Uppaluri Gopala Krishnamurti

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Disambiguazione – Se stai cercando il quasi omonimo filosofo, vedi Jiddu Krishnamurti.

«Il vero cambiamento, la vera rivoluzione avviene abbandonando il noto per l'ignoto, dove non esiste alcuna autorità e dove potreste andare incontro al fallimento completo; sostituire al noto qualcos’altro che conosciamo non è un cambiamento.»

U. G. Krishnamurti

Uppaluri Gopala Krishnamurti, più noto come U.G. Krishnamurti, o solo U.G. (in lingua telugu: ఉప్పులూరి గోపాలకృష్ణ మూర్తి; Machilipatnam, 9 luglio 1918Vallecrosia, 22 marzo 2007), è stato un filosofo, mistico e conferenziere indiano, che trattò in modo anticonvenzionale e informale l'argomento della liberazione spirituale.

Spesso fu definito "antiguru" o come "l'uomo che rifiutò di essere un guru". Non va confuso con Jiddu Krishnamurti, anch'egli filosofo, mistico e oratore. Benché il loro insegnamento sia simile in alcuni punti, così come alcune loro esperienze biografiche, per un periodo intrattennero un dialogo diretto che però si interruppe con una rottura. In seguito a ciò, influenzato anche da Jiddu Krishnamurti stesso, U.G. pervenne ad una nuova consapevolezza mistica elaborando il proprio pensiero basato sul raggiungimento dello stato naturale. Egli fu, volutamente, un pensatore non filosoficamente organizzato, nonché radicalmente opposto alle tradizioni religiose e alle convenzioni, sebbene da alcuni apparentato ad una versione modernizzata degli insegnamenti non duali di tipo Advaita Vedanta.[1]

Biografia e attività[modifica | modifica wikitesto]

U.G. rimase orfano di madre, altro elemento in comune con Jiddu, ed entrambi appartenevano alla casta dei brahmini. Venne cresciuto con i nonni materni; la madre prima di morire avrebbe detto che lui "era nato per un destino incommensurabilmente alto" e suo nonno prese sul serio questa profezia. Il nonno era un induista ortodosso ma era molto legato alla teosofia dall'altro e, cercando di introdurre il nipote nello stesso ambito, fece sì che U.G. ebbe a che fare con Jiddu Krishnamurti, cresciuto negli ambienti teosofici che poi lasciò, per essere il "Maestro del Mondo", e che aveva ricevuto da un astrologo la stessa profezia. A detta di U.G. suo nonno era un uomo collerico e violento nonostante tutte le pratiche meditative in cui si esercitava.[2] Fino a 21 anni anche U.G. fu un membro della Società Teosofica. Per lungo periodo studiò yoga con Swami Sivananda. Lo lasciò perché riteneva ipocrita e innaturale il suo atteggiamento ascetico verso la sessualità[3], che da lui fu sempre vista come una cosa giusta e naturale.[4] U.G. Krishnamurti in seguito si sposò ed ebbe quattro figli. Conobbe anche un altro celebre guru, Ramana Maharshi, ma rimane deluso anche da questo incontro.[5]

La "calamità" e lo stato naturale[modifica | modifica wikitesto]

U.G. praticò yoga e meditazione per anni. Per diverso tempo U.G. viaggiò per tutto il mondo come conferenziere. Nel 1955 lui, la moglie e i figli andarono negli Stati Uniti alla ricerca di una cura per il figlio più grande, malato di poliomielite ma nel 1961 i soldi finirono, e il matrimonio entrò in crisi. La sua famiglia tornò in India ed andò in Inghilterra, dove visse ospite di maestri indiani, come senzatetto o in una vita abbastanza disordinata. U.G. Krishnamurti riferì, in seguito, di avere intrattenuto poi con Jiddu Krishnamurti, per un periodo, dopo averlo conosciuto a incontri pubblici, prima e dopo il 1967, discussioni quasi giornaliere le quali – asseriva – non procuravano alcuna soddisfacente risposta alle sue domande. Alla fine i loro incontri cessarono. Così descrisse parte della loro ultima discussione:

«Allora, verso la fine, insistetti nel dire: "Dai, non esiste nulla dietro i concetti astratti che mi stai gettando contro?" E lui rispose: "Non hai modo di saperlo per te stesso." Punto - quella fu la fine della nostra relazione, vedi – "Se non ho modo di saperlo, tu non hai alcun modo per comunicarlo. Cosa diavolo stiamo facendo qui? Ho sprecato sette anni. Addio, non voglio più vederti." E me ne andai.»

In realtà lo rivide alcuni anni dopo quando fu spinto da amici ad assistere a due conferenze di Jiddu, tuttavia i loro rapporti non furono più buoni.

