Perché Angela Merkel è stata la Cancelliera più popolare di Germania | ISPI
20 Set 2021

Perché Angela Merkel è stata la Cancelliera più popolare di Germania

Verso il voto

La sera del 9 novembre 1989, a Berlino, la zona di transito situata nella Bornholmer Strasse è il luogo più importante del mondo. È quello il checkpoint in cui si aprono i cancelli fra la zona est e quella ovest della città, è da lì che per la prima volta i berlinesi orientali passano dall’altra parte di un muro che in quel momento sta cessando di esistere, almeno fisicamente. Tra di loro c’è anche una giovane scienziata di 35 anni, nata ad Amburgo ma vissuta da sempre nella DDR, in Brandeburgo – il Land intorno a Berlino – dove il padre faceva il pastore luterano. Di formazione è una fisica, e lavora come ricercatrice al Zentralinstitut für Physikalische Chemie, l’Istituto Centrale per la Chimica fisica dell’Accademia delle Scienze di Berlino Est. Quella sera anche lei, come tantissimi suoi concittadini, passa dai cancelli aperti nella Bornholmer Strasse e si avventura per un breve giretto a Ovest. Si ferma a una cabina telefonica e chiama una zia che vive ancora ad Amburgo, si ferma ancora un po’ da quelle parti, poi torna a casa. Se quella sera le avessero detto che avrebbe cambiato la Germania – e l’Europa – probabilmente non ci avrebbe creduto, ma se proprio si fosse sforzata avrebbe magari immaginato qualche grande scoperta legata al suo lavoro di ricerca. Difficilmente avrebbe pensato alla politica. E invece è proprio quello l’ambito in cui rivelerà uno straordinario talento, che la porterà negli anni a bruciare numerose tappe. In quei mesi turbolenti si avvicina ai movimenti democratici che nascono a Est, e viene notata da Helmut Kohl, il Cancelliere della CDU eroe della Riunificazione. Kohl la prende sotto la sua ala protettiva – la chiama addirittura la sua Mädchen, (“ragazzina”) – e fa in modo di inserirla nelle liste elettorali per il voto che si terrà nel dicembre del 1990. Non solo: se la porta pure al governo. Nel 1991 la nomina Ministra per le donne e i giovani, nel 1994 – dopo un’altra vittoria elettorale – le offre il Ministero dell’Ambiente. La Mädchen venuta dall’Est sembra quasi un alieno agli occhi del resto del partito, composto in gran parte da uomini di mezza età sempre vissuti a Ovest. In pochi la prendono sul serio: ma sono costretti a ricredersi quando, nel 1999, con la CDU al centro di uno scandalo finanziario che coinvolge direttamente lo stesso Kohl, devono assistere attoniti al colpo di mano con cui lei riesce a rottamare il suo padrino politico e a prendersi il partito, al cui vertice viene eletta nell’aprile del 2000. La Mädchen non è più la “ragazzina”; per molti è diventata una Vatermörderin, una parricida.

I conservatori in quel periodo sono all’opposizione: al governo c’è il socialdemocratico Gerhard Schröder, che insieme ai Verdi sta iniziando una stagione di profondo cambiamento che rinnoverà il volto economico e sociale del Paese. La Germania viene infatti da una fase di grave crisi, tanto da essere marchiata come “malato d’Europa” dall’Economist. Il governo rosso-verde guidato da Schröder implementa una serie di riforme che contribuiscono in maniera decisiva a invertire la tendenza, trasformando in pochi anni il malato d’Europa nella locomotiva del continente. Il costo politico è però molto alto, e il Cancelliere socialdemocratico perde progressivamente appoggio nel suo partito e consenso nell’elettorato: alle elezioni del 2005 la SPD finisce dietro alla CDU e perde la guida del paese. A sfidare Schröder per la cancelleria è proprio la leader dei conservatori, che dopo qualche settimana di trattative riesce a formare un governo sotto la sua guida.

È stata la più giovane Ministra della storia politica tedesca fino ad allora, la prima leader di partito: ora è anche la prima donna a diventare cancelliera. Nessuno più parla di Mädchen: ora bisogna rivolgersi a lei come die Kanzlerin. E lo si dovrà fare per i successivi sedici anni, fino al 2021.

In questi sedici anni di governo l’Europa e il mondo sono cambiati profondamente. E al centro di queste fasi di cambiamento la Kanzlerin c’è sempre stata, capace di lasciare la sua impronta soprattutto nei momenti più critici.

Se c’è un elemento che ha caratterizzato il suo cancellierato si tratta proprio delle crisi, numerose e ripetute durante la sua reggenza. Crisi che però si sono rivelate un ambiente particolarmente congeniale all’espressione del suo talento politico, tanto che ai suoi soprannomi se n’è aggiunto un altro: Krisenkanzlerin, la “Cancelliera delle crisi”. Straordinaria crisis-manager, la Krisenkanzlerin ha mostrato nell’affrontare queste situazioni difficilissime abilità e caratteristiche fondamentali, che tuttavia non sono necessariamente sempre positive. Prendiamo la crisi del debito greco, ad esempio: alcuni suoi collaboratori ricordano come la sua tattica principale consistesse nell’aspettare, nel temporeggiare senza prendere l’iniziativa, sostenendo con una certa ipocrisia ora una posizione ora l’altra, come se non ci fosse alcuna visione di fondo, a lungo termine. Una tattica che però le ha permesso di scongiurare il crollo dell’Unione e al tempo stesso di non scontentare troppo gli elettori tedeschi, tendenzialmente ostili all’idea di nuovi prestiti per salvare i greci.

