Vox Lux Recensione

Vox Lux: la recensione del film con Natalie Portman in concorso al Festival di Venezia 2018

04 settembre 2018
2.5 di 5
3

Brady Corbet, dopo il fortunato esordio di L'infanzia di un capo, fatica a trovare la quadra della sua opera seconda.

Vox Lux: la recensione del film con Natalie Portman in concorso al Festival di Venezia 2018

Il sottotitolo di Vox Lux, opera seconda di Brady Corbet, recita: “ A twenty-first century portrait,” un ritratto del XXI secolo. C’è della logica, se pensiamo che l’esordio (fortunato) di questo giovane attore e regista americano, quello di L’infanzia di un capo, era un racconto astratto e simbolico dell’ascesa dei totalitarismi novecenteschi.
Ma se in quel caso l’intento era descrittivo, e al più una sorta di monito a non ripetere errori del passati, questa volta Corbet firma una vera e propria invettiva.

Attraverso la storia della sua protagonista, Celeste, una ragazzina che nel 1999, in terza media, sopravvive miracolosamente a una strage compiuta nella sua scuola da un compagno, e che da lì partirà per diventare una pop star di fama mondiale, Vox Lux ha un intento chiaro e preciso: mostrare come questo nuovo secolo che stiamo vivendo è nato dall’orrore (la strage, certo, ma anche l’11 settembre) e per sopravvivere si è affidato al vuoto, al vacuo, al disimpegno, e alla comunicazione vuota, frutto di un pensiero azzerato, che nel film vengono identificati con la musica pop.

I dialoghi scritti da Corbet con la moglie Mona Fastvold, d’altronde, sono disseminati di chiari indizi.
Ad esempio quando, nel 2001, la giovane Celeste è a letto con un rocker che gli dice di amare il pop perché fa smettere di pensare. E ancora di più quando, nel 2017, la protagonista rinfaccia alla sorella la sua gelosia, accusandola di non aver mai trovato nella vita il suo “angle”; che qui non è un punto di vista, ma un taglio, un modo di porsi. Perché, dice il personaggio interpretato da Natalie Portman, “non importa tu sia Michelangelo o Mickey & Angel che fanno la pizza a Staten Island,”, nel mondo di oggi, in questo nostro XXI secolo è importa come ti vendi, e non cosa vendi.

Che si possa essere d’accordo o meno con Corbet (e io lo sono abbastanza) è una cosa.
Che questa sua invettiva risulti purtroppo un po’ superficiale e moralista, e che la cura ossessiva che aveva dimostrato per il cinema qui venga replicata solo in maniera un po’ manieristica nella prima parte del film, e si perda un po’ (troppo) nella seconda, è tutt’altra.
Il ragionamento di Vox Lux poteva essere sensato e importante, poteva inchiodare molti di noi - e molti dei nostri riferimenti culturali - a certe responsabilità che spesso vengono trascurate. E invece, nella sua scarsa capacità di analisi e astrazione, è solo retorica di un giovane autore che ha preso troppo sul serio il suo ruolo di intellettuale impegnato, e che si aggrappa a un'analisi novecentesca senza saperla rielaborare e aggiornare.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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