai apparso al cinema; l’allora moglie di Tom Cruise, Katie Holmes, è un pesce fuor d’acqua il vice procuratore distrettuale Rachel Dowes e relief romantico di Bruce Wayne inventato apposta per il film; Morgan Freeman è Lucius Fox dirigente della Wayne Enterprises, che fornisce i giocattoli a Batman, facendo finta di non sapere niente.
Visto che il cast è minimale e non ci sono nomi di spicco, viene inserito qualcuno di famoso anche tra i ruoli minori, come Ken Watanabe, Tom Wilkinson e Rutger Hauer, perché quando si parla di Batman non si bada a spese.
Batman Begins è importante nella filmografia di Christopher Nolan per tutta una serie di motivi. Innanzitutto quello economico: il film incassa, tra tutto, mezzo miliardo di dollari a fronte di una spesa di 135 milioni. Christopher Nolan è ufficialmente nell’Olimpo dei registi che fanno guadagnare, il che significa che ora ha potere decisionale, non si deve più piegare alla volontà dei produttori e, soprattutto, ora può fare i film che vuole lui, come vuole lui, con il budget che serve, senza se e senza ma.
Secondo motivo: i cinecomic sono una cosa seria. Non sono solo per i fans, non sono film solo per bambini e non sono i pipponi allucinanti di Ang Lee. Sono film che hanno una dignità, sono una metafora per parlare di qualcos’altro, non è gente in una tutina aderente, sgargiante, che svolazza per la città e basta.
Terzo motivo: svela l’amore di Nolan per gli effetti speciali fisici, al posto di quelli fatti al computer. Cosa che tornerà poi in tutti gli altri film.
Batman Begins è il mezzo che Christopher Nolan usa per parlare di crescita e della paura vera o fittizia che questo comporta; dell’accettazione del proprio status con tutte le responsabilità e i limiti che questo comporta. Parla del potere del singolo individuo che può decidere di far fronte alle proprie paure ataviche e usarle per diventare una persona migliore, qualcosa di più di quello che pensa di essere, oppure soccombervi. E parla anche di ossessione e voglia di vendetta, come queste emozioni ci strumentalizzano e ci guidano in una corsa cieca verso la fine, se non riusciamo a girarle a nostro vantaggio.
Visto lo strepitoso successo e i soldoni guadagnati, la Warner/DC mette in cantiere un sequel e sotto contratto Nolan. Il risultato esce nel 2008: Il Cavaliere Oscuro e Christopher Nolan può fare quello che vuole. Ossia realizza il miglior cinecomic di tutti i tempi.
Il cast principale è lo stesso del primo Batman, tranne l’ex-moglie di Tom Cruise che viene sostituita dalla sorella di Jake Gyllenhaal, Maggie Gyllenhaal. Vengono inseriti poi Aaron Eckhart nei panni di Harvey Dent, procuratore distrettuale di Gotham City, nonché il futuro nemico Due Facce. E soprattutto Heat Ledger nell’iconico ruolo di Joker, suo ultimo spettacolare lavoro, ma questa è un’altra storia.
Il Cavaliere Oscuro è un film che gioca sul dualismo e sui simboli. Batman non è più un vigilante solitario che combatte il male di notte, sui tetti, ma assurge a diventare un simbolo, un vessillo sotto il quale la gente comune può riunirsi per far fronte all’immoralità di malavita e istituzioni che oramai sono interconnesse, il limite tra i due è completamente svanito, il caos è imperante ed è rappresentato dal Joker.
Il Cavaliere Oscuro può essere spiegato attraverso due frasi chiave. “O muori da eroe, o vivi tanto a lungo da diventare il cattivo” pronunciata da un Harvey Dent incorruttibile, ultimo baluardo di onestà, che vive abbastanza a lungo da diventare, effettivamente, il cattivo. Per fortuna nessuno lo vede, a parte Batman, che riesce a trasformarlo in un martire, un esempio da seguire.