Ma proprio come il suo omonimo, che ebbe una particolare esperienza mistica che chiamava "processo" (che però si ripeteva per anni), anche U.G. Krishnamurti ebbe un'esperienza di illuminazione improvvisa somigliante che soprannominò "la calamità": ne parlò come un'esplosione interna, che lo portò in uno stato di dolore e di estasi al tempo stesso che durò diversi giorni. Ciò avvenne nel 1967, in Svizzera, a 49 anni, da dove viveva da un po'. Le prime avvisaglie cominciarono con una forte emicrania, poi esperienze dissociative. Proprio nel periodo svizzero aveva cominciato a seguire le conferenze di Krishnamurti, ma non aveva il denaro per tornare in India.[5]

«Arrivai a Ginevra con 150 franchi da spendere e rimasi in albergo sebbene non avessi più soldi. Quando arrivò il conto dissi che non potevo pagare così la sola cosa che mi rimaneva da fare era andare al Consolato Indiano e chiedere che mi rimandassero in India. Capisci: - ero finito – Anche le mie resistenze a tornare in India erano finite così mi presentai al consolato con il mio album con le mie referenze. C’era scritto: - uno dei migliori relatori che l’India avesse prodotto - con le opinioni di Norman Cousins e di Radhakrishnan sul mio talento. Il vice console disse: - Non possiamo mandarti in India a spese del governo indiano. Cerca di farti mandare dei soldi dall'India e nel frattempo vieni a stare da me. Così feci e fu al consolato che conobbi Valentine de Kerven. Lei faceva la traduttrice, ma quel giorno mancava l’addetta al ricevimento, e lei la sostituiva. Iniziammo a parlare e da lì diventammo molto amici. Lei disse: - se vuoi rimanere io posso trovarti una sistemazione. Non devi tornare in India se non ci vuoi andare – Dopo un mese il console mi mandò via, ma lei riuscì a sistemarmi in Svizzera. Lasciò il suo lavoro. Lei non è ricca, aveva solo pochi soldi di pensione, ma per noi erano sufficienti per vivere.[5]»

Nel luglio 1967 U.G. era Parigi, e fu invitato dagli amici a una conferenza di Jiddu Krishnamurti, ma siccome era a pagamento, preferì andare ad uno spogliarello nel locale di music-hall Les Folies Bergèr. Lì ebbe però un'esperienza simile al samadhi mentre vedeva una ballerina ("guardavo lo spettacolo e non sapevo se ero io che stavo danzando o se c'era la danzatrice fuori di me che danzava – Era una cosa molto strana, sentivo il movimento dentro di me (questa ora è diventata una cosa naturale). Non c'era divisione, non c'era nessuno che guardava la danzatrice. Questa esperienza particolare di assenza di divisione tra me e le danzatrici andò avanti per un po’ – poi noi uscimmo dal teatro"). In seguito andò a una conferenza gratuita di Krishnamurti.[5] Mentre Jiddu parlava della propria "illuminazione", U.G. sostenne che, mentre lo ascoltava "mi accadde qualcosa di divertente: la strana sensazione che stesse descrivendo il mio stato e non il suo stato. Perché volevo conoscere il suo stato? Stava descrivendo qualcosa, alcuni movimenti, una certa consapevolezza, un po' di silenzio..."[5] Fino ad allora U.G., che pur riteneva di avere raggiunto alcuni poteri, tra cui di chiaroveggenza[6], si considerava insoddisfatto. Dopo essere andato in Svizzera, continuò ad arrovellarsi su queste domande suscitate in lui.[5]

«"In quel silenzio non c'è mente; c'è azione" – ogni genere di cose. Quindi, sono in quello stato. Che diavolo ho fatto in questi 30 o 40 anni, ascoltando tutte queste persone e lottando, volendo capire il loro stato o lo stato di qualcun altro, Buddha o Gesù? Sono in quello stato. Ora sono in quello stato. Quindi sono uscito dalla tenda e non ho mai guardato indietro. Poi – molto strana – quella domanda “Cos’è quello stato?” si trasformò in un'altra domanda: "Come faccio a sapere che sono in quello stato, lo stato di Buddha, lo stato che tanto desideravo e pretendevo da tutti? Sono in quello stato, ma come faccio a saperlo?".»

Il giorno successivo U.G. stava nuovamente riflettendo sulla domanda "Come faccio a sapere di essere in quello stato?" senza alcuna risposta imminente. In seguito raccontò che quando si rese conto all'improvviso che la domanda non aveva risposta, ci fu una reazione fisica, oltre che psicologica, inaspettata. Gli sembrò come "un'improvvisa 'esplosione' interiore, che fece esplodere, per così dire, ogni cellula, ogni nervo e ogni ghiandola del mio corpo".[5]

«Nel mio cervello non c'è più spazio per nulla. Per la prima volta diventai cosciente della mia testa con tutte le cose ammassate in essa. Queste vasana [le impressioni passate o "impronte karmiche"], o comunque vogliate chiamarle, provano a mostrarsi qualche volta, ma le cellule cerebrali sono così "ammassate" che non gli danno l'opportunità di mostrarsi. La dualità, la divisione, non può più esistere. È un'impossibilità fisica, non c'è nulla da fare riguardo a questo. Questo è il perché io affermo che quando quell'esplosione avviene, (uso la parola esplosione perché è come un’esplosione nucleare), produce una reazione a catena. Ogni cellula nel vostro corpo, le cellule nel centro stesso delle vostre ossa, devono subire questo "cambiamento". Non vorrei usare la parola cambiamento, ma è un cambio irreversibile. Non esiste il dubbio di tornare indietro. Non c'è il dubbio di ri-cadere, è un qualche tipo di alchimia assolutamente irreversibile. È come un'esplosione nucleare, vedi – frantuma il corpo intero. Non è una cosa facile; è la fine dell'uomo – Una "distruzione" che fa saltare ogni cellula, ogni nervo, ogni atomo, nel vostro corpo.[5]»

