Youth - La giovinezza Recensione

Youth - La giovinezza: recensione del film di Paolo Sorrentino

20 maggio 2015
4 di 5
589

Sotto le incrostazioni di una forma estetizzante in modo avanguardista, c'è un contenuto ancora più complesso.

Youth - La giovinezza: recensione del film di Paolo Sorrentino

Quanto è facile, pensare che sotto gli strati di strutture e sovrastrutture, sotto l'accumulo di incrostazioni estetiche barocche, sotto il suo provocatorio (e affascinante) sensazionalismo visivo, in Youth ci sia poco o nulla. E invece il gioco delle tre carte di Paolo Sorrentino è assai più raffinato di così: perché il regista, sotto quell'accumulo, sotto l'apparente, quasi ingenua banalità di quel che dice, nasconde una complessità sovrabbondante di contenuto che fa il paio con quella della forma.

È provocatorio, Sorrentino, con i suoi spettatori ci gioca a rimpiattino, indica la luna per vedere se siamo tutti così polli da guardare il dito invece di quel che il regista allestisce con l'altra mano sfruttando la luce argentea del satellite e abbagliandoci con essa.
L'estremizzazione coerente e avanguardistica del suo percorso estetico è un vero e proprio guanto di sfida lanciato in faccia a chi guarda, ne mette alla prova la resistenza e la capacità di perdersi in quella sublimazione, di abbandonarsi a un godimento estetico che via via è del tutto slegato dal contenuto e dalle meccaniche del desiderio: è quel godimento puro e paradossalmente asessuato provato da Michael Caine e Harvey Keitel che, immersi in una piscina, osservano sfilare davanti a loro e adagiarsi mollemente tra le acque una Madalina Ghenea vestita solo di sé. Un godimento senza brame e senza illusioni che avvicina al nirvana, quel nirvana suggerito dalla figura del monaco buddista ospite dell'albergo sulle alpi svizzere che è teatro di Youth, e che ospita sosia di Maradona, coppie silenziose, giovani irrequieti e anziani spaventati, donne velate e alpinisti timidi e barbuti.

Perfino sotto questa spessa glassa zuccherosa fatta di elegantissimo rococò e di linearità minimal-chic, l'amaro e l'amarezza di Youth si fanno strada e pervadono il film e i nostri sensi, la potente semplicità di emozioni basilari e umanissime buca la superficie come stelle alpine che emergono dalla neve.
Il merito è senz'altro anche di un cast di attori in forma strabiliante, con un Caine che lascia senza parole, notevoli duetti con Keitel, una Jane Fonda che appare e scompare potente come un tuono, un Paul Dano che regge senza timori i confronti con i mostri sacri. Ma è anche di una complessità tematica che è quella della vita, e che ancora una volta viene mascherata, camuffata: ancora una volta Sorrentino ci svia, lanciandoci facili ami ai quali farci abboccare, con linee di dialogo ingannatrici mescolate a altre esplicitamente rivelatrici.

Sorrentino mente, spudoratamente, e si diverte come un matto a farlo. O forse non mente, e si diverte semplicemente a abbracciare la contraddizione, il paradosso della vita, la compresenza di opposti che è un po' il motore immoto dell'esistenza.
Caine e Keitel, amici di vecchissima data perché parlano tra loro solo “delle cose belle”, non parlano affatto solo di cose belle. Sono sinceri fra di loro e con sé stessi, eppure si dicono bugie, si nascondono le piccole e grandi cose, mettono costantemente sul piatto la scommessa della verità e della fiducia: ma come un gioco, senza agonismi o cattiverie. Assaporano le madeleine dei ricordi, pur sapendo che il tempo le ha rese immangiabili, e che quelle rimaste sono una parte esiziale rispetto a quelle perse nei meandri della memoria.
Il loro bilancio esistenziale vale tanto quanto quello del ben più giovane Dano, perché alla fine tutti dobbiamo fare i conti con poche domande fondamentali: a cosa valgono le nostre azioni e le nostre opere? E se valgono, nel bene come nel male, sono davvero quelle che ci possono salvare dal vuoto dell'esistenza, che possono dare senso all'insensatezza che Sorrentino ricostruisce con tanti sberleffi grotteschi e surrealisti?

Travestito come Hitler, a ricordare le installazioni di Maurizio Cattelan più che il reale dittatore nazista, Dano confessa a Keitel di aver capito che, tra orrore e desiderio, è il secondo l'unico che vale la pena raccontare. E Caine, anziano afasico e padre a lungo anaffettivo, sostiene, a un certo punto che “l'emozione è sopravvalutata.”
Quanto ci sia di vero in queste battute così didascaliche, per Youth e per Sorrentino, è tutto da dimostrare. Perché il regista racconta certo il desiderio, ma anche la sua futilità, e di certo non si esenta dall'orrore, pur mascherandolo.  Perché anche l'emozione, alla fine esiste, e conta eccome, e forse conta solo quella: ma, come nel concerto che chiude il film, non deve trapelare dalla maschera del distacco, deve rimanere un segreto tra due anziani coniugi che si confrontano in un (non) dialogo e un'inquadratura di potenza disturbante.

Allora, o ci si lascia travolgere dall'orrore e dalla paura, come farà Keitel, o si vive appesantiti e deformati all'inverosimile dalla propria gloria passata, come il simil Maradona, o si fa come Caine: si accetta che l'unico bilancio possibile è fregarsene dei bilanci, dei successi e degli errori, e continuare a agire nel presente, in quello spazio di futuro cui si pensa anche e soprattutto guardando al passato, per prolungarlo. Agire senza l'illusione del piacere, senza brame, senza passioni e senza dolore inutile, per il raggiungimento di quel piccolo nirvana che è rappresentato, ancora, dal perdersi dentro la bellezza del gesto, dell'opera stessa, assaporando la vertigine della libertà.

Alla fine, quindi, Youth non è solo un film sulla vita, sulla vecchiaia, sullo spettro della morte, ma anche sull'eterna giovinezza dell'arte, di quel cinema e quella musica che rimbombano e ridondano tanto attraverso i suoni e le immagini sullo schermo, quanto nelle parole dei protagonisti, mescolando alto e basso, sacro e profano, sublime e grottesco.
È questo, forse, che a Sorrentino non verrà perdonato: questa sua ribellione alle convenzioni, questo suo mirare altissimo rimestando nel torbido, il suo approccio epidermico. Il suo essere, per dirla con il Fred Ballinger di Michael Caine, uno che è tutta la vita che cerca di non diventare un intellettuale.


 



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
Suggerisci una correzione per la recensione
Palinsesto di tutti i film in programmazione attualmente nei cinema, con informazioni, orari e sale.
Trova i migliori Film e Serie TV disponibili sulle principali piattaforme di streaming legale.
I Programmi in tv ora in diretta, la guida completa di tutti i canali televisi del palinsesto.
Piattaforme Streaming
lascia un commento