“Certi uomini non cercano qualcosa di logico, come i soldi. Non si possono né comprare né dominare, non ci si ragiona né ci si tratta. Certi uomini vogliono solo veder bruciare il mondo.” frase pronunciata da un Alfred stanco e disilluso, ma che ancora crede che Bruce Wayne/Batman possano fare la differenza e salvare un mondo dominato dal caos.
Joker è il Deus ex machina che destabilizza perché non è interessato a nulla se non a sconvolgere l’ordine costituito. Non è un criminale legato ai soldi o al potere, anzi, il potere, malavitoso o istituzionale che sia, deve essere abbattuto. Il mondo deve essere scosso da un terremoto che confonde le acque, il sopra con il sotto, annullando qualsiasi punto di riferimento per chiunque lo abiti. Le sue cicatrici in faccia non hanno una storia, o meglio, hanno tante storie illusorie per mascherare una realtà sicuramente più prosaica e molto terrena, per questo, molto meno affascinante e deludente, come lo è la realtà che cerca di distruggere.
Batman è a un bivio per tutto il film, bivio che troverà compimento nel momento stesso in cui dovrà decidere se salvare Rachel, i sentimenti, o Harvey Dent, la logica, la giustizia, l’ordine. E alla fine opterà per la giustizia, perché appunto, ha deciso di essere un simbolo, non un uomo, e i simboli trascendono i sentimenti, sono l’incarnazione più pura di un concetto astratto. Così facendo, Batman sacrifica Bruce Wayne e sacrifica Due Facce, in favore di un Harvey Dent che è la rappresentazione essenziale dell’onestà e della via da seguire, unico modo per sconfiggere il caos del Joker.
Per Il Cavaliere Oscuro, Christopher Nolan, sempre coadiuvato da Goyer, attinge a piene mani da due capolavori del Batman fumettistico: Il Lungo Halloween e The Killing Joke per costruire la storia del film.
In questo film, Nolan, si affida quasi totalmente agli effetti speciali fisici. I mezzi di Batman, la Thumbler e la moto sono vere e funzionanti, così come gli inseguimenti: quello nella galleria è girato sia dal vivo che con delle miniature riprodotte in scala e, in un piccolo incidente, quasi spacca una delle telecamere IMAX che stava utilizzando, del costo approssimativo di un monolocale in centro a Milano. Anche la scena del camion che si ribalta è vera, ha fatto ribaltare davvero un camion, con dentro un vero autista, in mezzo alla strada. E il Batman in cima al grattacielo di Hong Kong è davvero Christian Bale in piedi in cima ad un grattacielo di Hong Kong, con un elicottero che gli gira intorno.
Il Cavaliere Oscuro è un successo, manco a dirlo, a fronte di una spesa di 185 milioni di dollari, nel mondo è il primo cinecomic a sfondare il tetto del miliardo di dollari di incasso.
La Warner/DC ha l’acquolina in bocca, non sembra vero che Batman incassi tutti quei soldi e vuole fare un terzo film. Christopher Nolan non ne ha molta voglia, ha già detto tutto quello che poteva dire sul personaggio nei primi due film. La Warner insiste, lo supplica, poi fa arrivare dei camion zeppi di dollari direttamente in banca di Nolan e lui, a malincuore, accetta, ma alle sue condizioni: “Voglio far schiantare un aereo…”
Dirigente Warner: “In che senso?”
Nolan: “Voglio iniziare il film con gente appesa appesa fuori dal portellone di un aeroplano grosso. Poi sta gente lo attacca a un altro aereo più piccolo e l’aereo più piccolo rimane appeso all’aereo grosso, poi uno dei due si schianta al suolo!”
D.W., sudando: “Pe… Perché…?”
Nolan: “Boh, c’ho voglia così, mò mi invento una scusa per farlo…”
D.W.: “Oh… Ok, vado ad accendere i Mac così i grafic…”
Nolan: “No! Voglio farlo dal vivo!”
Una volta rinvenuto il Dirigente Warner acconsente e Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno esce nelle sale nel 2012 ed è una delusione un po’ per tutti. Non che sia un brutto film, anzi, ma era praticamente impossibile bissare Il Cavaliere Oscuro come qualità e profondità e, per il mio personalissimo parere, è il film peggiore di tutta la filmografia di Christopher Nolan.
