Better Call Saul 6 Recensione: un'ultima stagione sorprendente

Better Call Saul 6 Recensione: un'ultima stagione sorprendente

Lo spin-off di Breaking Bad ci saluta e lo fa nel migliore dei modi, tirando le fila dell'esistenza di Jimmy McGill in una stagione eclatante.

Better Call Saul 6 Recensione: un'ultima stagione sorprendente
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Ogni cosa è destinata a finire. Questo è verosimilmente il motto che pubblicizza le stagioni conclusive degli show televisivi più importanti. Per quanto didascalico e inevitabile, quel momento è arrivato anche per Better Call Saul, lo spin-off prequel di Breaking Bad che abbiamo recensito di settimana in settimana con crescente entusiasmo nel corso di questi mesi. La serie di Vince Gilligan e Peter Gould nelle sue sei stagioni non solo è riuscita a raccontare il passato di Jimmy McGill e la nascita di Saul Goodman, ma anche a gettare un ponte con il presente post-BB per offrire un'evoluzione a tutto tondo dei suoi personaggi culminata nel clamoroso series finale che vi abbiamo raccontato nella nostra recensione di Better Call Saul 6X13.

Prima di congedarci a nostra volta dal personaggio portato sullo schermo da un Bob Odenkirk mai così in forma, tiriamo le somme su quest'ultima sorprendente stagione di Better Call Saul e, forse, scopriremo che non sempre le cose sono destinate a finire; a volte basta solo ristabilire l'ordine nel nostro piccolo, personale universo.

Uno, nessuno, centomila

L'evoluzione dei personaggi di Jimmy e Kim rappresenta un pilastro della narrativa di questo show e mai in questo caso i loro archi di sviluppo vengono portati a piena maturazione in un'interdipendenza congeniale che esplora i vissuti per declinare appieno la natura stessa dei protagonisti.

Kim Wexler si è rivelata la vera arma segreta nella drammaturgia imbastita da Gilligan e Gould ed è illuminante analizzare a posteriori il suo percorso e l'importanza che nel corso dei vari capitoli ha assunto questo personaggio, che si è conquistato di diritto il cuore degli appassionati. Il suo percorso è per molti versi parallelo a quello di Jimmy e si declina nel rapporto con Howard, che in questa sesta tornata di episodi diventa l'ossessione della donna, decisa ad imbastire un piano che lo possa screditare, ma che condurrà a tragiche conseguenze, frutto della commistione di elementi criminosi che interessano la carriera di Jimmy, rinato come Saul dopo l'impossibilità di realizzarsi all'interno dello studio del fratello Chuck. L'affiatamento tra Jimmy e Kim ha i lineamenti di una presa di coscienza reciproca che fa emergere la voglia di esplorare la loro vera natura truffaldina, applicandola anche all'ambito legale. La differenza tra i due risiede nel fatto che Kim realizza di essersi spinta ben oltre il limite, il che la spinge a fare un passo indietro e a mettere fine alla relazione con Jimmy, perché l'amore non può bastare quando manca l'elemento che li fa sentire entrambi vivi, quella pulsione al raggiro, quel gioco che ha infine causato tanta morte e sofferenza.

Una svolta che Jimmy elabora in maniera diametralmente opposta, diventando definitivamente il Saul che tutti conosciamo e che lo porterà inevitabilmente a perdere nuovamente tutto e a rifugiarsi in Nebraska sotto le mentite spoglie di Gene Takavic. Ma Better Call Saul non si ferma alla triplice maschera di Bob Odenkirk, perché Jimmy incarna sempre e comunque a suo modo un personaggio diverso, a seconda della persona con la quale ha a che fare. La sua è una figura plastica, mefistotelica, che plasma pensieri e parole per uscirne sempre vincitore, dagli esordi con Marco al patteggiamento finale.

Ma è ancora una volta Kim a mutare gli equilibri e a stabilire volente o nolente la direzione nella quale andranno gli eventi. Gli ultimi episodi di Better Call Saul raccolgono i cocci di una vita, quella di Jimmy, vissuta tra la necessità di nascondersi al mondo intero e l'impossibilità di essere sempre e comunque se stesso come la sua natura reclamerebbe; e l'illuminazione arriva dalla confessione finale di Kim, incapace a sua volta di condurre una vita ordinaria e incolore quando ad emergere è l'incognita del suo ex marito. Per riportare ordine nel suo personale universo quest'ultima decide di fare la cosa giusta e questo gesto fa cadere definitivamente la maschera di Saul per riconsacrare appieno Jimmy McGill e vivere un'esistenza non desiderabile, ma necessaria a fare pace con se stesso e con la donna che ama.

Linearità spiazzante

Better Call Saul 6 non ha bisogno di particolari trucchi drammaturgici per stupire e tenere incollati gli spettatori allo schermo. A dire il vero è dalla linearità narrativa che lo show di Gilligan e Gould trae la propria forza. Una basilare consecutio tra causa ed effetto che viene articolata in una scrittura compassata che gioca a tutto campo sull'introspezione dei personaggi, ma che sa come assestare colpi netti e decisi quando la situazione lo richiede.

