Uberto Pasolini: "Il Parini, gli amici e tanto cinema: la mia adolescenza milanese" - la Repubblica

Milano

L'intervista

Uberto Pasolini: "Il Parini, gli amici e tanto cinema: la mia adolescenza milanese"

Uberto Pasolini: "Il Parini, gli amici e tanto cinema: la mia adolescenza milanese"
Nato a Roma ma cresciuto qui, il produttore di Full Monty e regista di Still Life e ora di Nowhere Special, a 17 anni si è trasferito in Inghilterra
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Il suo terzo film da regista, Nowhere Special, lo ha girato a Belfast, e la sua casa di produzione, la Red Wave Films, che ha realizzato tra gli altri un successo planetario come Full Monty, ha sede a Londra. Eppure Uberto Pasolini, anche se ha lasciato l'Italia appena adolescente, mantiene ancora forti legami con Milano, dov'è cresciuto. Ci torna spesso, per ritrovare i vecchi amici oppure per lavoro, come domenica mattina quando sarà all'Anteo per commentare l'anteprima del nuovo, bellissimo film, la storia di un giovane padre malato terminale che cerca una nuova famiglia per il suo bambino.


Milano in fondo è la sua città.
"Ci sono cresciuto. Sono nato a Roma, ma mio padre lavorava col suocero alla Carlo Erba, e così la famiglia si è installata a Milano, dove ho tanti parenti da parte di madre, una Visconti. Abitavamo in corso Monforte, poi in via Conservatorio.
Ho fatto le elementari in via della Spiga, piangendo".


Perché?
"Perché ero un bambino viziato. Mi ricordo ancora l'anelito di arrivare in terza, quando dal grembiule nero noi maschi passavamo al giacchino verde con la spiga sulla tasca. Avevo una maestra fantastica, la Colleoni, discendente del condottiero".


Famiglia aristocratica la sua. Scuola privata?
"No, statale, sempre. Dopo le elementari sono andato al ginnasio Parini, più in là sul Naviglio. Ci andavo sempre a piedi, una passeggiata strana, stile New Delhi oggi. Erano gli anni '60, respirare a Milano era difficile, c'era un inquinamento tremendo, e la nebbia, pesante e sporca. Dopo i tre anni di ginnasio sono passato al classico, sempre al Parini. Fino alla prima liceo, poi sono partito per il Galles. Il liceo l'ho finito lì, e l'università a Londra. Non sono più tornato. La mia residenza ancora oggi è lì".


Ci è andato per fare cinema?
"Ma no. Sono partito senza idee, e sono finito in banca, come chi non è sicuro di cosa fare e grazie agli amici di papà trova "il posto" di Olmi. Ci ho lavorato tre anni, fino a quando mi hanno detto che ero bravo. Lì mi sono visto bloccato, e sono scappato. Dopo mi misi a fare piccoli corsi di cinema, mi chiudevo tutto il giorno in sale d'essai. Ma lo vedevo come un hobby, non un lavoro. Finché nel 1983 conobbi un produttore inglese importante, e gli feci da galoppino sul set di Urla del silenzio, in Thailandia. È iniziato tutto così".


Appassionato di cinema da sempre?
"Sì. Tra i 13 e i 17 anni non avevo nessun successo con le ragazze. Allora o vedevo gli amici, o me ne andavo alla Cineteca San Marco, che era un cinemino vicino alla chiesa. Lì ho passato molte serate, e ho scoperto e amato il cinema di ogni paese ed epoca: Ordet di Dreyer, Rossellini e tutto il cinema italiano, i giapponesi Kurosawa e Ozu".


Lei è pronipote di Luchino Visconti. Non c'è stato il suo zampino nel farle nascere la passione?
"Di pronipoti di Luchino siamo tantissimi. Io l'ho visto di rado, viveva a Roma e girava il mondo. L'ho conosciuto quando montava Ludwig a Villa Erba, la villa di famiglia, ma non credo sia stato quello ad affascinarmi al cinema. Per me è stata più importante Suso Cecchi d'Amico, che sceneggiò tanti suoi film. Dopo la morte di Luchino ho passato tanti pomeriggi con lei. È stata lei, col suo carattere diretto e speciale, a comunicarmi chi era lo zio e cos'è il cinema. Il suo talento in famiglia l'ha ereditato un altro".


Chi?
"Giovanni Gastel. Ogni volta che scendevo a Milano passavo dal suo studio, o a Villa Erba che usava come set. Era una persona molto carina, gentile e piena di talento".


Adesso chi va a trovare?
"I vecchi amici delle elementari, ci vedremo anche domenica dopo il film. Mi piacciono le grandi colazioni milanesi, con l'ossobuco. Perché Milano è cambiata tanto, è più internazionale e aperta al mondo. Dal punto di vista architettonico l'ho trovata rivoluzionata, non è più quella austriaca dell'800 che ho in mente io. Però il bello è che la cultura milanese rimane, in tutta la sua forza".