UN GELIDO INVERNO - Spietati - Recensioni e Novità sui Film
Drammatico, Recensione

UN GELIDO INVERNO

Titolo OriginaleWinrter's Bone
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2010
Durata100'
Tratto dadal romanzo di Daniel Woodrell
Scenografia

TRAMA

Nel poverissimo altopiano d’Ozark, una diciassettenne si prende cura della madre malata, del fratellino e della sorellina. Ma un giorno la polizia, alla ricerca del padre, viene a farle visita.

RECENSIONI

Tratto dall’omonimo romanzo di Daniel Woodrell, il film diretto da Debra Granik ha fatto incetta di premi in alcuni dei festival più prestigiosi del mondo, inclusi Sundance, Berlino, Stoccolma e Torino. Il successo di critica ha trasformato questa piccola produzione indipendente in uno dei fenomeni del 2010, al punto che non è da escludersi nemmeno una nomination nella corsa agli Oscar. Interpretato da attori molto distanti dai fasti hollywoodiani e da gente locale ingaggiata per i ruoli secondari, Winter’s Bone si poggia su un realismo linguistico e fotografico che ben si presta a raccontare il mondo provinciale e la povertà angosciante in cui si muove la protagonista della vicenda, Ree Dolly (Jennifer Lawrence). Messa alle strette dalla prospettiva di perdere la casa in cui vive con la madre e i fratellini, Ree si imbarca in una ricerca disperata del padre assente, che proprio con la sua apparente mancanza di responsabilità ha messo in pericolo la sopravvivenza della famiglia. Già provata dalla depressione della madre, ridotta a una presenza muta ed angosciante, Ree si ritrova a fare affidamento sullo zio Teardrop Dolly (John Hawkes), guida tanto preziosa quanto reticente nel sottobosco criminale dell’altopiano in cui la teenager spera di avere notizie del padre. Man mano che Ree vi si addentra, il film cambia genere, trasformandosi da un dramma famigliare a una detective story, e ne visita puntualmente tutti i cliché, compreso il pestaggio intimidatorio, le false piste, ed i personaggi che si rivelano essere diversi da come si pensava. Al timone del suo secondo lungometraggio, Granik dimostra di possedere delle doti narrative solide ed economiche, ma il film perde di coerenza proprio in questa seconda parte. La già desolante insularità del Missouri si trasforma in un sistema chiuso a doppia mandata che intrappola Ree, e lo spettatore con lei, in una notte rurale dominata da minacce latenti, irrazionalità, paura e angoscia. Ma la transizione, che ha del potenziale drammatico molto originale, si inceppa invece sugli accenni a una cospirazione della comunità contro la famiglia Dolly, motivata dagli interessi nel mondo della fabbricazione e commercializzazione delle metanfetamine, apparentemente l’unica fonte di reddito in una terra inclemente e dimenticata dal progresso in cui nemmeno la legge ha l’ultima parola.

Dopo un film inedito in Italia su di una madre e la sua dipendenza dalla droga (con titolo simile e sempre in “Inverno”: Down to the Bone), Debra Granik adatta il romanzo di Daniel Woodrell (Cavalcando con il Diavolo) e sorprende per il quadro che restituisce dell’entroterra americano, quello più retrogrado e miserabile, un vero mondo a parte, agghiacciante. Mentre racconta l’odissea dell’adolescente, percorso archetipico/mitologico alla ricerca di un padre che non vedremo mai, coglie ogni occasione per fare del contesto (luoghi, volti, costumi “veri”) il vero protagonista, commentato da una perenne musica da thriller, raggiungendo livelli angosciosi degni di Polanski. La trama si concentra sulla ricerca di un Ree caparbia e schematica come la mentalità dei luoghi che visita, fra coppie che abitano catapecchie e donne tanto prone ai dictat dei loro uomini violenti quanto uniche disponibili all’aiuto, per solidarietà femminile. È eccezionale il modo in cui la regista riesce a restituire, indirettamente, questa cultura, ad esempio attraverso la figura dello zio interpretata dall’ottimo John Hawkes, che prega la nipote di non rivelarle mai chi possa aver ucciso il fratello, perché non sarebbe in grado di sottrarsi dalla vendetta personale: una coscienza collettiva dove molti sono vittime di ciò che si “deve fare”, si è sempre fatto e ci si aspetta da loro. Non Ree, che non molla, per amore dei fratellini. Oltre al quadro “sociologico”, abbastanza inedito nella storia del cinema statunitense (viene in mente Un Tranquillo Weekend di Paura), c’è quello “thriller”, mai spettacolarizzato (come in tante pellicole di genere) ma inquietante nella sua normalità, e quello “giallo” (il percorso di Ree) di cui, purtroppo, Granik tiene meno conto, se è vero che liquida un po’ sommariamente certi punti di svolta (perché le donne della famiglia rivale, ad un certo punto, aiutano Ree? In che modo quest’ultima entra in possesso dei soldi del padre? Chi è l’uomo misterioso che li ha procurati?).