Uscito nel 2014 e distribuito nel 2020 su Sky Primafila Premiere anche in Italia, Young Ones, diretto da Jake Paltrow, è ambientato in un’America del prossimo futuro devastata da una lunga siccità, quando l’acqua è diventata la risorsa più preziosa del pianeta, l’elemento che detta legge su tutto, dalla macro politica alle micro relazioni familiari e sentimentali. La terra è ridotta a qualcosa di miserabile, la polvere si è depositata su un pianeta solitario. I pochi sopravvissuti a questa tragedia lottano per la vita. Ernest Holm tenta di sopravvivere in questo scenario apocalittico insieme ai suoi due figli, Jerome e Mary. Difende la sua fattoria dai predatori, e lavora sulle vie di rifornimento tentando di far rinascere il suolo. Ma il fidanzato di sua figlia Mary, Flem Lever, ha progetti più ambiziosi, vuole la terra di Ernest soltanto per se stesso e farà di tutto per sottrargliela. Interpretato dal cast stellare composto da Michael Shannon, Elle Fanning, Nicholas Hoult e Kodi Smit-McPhee, il film di Paltrow scandisce i suoi 100 minuti con pochi colpi di scena, inframezzati da un racconto che sembra del tutto slegato dagli snodi principali della storia.
L’animo umano, crudele e incapace di provare empatia, homo homini lupus è il tema di Young Ones. Espresso attraverso un’ambientazione distopica e un futuro che rischia sempre più di assomigliare al presente. Distese di terra aride e sabbiose dove una polvere densa si alza, entra negli occhi, sporca gli abiti indossati e nasconde uomini e donne. Buste argentate dove cibi, carne e verdure vengono presentati come un insieme di scarti mescolati tra loro, creando un cerchio perfetto, il minimo indispensabile per nutrirsi. Tre generazioni, tre uomini, tre essere umani, divisi in tre capitoli. Ernest rappresenta l’attaccamento alla propria terra, l’anzianità, uno spirito conservatore che crede in quella che è stata la sua casa, convinto che l’acqua tornerà; Flem è il progresso, la giovinezza, il cambiamento, l’evoluzione, un animo che accoglie la modernità attratto dai privilegi; Jerome è tra i due opposti, un bambino che sta crescendo, che deve decidere quale sia la sua natura e che tipo di uomo vuole diventare. Quello che li accomuna è la violenza, l’affetto latente, al quale non bisogna cedere mai. E un peccato di cui prima o poi ci si macchierà.
Young Ones racconta due mondi dove la linea di demarcazione è definita ed evidente, personificata da Jerome che passa da un terreno che non offre più nulla oltre che sabbia e detriti, a un’esagerata urbanizzazione: vite dominate dalle macchine e da strumenti elettronici che dovrebbero aiutare l’uomo, e che si rivelano invece ciò che può ucciderli. Tra messaggi amari e sottotrame filosofiche, il film perde tutta la sua forza nella scelta tecnica: lenta e immobile. L’inesorabile scorrere di un tempo che non passa mai verso un finale che non lascia nulla se non l’impossibilità di redenzione, anche se espressa in maniera fin troppo sottile. Quello che cerca di dire Jake Paltrow rimane un mistero: i personaggi si muovono spesso senza pensare, ripetendo sempre gli stessi errori, e gli incidenti si rivelando scelte calcolate. Ciò che sembra mancare a Young Ones è proprio la storia, l’inizio, lo svolgimento e la fine, lineari, ma legati solo dalla cronologia degli avvenimenti. Dove quasi ogni cosa è dominata dall’odio e dove c’è troppo poco spazio per i rapporti umani.
Dalla regia statica e flemmatica, che comunica l’immutabilità delle proprie azioni e della conseguenze, la fotografia regala al film quel tentativo d’immedesimazione ed empatia per un mondo dove un bene come l’acqua scarseggia e rende arido non solo il suolo, ma anche l’interiorità di ogni personaggio, mosso da vendetta, rabbia e il desiderio di una vita migliore. Nonostante le ottime interpretazioni di quattro grandi attori, primo fra tutti Kodi Smit-McPhee, anche la recitazione è conforme a un film privo di emozioni, dove solo ogni tanto sentimenti e psicologia sembrano venir fuori. Le performance degli attori alzano il livello del film solo in alcuni momenti, in cui la narrazione sembra prendere una piega diversa per poi riconfermarsi una rappresentazione inefficace di una storia che poteva essere piena d’intensità e riflessioni.
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