Tanti bon mots – “Non si è mai troppo ricchi o troppo magri” - pochi faux pas. A meno che non vogliamo considerare un passo falso far innamorare il futuro re d'Inghilterra, lasciare che rinunci al trono per amore e di conseguenza farsi odiare da tutta una nazione, se non l'intero Commonwealth. A Wallis Simpson hanno detto di tutto: spia nazista, arrampicatrice sociale, pericolo per la corona, e poi troppo americana, troppo sfacciata, troppo divorziata (due volte), ma lei è rimasta dov'era, al fianco di Edoardo, e ha vinto.

È il 3 giugno 1937 quando Wallis e il duca di Windsor convolano a nozze in Francia. Lei indossa un abito di Mainbocher, una creazione anni Trenta squisitamente confezionata in una nuance chiamata Wallis Blue, una sfumatura in perfetto accordo con il colore dei suoi occhi, al dito ha un anello di Cartier, con smeraldo incorniciato da diamanti baguette, che porta incisa la dedica di Edoardo, “We are ours”, noi siamo nostri. L'odio degli inglesi non si sopisce, anzi si ravviva alla notizia delle nozze, ma Wallis sembra non farsi turbare dalla cosa. Una donna di ferro, anzi d'oro, a giudicare dalla via che scelse per esprimersi in pubblico mentre tutti la coprivano di accuse. Con i gioielli, ecco come parlava in pubblico Wallis.

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Wallis Simpson trasformò abiti e accessori in messaggi chiari per tutti, da inviare a ogni occasione utile. Molto moderna rispetto alla maggioranza delle donne borghesi e nobili del suo tempo, strinse dei veri e propri sodalizi con alcuni dei maggiori couturier francesi, per rispondere con un certo, invidiabile splendore al fango che le tiravano addosso. Si fece vestire da Elsa Schiaparelli, della quale indossò l’iconico abito aragosta, disegnato con Salvador Dalì, Mainbocher, Dior e Hubert de Givenchy, amico personale, che all’asta dei gioielli più preziosi di Wallis, avvenuta da Sotheby’s a Ginevra nel 1987, donò abiti per ognuna delle modelle presenti.

La duchessa di Windsor (già, vinse anche il titolo) si fece confezionare anche vestiti cortissimi, tanto per rincarare la dose delle provocazioni, e fu grazie a lei che l’abito da cocktail a mezza lunghezza diventò di moda. Gli abitini erano dritti, impreziositi da pochi dettagli, a prova della sua minuscola silhouette, frutto di una rigida dieta che seguiva inflessibilmente. Ognuno dei suoi capi era studiato alla perfezione perché riuscisse a far risaltare più di tutto una cosa sola: i gioielli. Eccola, la donna di ferro che amava ricoprirsi d'oro.

Sono proprio i gioielli donati dal duca di Windsor alla moglie a essere ancora oggi il lascito più prezioso della coppia reale più popolare del primo Novecento. Quando sono andati all'asta hanno raccolto 50 milioni di dollari, ma c'è qualcosa di inestimabile in quei bijoux, e non stiamo parlando delle gemme migliori sul mercato dell'epoca o le lavorazioni esclusive e minuziose che richiedevano mesi di attesa tra l'ordine e la consegna. La parte dal valore incalcolabile sono i messaggi d'amore, le parole intime incise sui gioielli dei primi anni insieme.

I gioielli che Edoardo donava a Wallis erano un vero e proprio linguaggio, il segreto che i due innamorati condividevano sin da quando dovevano incontrarsi di nascosto dal secondo marito di lei. Poi arrivarono ninnoli preziosi più legittimi, senza macchia di adulterio, come il bracciale indossato il giorno del matrimonio, un esemplare in platino impreziosito da nove croci latine pendenti, firmato Cartier. Un dettaglio perfetto per la celebrazione nuziale, ma anche la somma degli avvenimenti più importanti della loro storia: ciascuna croce infatti era stata donata da Edward a Wallis nel corso degli anni, e ognuna portava un messaggio sul retro. La croce WE are too, datata 25 settembre 1934, è l'acronimo che li definisce: we come noi, ma anche come Wallis+Edward, come a dire, esistiamo, siamo una cosa vera. Una dichiarazione forte fatta quando i due non erano ancora ufficialmente fidanzati ma si chiacchierava di una liaison mentre Wallis era ancora sposata. Una delle nove croci portava l’incisione The King’s Cross, la croce del re, realizzata in occasione della rinuncia alla corona, il divorzio definitivo di Edoardo dalla famiglia reale, che sancisce proprio la promessa di fedeltà eterna alla compagna. Wallis aveva scritto il significato di ciascuna croce su un quaderno trovato nei suoi appartamenti, compreso quello della croce in ametista donatale dopo un'operazione per appendicite.

