The Suicide Squad – Missione suicida - Recensione

“Dedicato ai cattivi, che poi così cattivi non sono mai”.

The Suicide Squad: Missione suicida - La recensione - The Suicide Squad – Missione suicida

LA RECENSIONE IN BREVE

  • Fin dalle prime battute ho avuto la sensazione che l’autore sia capitato nel posto giusto, al momento giusto.
  • Tra musica, coreografie e sguaiataggine, l’azione tessuta da Gunn non è mai stata così gustosa.
  • Un momento sei lì che ridi come un cretino davanti all’ennesimo battibecco tra Bloodsport e Peacemaker, quello dopo ci scappa la lacrima nonostante un gigantesco coso gommoso stia invadendo lo schermo.

C’è un momento, tra il primo e il secondo atto di The Suicide Squad - Missione suicida (da qui in avanti solo The Suicide Squad, vi prego) durante il quale Bloodsport e i membri del suo incredibile team si ritrovano in un bar per faccende di lavoro, diciamo così, e decidono di prendersi un momento di relax accompagnato da un Fernet. Che poi diventano due, tre, quattro fino a quando non sono tutti piegati tra i tavoli o in pista. Il momento in questione, lo dico subito, non è il migliore di un film dove comunque di parti brutte non se ne vedono, ma è quello che dopo la proiezione mi è rimasto più nitidamente stampato in testa.

Questo perché nell’ultimo lavoro di James Gunn, prima ancora dell’azione, della sguaiataggine, delle battute e persino della commozione, ad arrivarti è una strana miscela di libertà e conforto; la stessa miscela che, quasi paradossalmente, finisce per liberare l’epica al momento giusto.

Quattro amici al bar

Naturalmente non posso avere la minima idea se questa libertà combaci effettivamente con un ambiente di lavoro dove, anche nei casi migliori, ci sono in ballo milioni di dollari, pressioni produttive, inghippi dell’ultimo minuto e bizze del cast, ma non importa. Quello che importa, alla fine, è che il film te la dia a bere. Che per un istante ti faccia credere che il clima del bar non sia solo frutto di finzione, bensì lo stesso respirato dalla troupe durante la lavorazione, con Idris Elba tutto preso a raccontare scemate a Joel Kinnaman, mentre Daniela Melchior e David Dastmalchian fanno i cretini sotto lo sguardo di un John Cena in bermuda e Lacoste.

OK, boomer!.

Lì è dove mi sarebbe piaciuto saltare dentro lo schermo come il ragazzino di Last Action Hero per farmi qualche birra assieme alla comitiva e, vi giuro, non sono cose che mi capitano spesso, men che meno davanti ai film di supereroi dove di momenti in relax se ne vedono pochi, e quando ci sono raramente riescono così empatici. Ecco, per me il punto di The Suicide Squad sta più o meno tutto qui: nella capacità di creare un mondo dove un tizio a pallini, uno squalo umanoide, una ragazza un po’ svagata e in fissa con i ratti, una pazza assassina e tre energumeni armati fino ai denti riescono a sembrare più umani di tanta gente là fuori.

A livello di trama non siamo troppo distanti dal film semi-omonimo (e abbastanza anonimo) del 2016, col personaggio di Viola Davis costretto ancora una volta a spedire un gruppo di spostati in una missione potenzialmente suicida. Eppure, come spesso succede con la cultura popolare - sembro un disco rotto, mi rendo conto - la differenza non è tanto nel cosa, ma piuttosto nel come si manda avanti la baracca, e in questo caso Gunn la manda avanti col piglio di un regista della Troma al quale hanno improvvisamente riempito le tasche di grana per portare quell’immaginario lì al largissimo pubblico, anziché confinarlo in qualche matinée di terza fascia.

A proposito, il film è ambientato sull’isola di Corto Maltese, che al di là di Pratt e Miller non sentivo nominare al cinema dai tempi del Batman di Burton.

E magari c’era di mezzo la visione a lungo termine di Kevin Feige, vai a sapere, resta che le bizzarrie viste nei due Guardiani della Galassia non si avvicinano minimamente a questa processione dove il cineasta di Saint Louis ha sfruttato la proverbiale disorganizzazione dell’universo cinematografico DC come cavallo di Troia per fornire una carrozzeria di lusso ai sogni più incoffessabili di Lloyd Kaufman.

