"Gone Girl" ci mostra come dovrebbe essere la vittima ideale secondo la criminologia - Il Superuovo

“Gone Girl” ci mostra come dovrebbe essere la vittima ideale secondo la criminologia

Film culto degli anni 2000, Gone Girl attira tutti per la sua trama a metà fra thriller e investigativo. Scopriamo la figura della sua vittima.

Uscito dieci anni, L’amore bugiardo, conosciuto più con il suo nome originale, Gone Girl, ha lasciato un vero e proprio solco nel cinema contemporaneo e nella pop culture. E’ un film sfaccettato, non chiaro, decisamente ambiguo e oscuro. Decisamente malato, giudicando il rapporto fra i due protagonisti, marito e moglie. Attraverso questo lungometraggio, possiamo andare a scorgere la figura della vittima in vittimologia e criminologia, anche se, come ci spiega il film stesso, non c’è una vittima univoca.

“L’amore bugiardo – Gone Girl”

La pellicola inizia con la presentazione dei protagonisti, una coppia sposata da cinque anni: Nick e Amy. I due si erano conosciuti anni prima a Brooklyn, quando entrambi lavoravano nel mondo dell’editoria. Dopo il matrimonio, si sono trasferiti a North Carthage, in Missouri, la città natale di lui, per stare vicini a sua madre malata. Entrambi, però, hanno perso il lavoro: Amy diventa una casalinga, mentre Nick docente di giornalismo e proprietario di un bar, assieme alla gemella Margot. Il giorno del quinto anniversario di matrimonio, Nick scopre che Amy è scomparsa. La stampa si mobilita subito e le indagini iniziano già il giorno stesso: ben presto, gli inquirenti iniziano a sospettare del marito, che viene descritto come un sociopatico. Durante il film, si susseguono flashback che fanno scoprire cosa è veramente accaduto: la donna ha organizzato da mesi la messinscena della sua scomparsa, per far incolpare il marito, colpevole di essersi reso meno appetibile ai suoi occhi. Amy ha manipolato tutti, e lo farà fino alla fine.

La vittima ideale in sociologia

In sociologia della devianza e criminologia, la parola vittima è già evocativa di per sé. Infatti, questo termine deriva dal latino victima, che deriva a sue volte da due lemmi: vincere e vincire. Vincere significa, esattamente come in italiano, l’atto di una persona che trionfa su un’altra. Invoca quindi l’idea di una sorta di superiorità violenta e travolgente, che cancella completamente lo sconfitto, l’indifeso. Vincire, invece, ha un’origine più religiosa. E’ il termine che veniva utilizzato per descrivere l’atto di cingere, di legare in modo molto stretto, un animale sacrificale. Anche qui, ovviamente, l’immaginario di debolezza, di essere inerme, di essere inferiore, è decisamente forte. La nostra concezione occidentale di vittima è proprio questa: una persona debole, sconfitta, che non può in alcun modo cambiare la propria condizione, che deve essere compatita.

La vittima (o le vittime?) in “Gone Girl”

In Gone Girl, quella che sembra essere una vittima è in realtà un carnefice. Con un subdolo gioco psicologico, la donna riesce a intrappolare il marito nella sua tela malata, al limite della sociopatia. Amy finge di subire e di essere inerme nella sua condizione di povera casalinga alla mercé del marito, ma alla fine è lei a tirare le fila di quel teatrino folle che lei stessa ha concepito. E’ Nick la vera vittima, che non appare però come tale: non sembra una figura debole, né una persona che faccia uscire troppi i suoi sentimenti. Per questo, molti lo considerano di default il colpevole. Come si direbbe in vittimologia, Nick è l’esempio ideale della vittima non-ideale.

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