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Spille, collane, anelli e orecchini la fecero diventare la madrina senza corona dell'aristocrazia del tempo: la coppia visse al Ritz di Parigi, in una suite che si affacciava su Place Vendôme, vicinissima agli indispensabili e frequentatissimi atelier Cartier. I duchi di Windsor si trasferirono poi in una villa al Bois de Boulogne, che Wallis arredò con sfarzo. Si dice che stendesse sui muri la sua cipria per il viso, per istruire gli arredatori affinché i colori delle pareti combaciassero con quelli del maquillage.

Anche con i gioielli, Wallis era anticonformista e inventiva. Usava le spille come fermagli per capelli, giocando a rinnovarli di tanto in tanto. Alcuni dei suoi simboli icona sono ancora oggi un esempio per l’alta gioielleria: fra i tanti, la spilla Cartier del 1927, una brôche di diamanti raffigurante una pantera sopra un enorme zaffiro Kashmir. Wallis la provocatrice ironica scelse di indossare quella pantera proprio a un evento pubblico cui era presente parte della famiglia reale, soprattutto la regina madre Elisabetta, colei che amava chiamarla con sprezzo "quella donna". Quella spilla ardita e moderna era una dichiarazione d’indipendenza alla presenza di chi aveva voluto escluderla e dimenticarla, e già che c'era aveva segnato anche una svolta epocale dallo stile Déco a quello più contemporaneo. Succedeva spesso con Wallis Simpson, un solo gioiello portava un significato politico e uno estetico. Una rivoluzione dello stile e una dei costumi, tutte insieme in un accessorio.

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My David

Fra i suoi gioielli più audaci, in controtendenza rispetto ai canoni decorativi del tempo, resta memorabile la coppia di rarissimi orecchini di diamanti citrini firmati Harry Winston, che fecero scalpore come tutto ciò che riguardava la duchessa. Da non dimenticare anche una brôche tridimensionale a forma di fenicottero, l'animale simbolo delle Bahamas di cui il duca di Windsor era governatore, ornata da un plumage brillante e audace, e soprattutto il magnifico porta cipria in oro massiccio decorato che Wallis amava aprire a tavola invece che alla toilette. Un vezzo che il celebre interior designer Nicholas Haslam definì "molto sexy".

Alta gioielleria, alta moda, il più squisito e ricercato arredamento d’interni: il mondo in cui Wallis Simpson si muoveva poteva certamente sembrare una provocazione, soprattutto durante i tempi miseri e affamati del dopoguerra, d'altra parte era proprio quella distanza dalla realtà a renderla il soggetto preferito dei rotocalchi europei, sui quali tutte le altre potevano sognare.

Era il 1972 quando Edoardo morì. Wallis Simpson gli si avvicinò, gli tenne una mano e gli baciò la fronte, sussurrando poi "My David", uno dei nomi di battesimo del duca che sarebbe dovuto diventare re. Ecco lo scandalo di Wallis Simpson: fece in modo che il re Edoardo restasse l'uomo David, per quanto duca, ricco e comunque fuori dal comune. Che cosa resta, oltre alla collezione di gioielli ormai dispersa dall'asta Sotheby's del 1987, di una donna così controversa? Si dice che molti inglesi non abbiano più ricordi legati a lei, se non l'immagine del lutto, quell'abito nero di Givenchy che scelse di indossare di ritorno a Parigi dopo il funerale del suo David. Il Daily Mail utilizzò quella foto per la prima pagina, intitolandola in modo forse perfido: "Adesso è sola".

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Wallis Simpson il giorno del funerale del Duca di Windsor.

Wallis Simpson visse per altri quattordici anni, nominò Suzanne Blum esecutrice testamentaria e ordinò di vendere all’asta tutti i suoi gioielli, a patto che il ricavato andasse in beneficenza all’Istituto Pasteur di Parigi per la ricerca sull’HIV. A suo tempo il duca di Windsor aveva espresso il desiderio che nessuno oltre lei indossasse quei gioielli, ma il volere di Wallis alla fine prevalse, e furono usati per una causa nobile di cui nessuno l'aveva creduta capace.

All’asta dei gioielli del 1987 parteciparono 1200 persone, tra cui ben 200 addetti stampa. Per partecipare alle aste telefoniche furono nominati 450 battitori da New York e 17 televisioni trasmisero in diretta l'evento. Al centro di Ginevra fu montato un tendone che potesse accogliere tutti, e come era prevedibile la stima iniziale del valore di tutti i lotti, circa sette milioni e mezzo di dollari, arrivò a più di cinquanta. I ricordi di una coppia davvero moderna e leggendaria furono sparsi qua e là, ma non tutto si disperse nella corsa affannosa all'oro celebre. Tra le acquirenti illustri ci fu un'altra grande amante dei gioielli con una storia e un significato, Liz Taylor, che acquistò al telefono una brôche di diamanti direttamente dalla sua piscina in California.

Due libri per saperne di più:

  • Anne Sebba, That Woman, The life of Wallis Simpson Duchess of Windsor
  • Daniela Mascetti, Appunti da "Royal and Noble Jewels: History, Style and Splendour, 1600-today", Sotheby’s Institute of Art