Con "ghiandole", intendeva probabilmente il termine indù chakra, identificandone uno con la ghiandola pineale. Iniziò a sperimentare quella che chiamò "la calamità", una serie di bizzarre trasformazioni fisiologiche che ebbero luogo nel corso di una settimana, influenzando ciascuno dei suoi sensi e risultando infine in un'esperienza simile alla morte e in un senso di vacuità. U.G. cominciò a non sentirsi bene fisicamente e così descrisse il tutto:

«La chiamo "calamità" perché dal punto di vista di chi pensa che questo sia qualcosa di fantastico, beato e pieno di beatitudine, amore o estasi, questa è una tortura fisica; questa è una calamità da questo punto di vista. Non una calamità per me, ma una calamità per coloro che hanno l’immagine che qualcosa di meraviglioso sta per accadere... Poi, l’ottavo giorno, ero seduto sul divano e all’improvviso ci fu un’esplosione di energia tremenda – un’energia tremenda che scuoteva tutto il corpo, e insieme al corpo, al divano, allo chalet e all’intero universo, per così dire – tremava , vibrante. Non puoi creare affatto quel movimento. È stato improvviso. Se venisse da fuori o da dentro, dal basso o dall'alto, non lo so, non sono riuscito a localizzare il punto; era tutto finito. Durò ore e ore. Non potevo sopportarlo ma non potevo fare nulla per fermarlo; c'era un'impotenza totale. Ciò è andato avanti all'infinito, giorno dopo giorno, giorno dopo giorno... L'energia che opera lì non sente le limitazioni del corpo; non è interessato; ha il suo slancio. È una cosa molto dolorosa. Non è quella beatitudine estatica e beata e tutta quella spazzatura – roba e sciocchezze! – è davvero una cosa dolorosa.[5]»

In seguito egli si sentì in uno stato diverso, la "post-calamità", che definì lo "stato naturale". Allora cominciò diversi viaggi per il mondo per discutere con chi assisteva ai suoi discorsi, rifiutando pagamenti in denaro.[5]

Le sue conferenze erano perlopiù dialoghi nello stile satsang.

Salute[modifica | modifica wikitesto]

U.G. Krishnamurti era noto per le sue insolite preferenze di dieta e per una salute molto robusta. Portando con sé una "cucina portatile" in una piccola valigia durante i suoi viaggi, cucinava da sé i suoi pasti, a volte anche per gli amici; la valigia conteneva perlopiù sale da cucina e panna, con cui preparava semplici pasti unendoli a ingredienti del luogo, e seguendo una dieta vegetariana (lacto-vegetariano come buona parte degli indiani[7]), ; affermava che "nessun pasto dovrebbe richiedere più di qualche minuto per essere preparato". Dopo il 1949, U.G Krishnamurti non fu più visitato da nessun medico né assunse più farmaci, credendo che il proprio corpo si sarebbe preso cura di sé stesso. Spesso, con chi si complimentava per il suo aspetto mantenuto in età avanzata, U.G. rispondeva scherzando "è perché non mangio cibo sano, non prendo vitamine e non faccio esercizio!"[8]

Morte[modifica | modifica wikitesto]

Negli ultimi anni soffrì di cardiospasmo, una malattia esofagea. Morì a 88 anni nel 2007 per le conseguenze di una caduta domestica nel bagno (incidente già occorsogli nel 2004) dopo alcune settimane passate a letto, mentre era ospite di amici in Italia, presso la cittadina ligure di Vallecrosia (Imperia). Decise di non essere ricoverato, coerentemente con le proprie scelte di vita e le proprie idee, e di essere lasciato solo al momento del decesso, dopo aver redatto il proprio testamento spirituale My Swan Song. Riteneva infatti che fosse giunti il momento di lasciare la vita. Fu cremato in Italia e le sue ceneri furono riportate in India e sepolte senza cerimonie particolari, come da sua richiesta.[9]

Pensiero[modifica | modifica wikitesto]

«Non sono anti-razionale, semplicemente irrazionale. Potresti dedurre un significato razionale in ciò che dico o faccio, ma è opera tua, non mia.»

U.G. disse che lo stato naturale che lui sperimentava dopo l'esperienza della "calamità" era diverso dalla liberazione detta moksha, dal nirvana, e dalla congiunzione col Brahman o l'Atman.

«Questo stato di non conoscenza non è un mio stato particolare, (Io lo chiamo lo stato naturale del nostro essere). Questo stato è tanto vostro quanto mio. Non è lo stato dell'uomo che ha realizzato Dio, ne lo stato dell'uomo auto realizzato, neanche è lo stato del santo. Esso è lo stato naturale di ciascuno di noi, ma siccome voi state cercando qualche altra cosa, state inseguendo qualche stato di liberazione, mutazione, o realizzazione, (non so che parola usare), voi siete persi.»

