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Woman in gold, l'incredibile storia vera dietro il film con Helen Mirren

Woman in gold racconta la storia vera di un'anziana che combatté con tutte le sue forze contro il governo autriaco per riappropriarsi di un'opera di Klimt che apparteneva alla sua famiglia e che fu trafugata dai nazisti

Woman in gold, l'incredibile storia vera dietro il film con Helen Mirren

Woman in gold è il film del 2015 che va in onda questa sera alle 23.42 su Iris. Diretto da Simon Curtis e presentato in anteprima al Festival di Berlino, Woman in gold racconta l'incredibile storia vera di Maria Altman, una donna austriaca di origini ebraiche che ha combattuto affinché le venisse restituito ciò che la Seconda Guerra Mondiale le aveva portato via.

Woman in gold, la trama

Alla morte della sorella, Maria Altmann (Helen Mirren) viene a sapere di una battaglia legale contro il governo austriaco per il recupero di un famoso quadro di Gustav Klimt, il Ritratto di Adele Bloch-Bauer I. Un ritratto diventato un'opera famosa in tutto il mondo, ma che per Maria rimane il ricordo della zia e, soprattutto, dei giorni felici e spensierati vissuti prima dell'occupazione nazista durante la Seconda Guerra Mondiale. La donna, allora, decide di continuare la battaglia legale: non tanto o non solo per riavere ciò che appartiene alla sua famiglia da decenni, ma soprattutto come un riconoscimento per il dolore subito durante gli anni della guerra. Decide così di assumere il giovanissimo avvocato Randol Schönberg (Ryan Reynolds), nipote del noto musicista, che, a dispetto della giovane età e della poca esperienza, si rivelerà essere un alleato formidabile. Quando il governo austriaco, tuttavia, dimostra di non voler in alcun modo cedere il dipinto nonostante le molte prove, la donna decide di tornare in Austria e combattere in loco. A Vienna verrà perseguitata dai suoi ricordi e vivrà di nuovo le esperienze di quando era solo una ragazza (interpretata da Tatiana Maslany, diventata famosa con serie come Orphan Black e She Hulk).

La storia vera dietro il film

Woman in gold non è di certo una pellicola indimenticabile, una di quelle destinate a diventare un cult o una pietra miliare nella storia del cinema. Al suo interno non c'è niente, a livello cinematografico, che possa avvicinarlo a termini di capolavoro o intramontabile. Forse, però, il film non è stato pensato per raggiungere questi obiettivi, ma soprattutto per portare sul grande schermo una storia che contiene tutti gli archetipi che tanto piacciono agli spettatori. Woman in gold è un film che punta alla giustizia: in un mondo sempre più caotico, con le leggi che spesso offrono scappatoie in favore dei più ricchi, il film di Simon Curtis propone lo stereotipo di Davide che combatte contro Golia, riuscendo infine ad avere la meglio, nonostante tutte le difficoltà. La riuscita del film sta proprio in questo suo voler raccontare la battaglia di un debole - in questo caso una donna anziana costretta ad espatriare senza la sua famiglia per la guerra - che combatte contro istituzioni e forze tanto più grandi di lei. Allo stesso tempo, poi, il film racconta una storia vera, suscitando in chi guarda una sorta di inconscio voyeurismo, che raggiunge sempre un'attenzione molto alta quando ha a che fare con la Seconda Guerra Mondiale e la persecuzione degli ebrei. Lo ha detto lo stesso regista che ha spiegato a Repubblica: "La storia ha un potenziale enorme, perchè chiama in causa la Seconda Guerra Mondiale, l'Olocausto e l'America contemporanea. Maria Altmann e il dipinto di Klimt sono a mio avviso emblematici in tutto il XX secolo. Entrambi nascono nell'età dell'oro di Vienna, a inizio secolo, ed entrambi finiscono negli Usa, all'imbrunire del secolo Americano".

Come scrive anche il New York Times, inoltre, la storia di Maria Altmann ha finito col suscitare un certo scalpore soprattutto perché le battaglie per riappropriarsi dei beni confiscati dai nazisti andava sempre a discapito delle vittime stesse, che tramite cavilli burocratici, non riuscirono così spesso a tornare in possesso dei loro beni. Maria Altmann, quindi, rappresenta un caso quasi unico, un'eroina nella battaglia per la giustizia. Nata nel 1916 con il nome di Maria Viktoria Bloch-Bauer, la futura Maria Altmann crebbe in un ambiente borghese e vicino al movimento artistico della scena austriaca, grazie soprattutto agli zii Ferdinand e Adele, da sempre circondati da artisti e personalità di spessore. Tra i personaggi più noti che frequentavano la famiglia Bloch-Bauer c'era il musicista Arnold Schönberg, ma soprattutto l'artista Gustav Klimt, che regalò Adele Bloch-Bauer all'immortalità quando la raffigurò in un dipinto destinato a diventare il simbolo della Golden Age della città di Vienna. Un dipinto, dunque, che avrebbe dovuto continuare a vivere nei grandi saloni della famiglia Bloch-Bauer. Tuttavia, nel 1938, con l'avanzata del Terzo Reich, le cose precipitarono a una velocità spaventosa. La famiglia Bloch-Bauer venne privata di tutti i suoi beni, incluso uno Stradivari, la cui perdita causò un dolore così forte nel padre di Maria Altmann che l'uomo morì appena due settimane dopo. Naturalmente tra le opere trafugate ci fu anche il ritratto di Adele che, per non essere riconosciuto come proprietà di una famiglia ebrea venne ribattezzato Woman in gold, come il titolo del film.

Maria riuscì a scappare dall'Austria insieme al marito Friedrick "Fritz" Altmann, trovando rifugio negli Stati Uniti, a Los Angeles, ma con la consapevolezza di essersi lasciata alle spalle le sue radici e tutto quello che rimaneva della sua famiglia. Fino all'età di 82 anni Maria Altmann continuò la sua vita, come se niente fosse, quasi costringendosi a non pensare ai suoi anni austriaci: crebbe i suoi figli e gestì i negozi d'abbigliamento della famiglia, costruendosi un'esistenza tranquilla e il più serena possibile. Tuttavia nel 1999 gli incubi legati ai suoi ricordi, a quello che aveva perso e a quello che era stata costretta a lasciarsi alle spalle tornarono a galla, costringendola all'azione: decise di fare causa al governo austriaco per riavere indietro il dipinto di sua zia. La sua richiesta venne in un primo momento respinta, dal momento che i rappresentanti dell'Austrian National Gallery e del governo austriaco asserirono che Adele aveva lasciato una nota nel suo testamento in cui chiedeva che tutti i dipinti vennissero donati al museo dopo la morte del marito Ferdinand. La battaglia di Maria Altmann durò anni, soprattutto perché il governo austriaco fece di tutto per ritardare le udienze o rallentare i dibattimenti, forse per sfruttare l'età avanzata della donna che, superati gli ottanta anni, veniva probabilmente percepita come un avversario debole. Ma dopo lunghe battaglie, mettendo in mostra la sua determinazione e dopo essere passata anche davanti alla Corte Suprema, Maria Altmann ottenne finalmente ciò che desiderava. Un Arbitrato nel 2004 si dichiarò a favore della donna, firmando una delle più costose restituzioni di opere d'arte dopo la Seconda Guerra Mondiale. Sempre il New York Times spiega che, dopo la vittoria in aula, il museo austriaco chiese a Maria Altmann se fosse disposta a lasciare comunque il ritratto a Vienna. La donna rispose: "Glielo abbiamo prestato per 68 anni.

Direi che è abbastanza."

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