Ma le crisi sono anche lo scenario in cui possono dispiegarsi le qualità migliori di un politico. Come quelle che le vengono riconosciute durante la crisi dei rifugiati, quando nel 2015 apre le frontiere della Germania ai migranti che fuggono dalla guerra in Siria lungo la rotta balcanica, trasformandosi in leader morale dell’Europa in un momento cruciale della storia dell’Unione. In patria non tutti sono d’accordo con la sua scelta, e infatti la sua popolarità subisce un brutto colpo. Molti tedeschi apprezzano la sua coraggiosa decisione, ma altri temono invece l’impatto che questa ondata migratoria potrà avere. Soprattutto a Est, dove le condizioni economiche e sociali sono più precarie, le manifestazioni contri i rifugiati – e contro la Cancelliera – diventano sempre più frequenti, e nuovi partiti nazionalisti e xenofobi come Alternative für Deutschland (AfD) acquistano in brevissimo tempo grande forza.

Anche durante la crisi pandemica, che ha sconvolto la Germania così come il mondo intero, i tedeschi si sono rivolti a lei con fiducia e speranza, consapevoli che se c’era qualcuno in grado di tirarli fuori da un’emergenza così grave e inedita era proprio la loro Krisenkanzlerin, che infatti in questi due anni è rimasta sempre saldamente in testa in tutti i sondaggi di popolarità.

L’Europa e il mondo recano sicuramente traccia dei sedici anni di governo della cancelliera. Ma la Germania? Sembra paradossale dirlo, ma in patria la Kanzlerin è stata un fattore di rinnovamento molto meno rilevante rispetto all’estero. La Germania è cambiata meno di quanto fosse lecito aspettarsi, e sicuramente meno di quanto avrebbe dovuto. Con gli anni sono emersi tutti i problemi legati alle riforme implementate da Gerhard Schröder, che hanno portato il paese ai vertici delle economie mondiali ma i cui costi sociali sono diventati sempre più evidenti. La cancelliera avrebbe dovuto inaugurare una nuova stagione se non di riforme, almeno di aggiustamenti delle riforme realizzate dal suo predecessore, ma non l’ha mai fatto. In un editoriale a pochi giorni dal voto del 2017, l’Economist si augurava che, giunta a quello che prevedibilmente sarebbe stato il suo ultimo mandato, la Cancelliera mettesse finalmente mano a una rimodernizzazione dell’impianto economico e infrastrutturale del paese, libera dai vincoli che una nuova ricandidatura si sarebbe portata dietro. Ma questa rimodernizzazione non c’è stata, e anche oggi, alla vigilia di nuove elezioni, fra i temi del dibattito politico continuano ad esserci quelli che hanno animato le campagne elettorali da moltissimi anni. Come ad esempio la Digitalisierung, la “digitalizzazione”, da sempre problema cruciale in un paese che è agli ultimi posti per la diffusione di connessioni Internet in fibra ottica, costo di giga mobili e copertura digitale del territorio. O il sistema pensionistico, che da anni richiede una risistemazione che tocchi anche la questione dell’età pensionabile senza però che alle numerose proposte fatte siano seguite modifiche sostanziali.

Forse anche per questo, di fianco alla grande stima e gratitudine che i tedeschi provano per la cancelliera, c’è anche un po’ di stanchezza, una certa insofferenza per il suo centrismo esasperato, la sua scarsissima iniziativa, la sua spiccata tendenza ad attendere che i problemi si risolvano da soli, con il passare del tempo. Alcune trasmissioni satiriche hanno spesso realizzato sketch in cui il suo nome è sinonimo di una particolare condizione medica, tra i cui effetti si annoverano l’immobilismo, l’incapacità a prendere una decisione e a scegliere da che parte andare. E come dimenticare i suoi comizi? Molti giornalisti hanno osservato la minuziosa costruzione dei suoi interventi: una frase per tranquillizzare gli elettori conservatori, una per attrarre quelli socialdemocratici. L’addormentamento del dibattito, la neutralizzazione della conflittualità elevati a principio guida della strategia politica.

La sua uscita di scena, annunciata nel 2018 quando fece sapere che non si sarebbe ricandidata alle elezioni del 2021, deve essere ancora assorbita dal sistema politico tedesco. Inevitabile, vista la sua lunghissima parabola alla guida del paese. Alcuni dei cittadini che il prossimo 26 settembre si recheranno ai seggi per votare non erano neanche nati quando lei divenne Cancelliera. Abituarsi a un nuovo cancelliere non sarà semplice, e non solo per loro: forse anche per questo motivo i tre candidati alla successione non si avvicinano neanche lontanamente al livello di popolarità della Kanzlerin.

Perché nonostante tutto non è per niente facile rimpiazzare Angela Merkel.

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