Esistono punti di contatto tra l'insegnamento di U.G Krishnamurti e Jiddu Krishnamurti, malgrado le loro divergenze. U.G. seguì infatti Jiddu per un periodo e ne fu influenzato. Entrambi ebbero esperienze spirituali simili e un sistema non dogmatico, rifiutando il ruolo di maestro spirituale, e un sistema di pensiero affine all'Advaita Vedanta moderna[1] (si veda Karl Renz) e al noncognitivismo teologico, ma mentre Jiddu proponeva un approccio filosofico e una forma di meditazione, seppur libera da tecniche precise e spontanea, U.G. riteneva che il pensiero dovesse fluire liberamente, e in maniera molto più disorganizzata. Entrambi i pensieri hanno elementi di scetticismo metodologico e filosofico[5], anche se non scientifico, molto distanti dalla religiosità popolare o tradizionale induista spesso basata anche sulla bhakti, o venerazione degli dèi o del guru (visnuismo, shivaismo, shaktismo).

«Non ho alcun insegnamento. Non c'è niente da preservare. Insegnare implica qualcosa che può essere utilizzato per produrre un cambiamento. Mi dispiace, qui non c'è insegnamento, solo frasi sconnesse e sconnesse. Quello che c'è è solo la tua interpretazione, nient'altro. Per questo motivo non esiste né esisterà mai alcun tipo di diritto d'autore per quanto dico. Non ho pretese. Sono costretto dalla natura del tuo ascolto a negare sempre la prima affermazione con un'altra affermazione. Quindi la seconda affermazione viene negata da una terza e così via. Il mio scopo non è una comoda tesi dialettica, ma la negazione totale di tutto ciò che può essere espresso.»

Questa frase ricorda l'iconoclastia provocatoria e la volontaria contraddittorietà certi maestri zen (si veda l'uso dei koan), di Jiddu Krishnamurti, o di guru come Osho Rajneesh o Gurdjieff, sebbene questi ultimi da lui distanti come stile di vita, come vi sono tratti in comune tra la filosofia di U.G. e quella di Friedrich Nietzsche. Come Osho e quest'ultimo, U.G. fu noto per la provocatorietà di certe sue affermazioni; le idee sul rifiuto apparente della spiritualità attiva (pur credendo in molti suoi aspetti) e della meditazione, l'avversione verso tutte le religioni e le figure di riferimento religiose (come Rajneesh anche U.G. le definì "spazzatura" o "sporcizia"[10]) al contempo (a livello personale) alla medicina occidentale, gli attacchi al potere e alle ideologie fatti da U.G. gli portarono accuse di ateismo e nichilismo (accuse mosse dalla stampa indiana all'indomani della morte) di non essere un "illuminato", di essere una copia di Jiddu Krishnamurti, o di ciarlataneria, da parte dei detrattori. D'altro canto certe sue posizioni politiche furono accostate a quelle del filosofo anarco-primitivista John Zerzan e all'anarchismo.[1] U.G. Krishnamurti sosteneva che le religioni fossero basate su inganni, e che molti testi sacri compresi i Veda fossero stati scritti sotto effetto di sostanze psicotrope come la soma, bevanda sacra di origine vegetale nel periodo vedico, usata in maniera analoga alle droghe dello sciamanesimo di altri luoghi, facendo quindi un paragone con la psichedelia.[11][12] (la soma descritta nei Veda modernamente è ritenuta affine all'allucinogeno ayahuasca usato dai nativi americani). In questo frangente i critici lo avvicinarono all'antica scuola di filosofia indiana irreligiosa nastika (cārvāka) (una delle cosiddette "scuole eterodosse" che negavano l'autorità vedica e l'esistenza dell'anima).[1]

«La vita e la morte non possono essere separate. Quando avviene quella che chiamate morte clinica, il corpo si scompone nei suoi elementi costitutivi e ciò costituisce la base per la continuità della vita. In questo senso il corpo è immortale.»

Questa affermazione di non-dualismo (in cui lo spirito è sostituito dal corpo: in questo senso, almeno nella frase citata, U.G. pare esprimersi quasi in senso semi-materialista-naturalista o almeno panteistico-naturalistico, in quanto non può essere apparentato al puro materialismo dei cārvāka, simili invece agli atomisti greci e al razionalismo) ricorda la frase di Jiddu Krishnamurti secondo cui "la vita e la morte sono un'unica cosa".[13]

Spesso si poneva in maniera simile a Socrate, rifiutando di fornire risposte a cui l'interlocutore non riusciva a rispondere da sé:

«È molto difficile capire cosa sto dicendo! Stai ponendo domande alle quali hai già le risposte. Se non avessi la risposta, non potresti avere la domanda. [...] Il fatto che la vita non abbia senso, scopo o importanza è qualcosa che non riesci ad accettare.[1]»

U.G. ha sottolineato l'impossibilità e la non necessità di qualsiasi cambiamento umano, radicale o banale. Queste affermazioni, ha affermato, non possono essere considerate come un “insegnamento”, cioè qualcosa destinato a servire a realizzare un cambiamento. Insisteva sul fatto che il corpo e le sue azioni sono già perfette e considerava i tentativi di cambiare o modellare il corpo come violazioni della pace e dell'armonia che già esistono.

