Potremmo definire la sequenza in cui Theresa fa ruotare la sua mano dentro un bicchiere di vetro una dichiarazione di poetica delle sorelle Kate e Laura Mulleavy, artiste fino ad ora dedicatesi al mondo della moda e del design. La sequenza in questione dimostra infatti il modo in cui le due artiste concepiscono la riflessione artistica, trasformando oggetti casuali in estensioni fisiche di un personale immaginario.

Consistently America’s most intriguing designers, Kate and Laura take obsessions and minuscule fascinations from their lives – anything from the redwood forests of California to Japanese horror films.1

La sfida del film delle sorelle Mulleavy è proporre lo stream of consciousness come meccanismo di mise en scène. La sequenza del bicchiere è infatti uno degli indizi fondamentali, in Woodshock, di quel lento scollamento dal reale (dalla linearità narrativa) che subisce Theresa (il film); scollamento che è contemporaneamente un avvicinamento a un modo di vivere e di pensare solitamente sedato e tenuto nascosto, e un avvicinamento (fisico e sensoriale) alla naturale esistenza delle cose.

woodshock - 1

Infatti non è un caso se il percorso introspettivo di Theresa sia costellato di immagini naturali e selvagge: la Natura è quel contesto in cui è possibile liberarsi di moltissime catene. L’ossessione per i fiori e gli alberi in Woodshock non è solo il riferimento a uno sguardo sensibile verso il problema ambientale («It’s not only about violence between humans, but also the violence that happens against the environment, but that we’re almost unaware of in our daily lives2) ma è anche l’ossessione e l’oblio personalissimi di Theresa (esplicito riferimento all’Estasi di santa Teresa di Gian Lorenzo Bernini), un mondo alternativo in cui poter perdersi.

I layer dell’immagine

La vicenda prende le mosse da un sogno in cui la protagonista si perde in una imponente foresta di querce secolari, prima definendosi dispersa, e poi accettando questa condizione («When they found me, I almost didn’t want to come back»). Il film immerge immediatamente lo spettatore in un’atmosfera onirica con un lento avvicinamento al corpo di Theresa tramite tre inquadrature, una immobile, una in leggero movimento e una più movimentata e ravvicinata, come fossero dei presagi dell’evolversi della pellicola, cioè a dire il graduale avvicinamento dello spettatore al mondo della protagonista.

woodshock - 2

woodshock - 3

woodshock - 4

Il viaggio di Theresa – sembrano avvertire le sorelle Mulleavy con questi tre passaggi visivi – sarà sì mentale e astratto (immagine statica e campo lungo), ma anche estremamente fisico (camera a mano e primo piano), direttamente correlato alla percezione degli oggetti e delle cose; poderosamente coinvolto in un progredire naturale e cosmico senza sosta.
«Instead, the parallel between fashion and film reveals itself in Woodshock’s rich tactility, whether it’s Theresa running a bloody finger over a lace tablecloth, or visual techniques such as double exposure and reflection to create a sense of layering3 
Diversamente insomma dall’opera di un altro regista prestato al Cinema dalla moda, Tom Ford, le sorelle Mulleavy non ambiscono a una stilizzazione del paesaggio, ma alla sua stratificazione; non mirano alla metafora nell’alternanza di mondi distanti tramite il montaggio incrociato, ma tentano di aprire squarci nell’unico mondo rappresentato, nelle sue coordinate e nelle sue possibilità. Una predilezione, dunque, per l’intersezione piuttosto che per la giustapposizione. Significativo è infatti che le Mulleavy vogliano far convivere entità distanti (realtà e riflesso della realtà, per esempio) nella stessa inquadratura, piuttosto che attraverso un’alternanza (come avviene in Nocturnal Animals di Tom Ford, USA 2016).

woodshock - 5

woodshock - 6Mondi alternati con inquadrature secche e nette in Nocturnal Animals.

woodshock - 7Entità che convivono nella stessa inquadratura in Woodshock.

Laddove dunque Tom Ford rende l’esperienza sensoriale congelata e impalpabile, anche nel raro ricorso alla dissolvenza incrociata, le sorelle Mulleavy tendono invece a dare tattilità all’immagine, permettendo di osservare da vicino la follia e l’alterità. Lo specchio e lo sdoppiamento intervengono a loro favore a definire un doppio accostamento anomalo: la “realtà” vissuta “linearmente” è il riflesso della realtà (la narrazione), mentre la realtà vera, interiore, è necessariamente la follia e l’alterità.

