Giobbe. Romanzo di un uomo semplice - Joseph Roth - Recensioni di QLibri
Narrativa straniera Classici Giobbe. Romanzo di un uomo semplice
 

Giobbe. Romanzo di un uomo semplice Giobbe. Romanzo di un uomo semplice

Giobbe. Romanzo di un uomo semplice

Letteratura straniera

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"Un 'Giobbe' moderno, dunque: la storia di un pio ebreo orientale, di quelli che si librano a mezz'aria nei quadri di Chagall, (Portava sempre il suo berretto nero di reps di seta e il caffettano di media lunghezza e gli stivali alti""), quando i lutti lo sopraffanno, tentato dal Principe delle Tenebre, forse con la connivenza del Signore, a bruciare il suo scialle rituale e sfidare Dio"". (Paolo Milano)



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Giobbe. Romanzo di un uomo semplice 2020-12-16 17:46:39 Molly Bloom
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Molly Bloom Opinione inserita da Molly Bloom    16 Dicembre, 2020
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Si accettano miracoli

Raffinato romanzo di un uomo semplice, questo è "Giobbe" di Joseph Roth. Reduce da un periodo di lettura impegnativo, con libri che mi hanno gettato il guanto sin dalle prime pagine, ne sentivo davvero il bisogno di rientrare nella confort zone e accoccolarmi nelle pagine di un libro capace di abbracciarmi con calore e dove il piacere della lettura fosse puro e non disturbato da passaggi noiosi o difficili. Già dalle prime pagine il tempo sembra rallentare e il lettore viene immerso nella realtà di Mendel Singer, personaggio principale, in un'atmosfera quasi ovattata e magica, piena di usi e costumi ebraici, fede, speranza, passato e presente di una tradizione millenaria. La mano che ci accompagna in questo viaggio immaginario è soave, colta, con uno stile molto musicale e poetico attraverso ripetizioni simmetriche di piccoli dettagli quasi come se fossero la rima in una strofa di poesia. Il percorso è senza sosta, l'attenzione e la curiosità non slittano mai ma vanno sempre pizzicate dalla trama movimentata seppur semplice in sé stessa. Mi ha molto ricordato la lettura di "Furore" di Steinbeck, uscito tra l'altro dieci anni dopo, credo che hanno molte tematiche e messaggi comuni. Mi ha anche ricordato le opere di Philip Roth, ma questa volta non per similitudini ma per opposti, ho avuto come l'impressione che Joseph Roth canta e rende omaggio a ciò che Philip Roth invece ironizza, critica tra le righe e fatica ad accettare e fare propria, cioé la millenaria cultura e tradizione ebraica. Anche in "Giobbe" c'è un passaggio di forte attacco, di ribellione di Mendel Singer di fronte a Dio ma è dettato dalla stessa fede che ne canta le lodi e non di una sua assenza. Joseph Roth appartiene al passato, Philip Roth al presente e considerato il gap generazionale tra i due, penso sia giusto così.
Dentro questo romanzo si trova tutto: povertà, sfortuna, sofferenza, malattia ma anche colpi di fortuna, ricchezza, salute, benedizioni, felicità e perché no, miracoli, per chi ci crede. E dato che siamo sotto le feste, mi permetto di consigliare vivamente questo libro non solo come lettura ma anche come regalo di Natale da fare ad amici o parenti, sia per la sua eleganza nell'insieme ma anche per i messaggi di speranza e pace che trasmette, non per ultimo sottolineo anche una certa atmosfera prevalentemente invernale, un po' dickensiana, che da un tocco di magia in più. 

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Giobbe. Romanzo di un uomo semplice 2019-01-10 04:25:42 evelyn73
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evelyn73 Opinione inserita da evelyn73    10 Gennaio, 2019
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il senso della sofferenza

**SPOILER
Breve e intenso racconto delle traversie di una famiglia molto povera; le loro vicende narrate coprono i primi decenni del 1900. La prima parte è ambientata in un piccolissimo villaggio della Russia al confine con la Polonia (Volinia), quindi in America, dove ad un certo punto parte della famiglia emigra, al seguito di un figlio (Semarjah), precedentemente fuggito oltreoceano in quanto disertore.
Il protagonista è Mendel Singer, un ebreo molto religioso, pacifico, le cui giornate sono scandite dalla preghiera, da riti rassicuranti e dall'insegnamento: è un maestro, insegna ai bambini del luogo a leggere la Bibbia. Sposato con Deborah, la coppia ha quattro figli: Jonas, Semarjah, Mirjam e Menuchim, quest'ultimo affetto da una non meglio specificata malattia (viene definito "storpio", pronuncia solo "mamma", ha crisi epilettiche). La madre disperata si rivolge al rabbino, il quale le profetizza la guarigione del figlio, a patto che lei non lo lasci mai. Si capisce quindi lo strazio della madre, quando anni dopo sarà costretta a lasciarlo per andare in America (un esilio, più che un'emigrazione), ove tutta la famiglia si trasferisce, richiamata da Semarjah; questa è anche l'occasione per portare la loro unica figlia Mirjam lontana dai "cosacchi", in quanto la ragazza è attratta dai soldati.