«Voi farete un mucchio di piccole esperienze, se quello è ciò che vi interessa. Fate le vostre meditazioni, fate tutto quello che volete, sperimenterete un mucchio di cose. È molto facile fare queste esperienze attraverso l'uso delle droghe. Non vi sto raccomandando questo, ma le esperienze sono le stesse, esattamente le stesse. I dottori dicono che le droghe danneggiano il cervello, ma anche la meditazione se è fatta seriamente danneggia il cervello. C'è gente che è impazzita, gente che si è buttata nel fiume, che ha fatto un mucchio di stranezze; si sono rinchiusi in una caverna perché non potevano più fronteggiare le loro esperienze. Vedete, non vi è possibile guardare i vostri pensieri, come non è possibile essere consapevoli di ogni passo che fate; se farete una cosa del genere, impazzirete. Non sarete più in grado di camminare [...] Adesso voi non siete consapevoli del vostro respiro. Non vi serve esserlo.[14]»

La psiche o o mente, un'entità che egli negava come dotata di esistenza, non è composta altro che dalla "domanda" di apportare un cambiamento nel mondo, in se stesso o in entrambi. Inoltre, l'autocoscienza umana non è una cosa, ma un movimento, caratterizzato da un "perpetuo malcontento" e da una "insistenza fascista" sulla propria importanza e sopravvivenza.[5]

«Anche quel "fluire" non è qualche cosa di volontario da parte vostra. Voi non dovete fare nulla. Non siete separati dal pensiero. Questo è ciò che enfatizzo. Voi non potete separarvi dal pensiero e dire: "questi sono i miei pensieri" [...] Voi non accettate di essere persone normali, persone ordinarie. Quello è il vero problema. È molto difficile essere una persona ordinaria. La cultura vi chiede di essere qualche cosa di diverso da ciò che siete. Questo ha creato una sorta di spinta, - un movimento potentissimo e tremendo del pensiero, - il quale vi spinge ad essere diversi. Il pensiero serve nell'ambito materiale, altrimenti è inutile. Il solo scopo del pensiero è di sovrintendere al nutrimento del corpo ed alla riproduzione. Quello è tutto l'uso che potete fare del pensiero. Null'altro. Non può essere usato per speculare. Voi potete costruire una struttura di pensiero filosofico tremenda, ma non avrebbe assolutamente valore. Potete interpretare tutti gli eventi della vostra vita e costruire altre strutture di pensiero, ma non servirà...[14]»

U.G. negava l’esistenza di una mente individuale (in questo simile al concetto buddhista di anatman). Accettò però il concetto di una mente mondiale, che secondo lui conteneva l'accumulo della totalità della conoscenza e dell'esperienza dell'uomo. Ha anche usato "sfera del pensiero" (atmosfera dei pensieri) come sinonimo del termine "mente mondiale".[5] Questo ricorda l'idea occidentale di noosfera, o quelle di intelligenza collettiva o inconscio collettivo. Affermò che gli esseri umani abitano questo regno del pensiero (o sfera del pensiero) e che il cervello umano agisce come un'antenna, raccogliendo e scegliendo i pensieri in base alle sue esigenze.[5]

Opere[modifica | modifica wikitesto]

U.G. Krishnamurti non ha scritto alcun testo. Tutti i libri in circolazione (in inglese, francese, tedesco, olandese, spagnolo, polacco, serbo, coreano, hindi, tamil, telugu e kannada, oltre che in italiano) sono trascrizioni di conversazioni. Lo stesso U.G. non mostrerà particolare interesse a questi volumi, tanto che troviamo come ex ergo a ogni suo libro la seguente frase, per cui i suoi testi sono considerati di pubblico dominio avendo lui stesso rinunciato a ogni diritto d'autore:

«Il mio insegnamento, se vi piace chiamarlo così, non ha copyright. Siete liberi di riprodurlo, diffonderlo, interpretarlo, fraintenderlo, distorcerlo, alterarlo, potete farne quel che vi pare, potete anche pretendere di esserne voi gli autori, senza bisogno di chiedere né il mio consenso, né il permesso di chiunque altro.»

Elenco di testi (parziali)[modifica | modifica wikitesto]

  • The Mystique of Enlightenment
  • Courage to Stand Alone
  • Mind is a Myth
  • No Way Out
  • Thought is Your Enemy
  • The Sage and the Housewife
  • Stopped in Our Tracks: Stories of U.G. in India
  • The Natural State
  • Science and U.G.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e U.G. Krishnamurti, l'anarchico divino, testo integrale qui
  2. ^ "Mio nonno soleva meditare, (Egli è morto e non voglio dire nulla di brutto su di lui), per una o due ore, in una stanza separata. Un giorno un infante, di circa un anno e mezzo o due, scoppiò a piangere per qualche ragione. Mio nonno uscì dalla stanza di meditazione ed iniziò picchiarlo finché non divenne quasi blu. - E questo era un uomo che meditava due ore al giorno – Quell’esperienza ha creato in me, (non mi piace usare termini psicologici ma non c'è scampo ad essi), una sorta di esperienza traumatica. Pensavo: - Ci deve essere qualche cosa di assurdo riguardo a questa pratica della meditazione. Le vite di chi medita sono assolutamente vuote. Quelli che meditano dicono cose meravigliose, si esprimono in modo molto bello. Ma cosa dire circa il loro comportamento? C'è qualche paura nevrotica nelle loro vite: loro parlano di cose che non sono inerenti a come agiscono. Cosa c'è di sbagliato in loro?"
  3. ^