Il regista è evidentemente svogliato, lascia nella sceneggiatura delle voragini impossibili da colmare e da giustificare, con tutto il bene e la fantasia che gli si può accordare. Pesca un po’ da Il Ritorno Del Cavaliere Oscuro, capolavoro di Frank Miller, ma senza troppa convinzione, poteva andare più a fondo e prendere un po’ di più, così da tappare molto buchi. Inserisce timidamente Robin, interpretato da Joseph Gordon-Levitt e un Bane non troppo convincente, come personaggio, interpretato da un Tom Hardy tormentato da una maschera facciale per tutto il film che non lo fa respirare.
Neppure la Catwoman di Anne Hathaway e la presenza di Marion Cotillard riescono a dare quel brio che serve al film per elevarsi sopra la media come i due film precedenti. C’è ben poco da dire su Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno, se non che non sembra un film di Christopher Nolan e non è una degna conclusione della saga. E lo dico con la morte nel cuore, è un vero peccato che ci sia stato questo scivolone nella filmografia di Christopher Nolan.
Nonostante tutto, anche questo film incassa più di 1 miliardo, ma, come dicevo all’inizio dell’articolo, le conseguenze di questa saga sono devastanti per Warner/DC.
Nel 2008, come anticipato in precedenza, esce nei cinema il primo Iron-Man della concorrente Marvel, che, intanto, è stata acquistata dall’impero Disney. Il Marvel Cinematic Universe ha gettato le basi di un successo per i cinecomic senza precedenti. Film dopo film, anno dopo anno, la Disney/Marvel costruisce un universo coeso e coerente. Ogni supereroe va a fornire un tassello di un puzzle più grande che avrà il suo culmine ben 12 anni dopo con il più grande succeso della storia del cinema: Avengers: Endgame. Più di 4 miliardi di dollari di incasso in giro per il mondo.
La Warner/DC, invece, si trova con in mano un pugno di mosche. I Batman di Nolan, nonostante lo strepitoso successo, non sono fatti per essere inseriti in un universo di supereori, con gente che vola, valchirie centenarie con jet invisibili, gente che vive sott’acqua ecc… Sono troppo realistici e troppo seri per essere usati come primo tassello di un universo più grande. Batman ha il suo mondo ed è limitato a quello, non si può andare oltre. Nascono e muoiono all’interno di quella trilogia.
Inoltre, il tono dei film è molto serio, cupo e fa un contrasto quasi doloroso con la leggerezza e l’ironia dei film Marvel che il pubblico sembra apprezzare di più. Va bene se Batman è serio e cupo, abbiamo visto dei film d’autore, ma andiamo a vedere i supereori al cinema per tornare bambini per un paio d’ore, per lasciare fuori dalla sala cinematografica la pesantezza della vita, non vogliamo vedere uno col mantellino rosso che ci tira pipponi esistenziali, vogliamo che ci faccia divertire.
Terzo problema, la Marvel ha troppo vantaggio in termini di tempo e la Warner/DC cerca di recuperare i dieci anni di distacco e i dieci film, con due film: L’Uomo D’Acciaio e Batman Vs Superman: Dawn Of Justice. Ma si tratta di una corsa disperata e, nonostante alla produzione ci sia Nolan, i film non incontrano il favore del pubblico. L’ennesimo Superman e l’ennesimo Batman, con attori sempre diversi, personaggi nuovi che “intanto li buttiamo dentro, poi ve li spieghiamo” e l’operazione non funziona. Gli incassi Warner/DC sono ben lontani da quelli Disney/Marvel, così come il favore, l’apprezzamento e l’affezione del pubblico.
Insomma, un vero e proprio disastro commerciale.
Filmografia di Christopher Nolan: i kolossal
Eccoci all’ultima trance, la più succosa e personale di Christopher Nolan, perché con questi tre film, più uno, ha fatto davvero quello che voleva lui, senza sottostare alle logiche del mercato.