“[…] I guess it’s because she is so connected to these two sides, the human imprint and then also the impact of nature and the beauty of it. [But] she’s never connected to humanity. She can’t connect to the people in her life. I would say that at the end when she finds that tree and she dissolves into it, that’s such a powerful feeling for me because she’s gotten to a place where she’s been so disconnected, that this is the thing that she’s longed for. She’s one with it and she’s a part of it, and she’s transformed”.4

 

Il rapporto corpo-natura-immagine

«For a sensitive person like Theresa, the visual and textural parts of her relationship to the things around her is very much in line with exploring what her subjective experience is5 Non è dunque un caso se i primi piani di Theresa sono spesso sovrapposti e intersecati con oggetti altri, e non è un caso se questi stessi altri oggetti sono spesso indistinguibili, sdoppiati, mischiati. Il corpo di Theresa, reale ricettacolo di altri corpi e altre forme, è sempre catturato nella sua sofferta fisicità, e nel rapporto di quest’ultima con ciò che è esterno a lei. Anche quando Theresa sogna, non sogna mai in prima persona, ma si osserva da fuori sovrapposta e intersecata con il paesaggio naturale. Questo senso di straniamento da se stessa permette al film di riflettere sull’immagine in sé e sul simulacro.

I sometimes look at it as a creation myth. This character – there’s this moment that she is standing in this riverbed. It’s very beautiful and vast. It’s like the Venus de Milo. She comes out of this oyster shell, or the clam shell, but she’s out at this river bank. And it has so much power to me, the more and more I see it, I think about that more and more […].6

woodshock - 8

woodshock - 9I ricordi di Theresa sono ricordi esteriorizzati, in cui non viviamo il suo punto di vista, ma vediamo esternamente la sua presenza in mezzo alla Natura; Theresa finisce per trasformare il suo stesso corpo in uno degli elementi a lei esterni che compongono la sua immaginazione.

Quindi non percepiamo il mondo direttamente come lo vede Theresa, poiché le sorelle Mulleavy insistono più sulla sua fisicità che non sulla riproduzione del suo punto di vista. Nonostante sia Theresa in qualche modo a modificare il mondo che lo circonda, lo spettatore si trova sempre su un altro livello, quello di un osservatore esterno che constata la fusione del corpo di Theresa con la Natura tramite l’immagine cinematografica. Anche a livello interpretativo è necessario, in Woodshock, un layering, cioè a dire una stratificazione.

Un film su Kirsten Dunst

Molto si potrebbe dire, a proposito di Woodshock, sul fatto che sarebbe un film su Kirsten Dunst e sulla sua immagine. Il costante “guardarsi da fuori” di Theresa è legato a doppio nodo con l’assunzione a simulacro del volto e del corpo dell’attrice; un’altra stratificazione è dunque quella che divide il piano prettamente diegetico (Theresa sogna se stessa “da fuori” nella finzione filmica), e il piano spettatoriale per il quale è il corpo di Kirsten Dunst come icona cinematografica ad essere oggetto della riflessione. Questa particolare corrispondenza porta all’incontro dei concetti di simulacro e di icona. D’altronde Theresa sembra davvero la summa dei ruoli interpretati da Kirsten Dunst nella sua carriera, da Il giardino delle vergini suicide di Sofia Coppola a Melancholia di Lars von Trier.
Il modo in cui Theresa si inserisce nella Natura per riflettere sulla sua stessa immagine non è un’operazione legata a una vanitosa percezione di sé come avviene con la protagonista di 80 kg. in Mortem Johann Fatzer di Antonello Matarazzo. In Woodshock lo straniamento fra Theresa e la sua percezione permette allo spettatore l’operazione di stratificazione interpretativa suddetta, lavorando su un piano “post-filmico”; in 80 kg. in Mortem Johann Fatzer invece il discorso è portato su un altro livello, per cui il volto della protagonista sarà prima in grado di controllare il “pro-filmico”, e poi diventerà succube dello stesso.

woodshock - 10

woodshock - 11Sopra: Il volto di Theresa è ridotto a texture, supporto di una proiezione. Il titolo tremolante ci rimanda a un’estrema fisicità; contemporaneamente si innalza a simulacro il volto di Theresa, noto allo spettatore come volto iconico di Kirsten Dunst. Vengono in aiuto, in tal senso, i legami con le altre interpretazioni di Kirsten Dunst, per esempio in Melancholia di Lars von Trier, evidente riferimento per il lavoro delle Mulleavy.
Sotto: L’incipit di Melancholia.

woodshock - 12Destino diverso ha la protagonista di 80 kg. in Mortem Johann Fatzer di Antonello Matarazzo, che si conclude in modo visivamente simile a come Woodshock inizia, con un’immagine proiettata sul volto della protagonista. La protagonista del film del regista italiano vede tutto il suo esistere, basato sulla vanità, capovolgersi, poiché lei stessa diventa vittima dello sguardo osservante. Questo parallelo rivela anche la matrice “avanguardista” dell’opera delle Mulleavy, che avvicina Woodshock più a quello che usiamo definire videoarte, piuttosto che al cinema narrativo tout court.