    «C’era un uomo chiamato Shivananda Saraswati in quei giorni - egli era un evangelista dell’Induismo. Tra l’età di 14 e 20 anni, (sto saltando molti particolari), io solevo andare ad incontrarlo e con lui praticai ogni tipo di austerità. Ero così giovane ma ero determinato a trovare se esisteva una cosa come la liberazione, e, se esisteva, la volevo per me stesso. Io volevo provare a me stesso e agli altri che in una persona spirituale, non poteva esserci nessuna ipocrisia. Crescendo il sesso diventò un tremendo problema per me che ero un giovane uomo. Mi dicevo: - Il sesso è qualche cosa di normale, una cosa biologica, un urgenza del corpo umano. Perché tutte queste persone vogliono rinunciare al sesso e sopprimere qualche cosa di così naturale, qualche cosa che è parte della vita, al fine di raggiungere qualche altra cosa? Il sesso è più reale, più importante per me che la liberazione, la Moksha e tutto il resto. Questa è la realtà - Pensavo a dei e dee e facevo sogni erotici. Mi succedevano questo tipo di cose e perché avrei dovuto sentirmi colpevole? Era così naturale ed io non avevo nessun controllo - La meditazione non mi aveva aiutato, gli studi non mi avevano aiutato, le mie discipline non mi avevano aiutato. Mi astenevo da cibi con spezie o piccanti, ma non serviva - Poi un giorno, trovai Shivananda che mangiava un mango nascosto dietro una porta ed allora mi dissi: - Qui c’è un uomo che si è negato tutto nella speranza di raggiungere qualche altra cosa, ma quell’uomo non può controllarsi. Anche lui è un ipocrita - Non voglio dire nulla di cattivo su di lui, ma quel tipo di vita non era per me. Quando avevo 21 anni arrivai ad un punto in cui sentii in maniera molto forte che - Budda, Gesù, Ramakrishna e tutti i mistici e santi, avevano imbrogliato e deluso se stessi e deluso gli altri. Questo, vedi, non poteva essere assolutamente il punto. - “Dov’è quello stato di cui hanno parlato e che hanno descritto quelle persone? Quelle descrizioni sembravano non avere nesso con me, e col modo con cui io funzionavo. Tutti dicevano: “Non arrabbiarti” ed io ero rabbioso tutto il tempo. Io ero pieno dentro di me di cose brutali - così quello che dicevano doveva essere falso. Il mio pensiero era: - Quello che mi dicono è falso, e renderà falso anche me. Io non voglio vivere una vita di falsità. Io sono avido e loro stanno parlando di non avidità. C’è qualche cosa di sbagliato da qualche parte. Questa avidità è un qualche cosa di reale, qualche cosa di naturale per me. Quello di cui stanno parlando è innaturale.»

  4. ^ U.G. Krishnamurti, No Way Out, Chapter 8:

    «Q: So sex is a natural thing and it is not dirty.
    UG: Right. Sex is a very natural thing. You see, if you don't have sex, the semen probably goes out through your urine or in some other way. After all, the sex glands have to function. If they don't function normally, you are an abnormal individual. But we are not ready to accept this fact, because it undermines the very foundation of human culture. We cannot accept the fact that we are just biological beings and nothing more. It is something like saying that in the field of economics you are not controlled by the laws of supply and demand. But actually, in the field of economics you are. Likewise, in the political field the laws of politics control us. But we are not ready to accept the basic, fundamental fact that we are just biological beings, and all that is happening within the body is a result of hormonal activity. It is pure and simple chemistry. If there is any problem there [in the body], it is too presumptuous on my part to tell you, as you are a sex therapist. Problems in that area cannot be solved in any other way than by trying to change the chemistry of the whole body. I think our whole thinking has to be put on a different track. I don't know; I am just suggesting. I may be wrong. I am not competent enough.»