Il più uno di cui sopra è The Prestige. È il “più uno” perché ha avuto una lavorazione travagliata. Innanzitutto il progetto è cominciato quando ancora Memento non era uscito al cinema. L’adattamento del libro di Christopher Priest ha richiesto 5 anni per avere una sceneggiatura che convincesse Christopher Nolan, tra l’altro scritta a quattro mani con suo fratello Jonathan Nolan, che l’ha sempre accompagnato nelle produzione e Memento è tratto proprio da un suo racconto breve. Poi c’è stato di mezzo Batman Begins e un altro anno e mezzo perché Nolan riuscisse a focalizzare come voleva girarlo.
The Prestige è il film che meglio spiega la filmografia di Christopher Nolan, quasi fosse il film più intimo e personale del regista. Il cast è lo stesso di Batman Begins: ci sono Christian Bale e Michael Caine, con l’aggiunta di Hugh Jackman e Scarlett Johansson, nonché un piccolo e azzeccato cameo di David Bowie nei panni di Nikola Tesla e Andy Serkis, il suo aiutante.
La prima inquadratura si apre su una distesa di cappelli a cilindro tutti uguali, mentre la voce di Michael Caine ci spiega la base del cinema di Nolan e il film stesso: la Promessa; la Svolta; il Prestigio.
The Prestige si svolge nella Londra vittorian di fine ‘800, città affollata e in fermento per il progresso tecnologico rapido e l’enorme quantità di invenzioni che in quegli anni vedevano la luce. La storia si concentra sulla rivalità tra due illusionisti, Alfred Borden (Christian Bale) e Robert Angier (Hugh Jackman), in guerra continua per prevalere l’uno sull’altro e per raddrizzare un torto, vero o presunto, che uno ha fatto all’altro.
Le vendette e le ripicche tra i due si susseguono, fuori e dentro i teatri in cui si esibiscono. Il confine tra illusione e realtà, per loro, è così labile da scomparire completamente. L’una diventa l’altra e viceversa, il trucco diventa uno stile di vita, chi vive e ama Borden non ha alcun punto di riferimento, un giorno è in un modo, il giorno è in un altro.
Angier invece è ossessionato dal carpire il segreto del trucco migliore di Borden, il teletrasporto umano, a discapito di qualsiasi cosa, ma non per essere migliore di lui, solo per togliergli tutto, come è stato tolto a lui, e vendicarsi. I metodi dei due illusionisti sono estremi e portano a estreme conseguenze, a discapito di tutto e di tutti.
Christopher Nolan, come dicevo prima, divide il film in tre parti, la prima è la Promessa. La preparazione al trucco, è la parte che riempie di aspettative il pubblico, in cui l’illusionista “carica” il trucco che eseguirà poi.
La parte centrale del film è la Svolta, ossia la messa in scena del trucco, la realizzazione, quella che lascia il pubblico senza fiato, in cui ha solo l’intuizione che qualcosa stia succedendo, ma ancora non si è compiuto del tutto.
La parte finale, il Prestigio, è il compimento del trucco. L’uomo che scompare, riappare da un’altra parte, il pubblico scarica la tensione accumulata con l’applauso e il compiacimento, ma c’è sempre quell’ombra di dubbio che rimane sul trucco che spinge a volerne ancora e ancora, per riuscire a capire fino in fondo dove c’era la magia e dove c’era l’intelligenza umana nell’inventare l’inganno definitivo.
E cosa c’è di più definitivo della vita e della morte, soprattutto se entrambe sono solo un trucco?
Ancora una volta l’illusionista Christopher Nolan esegue il trucco sotto i nostri occhi, ma senza farcelo vedere. Mentre siamo concentrati a fissare la mano sinistra, il trucco lo fa mano destra e arrivati al Prestigio, ci rendiamo conto che il trucco era davvero semplice, quello che avevamo pensato all’inizio e un po’ delude sapere che il trucco è così misero, così prosaico. Eppure gli indizi li avevamo davanti agli occhi tutto il tempo, ma non li abbiamo voluti vedere, il Prestigio è l’unica cosa che conta e che ci fa applaudire, il trucco sminuisce tutto, la magia non esiste, esiste solo la scienza piegata dall’anima malata dell’essere umano che ha ambizioni più grandi di quanto possa sopportare e permettersi in realtà.
