Tutto può accadere a Broadway | Film | Recensione | Ondacinema

Ondacinema

recensione di Stefano Guerini Rocco
8.0/10

Prodotto da Wes Anderson e Noah Baumbach e presentato fuori concorso a Venezia 71, dopo diversi annunci e rinvii, approda finalmente nelle sale "Tutto può accadere a Broadway" (storpiatura indecorosa dell'originale "She's Funny That Way"), il ritorno al cinema del veterano Peter Bogdanovich.

Un regista teatrale, appena arrivato a New York per le prove del suo nuovo spettacolo, passa la notte con una briosa call girl che sogna di diventare attrice. Le promette una generosa somma di denaro affinché si dedichi esclusivamente alla sua passione e lei, prendendolo in parola, si presenta a un'audizione e ottiene una parte... nella commedia da lui diretta. La situazione si complica quando arriva in città anche la protagonista della pièce nonché moglie del regista, a sua volta corteggiata dal prim'attore della compagnia. Potrebbe bastare, invece pure il drammaturgo si invaghisce della giovane e decide quindi di lasciare la sua fidanzata, una dispotica terapista da cui è in cura la ragazza stessa. E che dire del buffo investigatore privato sulle sue tracce? E del giudice ottuagenario ossessionato d'amore? Come dichiara uno dei personaggi: "La confusione regna".

Siamo, com'è evidente, all'interno di un meccanismo a orologeria che inanella con garbo e spigliatezza battute e citazioni, gag e  colpi di scena: un divertissement raffinatissimo che non ha paura di mostrare la sua natura squisitamente cinefila e metalinguistica. E non stupisce affatto se si considera il complesso dell'opera del suo autore.
Attore e regista teatrale, critico cinematografico sensibile alla politique des auteurs, cineasta colto e versatile, Peter Bogdanovich è una delle personalità più complesse e sfaccettate del cinema americano contemporaneo. Classe 1939, ex-movie brats cresciuto nella scuderia di Roger Corman, negli anni ha fatto dell'omaggio critico ai miti e ai generi del cinema classico hollywoodiano la sua cifra stilistica, il tratto distintivo che lega una carriera ormai quarantennale.

Unico regista della New Hollywood a provenire dal mondo della critica e della carta stampata, proprio come i giovani turchi francesi (non a caso, è chiamato anche il Truffaut statunitense), nei suoi giorni da "divulgatore", come amava definirsi, Bogdanovich ha curato retrospettive e pubblicato prestigiosi volumi su autori come Howard Hawks, Alfred Hitchcock, Orson Welles e John Ford. In buona sostanza, tutti i grandi maestri della Golden Age di Hollywood che hanno contribuito alla sua formazione di giovane spettatore prima e di sofisticato cineasta poi. Tutti i suoi film rivelano infatti, più o meno esplicitamente, l'influsso di questi registi, a cui si potrebbero ancora aggiungere Ernst Lubitsch, George Cukor, Frank Capra, Fritz Lang e perfino David W. Griffith.
Con titoli entrati nella storia del cinema come "L'ultimo spettacolo" e "Paper Moon", Bogdanovich ha dimostrato di aver saputo raccogliere questo imponente patrimonio artistico e di averlo rielaborato e riproposto con la puntualità e la precisione di un vero autore. Questa attitudine, che emerge preponderante tanto nei suoi interventi critici degli anni 60 quanto nelle regie degli anni 70, trova conferma in quest'ultimo "Tutto può accadere a Broadway", scritto a quattro mani con l'ex-compagna Louise Stratten.
Anzi, il gioco raddoppia. Da una parte Bogdanovich cita esplicitamente icone come Lana Turner, opere miliari come "Colazione da Tiffany" e maestri come Ernst Lubitsch, omaggiato con una battuta-chiave tratta da "Fra le tue braccia". Dall'altra si diverte anche a ripensare ai suoi stessi film, disseminando "Tutto può accadere a Broadway" di echi e ammiccamenti ai suoi passati successi.

Guardando questa pochade dal ritmo indiavolato in cui tutti nascondono un segreto e ne ignorano un altro, è impossibile non pensare alla caotica allegria di "Rumori fuori scena", agli irresistibili incroci di "... e tutti risero" e persino alla magica atmosfera, molto Broadway, dell'imperfetto "Alla fine arrivò l'amore".
Ma il modello di riferimento più congeniale sembra essere senza dubbio "Ma papà ti manda sola?", bizzarra ed eccentrica screwball comedy in cui una dozzina di personaggi, ognuno con la propria gustosissima storia, si rincorrono in una caotica giostra di furti, rapimenti, seduzioni, equivoci, rapine, imbrogli, inseguimenti. Attraversato dalla stessa vena di frizzante follia e anarchica gaiezza, "Tutto può accadere a Broadway" funziona allo stesso modo, grazie soprattutto a una sceneggiatura ferrea e divertentissima, che non conosce mai cadute né di ritmo né di gusto.
Uno script impeccabile, sorretto da un cast affiatatissimo e non meno brillante. Bogdanovich cesella ogni personaggio, pur secondario o di passaggio, con arguzia e precisione sottile, regalando a ciascuno un piccolo, esilarante momento di cinema puro (si pensi alla prostituta inebetita di Lucy Punch o alla casalinga coatta interpretata dalla sua musa ed ex-compagna di vita Cybill Sheperd). Nella folla dei molti attori, vale la pena citare almeno l'efficacissima e insolita prova di Jennifer Aniston, finalmente libera dalla sua maschera di America's Sweetheart e mai così convincente nei panni di questa psicologa nevrotica, arrogante e sboccata. La vera sorpresa è tuttavia Imogen Poots, venticinquenne inglese dalla voce profonda e l'espressione buffa, che con ammirevole abilità dà vita alla sua travolgente Izzy, ciclone di vitalità miracolosamente in bilico tra malizia e candore, scaltrezza e ingenuità, sfrontatezza e pudore. Una irresistibile commistione di cinismo e romanticismo, proprio come il film.


26/10/2015

Cast e credits

cast:
Imogen Poots, Owen Wilson, Jennifer Aniston, Will Forte, Kathryn Hahn, Rhys Ifans, Austin Pendleton, George Morfogen, Illeana Douglas, Cybill Shepherd, Debi Mazar, Lucy Punch, Jennifer Esposito


regia:
Peter Bogdanovich


titolo originale:
She's Funny That Way


distribuzione:
01 Distribution


durata:
93'


produzione:
Lagniappe Films, Lailaps Films, Venture Forth


sceneggiatura:
Peter Bogdanovich, Louise Stratten


fotografia:
Yaron Orbach


montaggio:
Nick Moore, Pax Wassermann


Trama

Un regista teatrale, appena arrivato a New York per le prove del suo nuovo spettacolo, passa la notte con una briosa call girl che sogna di diventare attrice. Le promette una generosa somma di denaro affinché si dedichi esclusivamente alla sua passione e lei, prendendolo in parola: si presenta a un’audizione e ottiene una parte… nella commedia da lui diretta. La situazione si complica quando arriva in città anche la protagonista della pièce nonché moglie del regista, a sua volta corteggiata dal prim’attore della compagnia. Potrebbe bastare, invece pure il drammaturgo si invaghisce della giovane e decide quindi di lasciare la sua fidanzata, una dispotica terapista da cui è in cura la ragazza stessa. E che dire del buffo investigatore privato sulle sue tracce? E del giudice ottuagenario ossessionato d’amore? Come dichiara uno dei personaggi: “la confusione regna”.

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