I primi a vederla arrivare. Tusk dopo Macron, nella war room d'Europa: "È guerra, armiamoci" - HuffPost Italia

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I primi a vederla arrivare. Tusk dopo Macron, nella war room d'Europa: "È guerra, armiamoci"

Chi lo conosce sa come Donald Tusk sia un politico abile e scaltro, attento nel calibrare ogni parola per far arrivare il messaggio dritto come una freccia. È una qualità che, nella monumentale intervista rilasciata alla Leading European Newspaper Alliance (di cui Repubblica fa parte), emerge in un punto in particolare. “Quando ero bambino – ricorda il premier polacco - c’era una fotografia appesa a una parete della mia casa di famiglia. Mostrava una spiaggia di Sopot piena di gente che rideva. Era stata scattata il 31 agosto 1939. Una dozzina di ore dopo, a cinque chilometri di distanza, iniziava la Seconda guerra mondiale. So che sembra devastante, soprattutto per i più giovani, ma dobbiamo abituarci mentalmente all'arrivo di una nuova era. È l'era prebellica. Non sto esagerando. Sta diventando ogni giorno più evidente”. Un passaggio preceduto, ad arte, da una rassicurazione impossibile: “non voglio spaventare nessuno, ma la guerra non è più un concetto del passato. È reale, anzi è già iniziata più di due anni fa. La cosa più preoccupante è che ogni scenario è possibile, letteralmente. È la prima volta dal 1945 che ci troviamo in una situazione del genere”.

Le ultime settimane, dall’uscita di Emmanuel Macron sulla possibilità di inviare soldati occidentali in Ucraina fino alla richiesta del Consiglio europeo di elaborare un piano per una “preparazione militare-civile rafforzata”, sono state un crescendo. La Russia, del resto, sta attaccando con sempre maggiore veemenza: secondo le stime del think tank statunitense Isw (The Institute for the Study of War), le forze russe hanno conquistato 505 chilometri quadrati di territorio ucraino da quando hanno lanciato le operazioni offensive nell'ottobre 2023. E hanno guadagnato quasi 100 chilometri quadrati in più tra il primo gennaio e il 28 marzo 2024 rispetto agli ultimi tre mesi del 2023. "Le opportunità di sfruttare le vulnerabilità ucraine si amplieranno con il persistere della carenza di armamenti...", scrive l'Isw sul suo sito, "l'arrivo di assistenza occidentale sufficiente e regolare ridurrebbe queste opportunità per le forze russe". Lo sa bene il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che in un’intervista al canale televisivo americano Cbs è tornato a chiedere “due cose: i sistemi Patriot e la parità nell'artiglieria”. Il leader ucraino ha avvertito che Mosca potrebbe lanciare una nuova offensiva alla fine di maggio o a giugno, specificando che si tratta di una valutazione “condivisa con i nostri partner”.

L’incupirsi della situazione è qualcosa che la Polonia sente e vede da vicino, lungo tutto il confine con l’Ucraina ma anche con la Bielorussia, sempre più una propaggine della Federazione russa. Un punto caldo, su cui si concentrano i maggiori timori per un'eventuale provocazione russa, è il corridoio di Suwałki, una piccola ma strategicamente importante striscia di territorio polacco tra la Russia e l'exclave di Kaliningrad che è stata a lungo un punto critico per Mosca. Nei mesi scorsi Varsavia ha annunciato l’invio di 10mila uomini al confine bielorusso, oltre ad avere la batteria aerea in costante allerta.

L’intervista di Tusk è apparsa su otto tra i principali giornali europei all’indomani dell’ennesima notte da incubo per gli ucraini: l'esercito russo ha lanciato un potente attacco missilistico contro le strutture energetiche del Paese, danneggiando centrali termiche e idroelettriche nelle regioni centrali e occidentali. L’intensità degli attacchi – condotti con decine di droni, missili balistici e missili da crociera – ha allertato la vicina Polonia. Il comando operativo delle forze armate polacche ha fatto decollare i suoi aerei e quelli alleati e ha avvertito i cittadini: "Questa notte c'è un'intensa attività da parte dell'aviazione a lungo raggio della Federazione Russa associata ad attacchi missilistici su obiettivi situati nel territorio dell'Ucraina. Sono state avviate tutte le procedure necessarie per garantire la sicurezza dello spazio aereo polacco".

La presenza di questa minaccia è un concetto che Tusk delinea con chiarezza nell’intervista. La scorsa settimana lo spazio aereo polacco è stato nuovamente violato da un missile russo. “Un ennesimo incidente preoccupante”, rimarca il premier polacco, aggiungendo che “quando Leopoli o altre città dell'Ucraina occidentale vengono attaccate, il suono delle esplosioni si sente anche nella nostra zona di confine […]. Nella mia parte d'Europa la guerra non è più un'astrazione; il nostro dovere non è discutere, ma agire e prepararci a difenderci”.

