Zoe Saldana: «Non chiedete il permesso»

Lei lo ha imparato dalle donne della sua famiglia e ora lo dice alle giovani là fuori. Zoe Saldana, regina degli incassi e personalità tra le più influenti, ha le idee chiare sul sessismo. E a noi parla del suo lavoro, dell’educazione dei figli (maschi) e dei vantaggi di parlare l’italiano
Foto Yulia Gorbachenko
Foto Yulia GorbachenkoFoto Yulia Gorbachenko

Questo articolo è pubblicato sul numero 18 di Vanity Fair in edicola fino al 2 maggio 2023

«A Hollywood il sessismo è più forte, più prepotente del razzismo». Zoe Saldana lo dice senza esitazione alcuna. Li ha subiti entrambi. Si è sentita dire da un produttore: «Ti ho presa per fare la figa in costume da bagno e pistola in mano». Ma ha anche perso dei ruoli perché troppo nera, troppo bianca, troppo etnica, troppo fuori da ogni schema. «Certe cose sono successe. Oggi succede che ci sono persone di colore che vincono l’Oscar, ma lei ha mai sentito di donne che vengono riconosciute per il lavoro straordinario dietro le quinte, al montaggio del suono, per esempio?».

Mentre Parigi si sveglia e si prepara a rilento per una fredda domenica di primavera, Zoe Saldana è già pronta e online. Alle 9 sul video appare il nome utente «Perego Boys». «Perego» è il cognome del marito Marco, artista italiano che l’attrice ha sposato dieci anni fa dopo il colpo di fulmine su un aereo e una manciata di appuntamenti; «Boys» sta per i maschi di casa: oltre a Marco, i gemelli Bowie Ezio e Cy Aridio, e il terzogenito Zen. «Devo stare qui fino a luglio», dice. «Sto girando con Jacques Audiard Emilia Perez, un musical che mi riporta in un mondo che conosco da quando sono bambina, quello della danza e del canto».

Yulia Gorbachenko

Sofisticata ma selvaggia, magnetica come solo certe star, calorosa come solo i latini (ha origini dominicane e portoricane, anche se è nata negli Usa), Zoe Saldana è un tipino acceso che si racconta un sorriso alla volta. E di ragioni per sorridere ne ha parecchie. Il Time l’ha appena inserita nella lista delle 100 personalità più influenti del 2023. La motivazione più bella: è una pioniera per le donne e le persone di colore a Hollywood, perché ha sempre sostenuto la necessità di una maggiore rappresentanza. È da poco diventata la prima attrice nella storia a recitare in quattro progetti che hanno incassato oltre due miliardi di dollari: Avatar, che nel 2009 l’ha fatta conoscere al grande pubblico, il seguito uscito l’anno scorso, Avengers: Endgame e Avengers: Infinity War; record che, tra l’altro, potrebbe superare con i successivi episodi della saga di James Cameron, già in programma, e con l’ultimo capitolo dei Guardiani della Galassia, nelle sale dal 3 maggio.
Se non bastasse, la casa di produzione di Zoe Saldana, la Cinestar Pictures, fondata insieme alle sorelle Cisely e Mariel con lo scopo di celebrare e raccontare storie di donne e di latini, sta volando alto con la docuserie sulle eroine della Marvel MPower, disponibile su Disney+, e con il reality Meet Me in Paris, che segue tre single alla ricerca dell’amore e che a breve si replicherà a Roma.

Avatar, gli Avengers, i Guardiani della Galassia. Lei è la regina della fantascienza. Che cosa risponde a chi critica l’inarrestabile produzione di sequel e franchise?
«Lo rispetto. Però, mi permetto di far notare che sono tutti film innovativi, e speciali perché si rivolgono ai più giovani, che una certa comunità all’interno di questa industria tende a trascurare, preferisce sottovalutare il loro bisogno di essere considerati e celebrati, anche ispirati. Per non parlare degli intellettuali che continuano a storcere il naso e a non rendersi conto che i superhero movie toccano la vita delle persone che si sentono outsider».

Completo e bracciali, Saint Laurent by Anthony Vaccarello.