The Expendables

È stato furbo anche puntare su personaggi che non avevano cinematograficamente nulla da perdere, a parte forse la Harley Quinn di Margot Robbie. Da un lato la scelta ha permesso al regista di sfoggiare il suo umorismo migliore (ossia quello scurrile) assieme a una violenza “Rated R”; dall’altro, di creare attorno alla squadra una cappa di tensione laddove nessuno dei suoi membri, per quanto apparentemente invincibili, sembra mai completamente al sicuro. Questo particolare aspetto viene sfruttato alla grande da un racconto dove ogni eccesso di presunzione rischia il castigo immediato, tipo in certi slasher, generando un peso specifico che non si trova facilmente nemmeno in certe produzioni dal muso lungo.

Questa non è lontanamente la cosa più bizzarra che vedrete nel film.

Ed è giusto così, quando la commedia precede la tragedia, questa funziona meglio. È più difficile gestire la perdita di una persona se prima ci hai fatto bisboccia assieme: lo sapevano gli antichi greci così come lo sapeva Shakespeare, e in quest’ottica trovo perlomeno sfizioso che l’esordio di Gunn si sia consumato con Tromeo and Juliet, rivisitazione di Kaufman della celeberrima tragedia.

Sempre dal cinema indipendente proviene il gusto per scenografie, luci e costumi, con la super veterana Judianna Makovsky che non si limita a vestire i personaggi, ma riesce a costruire un percorso narrativo attorno agli abiti più significativi, su tutti quello indossato da Harley.

Il costume di Harley è fantastico, Harley è fantastica e spacca tutto.

Se poi siete un po’ allenati, probabilmente inizierete a mormorare "Troma" già alla prima sbracata di Polka-Dot Man, e continuerete a farlo per tutto il film o, perlomeno, fino alla comparsa di una certa creatura (vi giuro che non vedevo qualcosa di simile dai tempi di Ghostbusters). Tutto questo mentre il cast mastica alla perfezione le battutacce di Gunn e regala, tra le altre cose, un John Cena perfetto nella parte della testa di… cavolo (purtroppo IGN Italia non è Rated R) e una Margot Robbie che si fa carico di alcuni tra i momenti più intensi, arrivando persino a commuovere lo spettatore con metà dello schermo impicciato da mostri colorati.

Nel cast c'è anche Peter Capaldi, nei panni di Thinker.

Per il resto è Gunn all’ennesima potenza: abbiamo le sequenze d’azione coreografate e montate alla grande che, oltre ad essere uno spasso per occhi e orecchie, contribuiscono attivamente a definire i rapporti tra i vari membri della squadra proprio come in Guardiani della Galassia, mentre certe escursioni nell’animazione si divertono a sovrapporre il punto di vista di Harley con quello dello spettatore, cosa altrimenti possibile solo attraverso sostanze non lecite (per conoscere quali, potete mandare un messaggio al regista attraverso il suo Twitter).

The Suicide Squad - Missione Suicida uscirà al cinema il prossimo 5 agosto, preceduto da una serie di proiezioni in anteprima che si terranno a partire dal 2 dello stesso mese nelle sale che aderiscono all’iniziativa.

Verdetto

The Suicide Squad - Missione Suicida è un film incredibile, nel senso che non ci si crede alla quantità di roba che contiene in termini visivi, musicali, narrativi, senza contare tutta la gamma di emozioni; tipo che un attimo prima sei gasato, poi stai ridendo come uno scemo, e quello dopo capace stia calando la lacrima. Merito di una visione caotica soltanto all’apparenza, ma in realtà totalmente focalizzata sul racconto, se non di redenzione, perlomeno di comunione, da parte di un gruppo di strambi che fino a venti o trent’anni fa avrebbe trovato posto giusto negli studi della Troma.

In questo articolo

The Suicide Squad: Missione suicida - La recensione

9.2
Ottimo
Gunn rivitalizza il DC Extended Universe con un film incredibile. Che ci fate ancora qua? Correte a prenotare un biglietto.
The Suicide Squad – Missione suicida