Il messaggio è rivolto a chi, in altre capitali d’Europa, vorrebbe che non si usasse la parola “guerra” per non spaventare la popolazione, oppure si rifiuta di comprendere che spendere il 2% del Pil nella Difesa è “un must”, il minimo sindacale, dal punto di vista di un Paese che ne spende, orgogliosamente, il 4%. Si stima un conto aggiuntivo da circa 80 miliardi per l'Ue per rispettare il target minimo, quel 2% del Pil, richiesto dalla Nato, con un impatto durissimo sui conti pubblici di alcuni Stati, Italia e Spagna in primis.

Secondo Daniele Stasi, professore ordinario di Storia delle dottrine politiche presso l’Università di Foggia e di Filosofia della politica presso l’Università di Rzeszów, le parole di Tusk vanno molto oltre l’affermazione di una leadership polacca sulla guerra e in Europa. "Se da una parte certamente c'è la volontà di Tusk di mantenere la visibilità e il ruolo della Polonia nella guerra in Ucraina, dall'altra mi sembra di poter rilevare una sincera preoccupazione circa lo sviluppo del conflitto, e quindi anche le conseguenze che possono esserci per la Polonia. Non dimentichiamo che questo è un Paese che confina con l'Ucraina, e che sin dall'inizio ha mantenuto una chiara linea anti-russa a favore di Kiev. Per questo, credo che Tusk non voglia togliere lo scettro a Macron rispetto a una leadership europea, ma ci sia una vera preoccupazione".

Quello che Tusk dice agli europei è di una chiarezza disarmante. “Dovremo considerare la guerra in Ucraina in una prospettiva di lungo termine. Questo comporterà responsabilità sempre nuove per i Paesi europei”. Non si parla di mesi: si parla di anni. E i prossimi due – afferma il leader polacco – saranno decisivi. “Se non riusciremo a sostenere l'Ucraina con attrezzature e munizioni sufficienti, se l'Ucraina perderà, nessuno in Europa potrà sentirsi al sicuro. Dobbiamo anche cambiare il modo in cui pensiamo a noi stessi”.

C’è, secondo il professor Stasi, “una contraddizione in questa intervista, ovvero il fatto che qui - come in altri contesti - non si prende in considerazione l'idea che l'Ucraina possa perdere. Si dice che dobbiamo sostenere l'Ucraina perché è nel nostro interesse e che dobbiamo essere pronti a combattere. Ma c'è una domanda a cui lui non risponde, ed è: cosa accadrebbe nel caso in cui l'Ucraina dovesse perdere? Come al solito, Tusk si dimostra molto abile a divincolarsi dalle domande scomode".

Scomode sono anche le domande sulle divisioni europee sui migranti e sui tanti interessi nazionali che stanno emergendo con prepotenza in vista delle elezioni europee di giugno. Non esattamente il miglior biglietto da visita per un blocco che si vorrebbe mostrare unito di fronte al gigante russo, tanto più nell’ipotesi di un ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. “Da questo punto di vista, l'Europa continua a essere un animale politico abbastanza indecifrabile e poco incisivo”, commenta Stasi. “Basti pensare che ancora non c'è una politica estera comune: gli indirizzi sono i più vari, da Orbán a Scholz, da Macron fino a Tusk".

Quanto a Varsavia, è nell'interesse della Polonia continuare a essere il Paese leader dell'Europa centro-orientale e più in generale un Paese che ormai si può dire in prima linea per quello che concerne la guida dell'Europa. È molto lontano il ricordo di una Polonia che era un po' la ruota di scorta del Vecchio Continente. "Tusk rivendica di essere stato il primo tra i primi a mettere in guardia dalla minaccia russa, in mezzo a chi lo accusava di essere un russofobo”, ricorda il docente, che è anche visiting fellow presso la London School of Economics and Political Science. “Da una parte si toglie un sassolino dalla scarpa, dall'altra vuole dare enfasi al suo ruolo. Parliamo di un politico che è stato già presidente del Consiglio europeo e oggi è premier di un Paese in prima linea in Europa, non solo per quello che riguarda la guerra. Ma - al di là del tatticismo e del gioco anche strategico sul paragone col 1939 - c'è una preoccupazione vera, che è palpabile anche nella società civile polacca. Tusk si fa interprete di quello che un po' tutti sentono e che nessuno ha il coraggio di dire, ma che ormai appare chiaro: la guerra non sembra conoscere né negoziati né svolte, quindi - a fronte di un popolo ucraino che sta esaurendo tutte le risorse, anche umane - bisogna capire che cosa si deve fare". Quello che dicono sia Tusk sia Macron è: dobbiamo prepararci alla guerra. Solo che Tusk è stato molto più diretto nel dirlo.

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