Yulia Gorbachenko

In Guardiani della Galassia Vol. 3 l’armata Brancaleone di ladri, cacciatori di taglie e reietti messa insieme da James Gunn è all’ultima missione. Che cosa le mancherà di più del suo personaggio, Gamora?
«Di sicuro non mi mancheranno le ore di make-up per diventare lei, nonostante si siano ridotte da un capitolo all’altro: nel primo episodio avevo la sveglia alle due del mattino, servivano fino a quattro ore e mezza ed era estenuante; nel secondo siamo scesi a tre e mezza. Grazie ai film degli Avengers abbiamo perfezionato il processo e alla fine ce la siamo cavata in due ore e mezza per incollare le protesi e i capelli, colorare la pelle, applicare il trucco».

I suoi figli la preferiscono in versione verde Gamora o blu Neytiri in Avatar?
«Mi preferiscono mamma. Non hanno ancora visto tutti i miei lavori: sono troppo piccoli (i gemelli hanno otto anni e Zen sei, ndr) e hanno il cuore così gentile che non tollerano i contenuti violenti. È un bene. Hanno apprezzato le produzioni animate che ho doppiato: Il libro della vita, My Little Pony, Maya e i tre guerrieri, Mister Link».

Che rapporto hanno con la sua fama?
«Fanno domande naturali, perché sono confusi: io e mio marito insegniamo loro a non parlare con gli estranei, ma poi mi vedono scattare foto con perfetti sconosciuti. Ci vogliono risposte pronte e tempo. È complicato crescere i figli sotto gli occhi di tutti, siamo persone riservate. Tre sono le cose su cui insistiamo, anzi, siamo un po’ assillanti (ride, ndr): è importante che, da privilegiati, non perdano il contatto con la realtà; che non siano sempre al centro dell’attenzione senza meritarselo, senza dare alcun contributo significativo al mondo; che capiscano la differenza tra essere artisti ed essere celebrità. In genere spiego loro: “Vostro padre e io facciamo mestieri che incuriosiscono le persone, stimolano la creatività. Però non stiamo inventando la ruota o debellando le malattie”».

Non sono concetti facili per dei bambini.
«I miei figli sono fatti di fuoco: sono calore, sono entusiasmo, sono scoppiettanti. L’altro giorno uno di loro mi ha detto: “Mamma, fai un respiro profondo quando ti senti frustrata da noi, dai nostri errori, e ripeti nella tua mente: I’m the queen of chill (la regina della quiete, ndr)”».

Suo marito parla in italiano con Bowie, Cy e Zen?
«Sempre! Lo sto imparando anch’io seriamente da un paio d’anni. Marco è contento che possiamo usarlo in ambienti in cui gli altri non lo capiscono (ride, ndr)».

Lei conosce anche lo spagnolo, ha vissuto per un po’ in Repubblica Dominicana.
«È stata la mia seconda casa. Quando mio padre è morto, mia madre ha detto a me e alle mie sorelle: “Non credo di riuscire a crescervi in modo ottimale qui (nel Queens, New York, ndr), da sola, senza il supporto spirituale, psicologico e fisico del vostro papà. Ci trasferiamo”».

Aveva l’età dei suoi figli. Li ha già portati a Santo Domingo?
«Sì, ma siamo stati di più in Europa, in Italia. È colpa mia: se vivi a Los Angeles e lavori senza sosta, nel tempo libero vuoi stare a casa, non viaggiare. C’è un’altra verità: mia nonna è venuta a mancare nel 2019, solo ora sento di riuscire a gestire il lutto, prima era troppo doloroso stare in Repubblica Dominicana. Alla fine ho portato i bambini l’anno scorso tre settimane: hanno giocato con i cugini, visitato la tomba di mio padre, scoperto ogni angolo del territorio. Sono isolani, è nel loro sangue».

Abito, Alaïa. Gioielli, Patricia Von Musulin.

Yulia Gorbachenko

Com’è stato crescere in una famiglia prevalentemente matriarcale?
«Le donne intorno mi hanno insegnato l’indipendenza dai giudizi maschili. “Siate padrone delle vostre decisioni”, dicevano. “Non chiedete il permesso a un uomo. Non dipendete economicamente da lui”. Non era ribellione: era desiderio che facessimo tesoro della loro esperienza».

Poi, adolescente, è tornata a New York.
«Là studiavo danza, qui ho cominciato a studiare recitazione. Per guadagnare qualcosa, essere indipendente e andare al cinema o a teatro con le mie sorelle ho lavorato da Burger King: prima alla cassa, poi a cuocere gli hamburger e alla fine al drive-in».

