ULTIMATUM ALLA TERRA (2008) - Spietati - Recensioni e Novità sui Film
Fantascienza

ULTIMATUM ALLA TERRA (2008)

Titolo OriginaleThe Day the Earth Stood Still
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2008
Durata103'
Sceneggiatura
Montaggio
Scenografia

TRAMA

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RECENSIONI

Partiamo dai Pros. Primo: la scelta di Keanu per il ruolo di Klaatu è diabolicamente perfetta. E non è solo una questione di (vaga) omofonia nominale, si tratta piuttosto di un colpo basso rifilato a un attore (presumiamo) ignaro: il pensiero va alla Madonna di Dangerous Game o al Casper Van Dien di Starship Troopers – ossia – chi meglio del catatonico Keanu Reeves per interpretare il catatonico Klaatu? Secondo: l’idea del prologo che giustifica l’antropomorfismo perfetto dell’alieno, col corollario della bio-tuta, è una trovata simpatica per rimanere fedeli e insieme aggiornare il classico di Wise. Terzo: se la manciata di euro necessari all’acquisto del biglietto non incide significativamente sul bilancio familiare, Ultimatum alla Terra ha buone chance di tramutare, sporadicamente, in risata liberatoria l’imbarazzato fastidio che non può non attanagliare lo spettatore presente a se stesso.

I Cons. Che dire. Contravvenendo alle nostre consuetudini recensorie, racconteremo la trama perché crediamo che, nella fattispecie, ne valga la pena e ci/vi aiuti a inquadrare la situazione: nel prologo gli alieni devono procurarsi del DNA umano e decidono di recarsi sull’affollatissimo Himalaya. Gli va di culo perché passa di lì, infreddolito, Keanu Reeves che viene etimologicamente stigmatizzato. Sì. Keanu sarà (di nuovo) il nuovo messia, infatti nel prosieguo farà altre cosette bibliche. Comunque: Keanu-clonato-Klaatu viene sulla terra ottant’anni dopo il fattaccio himalayano a bordo di una sfera spaziale che viaggia parecchio veloce, il governo degli USA la avvista e coopta il fior fiore degli scienziati americani per vedere se ci capiscono qualcosa loro. Anzi no. Li invita solo per dire “scienziati, questo coso iperveloce tra un’ora si abbatterà su Manhattan e distruggerà il pianeta, ci sembrava giusto che lo sapeste”. La sfera fa invece una staccata al limite, atterra, esce Klaatu, gli sparano ed ecco farsi vivo l’automa Gort, sensibilmente più grosso del suo antenato e ugualmente intrattabile. Klaatu avrebbe da dire cose importanti a tutti noi, ma noi nisba, la dottoressa Benson lo vuole aiutare ma lui ha dei poteri, potrebbe fare anche a meno di miseri aiuti umani: ha una pomata miracolosa, emette ultrasuoni paralizzanti, cammina sull’acqua e resuscita i morti facendo “ponte” con le automobili (senza bisogno di cavi). E insomma viene fuori la Scomoda Verità che stiamo rovinando il pianeta e dunque l’ultimatum di Klaatu è, tipo: “o rispettate l’ambiente o vi distruggiamo” (non prima di aver prelevato/salvato esemplari di piante, animali, insomma la vecchia solfa di Noè). Tagliando corto, la macchina annientatrice si mette in moto senz’altro indugio e la distruzione ha inizio per mezzo di uno sciame di microcavallette affamate, quand’ecco che Klaatu vede l’amica Helen e il di lei figliastro che piagnucolano davanti alla tomba del di lui padre di lei marito. La cosa lo intenerisce a tal punto da fargli decidere che l’umanità in fondo non è così malaccio e merita di essere salvata (nel frattempo saranno già morti milioni di persone, ma insomma pazienza); con la sola imposizione delle mani ammazza stecchite tutte le incolpevoli cavallette e toglie il disturbo. Fine.

Non si creda che abbia in qualche modo calcato la mano, la sceneggiatura di Scarpa è scritta coi Piedi ed è assolutamente peggiore di quanto possiate evincere dalla mia sinossi. L’arbitrarietà dei dialoghi, il rifiuto sistematico di qualunque tipo di coerenza interna, la meticolosa elisione di qualsivoglia nesso logico tra gli eventi, la sostanziale inesistenza di “personaggi” tradizionalmente intesi, sono tutte evidenze di fronte alle quali confesso la mia sottoqualificazione lessico-sintattica. Non credo di saperle descrivere. La sceneggiatura di Ultimatum alla Terra è così brutta che dovrete, più o meno, fidarvi sulla parola.

The Day the Earth Stood Still (1951) di Wise era e rimane un gioiellino di fantascienza concettuale, asciutto e diretto, senza fronzoli, girato con le idee chiare e il polso fermo. E avanti sui tempi, con l’idea degli alieni amici e razionali che mal tollerano le nostre abitudini bellicose. Derrickson e Scarpa sono colpevoli di un remake che non solo non rende giustizia all’originale (frase stra-fatta che in altre circostanze ci saremmo guardati bene dallo scrivere) ma che lo offende personalmente. La transizione del messaggio da pacifista a ecologista, di per sé ridicola e stantia, perde di forza e sensatezza: nel film di Wise gli alieni erano preoccupati per la loro futura incolumità e il loro “ultimatum” era dunque perfettamente giustificato e coerente, oltre che mirabilmente chiuso da un sospeso “a voi la scelta, vi teniamo d’occhio da lassù”. In quello di Derrickson sembrano ugualmente mossi dal raziocinio ma, a ben vedere, agiscono più per un malinteso senso di giustizia vindice e distruttiva che altro: ha davvero senso radere al suolo il pianeta tutto per poi riportarvi cefalopodi, ciclamini et cetera sperando in un re-boot darwiniano in mezzo al cumulo di macerie? Vista la sostanziale onnipotenza tecnologica dei Nostri, non sarebbe stato più ecologico un intervento mirato sull’Uomo piuttosto che una apocalittica tabula rasa? Questo a livello macro. Per tacere, a livello micro, dei piccoli omaggi letterali all’originale che naufragano nel parodico-demenziale propriamente inteso (la sequenza della lavagna, col Nobel per la biologia Prof. Bernhardt/John Cleese che collabora con Klaatu al completamento di una megaformula matematica – ma non era un biologo? – il cui risultato è apparentemente “1” – i due “semplificano” sopra e sotto – con il Prof. che sentenzia “allora si può fare!” – fare che? -).

Registicamente, infine, siamo al grado zero. Un p(i)attume non pervenuto aggravato dall’incapacità di Derrickson di costruire alcunché di “ritmico”, suspense-orio o, all’occorrenza, epico/catastrofico e condito dalla facoltà di vaporizzare $100.000.000 di budget in un prodotto dal feeling straight-to-dvd, con un’effettistica digitale paurosamente memore di quella ammirabile in roba tipo Komodo vs. Cobra e altre delizie regalateci dal satellite. Chiudendo (definitivamente) col comparto recitativo direi che la Connelly si attesta sui suoi standard (quali essi siano), la Bates me la ricordavo attrice mentre il piccolo Jaden Smith (figlio del noto Will) ispira naturale antipatia. Satis est.