La Natura come luogo in cui perdersi

Sussistono però differenze fra Woodshock e Melancholia, rispetto all’importanza del personaggio all’interno del film. Se in Melancholia il personaggio di Kirsten Dunst è non solo rassegnato ma consapevole della fine del mondo, in Woodshock Theresa è incerta e esitante a proposito della propria inevitabile caduta nell’oblio. In entrambi i film assistiamo a un cupio dissolvi che se in Melancholia si esaurisce nell’imposizione psicologica del personaggio di Justine, in Woodshock si ripropone come possibilità esistenziale ad ogni sovrimpressione e ad ogni stacco di montaggio. La Natura di Lars von Trier è imperscrutabile, enigmatica, inavvicinabile; la Natura delle sorelle Mulleavy è malleabile, porosa, attraversabile. L’insistenza dello scioglimento delle immagini paesaggistiche è una messa in discussione della loro usuale funzionalità puramente visuale, ed è direttamente correlata alle conclusioni filosofiche del cinema di Jonas Mekas, soprattutto se ci riferiamo a Walden.
Adattabile a Theresa e ai boschi in cui si aggira è infatti quello che dicono John Kaag e Clancy Martin a proposito rispettivamente di Henry David Thoreau e di Walden: «Walden was just beyond the bounds of civilized convention — which meant that it was a place for outcasts. Thoreau knew this, and willingly lived among them, those who had been barred from the inner life of many wealthy suburbs of Boston7 È evidente che Theresa viva ai bordi della civiltà, costantemente in bilico fra l’accettarla (lavorando, amando un uomo) e l’abbandonarla (con il fumo, la morte e l’abbandono). Diversamente però da Thoreau, e, come vedremo, dal regista lituano Jonas Mekas, il binomio Natura-Civiltà sarà molto più difficile da accettare.

woodshock - 13

woodshock - 14

woodshock - 15

woodshock - 16Due degli infiniti paragoni possibili fra Walden e Woodshock.

L’idea-base che unisce Jonas Mekas e il cinema delle sorelle Mulleavy nasce proprio in questa fluidità fra identità e Natura. Per Mekas questo incontro è possibile, inevitabile, e fa parte della vita. Per le sorelle Mulleavy sembra invece che non possa esserci una pacifica co-esistenza delle due dimensioni: si tratta di scegliere, ancora una volta, fra un’immersione panteistica fuori da ogni controllo, e un riflesso “civile” di quella stessa immersione. Il rapporto fra Natura e Civiltà (dunque fra Natura e identità) è ancora più irrisolvibile in quanto la realizzazione personale dell’essere umano, come parte della Natura, nella Civiltà sembra inducibile solo tramite un surrogato di alterità, come la morte o l’effetto psicotropo della droga. Infatti la “realtà lineare” in Woodshock è fatta solo di personaggi che fumano o bevono o si suicidano, come se fossero costantemente protesi verso l’abbandono nell’alterità, ma non riuscissero a raggiungerla e quindi cercassero artificialmente di riprodurla.

woodshock - 17

woodshock - 18

Ciò che è importante, nel film, è l’unione di concetti e immagini opposte e distanti. Questa unione è leggibile sia nello sdoppiamento continuo della figura di Theresa ma anche nello sdoppiamento delle figure degli altri oggetti. Se la narrazione è la vita “civile” di Theresa, è possibile vedere con uno sforzo metatestuale come essa stessa venga assunta a simulacro, o a “insieme di simulacri”, in quanto tutte le immagini più ricorrenti della vita di Theresa diventano, nell’economia del film, parte di una personalissima iconografia della protagonista. La narrazione, in Woodshock, si rivela un’illusione, ciò che è necessario allo spettatore per associare a ogni simbolo il significato profondo che ad esso affida Theresa.

woodshock - 19

woodshock - 20

woodshock - 21Emblematico l’utilizzo della marijuana e della sua icona: possiamo distinguere rispettivamente nelle tre immagini tre utilizzi diversificati del simbolo in questione, nel primo caso la sua rappresentazione al neon nel negozio di Theresa, nel secondo caso il suo utilizzo fattivo ed evidente, nel terzo caso la sua rappresentazione distorta e decontestualizzata negli incubi di Theresa, in cui il simbolo, come lei, è oltretutto sdoppiato, alterato, deformato, trasportato senza apparente ragione nell’abitazione di Theresa stessa.