Quasi tutti i riflettori della critica sono puntati sulla figura del probo Mendel Singer e della sua attinenza con Giobbe, il personaggio biblico messo alla prova da Dio, che gli manda sventure. Da qui tutte le riflessioni sul come giustificare la presenza di Dio, di fronte alle sofferenze dell'essere umano.
Spendo invece una parola sulla moglie e madre Deborah, che si staglia come una figura perennemente in pena, sofferente, gran risparmiatrice, che prova disprezzo manifesto per il marito ("uno stupido insegnante di stupidi bambini", lo definisce "stolto", in una scena gli sputa); la donna non sopporta come il marito accetti tutto in maniera serafica ("non esiste alcun potere contro la volontà del cielo"), mentre lei, più attiva, meno fatalista ("l'essere umano deve cercare di aiutarsi, e Dio lo aiuterà") si prende in carico il pensiero di e per Menuchim e il peso dei figli che dovranno arruolarsi. Dopo i primi anni di matrimonio, la relazione fra Mendel e Deborah evolve in una reciproca indifferenza, se non fastidio, che entrambi provano reciprocamente. Denso di sofferenza materna il momento in cui lei si rivolge a Kapturak nella speranza di un suo intervento per esonerare entrambi i figli dal servizio militare, spicca l'angoscia di possedere del denaro per "comperare" la diserzione di uno solo dei due, quindi il sacrificio del fratello Jonas, che sceglie liberamente di arruolarsi, liberando di fatto il fratello dall'onere.
Le vicende di Mendel ricordano e ricalcano il personaggio biblico di Giobbe, uomo retto onesto e probo. La fede di Mendel infatti, a seguito delle sfortune che incombono sulla sua famiglia (un figlio disperso in guerra, uno morto, Mirjam ricoverata in clinica psichiatrica, morte della moglie) inizia a vacillare: c'è un passaggio forte in cui viene descritta la rabbia di Mendel verso questo Dio prima amato, ora messo in forte discussione. Mendel mangia carne di maiale ed è sul punto di bruciare i suoi testi sacri e altri simboli religiosi. Mendel è convinto che il Dio lo stia punendo per qualcosa, e palpabile è l'angoscia per non sapere quale sia il peccato commesso.
Alla fine, il Mendel messo a dura prova dalle avversità della vita, quando pensava che tutto fosse perduto, viene ricompensato e gli viene offerta la possibilità di riprendere serenamente il suo cammino, seppur a fianco di affetti diversi.

Consiglio questo libro, che si può leggere a diversi livelli di profondità: da storia romanzata fino a disquisizioni di teodicea. Ci sono dei passaggi di prosa molto intensa, specie in relazione ai vissuti di Deborah verso i figli. Io son stata sfortunata con l'editore (Liberamente, che credo sia della Rusconi): ci sono dei refusi e pure due pagine invertite, mi sono trovata la pagina 69 al posto della 75 e viceversa. Inoltre la traduzione di S. Stefani a tratti lascia a desiderare. Evitare quindi quest'edizione e traduzione.

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Giobbe. Romanzo di un uomo semplice 2016-02-21 06:18:13 siti
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siti Opinione inserita da siti    21 Febbraio, 2016
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Bestemmie e miracoli

Già nel 1932 questo stupendo romanzo poteva essere letto in lingua italiana grazie alla pubblicazione voluta dai fratelli Treves e sull’onda di un successo internazionale e sulla spinta esercitata negli ambienti culturali nostrani dall’amico Zweig.
Apparso per la prima volta nel 1930, segue opere come La tela di ragno, Hotel Savoy, Fuga senza fine e precede La marcia di Radetzky. È il romanzo che canta il mondo ebraico-orientale e che rappresenta la decadenza dell’ebraismo orientale e la sua disgregazione, è anche il romanzo che consegna al lettore nella metafora dell’esilio ebraico una delle più alte rappresentazioni della condizione dell’essere umano in vita “esiliato dalla pienezza e dalla totalità della vita vera”(Magris, “Lontano da dove”, 1971). È soprattutto la storia di un “uomo semplice”: bella, struggente, universale nel suo significato.
La narrazione muove il suo corso con tono fiabesco e ci cala subito in un tempo passato e in una terra lontana: Zucknow, villaggio sperduto nell’immensa pianura russa, assoggettata al volere dello zar. La presentazione dei personaggi è magistrale. Mendel Singer è un modesto maestro, è sposato con Deborah, ha due figli maschi e una femmina e lo conosciamo mentre sta per nascere il suo ultimogenito, Menuchim. È un uomo pio, dalla coscienza pura e dall’animo casto. Il bambino però, è chiaro fin da subito, è un minorato. Mentre la moglie assume un atteggiamento attivo e cerca una soluzione al problema affidandosi al rabbi, Mendel soccombe al volere divino, intanto duri destini attendono tutti i componenti della famiglia e la fede, già messa a dura prova, comincia a vacillare. Con l’approssimarsi del primo conflitto mondiale la famiglia si disgrega, un figlio si vota ai cosacchi, l’altro diserta, emigra in America e vi trascina il resto della famiglia, tranne Menuchim...
Gli eventi cruciali sono narrati con una maestria che ferma il tempo, consegna palpabili emozioni e ne rende pienamente partecipe il lettore.
I conflitti interni alla famiglia, la sua disgregazione, il crollo delle certezze contribuiscono a creare un quadro cupo e desolante e man mano che viene meno la fede di Mendel Singer si è portati a sperare in luoghi e tempi migliori. L’America però non rappresenterà la salvezza ma la distruzione e quando intorno tutto è buio, il lettore non potrà certo credere al mito americano. Subentra un nichilismo impressionante che culmina con il coinvolgimento dell’America nel conflitto europeo con il suo carico di nuovi dolori e il tramonto definitivo di ogni illusione. Il finale del libro è però conciliante e terapeutico e riecheggia la giusta ricompensa del biblico Giobbe.
Non perdete questa lettura, rinfrancherà il vostro cuore.

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