  5. ^ a b c d e f g h i j k l m n Krishnamurti, U. G.; Rodney Arms (2001). Mystique of Enlightenment Part One (3rd ed.). Retrieved 5 September 2007.
  6. ^ "Prima del mio quarantanovesimo anno io avevo molti poteri e molte esperienze, ma non gli prestavo grande attenzione. Quando incontravo qualcuno potevo vederne passato, presente e futuro senza che lui mi avesse detto nulla. Io ero stupito e mi chiedevo come mai avessi quei poteri? Qualche volta dicevo qualche cosa e quella cosa si avverava. Io non capivo il meccanismo di quella cosa. Mi chiedevo com’era possibile per me dire quelle cose. Questo fatto aveva, a volte, spiacevoli conseguenze e creava sofferenza nelle persone."
  7. ^ La dieta latto-vegetariana, che comprende solo alimenti vegetali e latticini prodotti rispettando gli animali è simile alla dieta latto-ovo-vegetariana, ma esclude anche le uova, e meno rigorosa del vegetarianismo integrale di Gandhi. Anche Jiddu Krishnamurti seguiva la stessa dieta. È un modello dietetico frequente nella tradizione indiana di cui fanno parte le diete sattviche o yogiche e altre di estrazione induista come la dieta viṣṇuita, tra i cui precetti è compresa anche l'astensione dai funghi, dall'aglio, dalla cipolla e dai tartufi. La dieta latto-vegetariana è molto diffusa nel subcontinente indiano tra i fedeli delle religioni dharmiche (Induismo, Buddhismo, Giainismo, Sikhismo) per via del principio religioso e morale che impone la nonviolenza nei confronti di tutti gli esseri viventi.
  8. ^ U.G. And Food. Retrieved 24 August 2012.
  9. ^ Narayana Moorty, La mia ultima visita ad U.G. Krishnamurti, trad. Pierluigi Piazza
  10. ^ U.G. Krishnamurti, Religion is filth
  11. ^ Video Intervista a U.G. Krishnamurti
  12. ^ Federico Battistutta, L'anarchismo religioso di U.G. Krishnamurti, A - Rivista Anarchica
  13. ^

    «La vita e la morte sono un'unica cosa. L’uomo saggio comprende il tempo, il pensiero e la sofferenza, e solo lui può capire la morte. [...] C’è paura della morte finché c’è desiderio che il proprio carattere, il proprio agire, la capacità, il nome e così via continuino a esistere. [...] Avendo paura della morte razionalizziamo la paura cercando di eluderla con affermazioni del tipo: "La morte è inevitabile, ogni cosa muore". Il processo di razionalizzazione non è altro che una fuga dalla realtà. Oppure crediamo nella reincarnazione, idea che soddisfa e conforta, anche se non può eliminare la paura. Magari cerchiamo di vivere completamente nel presente, dimenticando tutto ciò che riguarda il passato e il futuro, preoccupandoci soltanto del presente, ma la paura continua. [...] Cos'è la morte? È esattamente la fine di tutto ciò che abbiamo conosciuto. Ecco la realtà. Il punto non è se sopravviveremo o non sopravviveremo. La sopravvivenza dopo la morte non è che un concetto. Noi non sappiamo, ma crediamo, perché credere ci conforta. Non affrontiamo mai il problema della morte in sé e per sé, perché l'idea stessa di arrivare a una fine, di penetrare nel regno dell'ignoto è talmente orripilante da risvegliare la paura. Avendo paura, facciamo ricorso a varie forme di credo religioso, che sono semplicemente vie di fuga. [...] Dobbiamo penetrare la natura della morte da vivi [...] Morire dev'essere qualcosa di straordinario, entrare in una dimensione che non abbiamo mai immaginato, totalmente sconosciuta. Ora, in che modo può la mente sperimentare, da vivi, quella cessazione che chiamiamo morte? La morte è la cessazione. È la cessazione del corpo, e forse anche della mente. Non sto cercando di scoprire se ci sia vita dopo la morte. Ciò che mi interessa è la cessazione.»

  14. ^ a b

    «Non sono in conflitto con la società. Il mondo, esattamente così com'è, è la sola realtà che conosco. La realtà ultima è un'invenzione dell'uomo e non ha assolutamente nessuna relazione con la realtà di questo mondo. [...] Voi farete un mucchio di piccole esperienze, se quello è ciò che vi interessa. Fate le vostre meditazioni, fate tutto quello che volete, sperimenterete un mucchio di cose. È molto facile fare queste esperienze attraverso l'uso delle droghe. Non vi sto raccomandando questo, ma le esperienze sono le stesse, esattamente le stesse. I dottori dicono che le droghe danneggiano il cervello, ma anche la meditazione se è fatta seriamente danneggia il cervello. C'è gente che è impazzita, gente che si è buttata nel fiume, che ha fatto un mucchio di stranezze; si sono rinchiusi in una caverna perché non potevano più fronteggiare le loro esperienze. Vedete, non vi è possibile guardare i vostri pensieri, come non è possibile essere consapevoli di ogni passo che fate; se farete una cosa del genere, impazzirete. Non sarete più in grado di camminare. Quando si dice che uno dovrebbe essere consapevole di ogni cosa, non si intende una cosa del genere. Come può essere possibile guardare ogni pensiero, e perché dovreste farlo? Per avere autocontrollo? Non potete avere quel controllo, è una cosa tremenda. Quando vi capita di immaginare che state controllando i vostri pensieri, e sperimentate un vuoto tra quei pensieri, o qualche stato di assenza di pensiero, sentite che state raggiungendo qualche cosa. Quello è uno stato di assenza di pensiero indotto dal pensiero stesso, solo un vuoto tra due pensieri. Il fatto che voi possiate sperimentarlo dimostra che il pensiero è ancora estremamente attivo in voi. Adesso voi non siete consapevoli del vostro respiro. Non vi serve esserlo. Perché volete essere consapevoli di quel respiro? Se mi dite che lo fate per espandere i vostri polmoni, per avere un torace possente, - allora è un altro paio di maniche, ma perché volete essere consapevoli del movimento del respiro dall'origine alla fine? Il pensiero e il respiro sono due cose strettamente correlate. Questo è il perché voi volete controllare il vostro respiro. Osservarlo è anche un modo per controllarlo per qualche momento. Ma se trattenete il respiro a lungo, vi soffocherete e morirete allo stesso modo per cui ogni cosa che fate per trattenere o bloccare il flusso del pensiero vi condurrà alla morte, letteralmente alla morte, o al meglio danneggerete qualche organo. Il pensiero è una vibrazione straordinaria. È come il vibrare di un atomo. Non potete giocare con queste cose. Non raggiungerete mai il vostro obbiettivo di controllare il pensiero. Il pensiero deve funzionare nel modo che gli è proprio, nel suo modo disgiunto e scollegato, e questo modo di funzionare non può essere raggiunto attraverso uno sforzo volitivo. Deve ritornare al suo ritmo naturale. Il vostro sforzo per ricondurlo a quel ritmo non fa altro che togliergli naturalezza. Il pensiero ha una sua vita propria che sfortunatamente è diventata qualche cosa di parallelo rispetto al movimento della vita stessa. Questi due movimenti sono sempre in conflitto, e questo conflitto terminerà solo alla morte del corpo. [...] Il pensiero è diventato il padrone di questo corpo. Esso si è impadronito di tutto quanto. Sta ancora provando a controllare ogni cosa dentro di voi. E voi non potete più, per usare una metafora, "buttare fuori il servo dalla casa", per quanto ci possiate provare. Se lo fate con la forza, lui brucerà l'intera casa, anche sapendo bene che con la casa brucerà anche lui. È una cosa folle per lui. Ma questo è quello che succederà se ci provate. Non spingete queste similitudini alle loro logiche conclusioni, ma capite da voi stessi quando fate queste cose, e non prendetele alla leggera. Oppure pigliatele veramente alla leggera e giocate con esse; se usate queste cose come giocattoli, va bene.

    D: Stai suggerendo di lasciarci semplicemente andare? nessun conseguimento, solo fluire?

    U.G: Anche quel "fluire" non è qualche cosa di volontario da parte vostra. Voi non dovete fare nulla. Non siete separati dal pensiero. Questo è ciò che enfatizzo. Voi non potete separarvi dal pensiero e dire: "questi sono i miei pensieri". Una cosa del genere è una vostra illusione, e voi non potete restare senza illusioni. Rimpiazzate continuamente un'illusione con un altra. Sempre. Se tu accetti il fatto che rimpiazzi continuamente un'illusione con un' altra illusione, allora hai capito che il tuo volere essere libero dalle illusioni è impossibile ; che quel volere stesso è un' illusione. Perché vuoi essere libero dalle illusioni? Sarebbe la tua fine..... Non sto cercando di spaventarvi, sto solo sottolineando che non è un gioco divertente da giocare. Quell'assembramento di illusioni siete voi stessi, come vi conoscete. Quando la conoscenza che voi avete di voi stessi svanisce, finisce con essa anche la conoscenza che avete del mondo. Non può rimanere nulla. Ma quella conoscenza non finirà tanto facilmente, essa tenterà di rimpiazzare sempre una illusione con un'altra. Voi non accettate di essere persone normali, persone ordinarie. Quello è il vero problema. È molto difficile essere una persona ordinaria. La cultura vi chiede di essere qualche cosa di diverso da ciò che siete. Questo ha creato una sorta di spinta, - un movimento potentissimo e tremendo del pensiero, - il quale vi spinge ad essere diversi. Il pensiero serve nell'ambito materiale, altrimenti è inutile. Il solo scopo del pensiero è di sovrintendere al nutrimento del corpo ed alla riproduzione. Quello è tutto l'uso che potete fare del pensiero. Null'altro. Non può essere usato per speculare. Voi potete costruire una struttura di pensiero filosofico tremenda, ma non avrebbe assolutamente valore. Potete interpretare tutti gli eventi della vostra vita e costruire altre strutture di pensiero, ma non servirà.»

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Antologie e raccolte[modifica | modifica wikitesto]

  • The Penguin U.G. Krishnamurti reader, a cura di Mukunda Rao, New Delhi, Penguin Books India, 2007.
  • Le parole e le cose di U.G. Krishnamurti, cura di Federico Battistutta, in www.ugkrishnamurti.net

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

L'unica biografia al momento disponibile su U.G. è stata scritta dal regista e produttore indiano Mahesh Bhatt, che fu suo amico, di lunga data e fino al momento della morte:

  • Mahesh Bhatt, U.G. Krishnamurti. A life, New Delhi, Penguin Books India, 1992.

Riflessioni critiche sul pensiero[modifica | modifica wikitesto]

  • J.S.R.L. Narayana Moorty, Thought, the natural state and the body: deconstruction of spirituality in U.G. Krishnamurti, in www.ug-krishnamurti.blogspot.com
  • T.R. Raghunath, Il pensiero irrazionale di U.G. Krishnamurti, in U.G. Krishnamurti, Liberarsi delle illusioni, Cesena, Alaya/Macro, 2004, pp. 19–41.
  • Federico Battistutta, U.G. Krishnamurti: per una critica della ragione religiosa,"Religioni e Società", n. 64, maggio/agosto 2009, pp. 91–97.

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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