I labirinti narrativi

La narrazione costituisce un elemento nodale nel film, perché è proprio la perdita della narrazione la prima forma di possibile lettura del concetto di perdita per Theresa. La trama di Woodshock è estremamente esile: Theresa lavora in un “pot shop” e in tacito accordo con Keith, il suo collega, consente, a chi vuole, di suicidarsi, vendendo una droga modificata e letale. Le deviazioni continue dalla trama a favore dei sogni-incubi di Theresa – che la avvicinano sempre di più verso la Natura – ci distraggono dal grave errore che lei stessa compirà a circa metà film: infatti lei stessa sarà responsabile di una morte indesiderata e imprevista. Il colpo di scena coglie alla sprovvista anche noi spettatori, che ci ritroviamo esattamente nella stessa condizione di inconsapevolezza della protagonista. Questo salta all’occhio quando la protagonista ha un breve dialogo con il marito, o ancora quando Keith le chiede cosa abbia fatto, e lei non ne ha idea.
L’involuzione della narrazione ricorda le opere di David Lynch, non solo nelle suggestioni prettamente visive (le ambientazioni sono quasi twinpeaksiane) ma anche nelle azioni dei personaggi (Theresa vagherà fra mondi tutti interiori attraverso porte e aperture come aveva fatto Nikki/Grace in INLAND EMPIRE).

And I think this is a movie about the mystery of the human mind and life. The truth is, which you know, we were saying [to] come inside this woman’s mind as she’s expanding and opening different doors that lead to different doors opening and maybe parts of the consciousness that we don’t always access. In that sense, there is a real parallel to nature […] it’s like almost slowing down to the pace of nature, and at times speeding up.8

woodshock - 22

woodshock - 23Le risposte di Theresa non sono mai evasive allo scopo di nascondere qualcosa: sono propriamente segno del sempre più inconsistente legame della protagonista con la realtà.

woodshock - 24

woodshock - 25Sopra, INLAND EMPIRE di David Lynch.
Sotto,
Woodshock.

Lo stacco di montaggio come membrana semipermeabile

La decostruzione narrativa, che è anche una rielaborazione come già detto dei simboli proposti durante la pellicola, è una diretta conseguenza (o il fondamentale punto di partenza) della riflessione sul montaggio portato avanti dalle sorelle Mulleavy, e dell’estrema artigianalità della post-produzione: la scissione di due immagini è in Woodshock una cesura totale, antitesi definitiva alla sovraimpressione; ma è allo stesso tempo una parete costantemente in tensione, in cui la percezione di un evento, spezzato, assume tutta un’altra valenza, assume un carattere vertiginoso.
È il caso dell’efficace stacco di montaggio fra il momento in cui Theresa fa cadere il bicchiere (prisma di luce) e il momento in cui lei stessa chiude la porta del bagno. Il rumore che ci aspetteremmo dalla caduta del bicchiere è sostituito dal rumore del pomello. Il film è permeato di queste riletture suggestive e sgrammaticate delle percezioni più primordiali, poiché come dimostrato dalla sequenza con il titolo “proiettato” è Theresa il film stesso e il suo supporto fisico al contempo, e se Theresa non distingue più i contorni, abbiamo difficoltà a farlo noi stessi guardando il film, come se il film stesso entrasse in crisi.

woodshock - 26

woodshock - 27

La luce e la fisicità della post-produzione

È anche possibile costruire un dialogo fra Woodshock e il cinema di Terrence Malick: se in Malick (soprattutto in To The Wonder) la percezione sensoriale diretta vive in simbiosi con la percezione della divinità (con la messa in discussione del binomio immagine-suono, fra movimenti mostrati e parole pronunciate fuoricampo), in Woodshock è il rumore naturale, primario, istintivo, a costituire una vera e propria voice over (presente de facto solo nell’incipit del film, poi annullata come una delle consuete assenze cui sembra costringersi Theresa).

woodshock - 28

woodshock - 29

woodshock - 30In Woodshock, così come in To The Wonder di Terrence Malick e in Stellet Licht di Carlos Reygadas, un personaggio tocca la luce.