Arriviamo, finalmente, al primo grande kolossal di Christopher Nolan: Inception. Esce nel 2010, è importante la data perché viene subito dopo Il Cavaliere Oscuro e Nolan è diventato un regista da 1 miliardo di dollari di incassi, il che, come dicevo prima, significa che può fare quello che vuole e avere chiunque voglia nei suoi film, compreso Leonardo Di Caprio.
Oltre a lui, richiama Tom Hardy, Cillian Murphy, Ken Watanabe, Michael Caine, Marion Cotillard, Joseph Gordon-Levitt e la giovane e promettente Ellen Page.
Inception è il primo film veramente difficile di tuttala filmografia di Christopher Nolan. Un film che da 10 anni ci fa chiedere una solo cosa: quella maledetta trottola cade, sì o no?! Di teorie ce ne sono a bizzeffe e ognuno in cuor suo, alla fine, ha dato una risposta, a seconda della sua sensibilità e di quello a cui tiene.
In Inception, Nolan scandaglia i suoi temi base, è un film in cui assistiamo a un sogno, dentro un sogno, dentro un sogno e più andiamo a fondo, meno la realtà ci è chiara, il confine tra il vero e il finto, il costruito, è così labile da non esistere quasi. Più si va a fondo più il Tempo scorre veloce, mentre in superficie rallenta quasi a fermarsi. La mente diventa un giardino inerme nel mondo dei sogni, un posto in cui impiantare idee e quasi subito nessuno è più certo se il pensiero sia proprio o sia stato subdolamente instillato in lui da qualcuno. Ci attacchiamo a dei Totem, dei feticci per rimanere ancorati a una realtà che ci hanno costruito intorno, ma questi feticci hanno un valore solo per noi, nessun altro li riconosce come tali. È una metafora dell’uomo moderno, il cui obiettivo viene spostato sempre un po’ più in là. Cerchiamo la realizzazione in qualcosa che conosciamo bene, che ci fa male eppure ci dà la sicurezza di esistere, di essere aggrappati a qualcosa di solido che ci definisce, che ci fa sentire di essere importanti, anche quando siamo solo comparse, meteore nella vita di qualcun altro.
Il film si apre su un mare agitato in cui le onde spumose si infrangono sugli scogli: sono le nostre certezze che si sgretolano contro la dura superficie del dubbio che dobbiamo avere. I ricordi sono veri? Quello che vogliamo è vero? Siamo sicuri di avere quei bisogni?
Cobb (Leonardo Di Caprio) è all’inseguimento disperato di una vita, di valori, di uno status quo che, seppur esistito, non riuscirà mai più a trovare davvero, se non, forse, nel mondo dei sogni.
Quindi, questa maledetta trottola, cade o continua a girare per l’eternità?
Anche in Inception, la maggior parte delle scene è girata con effetti meccanici. La lotta di Gordon-Levitt nel corridoio che gira sul suo asse, in accordo con il camioncino che si ribalta, è girata in un vero corridoio rotante costruito appositamente su un’impalcatura. E non sono state usate controfigure. Purtroppo, Nolan, a malincuore, è dovuto ricorrere alla computer grafica per la scena di Parigi che si ripiega su se stessa, perché il comune non gli ha dato il permesso di installare dei pistoni pneumatici per farlo dal vivo. Però, vai a vedere la pignoleria di questo regista, alla fine del film, quando entriamo nel sogno di un sogno, di un sogno, tutto è girato e montato in tempo reale, calcolando i tempi giusti della realtà, dilatati, con quelli più veloci dei singoli sogni. Chapeau, mister Nolan.
Inception, in ogni caso, ha vinto 4 premi Oscar: fotografia, sonoro, montaggio sonoro ed effetti speciali e ha ricevuto le candidature anche per la sceneggiatura originale, scenografia e colonna sonora. Nel mondo ha incassato 830 milioni di dollari, ne è costato 160, a un soffio dal miliardo che, per un film come Inception che non è proprio per tutti i palati, è un risultato strabiliante.