È nei dialoghi che risiede la peculiarità di questa serie, nel loro esplorare l'essenza e la moralità di protagonisti e antagonisti. Linee narrative che danno lustro a personaggi che pensavamo già di conoscere dalla serie madre, dei quali non percepivamo la necessità di approfondimenti che ci siamo ritrovati a bramare e ad amare nel corso di questi anni quando ci sono stati serviti dalla penna degli sceneggiatori. Se il Gus Fring di Giancarlo Esposito è quello che forse ha goduto di uno sviluppo forse meno eclatante di quanto sperato, nonostante le occasioni non siano affatto mancate (ricordate la recensione di Better Call Saul 6X05?), e avremmo desiderato anche qualcosa di più articolato per Lalo Salamanca, non possiamo fare a meno di constatare quanto l'insieme delle storyline di questi personaggi secondari già da solo sia valso il prezzo del biglietto. E vedere Mike Ehrmantraut perdere in ogni circostanza pezzi di umanità pur cercando di rimanervi ferocemente attaccato ne è l'esempio calzante.

Certo, non sono mancati momenti più sottotono, soprattutto nella prima parte della stagione, ma questi ultimi si sono rivelati quasi sempre propedeutici ad uno sviluppo quanto mai ragionato delle dinamiche che hanno chiuso il capitolo Salamanca-Fring (per ora) e ci hanno catapultati verso un finale che è riuscito a esplorare la parentesi temporale introdotta cripticamente dai prologhi delle varie stagioni; un azzardo che ha preso la forma di un climax ascendente per raccontarci attraverso pochi e fondamentali step l'esistenza di Gene Takavic e la costante presenza di Saul sotto la superficie.

Forma e contenuto

Better Call Saul 6 è anche il trionfo dei suoi due principali interpreti: Bob Odenkirk e Rhea Seahorn, che in questa stagione giocano un campionato tutto loro, riuscendo a mettere in secondo piano le pur sempre splendide performance dei colleghi. Un'alchimia camaleontica quasi perfetta quella tra i due, che anche solo attraverso semplici dialoghi sono riusciti a regalarci alcuni dei momenti migliori di BCS. Alchimia che si è riproposta su larga scala anche nella dicotomia tra scrittura e messinscena.

La prima, come già accennavamo poc'anzi, ha saputo esprimere in maniera tanto essenziale quanto lineare l'ordito nelle cui trame ha pazientemente filato le vicende dei suoi protagonisti, giocando ripetutamente sul sottotesto e su un foreshadowing che, come nella migliore tradizione di Breaking Bad, ha riempito i teaser della maggior parte degli episodi, fornendoci tutti gli elementi necessari a decifrare, ad esempio, il destino di Nacho e di Howard.

Il tutto declinato attraverso una regia che ha saputo trasporre a colpo sicuro gli stilemi della scrittura, in una visione che nella classicità della sua impostazione ha giocato moltissimo sui punti di vista, sui reaction shot, sui primi piani e sugli immancabili campi lunghi; elementi che in Breaking Bad rappresentavano la firma di Michael Slovis e che Better Call Saul riesce a declinare a suo modo, permeandoli di un'aura nuova seppur familiare, esprimendo le tinte di un presente incolore che vede brillare negli occhi dei protagonisti le tinte di un passato folgorante e terribile al tempo stesso, impastandole in un montaggio in grado di dosare i singoli elementi con ritmo e tensione, senza sacrificare l'importanza di silenzi e pause tanto necessari quanto protagonisti di alcuni momenti topici.

E se l'incrocio con la serie madre si è concretizzato in qualche momento di fan service iniziale, il ritorno sul piccolo schermo di Walter White, di Jesse Pinkman e di tutti i comprimari del passato hanno dato un contributo per certi versi sostanziale all'evoluzione finale di Jimmy McGill, consegnandoci un ultimo atto che ha definitivamente consacrato uno dei drama migliori degli ultimi anni.

Better Call Saul - Stagione 6 Better Call Saul ci lascia, ma alla tristezza del congedo si unisce la felicità per avere assistito ad un’ultima stagione sorprendente, in grado di alzare ulteriormente l’asticella del drama televisivo. Le vicende dei protagonisti si intrecciano in percorsi e ricorsi che legano il passato al presente e ci restituiscono un quadro completo e soddisfacente dell’essenza stessa di Jimmy McGill, splendidamente interpretato da Bob Odenkirk. La vera rivelazione rimane comunque la Kim Wexler della bravissima Rhea Seahorn, motore dell’azione e arma segreta nelle mani di Gilligan e Gould. Dopo aver assistito alla consacrazione formale dell’armonia tra una scrittura tagliente nella sua linearità e una messinscena a tratti clamorosa, lasciamo l’universo di Better Call Saul soddisfatti e rincuorati dal fatto che tutte le incognite di questo viaggio hanno infine condotto ad un risultato strabiliante.

9.5