Ed è proprio la luce un elemento che torna continuamente nel soundtrack di Woodshock, a partire da Blue Thunder dei Galaxie 500.

Thinkin’ of blue thunder
Singin’ to myself
Thinkin’ how fast it moves
Feelin how it turns

fino alla luce già nel titolo del capolavoro dei Television, Guiding Light.

Guiding light, guiding light
Guide me through this night

Il disorientamento in Woodshock è indotto anche tramite altri espedienti squisitamente cinematografici, dalla finta soggettiva fino alla finta sovrimpressione (capovolgendo addirittura i presupposti del film stesso, disobbedendo alle sue stesse regole). A volte la luce non illumina, è un ostacolo rispetto alla possibilità di osservare qualcosa, come quando si è per troppo a lungo osservato il sole. Il recupero di tale fisicità, in fase post-produttiva, non solo facilita il ri-avvicinamento della percezione (dello spettatore/Theresa) a ciò che è esplicito ed istintuale, ma si rivela ulteriore segno di riallaccio e di riferimento al cinema di Jonas Mekas.

woodshock - 31

woodshock - 32

woodshock - 33Si tratta di una finta soggettiva, o di una “soggettiva anticipata”: Theresa guarda oltre un parapetto una luce blu lampeggiante, cioè a dire il Blue Thunder del pezzo dei Galaxie 500 che si sente in quella stessa scena, e subito dopo si ritrova seduta in un’altra posizione, senza guardare più il lampeggiamento che ancora sussiste: è solo un esempio di quel processo di rielaborazione cronologica delle immagini simile a quello che tanto precisamente analizza Nicolò Vigna nella sua recensione di Spring Breakers di Harmony Korine.

woodshock - 34

woodshock - 35

woodshock - 36Diversamente dall’ultima immagine, che sovrappone un fiore alla catena di montaggio di una fabbrica del legno, le prime due immagini fingono la sovrimpressione cui il film ci aveva abituati con l’espediente dell’out of focus e dunque dei differenti piani focali: costantemente percepibile nel film è la fisicità del gesto post-produttivo, contributo fondamentale all’aspetto percettivo.

woodshock - 37

woodshock - 38Esempi di luci che ostacolano la visione del soggetto, rimandando di riflesso alla problematicità del punto di vista di Theresa.

Se dunque il film cerca di “abituare” a questo continuo slabbrarsi delle immagini a favore di una fusione promiscua tra le stesse, allo scopo della pura esperienza, nel finale fa esplodere questa eccentricità del montaggio mostrando in pochi secondi tutti i simulacri dell’universo-Woodshock (dunque dell’universo-Theresa), che alternandosi a velocità rapidissima non solo sembrano simulare la sovrimpressione, facendo “scoppiare” l’entità stessa dello stacco di montaggio (e costringendo la memoria visiva a incasellare tutte le informazioni note come elementi subliminali), ma costringono a una rilettura del film in rapidissimi istanti (quando si dice “tutta la vita che passa davanti agli occhi”), e gli ingredienti della vita di Theresa null’altro possono essere se non immagini a ritmo, svolazzanti (come lei e come la protagonista di The VVitch di Robert Eggers), come tracciate sul pentagramma chimico che Theresa immagina mentre fuma durante il film.

woodshock - 39

woodshock - 40

woodshock - 41Uno dei trip di Theresa, col “pentagramma chimico” tracciato sul cielo notturno.

woodshock - 42

woodshock - 43I voli delle protagoniste femminili in Woodshock sopra e in The VVitch sotto.

woodshock - 44

woodshock - 45

woodshock - 46

woodshock - 47

woodshock - 48Cinque delle innumerevoli immagini finali che mitragliano come messaggi subliminali gli occhi dello spettatore, tutti simulacri della personalissima vita di Theresa.

NOTE

1. Kin Woo, Rodarte & Catherine Opie, da AnOther Magazine, Sept. 2011.

2. Emilia Petrarca, Rodarte’s Mulleavy Sisters Open About Their Trippy, Twisted ‘Woodshock’, da wMagazine, Sept. 2017.

3. Ibidem.

4. Kate and Laura Mulleavy weave their magical Woodshock, da behindthelensonline.com

5. Ibid. E. Petrarca, Rodarte’s Mulleavy Sisters

6. Ibid. Kate and Laura Mulleavy weave their magical Woodshock

7. John Kaag, Clancy Martin, At Walden Thoreau Wasn’t Really Alone With Nature, da NYTimes, Lug. 2017.

8. Ibid. Kate and Laura Mulleavy weave their magical Woodshock