Il secondo grande kolossal di Christopher Nolan è, senza ombra di dubbio, Interstellar del 2014, uscito una volta archiviata la trilogia di Batman.
Interstellar è quel film che, all’uscita della sala, ha fatto esclamare tutti: “Cosa cazzo ho appena visto?!”, perché è un film di una difficoltà e di un coraggio spaventosi. È basato su teorie fisiche e quantistiche di cui non so nemmeno scrivere il titolo e infatti, come consulente scientifico e produttore, c’è il fisico teorico Kip Thorne.
La sceneggiatura è di Jonathan Nolan, fratello di Chistopher, che all’inizio era stato ingaggiato da Steven Spielberg che voleva girare il film, prima di abbandonare il progetto, preso in mano in seguito da Christopher Nolan.
Jonathan e Christopher hanno dato vita ad un film mastodontico, scientificamente perfetto, come mi ha confermato mio cuggino che è uno dei massimi esperti italiani di Quark.
Interstellar è una storia semplice in un ambiente estremamente complicato. Il mondo sta per finire, le risorse sono ridotte all’osso, l’unico modo di salvare l’umanità è mandare qualcuno a cercare un altro pianeta abitabile dall’essere umano. Così Cooper (Matthew McConaughey) con Amelia Brand (Anne Hathaway), altri due scienziati e due Robot senzienti, Tars e Case, vengono mandati in una missione suicida per esplorare tre pianeti papabili alla sopravvivenza della razza umana.
Ma a Cooper, della razza umana, interessa poco, infatti la frase simbolo del film è: “Un tempo per la meraviglia alzavamo al cielo lo sguardo, sentendoci parte del firmamento, ora invece lo abbassiamo preoccupati di far parte del mare di fango.” perché la sua preoccupazione è dare un futuro ai suoi figli. L’essere umano, in Interstellar, non è altro che pulviscolo, in confronto all’immensità dello spazio. Cooper si troverà a dover attraversare un buco nero per salvare i suoi figli, mantenere la promessa fatta a sua figlia (Jessica Chastain) e, di conseguenza, salvare l’umanità intera, in un punto in cui tutte le dimensioni convergono, in cui il Tempo, passato, presente e futuro, non esiste come lo conosciamo noi.
Ancora una volta il Tempo e il suo scorrere diventano fondamentali, più ci si avvicina all’Orizzonte Degli Eventi più il Tempo rallenta e poche ore accanto al buco nero corrispondono a 23 anni trascorsi sulla terra e la missione diventa disperata. L’uomo non è niente in confronto a tutto ciò che lo circonda, non ha il controllo nemmeno sulla propria vita, pensa di averlo, ma ha intrapreso una parabola discendente che lo porta solo all’unico risultato possibile: l’estinzione. E sapete una cosa, nessuno si accorgerà mai di questa mancanza.
Infatti Cooper, una volta all’interno del buco nero, finito nel cubo iperdimensionale a cinque dimensioni creato da esseri superiori che tentano di aiutare l’umanità, capisce che l’unico modo per salvare i suoi figli è comunicare con la giovane Murph, sua figlia, dandole le istruzioni che le serviranno per costruire la base spaziale per salvare l’essere umano.
Interstellar, di tutta la filmografia di Christopher Nolan, è il più difficile da decifrare, può essere considerato un monito sulla strada sbagliata che abbiamo intrapreso, come un film sulla famiglia e i valori che abbiamo perso. Ognuno ne dà una sua interpretazione. Ha diviso critica e pubblico, c’è chi lo osanna, e chi lo odia. Io sto nel mezzo, perché sto ancora cercando di capirlo.
Interstellar ha vinto l’Oscar per i migliori effetti speciali, miniature e robot quasi funzionanti, ma questa volta Nolan si è dovuto piegare all’uso della computer grafica, perché Matthew McCanaughey si è rifiutato di entrare in un buco nero con una GoPro sul casco.