Che cosa ricorda degli esordi a Hollywood?
«Credo che una parte di me non fosse del tutto consapevole di quello che stava facendo. Affrontavo l’ignoto con il cuore e la mente aperti, e mai da sola. Mi portavo sempre dietro qualcuno: alle audizioni con il regista, ai festival, quando un produttore voleva incontrarmi nel bar di un hotel perché diceva di piacergli il mio lavoro. Mi creavo un livello di protezione».

È un consiglio pratico che sente di dare a chi vuole diventare attrice oggi, anche dopo il Me Too?
«Sì. Ma credo che la vera sfida adesso sia comprendere che c’è una bella differenza tra essere una celebrità ed essere un’artista. Viviamo in un’epoca in cui i social media determinano il nostro potenziale in ogni ambito. Essere un’artista vuol dire lavorare duro, seguire i corsi, guardare tutti i film, studiare i grandi registi e le grandi interpretazioni che ispirano. Non solo: andare a letto presto, fare esercizio fisico, meditare, soprattutto non lasciarsi sedurre dalla vita
notturna. Siate serie! Perché questo mestiere non è facile, e non comportatevi come se lo sia».

Quanto è cambiata Hollywood dal suo debutto?
«Credo che non ci libereremo mai del modello di civiltà eurocentrico. Però, ci stiamo evolvendo: ci sono artisti figli di famiglie miste, persone gender fluid ai posti di comando che danno il via libera a storie “altre” fino a poco fa ignorate. Se a volte ci sentiamo frustrati, è solo perché il cambiamento non è tanto veloce quanto vorremmo. Ma sta accadendo, ed è importante riconoscerlo, sottolinearlo, per continuare a nutrire speranza per il futuro. Di sicuro siamo un posto migliore rispetto a 20 anni fa».

Qual è la soluzione per vincere «il sessismo più forte, più prepotente del razzismo»?
«Più noi donne facciamo sistema e più creiamo valore e contenuti, più difficile sarà per gli uomini tenerci ai margini».

Dobbiamo anche sempre affrontare il dilemma carriera o maternità.
«Di continuo. Io più invecchio e meno mi preoccupo di come mi vedono gli altri. Pensano che non sia una buona madre perché troppo impegnata col lavoro? Amen. Credono che non faccia abbastanza come attrice perché i figli e la vita famigliare sono d’intralcio? Pace. Non mi importa. Mi interessa solo il dolore che provo a stare lontano dai miei bambini: li amo fottutamente! Sono gli esseri umani più squisiti che abbia mai conosciuto».

Zoe Saldana, 44 anni, nei panni di Gamora in Guardiani della Galassia Vol. 3, nelle sale dal 3 maggio.

Marvel Studios

Che cosa le piace dell’aver sposato un italiano?
«È molto orgoglioso della sua cultura, delle sue origini. Gli americani non lo sono: sono capitalisti, pensano sempre al lavoro-lavoro-lavoro, al successo-successo-successo. Per loro è importante quello che fai. Per noi è importante circondarci di amici che mettono al primo posto la qualità della quotidianità. Peccato che, quando usciamo dalla bolla, ci scontriamo con tutta quell’ansia, quella pressione, quel panico... No, grazie. Ho capito che non voglio vivere in costante modalità fight or flight, combatti o fuggi. Ne va della mia salute».

Come riesce a conciliare anche l’impegno della casa di produzione?
«Mi presento solo se le mie sorelle hanno bisogno di me, sono loro il cuore e la mente. Ma non vedo l’ora di avere più tempo da dedicare ai progetti in arrivo, che sono tanti. Realizziamo da zero contenuti sia di fiction sia di non fiction, che spero siano di ispirazione a molte donne».

A proposito di ispirazione. C’è un altro motivo per cui il Time l’ha inserita tra le 100 personalità più influenti dell’anno: «Che stia salvando l’umanità in Avatar, che ci stia facendo piangere come fontane nella miniserie Netflix From Scratch - La forza di un amore o che stia prendendo a calci (nel culo) qualcuno in Guardiani della Galassia, ogni volta è al top del suo gioco». Quindi, è tosta anche nel capitolo conclusivo?
«Sempre».

(Nella foto di apertura: Abito, Bottega Veneta. Orologio, Omega. Orecchini e bracciali, Patricia Von Musulin. Servizio Angelo DeSanto. Make-up Fulvia Farolfi. Hair Panos Papandrianos. Manicure Sonya Meesh. Ha collaborato Emmalynne Walpole. Prop stylist Jacob Burstein. Producer Vanessa Vossen)

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