Tomahawk – Tonic Immobility - Recensioni - SENTIREASCOLTARE

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Con un titolo dal chiaro rifermento alla immobilità dettata dalla pandemia, nonché alla volontà di smuovere le acque del rock, Tonic Immobility segna il ritorno sulle scene dei Tomahawk, allstar band comprendente Duane Denison (Jesus Lizard e Denison/Kimbal trio) alla chitarra, Mike Patton (Faith No More, Mr. Bungle, Fantômas) alla voce, John Stanier (Helmet, Battles) alla batteria e Trevor Dunn (Mr. Bungle, Fantômas) al basso. Una formazione composta da musicisti che di movimento, e di quello buono, ne hanno fatto fin troppo negli anni, ma che non è mai riuscita a sfuggire agli apici delle altre indimenticabili occasioni del passato, deludendo un po’ le aspettative.

Detto ciò, bisogna ammettere che il lavoro è buono e questo anche grazie a una piacevole involuzione del gruppo, meno sperimentale sì ma più concreta, capace di impastare bene le influenze tanto da scivolare via in un riuscito connubio tra le taglienti strategie matematiche dei Jesus Lizard e le potenti aperture melodiche dei Faith No More. Situazione lampante nel granitico mid-tempo math di Fatback o nel rifaggio dispari di Valentine Shine, ma ancora meglio nelle tensioni blues sparate di Predators and Scavengers; brani nei quali un Denison in grande spolvero imbastisce e intarsia in modo incisivo, coadiuvato dalla istrionica ma puntuale vocalità di Patton. Piuttosto buone anche le psicosi à la Lizard veicolate dal basso corporeo ed essenziale di Dunn e dalle granitiche squadrature di Steiner (Business Casual e Howlie), mentre Tattoo Zero rimanda ad una Elegy meno viscerale ma che fa comunque i suoi numeri con l’alternanza di rarefazioni noir ed esplosioni improvvise sotto lo spirito guida dei Fantomas.

E se la feroce critica all’individualismo becero di Dog Eat Dog è un’efficace quadratura helmettiana che conosciamo già ma che abbiamo piacere a riascoltare, Recoil lascia un po’ interdetti con la sua rilettura in chiave eccessivamente pop dei Fugazi. E poi sbucano le tracce maggiormente originali, quelle che danno un senso reale al progetto, ovvero l’inziale SHHH!, puntellata da un pizzicato bossanova al servizio di partiture rumoriste e Sidewinder, che tira classiche linee à la Evidence dei FNM per poi cadere in un trappola di tagliole noise rock.

Complessivamente una buona prova, dicevamo, che non ci racconta nulla che non sapessimo già, ma che lo fa rimettendo in circolo i sacri talismani della Touch and Go dei tempi, con rinnovata verve e qualche bel numero pienamente a segno.

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