Il Cavaliere Oscuro - Il ritorno: la nostra recensione del film
Come concludere la trilogia su Batman in maniera degna dopo un film nel suo genere difficilmente superabile come Il Cavaliere Oscuro?
Come concludere la trilogia su Batman in maniera degna
dopo un film nel suo genere difficilmente superabile come Il Cavaliere
Oscuro?
Impossibile non pensare che Christopher Nolan, questa
domanda, se la deve esser posta. E la sua risposta, forse, non poteva che essere
quella offerta ne Il Cavaliere Oscuro – Il ritorno
.
Un film che, superata una impressionante ma nel complesso disgiunta scena
d'apertura, è la costruzione magniloquente ed elegiaca di un mausoleo nel nome del
personaggio che dà il titolo al film; un mausoleo che ricalchi, celebrandole e
irrigidendole fin quasi a renderle caricaturali, le architetture del secondo capitolo; un
mausoleo da erigere con possente e rigoroso sforzo e da abbattere con sollevante
iconoclastia, ma solo affinché il Simbolo possa continuare a esistere.
Se quindi in passato la metropoli letteralmente globale di
Gotham City era stata minacciata dalla follia e dalla casualità dello
Spaventapasseri e di Due Facce prima, e dal
caos anarchico e (ir)razionalmente sovversivo del Joker, oggi a
spezzare uno status quo ipocritamente pacifico è la rabbia primordiale, scientifica e
populista di Bane.
Il poderoso villian interpretato da Tom Hardy (follemente
penalizzato da una maschera che lo priva di mimica facciale, e doppiato in Italia da un
fastidioso Filippo Timi, ma comunque sconfitto in partenza dalla
possenza simbolica del Joker di Ledger) è
infatti il promotore di una rivolta letteralmente dal basso, di una rivoluzione dei reietti
e dei diseredati del Terzo Millennio che, in maniera fin troppo smaccata, cita quella
francese e quella russa; con tanto di degenerazione nel terrore, nel totalitarismo,
nella dittatura del proletariato.
Paradossalmente, però, Il Cavaliere
Oscuro – Il ritorno è assai meno intimamente politico del film che l’ha
preceduto, con buona pace di chi lo definisce addirittura fascista. La sua
sfacciataggine (nonché il sostanziale disinteresse dello stesso Bane
per ogni sfumatura politica della rivolta da lui stesso guidata) rivela, ancora
una volta, che l’attenzione reale di Nolan è tutta in ciò che
apparentemente sta ai margini. E, in questo caso, nei temi portati avanti dai
personaggi realmente centrali (ma non per questo migliori) del film:
Batman, la Catwoman di Anne
Hathaway, il Blake/Robin di Gordon
Levitt, la Miranda di Marion Cotillard, perfino
Alfred e il commissario Gordon.
Perché tra questi ultimi due film di Batman c’è stato
Inception: e come in quel film, qui Nolan
esplora (con imbarazzo e qualche goffaggine) la possibilità sentimentale di
radere al suolo un passato, di liberarsi del ricordo e della colpa, per ricostruire un
futuro nuovo, diverso, migliore, più libero.
L’unico modo per farlo, appunto, è fare di quel passato un
mausoleo – fisico, interiore, di celluloide – e poi lasciare che venga distrutto dalla sua
retorica e apparentemente ingenua esaltazione .
Il Simbolo continuerà ad esistere, ma la sua forma sarà nuova, diversa.
Sperabilmente migliore ma, di certo, più libera.
E, soprattutto, consolatoria per lo spettatore, cui Nolan
ammansisce lo stesso gioco tra disperazione e speranza teorizzato dal suo
corpulento villain.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival