Proprio in questi giorni compie dieci anni Untrue di Burial, uno dei dischi fondamentali per la musica elettronica (ma non solo) dei nostri tempi.

Un capolavoro che ha definito un’epoca, colonna sonora di un mondo in disfacimento tra i fantasmi di un futuro incerto e la nostalgia per un'epoca mai vissuta - come raccontato benissimo da quel genio del compianto Mark Fisher già in occasione dell’esordio del misterioso produttore londinese.

Simon Reynolds, il critico musicale più noto al mondo, ha celebrato questo compleanno con un lungo articolo su Pitchfork dal titolo che non lascia spazio a dubbi: “Why Burial’s Untrue Is the Most Important Electronic Album of the Century So Far”.

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Abbiamo deciso di interpellare un buon numero di addetti ai lavori, giornalisti e musicisti, per girare loro la domanda: "Untrue di Burial è davvero il disco di musica elettronica più importante di questo secolo?"

Tra pareri, analisi, ricordi e suggestioni, ecco i loro contributi.

Alberto Guerrini (Gabber Eleganza):

"Untrue è uno di quei dischi che esce nel posto giusto al momento giusto e per l'etichetta giusta (la Hyperdub, nda). Lo ritengo un disco molto interessante, riconoscibile e dal sound originale, padre di una generazione di producer e uno degli ultimi esempi di successi pre-social manía/fobia, ma non credo sia il disco del secolo, mancano ancora un po' di anni per sancire il vincitore".

Andrea Girolami (Nonsischerzapiù):

"La musica elettronica ha sempre descritto il mondo ricoprendolo di un manto fantascientifico, a volte sognante, altre distopico. Dai Kraftwerk fino alla techno di Detroit c'è sempre stata questa tensione tra il tempo presente e la musica che ascoltavamo che sembrava provenire da un leggero slittamento temporale nel futuro. In questo aspetto risiedeva la sua natura eccitante e la sua forza cinetica.

Untrue è stato la fine di un'epoca musicale e l'inizio di un'altra. Improvvisamente il futuro non era più davanti a noi ma tutto intorno. Non c'era più niente da immaginare perché ci siamo accorti di vivere già nello spazio di cui abbiamo fantasticato sin da bambini: uno in cui tutta la musica è gratuita e la tecnologia talmente pervasiva da essere assolutamente invisibile.

Un mondo dove le colonne sonore dei videogame, gli scarti delle musiche del passato e le hit da classifica si mescolano assieme in un disco profondamente derivativo eppure completamente nuovo. Quello che avevamo sempre sognato si era finalmente avverato lasciandoci felici ma senza nessuna idea di quale sarebbe potuto essere il prossimo passo. A distanza di 10 anni forse non l'abbiamo ancora capito".

Andrea Mangia (Populous):

"La premessa doverosa è che non sono mai stato un grande fan di Burial, forse anche per questo trovo un po esagerata la posizione di Pitchfork. Allo stesso tempo so benissimo che quel disco ha dettato dei canoni estetici, soprattutto a livello di "suono" (così oscuro e profondo), molto forti, è diventato una sorta di trademark. Quindi bella per Burial, ma non è mai stata la mia cup of tea".

Caterina Barbieri:

"Non saprei dire perché, però mi piace un casino quel disco: è uno dei pochissimi che continuo ad ascoltare. Per me è quel suono simbolo della millennial generation, quel suono fatale che esprime il sublime del passaggio di secolo. Un suono apocalittico, che rompe col passato, sì, ma che nel farlo se ne porta dietro i fantasmi intrisi di malinconia. Poi c'è un senso di frattura nella sua musica, che la musica "accelerazionista" degli anni successivi ha ereditato perdendo però quel lato sublime, che va oltre i tempi secondo me".

Damir Ivic (Soundwall, Il Mucchio Selvaggio):

"Sì, con riserva: nel senso che se consideriamo quanto è uscito dal 2000 in poi, Untrue effettivamente potrebbe ambire senza troppi concorrenti al titolo di disco di elettronica più importante in assoluto. E lo dico pur amando Burial solo in parte - non ne sono infatti un enorme fan. Però per chi prende l'elettronica con un approccio cerebrale, intellettuale, contestualizzante, molto anglosassone nel suo cercare riferimenti alla quotidianità e anzi ad una certa malinconia della quotidianità, ecco, per tutta questa gente - che è il target primario sia di Pitchfork che di Esquire che anche del Mucchio, tanto per citare uno dei giornali su cui scrivo - sì, Untrue è il disco-simbolo, racchiude mille significati e mille verità. Peccato che se esci nel mondo reale, fuori dalla propria filter bubble estesa, di Untrue non interessa niente a nessuno, o quasi. Ha lasciato molta più traccia Guetta o Calvin Harris. Il che non vuole essere un'anatema contro la superficialità del mondo, né tantomeno un elogio artistico di Guetta o Harris. Dico solo che quando si dice "disco più importante", si può avere il parere partigiano del critico (professionista o meno) e allora ogni scelta se motivata va bene, ma se si invece vuole avere un ruolo un po' più cronachistico Burial ha contato tanto quanto SXM nel rap italiano: fantastico, supremo, sublime, ma ha venduto 4000 copie quando è uscito e oggi i ventenni manco se lo filano più. Purtroppo".

Dario Moroldo (Amari):

"Direi che essendo questo in corso un secolo scevro da grandi novità formali e timbriche (in musica) ma dettato soprattutto da rivoluzioni di natura estetica, SI, anche per me è per ora il disco più importante uscito dal 2000 ad oggi. Anche se faccio fatica a scindere l'opera di Burial da quel continuum che è tutta la sua discografia. Nonostante lo stesso "untitled" del 2005 portasse con se tutti gli elementi che avrebbero fatto di Untrue il disco del secolo capisco che l'unità formale di quest'ultimo è probabilmente imparagonabile. Per me Burial e Dj Rashad sono i due ultimi grandi innovatori in termini di musica "urban". Fermo restando che l'influenza della musica del primo è decisamente più trasversale del secondo".

Elia Alovisi (Noisey):

"Non saprei se sia giusto definire Untrue l'album elettronico più importante del secolo, ma sicuramente non è un'affermazione buttata lì a caso. Leggendo l'analisi che ne fa Reynolds viene naturale lasciarsi trascinare dalla sua prosa, abilissima a rendere l'opera di Burial un crocevia culturale in cui confluiscono eredità giamaicana, rave culture, politica, economia e addirittura il post-punk dei Joy Division. Probabilmente anche altri album potrebbero essere raccontati allo stesso modo, posizionati al cuore di scene musicali e culture che hanno fatto la storia. Per dirne qualcuno: Selected Ambient Works 85-92, w/the Artists, Confield, Geogaddi, Midtown 120 Blues. Ma uno dei principali meriti di Untrue—come nota anche Reynolds—è il modo in cui ha travalicato qualsiasi confine di genere nella coscienza musicale collettiva, affermandosi come pietra miliare anche per chi ascolta elettronica solo occasionalmente".

Emiliano Colasanti (Soundwall, Rolling Stone, 42 Records):

"Non so se sia il più importante disco di musica elettronica del secolo, anche perché forse quello, anche solo per via dell'impatto sul pop a venire, dovrebbe essere Discovery (che però a differenza di Untrue sguazzava nel revivalismo). Credo però che Untrue, pur essendo un disco che proprio come il precedente di Burial pescava in maniera prepotente dal passato, sia stato forse uno degli ultimi momenti in cui la musica elettronica è sembrata un ponte verso il futuro e ci ha fatto credere alla nascita di un qualcosa che poi forse non è neanche mai del tutto nato. Burial è stato uno dei primi Producer dell'era di Internet a "suonare" internet e infatti Untrue è un disco post tutto costruito frullando al suo interno qualunque cosa: spezzoni presi da video di YouTube, videogiochi, linee vocali rubate da canzoni uscite giusto pochi mesi o pochi anni prima, il rumore delle chiavi, quello della pioggia sui vetri. È un disco urbano, metropolitano, e tutt'ora davvero attuale. Dopo non mi viene in mente nient'altro che abbia rappresentato lo spirito del tempo con tale forza. Forse solo R Plus 7 di Oneohtrix Point Never, ma senza avere quell'impatto lì".

Fabio De Luca (The Tuesday Tapes):

"È il disco elettronico più importante di questo secolo? Di certo è quello che ricorderemo, negli anni, come la definitiva (e necessaria) pietra tombale su una grossa illusione collettiva. Quella, per intenderci, del sogno kennedyano (renziano?!?) del primissimo Goldie –– musica per terziario avanzatissimo ma “buono”, per centri direzionali dove si decidono magnifiche sorti e non default e licenziamenti di massa. La città sembra la stessa, la musica pare arrivare dal medesimo continuum post-hardcore, ma il centro “centrificato” ora son solo scatole vuote, il nuovo organico ha lasciato spazio ai fantasmi, e il post-rave appare finalmente per quello che è: la “perdita del senso di un traguardo comune” (Simon Reynolds). “Inner city life, inner city pressure, taking over me”.

Francesco Birsa Alessandri (Haunter Records):

"Trovo piuttosto inutile sperticarsi in definizioni tipo “disco di elettronica più importante del secolo”. È roba buona per un titolo, ma men che meno trovo interessante stare qui a chiedersi se la definizione sia calzante. Casomai si dovrebbe parlare del perché è importante, ma anche lì, è abbastanza impossibile aggiungere qualcosa a quanto scritto, in anticipo su tutti, da Mark Fisher. Ok, lui parlava del primo omonimo, ma non c’è dubbio che quelle parole fossero perfettamente calzanti anche per Untrue. Anzi, se possibile quell’album rappresentò ancora meglio la figura dell’osservatore alla fine dei tempi. Una storia filtrata dalla cultura rave, ma evitando di usare quest’ultima come metafora, investendo semmai autobiograficamente e tracciando l’accumulo di entusiasmo chimico nelle controculture fino all’implosione di fine millennio. In questo senso, l’hardcore continuum diventa più un peso, come una forza centrifuga: se ne evoca uno spettro mettendo in risalto il rumore di fondo, le imperfezioni, la pioggia. Contemporaneamente, però, il suono di Untrue possedeva una profondità tridimensionale (strappata direttamente alla finzione videoludica) e una solidità che in qualche modo conteneva già i germi di un’urgenza di ritorno del futuro.

La narrazione allegata alla musica—magari neanche vera, ma chissenefrega—parlava appunto di un William Beavan troppo giovane per avere vissuto in prima persona l’epoca rave, conosciuta solo tramite i racconti del fratello maggiore, e riconsegnava quel senso di perdita attraverso un collage di garage storta, r&b spaesato e necromanzia dub. In un’epoca in cui la musica dance veniva appropriata indebitamente da un mucchio di hipster con le chitarrine, lui usava la dubstep in maniera completamente disincantata, come un’elegia inerme sul bus notturno.

Poi purtroppo il periodo di grazia finì, arrivarono le grinfie di Thom Yorke, la consacrazione e tutta quella roba che l’ha portato a fare dischi peggio che inutili. Non importa. L’energia emotiva di Untrue resta intatta".

Francesco Farabegoli (Bastonate, Rumore, Esquire):

"No. La domanda “qual è il disco di musica elettronica più importante del secolo?” in realtà si scompone in due domande di ordine distinto e sequenziale. La prima: qual è la corrente di pensiero/il periodo storico/l’argomento più importante tra quelli che hanno dominato il secolo fino ad oggi? La seconda: trovata la corrente di pensiero più importante, qual è il disco che più la rappresenta?

Entrambe le domande sono piuttosto stupide, a pensarci. Chiedersi quale sia stato il disco più importante chiama inevitabilmente una dimensione di oggettività (banalmente, potrebbe esser definito il disco da cui è più difficile prescindere nel fare musica elettronica in questo secolo) (e nel caso, la si può fare tranquillamente ai massimi livelli senza avere mai ascoltato Burial e senza tenerne conto), ma si fonda su un’idea soggettiva. Nell’articolo di Reynolds che incorona Untrue la forzatura è piuttosto evidente: vengono affastellate decine di concetti appartenenti a certi ordini di idee -Fisher, hauntology e via discorrendo- che inchiodano l’analisi di Reynolds a una serie di premesse forti e ultradocumentate ma nondimeno opinabilissime. Oltre a questo, è opinabilissimo che sia un disco come Untrue a rappresentarle meglio di quanto facciano i dischi dei vari Ferraro, Holly Herndon, 0PN o chi per lui. Oltre a riscalare il fenomeno Burial in sè: nel 21esimo secolo la musica elettronica ha avuto (meglio: ha scelto di avere) una storia molto più complessa e orizzontale di quella che hanno avuto le musiche occidentali non-elettroniche, e la sola idea di poter incoronare un disco a “più importante del secolo” credo implichi un certo grado di malafede o una certa mancanza di comprensione. Due caratteristiche che peraltro richiamano molto un disco come Untrue, che è senza dubbio un album straordinario e che -a dispetto della sua sostanziale negatività, della sua complessità e di una componente identitaria così forte (Londra Sud, 2007)- piace sostanzialmente a chiunque lo ascolti, senza esclusione (a parte Ringo). Credo che Burial venga ucciso da questa sorta di paradosso cognitivo: non credo sia possibile pensare seriamente a un disco che sia “il disco di elettronica più importante del secolo”, e se qualcuno lo riesce a pensare di Untrue, di sicuro Untrue non lo è".

Giorgio Spedicato (Machweo):

"Per come ho scoperto Burial nella mia vita quando non avevo nessuna consapevolezza musicale e per come ho imparato a conoscere la sua musica col tempo, non sono certo che Untrue sia il disco più importante del secolo nell'ambito della musica elettronica. È un disco che adoro ma queste sparate assolute lasciano il tempo che trovano. Penso sicuramente che Untrue e Burial in generale abbiano contribuito in modo enorme alla percezione che il grande pubblico ha dell'elettronica, del "producer" e di un certo approccio al farla, la musica. Penso che Untrue abbia aiutato un'intera generazione, la mia in particolare. Chissà quanti insieme a me hanno pensato di iniziare a fare musica ascoltando "Archangel" o "Etched Headplate". In Untrue c'è quel sentimento fortissimo di solitudine, quasi di emarginazione che per me che non avevo le palle per fare il punk davvero è stata un'ancora di salvezza, capito cosa intendo? Penso di essermi sentito parte di qualcosa per la prima volta ascoltando Untrue e avvertivo fosse lo stesso sentimento che i miei amici provavano quando ascoltavano Tupac o i Sex Pistols. Trovavo conforto in quell'emotività straziante. Scoprire poi crescendo che Burial sembra essere come te lo immaginavi, mega nerd che gioca ossessivamente ai videogiochi e rippa campioni da Youtube è stato bello, ha contribuito a farlo sembrare autentico, proprio tipo un fratello. Poi che sia il disco più importante del secolo alla luce di queste cose sinceramente, chi se ne frega".

Giorgio Valletta (Rumore):

"Se parliamo di album, sì. Lo è, soprattutto perché è riuscito a interpretare il presente e immaginare l'immediato futuro del suono quand'è uscito (era il 2007), tra la fine del dubstep e l'inizio di una nuova visione sull'r&b. E poi per la sua indiscutibile capacità di emozionare".

Giulia Cavaliere (Rolling Stone):

"Dove si è cacciata la mia copia di Untrue? Dove l’ho messa? Mentre Spotify lo riproduce dallo stereo di casa mi perdo tra i titoli della mia discoteca e non lo trovo, poi, all’improvviso, mi ricordo perfettamente chi se l’è portato via, realizzo che non lo riavrò mai e me lo ricompro online immediatamente. Eccolo qua, il primo tema, Untrue è un disco che il mio istinto vuole possedere ancora, pur non riguardando, strettamente, la mia intimità quotidiana di ascoltatrice, Untrue è cioè un prestito mai reso, un pezzo di passato attorcigliato intorno a qualcuno che non è più qui ma pure un presente immediato, non appena i suoi pezzi ricominciano a girare nella stanza. Perché? Cristallizzazione nel passato di presente che era futuribile e che oggi è qui pur contenendo in sé un seme di futuribilità che appare perpetuo, specialmente emotivamente e, come dice Reynolds, per una visione politica che non lo esaurisce.

Spirito del tempo a sua volta cristallizzato, sentimentalmente, in quello che Mark Fischer, si diceva, chiama proprio “segreta tristezza del 21esimo secolo”, quel territorio o landa desolata post-rave che resta, ingloba una storia che è quella di un paesaggio dell’abbandono, che è sì speculare a quello dell’immaginario di lamiera post punk ma più concavo, dalla voracità spaziale più ampia, così ampia che è ancora qui a mangiarci: reale presente vivo, non fascinazione nostalgica di relitti industriali di lamiere della perdita. Lo spirito del tempo, ancora una volta, per un tempo veloce ma emotivamente fermo, questo, tale da tenere in piedi uno statement politico da dieci anni, mostrandocene, oltretutto, l’apparente irreversibilità, l’apparente punk – senza post – NO FUTURE.

No-future futuristic eternal here music: questo è Untrue oggi, nella stanza, oltre il sound, il lavoro di sample, le definizioni da titolacci seo oriented.

Burial e Hannet, racconta Reynolds, cercavano, entrambi, la prova fisica della direzione dei propri suoni, avevano necessità cioè di una cassa di risonanza che fosse il reale oltre lo studio, che fosse l’architettura, lo spazio, i vuoti – specialmente; aggiungo che, allo stesso modo, Ray Davies finì di registrare "Waterloo Sunset" e chiese al tassista fuori dallo studio di registrazione di essere condotto sul Waterloo Bridge per verificare che tutto fosse esattamente com’era nella canzone appena conclusa, incluso quel tramonto di fine giornata. Waterloo era per Davies lo sguardo sul mondo: il crocevia dei suoi treni da studente, il point of view primigenio dei suoi romanticismi liceali, quello che suo padre gli indicò come futuro, quando era ancora bambino: luogo di promesse, proiezioni, spazio di fallimenti e perdite future, luogo del disatteso e del sogno: proprio come per Hannett le aree post industriali di Manchester dove ascoltare Pere Ubu e PIL per collocare la propria contemporaneità e proprio come South London per Burial".

Giulia Matteagi (Soundwall):

"Secondo me sì, più che altro perché penso che ci sia un “prima” e un “dopo”, che sia stato un momento discriminante, che abbia inventato un modo di fare musica e di raccontare il contesto in cui è cresciuto lui stesso, pur figlio di situazioni che forse non ha mai vissuto lui per primo (troppo giovane). Forse si può cautamente paragonare a quello che hanno fatto Grandmaster e gli altri nel Bronx. Cautamente.

Un paragone azzardato, oh yes. Non avevo già riflettuto su questa cosa, quindi è stato un pensiero molto spontaneo. Pensando a Burial mi viene sì in mente tutto quanto detto da Fisher e Reynolds: hauntology, lost futures, nostalgia, ma anche il mal d’archive di Derrida. Però non è su queste cose che si può basare la definizione di disco del secolo, o non solo. Il modo in cui tutte queste cose vengono espresse è un modo “nuovo”, nessuno lo aveva fatto prima di lui. Ed è un modo soprattutto legato al tempo e al luogo che vive (sembra paradossale visto che si parla di fantasmi e nostalgia). Ma prima ancora dei fantasmi viene l’internet, in Untrue. Mi spiego? L’internet e Londra sono i due elementi secondo me preponderanti. Grandmaster, Afrika Bambaataa e Kool Herc hanno inventato un modo nuovo per esprimere ció che avevano da dire, attingendo al passato da un lato ma con i piedi piantati nella loro NY usando le tecnologie che avevano a disposizione? Sì."

Hamilton Santià (Linkiesta):

"Untrue è sicuramente uno di quei dischi che ha contribuito a proiettare la musica - non solo l'elettronica - in una dimensione contemporanea che si era solo immaginato. Se vogliamo, quello che vediamo adesso mentre giriamo per le città, mentre leggiamo i giornali e registriamo quando ci lamentiamo di un 'sistema al collasso' era effettivamente già delineato da questa perfetta colonna sonora. Mi sembra sia un disco che, ai tempi, metteva assieme gli stimoli più disparati proprio come si sono costruite socialmente e economicamente le metropoli internazionali che adesso vivono l'onda lunga di queste contraddizioni e sembra siano a "fine ciclo".

Irene Papa (Dance Like Shaquille O'Neal):

"Credo che Untrue sia il più importante disco di elettronica del secolo per i non appassionati di elettronica. È un album da ascoltare, più che da ballare, che ha fatto avvicinare all’elettronica e alla rave culture i fan del reggae, della dubstep, del post punk (e in questo l’articolo ci becca in pieno), ma per chi già ascoltava elettronica non è stata un’epifania. È un bellissimo disco ponte, tra generi e tra epoche. Ma per me l’album elettronico più iconico del secolo è Discovery dei Daft Punk perché ha portato l’elettronica in TV. Un disco-icona in generale, per me, deve avere la potenza di sfondare le barriere culturali. E Untrue è ancora troppo appannaggio di una nicchia di ascoltatori smanettoni".

Jukka Reverberi (Giardini di Mirò, Spartiti, Geodetic):

"Mi viene difficile condividere la posizione di Reynolds su Pitchfork. Non c'è una sola storia della musica elettronica ma ce ne sono tante (come tante sono le tipologie di ascoltatori e musicisti), alcune con la nostra sensibilità altre invece lontanissime. Untrue è un oggetto strano, ricco di mondi sonori e altamente godibile come ascolto, nel senso che lo puoi lasciare come musica d'ambiente oppure immergerti dentro la materia sonora che lo compone, il che al mio orecchio lo rende un classico. Ecco, un classico della nostra generazione, neppure troppo imitato e influente, forse, ma un classico di cui parleremo ancora tra molti anni".

Luca Albino (Capibara):

"Untrue di Burial è certamente uno degli album fondamentali dell'elettronica, non il più importante però. Non può esistere un solo album più importante degli altri in questo genere, essendo l'elettronica un campo fin troppo esteso e con confini ben poco delineati.

Ma, ripeto, certamente è un disco che va ascoltato per forza, studiato e capito. È stato fondamentale e ha dato una botta di benzina clamorosa a tutta la scena in quegli anni (come quelli che in Mad Max sputano la benzina direttamente nel motore della macchina mentre corre). Nonostante si possa notare che nel 2007 siano usciti album clamorosi (Happy Birthday dei Modeselektor, Andorra di Caribou, Walls di Apparat, Sound of Silver degli LCD o ancora Foley Room di Amon Tobin o Volta di Bjork, e potrei continuare per ore visto che neanche ho citato Cross dei Justice o D Side dei Gorillaz), Untrue è riuscito a innalzarsi, forse in uno degli anni migliori per la musica del nuovo millennio - delineando il futuro stesso dell'elettronica. Una colonna che rimarrà ferma, un album senza tempo. Come fosse un libro riesci a vedere in maniera vivida quello che lui vuole farti vedere".

Marco Bianchi (Cosmo):

"Devo ammetterlo: appena uscì, l’hype che si creò intorno al disco me ne tenne un po’ lontano. Mi succedeva quando prima di sentire un disco venivo travolto dalla fama che lo precedeva. Poi tempo dopo ho capito che era un capolavoro. Ho capito anche che aveva grandi affinità con l’hauntology che Reynolds mette bene in evidenza: quell’aura spettrale e distante, come l’eco di un passato di sogni o di un futuro che non si riesce a immaginare più. Da questo punto di vista però, e dal punto di vista degli ascolti che ne ho fatto, il disco di musica elettronica che più mi ha toccato resta Geogaddi dei Boards Of Canada. Non so se Untrue sia il più importante disco del genere dall’inizio del secolo. Sono però sicuro del fatto che Simon Reynolds sia il miglior critico musicale che conosco, quello che meglio riesce a portare alla luce i legami sociali, storici, economici, politici senza i quali la musica sembrerebbe un’espressione puramente formale e astratta dalla nostra realtà. E leggendo il suo articolo credo che sarei sicuramente d’accordo con il titolo se fossi nato in UK. C’è poi da dire che lo sto riascoltando ora. E credo che sia il disco più bello che abbia mai sentito".

Marco Caizzi (Rainbow Island):

"Per me è sbagliato dire "il disco più importante di musica elettronica", ti dirò solo che sia Burial (che oh pure il primo mica scherza e nella sua interezza a me piace più di Untrue credo) che Untrue sono stati importantissimi per dei motivi espressivi e di "zeitgeist", diciamo di contingenza.

La mia impressione in quel periodo della prima scena dubstep è che molta roba elettronica "non da club" si era ingolfata da un lato su iper tecnicismi e casini ritmici che a un certo punto ammazzavano l'espressione (anche perché non tutti si ponevano su eccellenze tecniche incredibili) e dall'altro su un intimismo da cameretta che a una certa sfrangeva le palle (e pure lì nobilissimo il discorso intimo e tutto, ma come per lo sbrocco totale del post breakcore... superati i 23 anni che ce fai con le lagnette?).

La cosa che per me è stata fondamentale di Burial è prima di tutto che esce da un momento di rinnovamento generale/di nuove generazioni che era ben rappresentato dal programma di Mary Anne Hobbs (tanto di elettronica Uk based stiamo parlando) ascoltabile fra l'altro pure da internet (tutti avevamo finalmente adsl decenti), quindi poteva essere vissuto abbastanza in diretta pure dagli appassionati, in cui non dimentichiamoci non c'era solo dubstep ma anche le robe wonky (tipo primo Flying Lotus ad esempio) ma anche la techno più bassosa.

E, seconda cosa, che recupera e si riallaccia con tutto un suono Uk bass (hardcore continuum etc.) ma in totale discontinuità con i due mondi che ti ho detto sopra: i suoi ritmi potevano avere lo swing che ci pare causato dal piazzare i campioni a mano su Soundforge (sarà vera poi sta cosa? Chissà, potrebbe pure avere fatto tutto col samplerino della Roland tanto amato da tutti), ma erano semplici, semplici ma strani: non erano né gli Autechre di Untilted né i megadrilloni che funestavano ogni timida melodia idm, né erano dei click clack di carillon o di una casiolina stonata di un monolocale.

Ma sopratutto il modo in cui usava il sampling non era quello che TUTTI facevano anche già a inizio 2000 tipo "proviamo a prendere la sigla di un cartone e stretcharla pazza e ci mettiamo la cassa", non era uno scherzo e nemmeno una prova tecnica né tantomeno di forza. Né mash up né scherzo buffo (nulla di male nache in questi eh!). Era proprio USO MGS PERCHE' MI FA SENTIRE COSI' (cioè tristo nell'umidità buia cyberpunk che già vivevamo ma non ce ne accorgevamo, già davanti qualche schermo fuori a un locale o in metro o a casa) perché era il SUO ELEMENTO, così come potevano usare i break funk nell'hiphop. Non lo usa per "far vedere", tant'è che nessuno di noi si è accorto che ha usato le voci rnb, o che ha usato i suoni della pistola di Metal Gear Solid. Per noi era "suoni di pistola e voce lamentosa", solo anni dopo sono usciti fuori tutti i riferimenti. In più la grana lo-fi di Burial è sempre stata quella digitale nonostante st'ossessivo richiamo al calore dello sgrakkio vinilico che mette in loop SEMPRE sotto ogni brano. Una grana lo-fi dei primi filmati youtube.

Cioè di base Burial è importante perché da una scena fertile e molto motivata che ci credeva e che era sia in collegamento col passato che con una gran voglia di scrollarsi le pesantezze strutturali del periodo è stato quello che è emerso creando un mondo sonoro esistenziale, mentale, onirico totalmente "nel tempo" e quindi che risuona perfettamente anche oggi. In più l'ha fatto senza nessuna struttura discografica o di studio dietro a mixargli il disco in maniera "giusta", credo che quando altri critici (Reynolds e Fisher) dicono che Massive Attack o Goldie non riusciono a fare quello che fece Burial è semplicemente perché Burial già operava nel mondo senza riferimenti di oggi, mondo liquido o come lo vogliamo chiamare. Cosa che tanti altri nell'underground facevano ma appunto mai su queste atmosfere che si possono dire nate proprio con Goldie Massive Attack e co".

Philip Di Salvo (Wired, Esquire):

"Non ho mai davvero deciso se mi piaccia di più questo disco o il primo. Però quello che è certo è che Burial incarni perfettamente un immaginario e un'estetica che dice molto sull'epoca contemporanea. La lettura che ne ha fatto Mark Fisher, in sostanza, è perfetta. E continua ad essere valida".

Rocco Rampino (Congorock):

"Nei discorsi con altri produttori di ambiti musicali diversi, i più disparati, Untrue viene tuttora usato come riferimento, un'intenzione artistica tanto universale nel suo linguaggio quanto irriproducibile. Il fatto che abbia colpito nel segno in maniera così trasversale è la riprova dell'importanza nell'arco degli ultimi dieci anni di un album che viene ancora associato al "suono a là Burial" nonostante il percorso successivo dell’artista".

Serena Mazzini (The New Noise):

"Sì, sono d'accordo con l'affermazione di Reynolds, anche se ci sono dischi di musica elettronica che sono stati più importanti per me e la mia formazione (Autechre, Aphex Twin, Dj Shadow, Drexciya, Boards of canada). Untrue però fa da spartiacque tra il passato, racchiudendo tutte quelle sonorità che hanno fatto la storia del suono elettronico britannico, fatto di r'n'b, trip-hop, jungle e di tutto ciò che i '90s si portavano dietro, e il futuro, imprimendo l'impronta di quel particolare suono che verrà poi riconosciuto come à la Hyperdub. Quando il disco è uscito nessuno di noi era pronto a un ascolto di questo tipo: io mi ero da poco trasferita a Bologna, erano gli anni della street parade, dei rave, della drum'n'bass. Il lavoro di Burial ci ha messo davanti agli occhi gli aspetti più oscuri della rave-culture: eravamo soli seppure vicini e il buio ci aspettava là fuori, per inghiottirci dopo essere stati abbracciati dalla finzione colorata delle luci al neon. Drammatico e bellissimo, no?"