Così arriviamo all’ultimo film della filmografia di Christopher Nolan, un film di guerra, crudo, realistico e asciutto, quasi un documentario, ma più immersivo: Dunkirk, del 2017.
Dunkirk si apre con 6 soldati che vagano in una stradina vuota di Dunkerque, sotto una pioggia di volantini nazisti che intimano la resa, in quanto sono circondati e senza speranza.
Dunkirk è la vera storia dell’assedio tedesco agli eserciti francesi e inglesi, sulla spiaggia di Dunkerque. Se gli inglesi non si fossero salvati, la Seconda Guerra Mondiale avrebbe preso un’altra piega.
Dunkirk è un film di guerra molto particolare: per una volta i protagonisti non sono gli americani e gli antagonisti tedeschi non si vedono mai per tutto il film. La storia è suddivisa in modo irregolare su tre linee temporali diverse, che corrispondono ai tre scenari di guerra: terra, della durata di una settimana; mare, della durata di un giorno; cielo, della durata di un’ora. Le tre linee temporali si incrociano in vari punti, in modo non regolare. Ci sono pochissimi dialoghi, è tutto molto asciutto, senza un vero protagonista, una cronistoria di quei giorni, e di quelle ore, asciutta, basata tutta sull’impatto visivo e sonoro.
La colonna sonora è composta da Hans Zimmer ed è basata sulla Scala Shepard, tecnica già utilizzata in The Prestige, un espediente uditivo in continua ascensione che, piscologicamente, aumenta il coinvolgimento emotivo dello spettatore. E Dunkirk è tutto basata sulla partecipazione emotiva dello spettatore, non tanto per l’immedesimazione nei personaggi, quanto per empatizzare con il senso di ansia e di urgenza della situazione.
Non che non ci siano attori di rilievo, per esempio appaiono nel film Cillian Murphy, Kenneth Branagh e Tom Hardy, che ancora una volta, dopo Bane, recita con indosso una maschera per tutto il film, ma il vero fulcro del film è la situazione soverchiante in cui si sono trovati i soldati durante l’assedio di Dunkerque.
Ancora una volta l’uomo non ha il controllo della situazione e della sua vita, è costretto ad aspettare un aiuto esterno, i pescatori inglesi con le loro imbarcazioni, per uscire da una situazione disperata: da una parte l’esercito tedesco che avanza e dall’altra il mare. Non c’è via di scampo.
In Dunkirk non ci sono spacconate americane, gesti eroici o altre cose del genere, ma soldati che combattono il nemico e la paura, perché devono farlo, perché è l’unico modo di sopravvivere.
Ancora una volta Christopher Nolan si affida agli effetti visivi fisici per il film, limitando al minimo indispensabile la computer grafica, quindi anche gli aerei sono veri modelli della seconda guerra mondiale e quasi tutto che succede è ripreso su 65 mm e in IMAX 70 mm per una maggiore immersione nell’ambientazione. Se avesse potuto, avrebbe fatto scoppiare una guerra per aumentare al massimo il realismo e l’immersività del film.
Bene, con Dunkirk, che è costato 100 milioni di dollari e ne ha incassati alla fine 500, è finita questa carrellata nella filmografia di Christopher Nolan e mi auguro che vi sia piaciuto leggerla, come a me è piaciuto scriverla. Spero di non avervi annoiato, ma, anzi, di avervi intrattenuto e dato un punto di vista nuovo su film che, magari, sono dati per scontati, visti gli anni sulle spalle. Spero anche di avervi fatto scoprire qualcosa di nuovo, di avervi instillato un po’ di curiosità. E sono sicuro che mi sono dimenticato di dire qualcosa su questo o su quello, ma la filmografia di Christopher Nolan non è molto facile da esaminare approfonditamente in una volta sola.
Se volete farci sapere cosa ne pensate di tutto, potete scrivere nei commenti.
Personalmente, prima di scrivere questo articolo, mi sono rivisto i film e nonostante la full immersion, non vedo l’ora di andare al cinema a vedere Tenet. Di cui scriverò la recensione. Intanto, vi lascio con il trailer.