Simone Bertuzzi (Palm Wine, Invernomuto):

"Tra il 2004 e il 2008 andavo spesso a Londra. Il motivo era la dubstep della prima ondata. Ero sotto con Digital Mystikz, Skream, Loefah, Benga, Youngsta, Hatcha, il primo Kode9 e via così. A volte prendevo il primo Ryanair del mattino da Stansted, dritto dal The Mass di Brixton o dal Plastic People. Nello stesso periodo ascoltavo Burial in cd, sapevo faceva parte della stessa scena ma nessuno lo suonava: dura infilare qualsiasi brano di Untrue dopo quei pezzi, quelle basse che facevano vibrare le ginocchia. Eppure dentro Burial c’era lo stesso clima, lo stesso paesaggio che osservavo dal Terravision in partenza da Victoria. La stessa storia, ma lui ha saputo raccontarla in maniera unica".

Sofia Gallotti (LIM):

"Ti sono grata di avermi chiesto un parere sull’argomento perché per rispondere al tuo appello ho dovuto scavare tra i vinili per cercare di ricordare come mi ero avvicinata a Burial. Di Burial posseggo due vinili, Untrue e Truant/Rough Sleeper, il primo trovato in Italia secoli fa e il secondo a Edimburgo. È stato bello che per rispondere alla tua domanda mi sia venuta voglia di andarli a recuperare, un po’ per rivivere l’emozione di quel periodo. Perché per me Burial è un fatto prevalentemente emotivo, ha rappresentato nel migliore dei modi possibili quel periodo della vita esistenzialmente critico, ma soprattutto “eerie”. Credo che “eerie” sia un'ottima parola per descrivere il sound di Burial, le sue atmosfere, che sono composte di vocine catartiche e malinconiche immerse in atmosfere dai riverberi wet e ampi. È una buona musica per meditare e struggersi se vuoi, ma ha comunque un animo di base trascinante. A dare la direzione dei pezzi che sono immersi nello spazio più etereo ma scuro che ci possa essere, sono i beat, in origine dubstep. In questo flusso a intervenire con carattere oltre al beat ci sono poi tutti i suoni di soundscape, tutte le imperfezioni, i glitch, i suoni reali di strada, di meccanismi, di oggetti, che esistono e gravitano assieme alla musica in questo spazio rarefatto. A me i suoi pezzi hanno spaccato la testa, non tanto per i loro beat, ma proprio per le atmosfere che nel loro insieme danno forte spazio ai suoni di soundscape e alle voci, deformi e spesso solo accennate, che suonano come echi lontani. Consiglio a tutti coloro che hanno bisogno di lasciarsi andare a un ascolto profondo una buona immersione con Burial."

Valerio Mattioli (NOT):

"È un disco abitato dai fantasmi non tanto di un passato che non si è mai provato sulla propria pelle, quanto dai sogni di futuro che quel passato si portava appresso. In questo senso, è un ritratto perfetto dello zeitgeist che ha attraversato buona parte dei 2000, e che ci ha amaramente condotto alle distopie dei giorni nostri. Potrà essere un disco di culto o il classico titolo per connoisseur, ma pochi altri dischi - elettronici e non - racchiudono lo spirito dei tempi in una maniera tanto precisa, tanto struggente, verrebbe da dire tanto disperata.

Poi puoi anche mettere che ogni volta che ascolto "Raver" piango, specie al minuto 1:04, quando c'è quel raddoppio di hi-hat. Diosanto ecco adesso mi viene da piangere che lo sto riascoltando".

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Federico Sardo

Federico Sardo (Milano, 1985). Giornalista culturale, ha collaborato con molte testate, tra cui per anni Resident Advisor. Oltre che per Esquire, scrive soprattutto per Il Tascabile e VICE, ed è una delle voci principali di Radio Raheem.