The Living and the Dead: Recensione della prima stagione
Romanzi, serie tv, film. Quanti titoli si potrebbe elencare limitandosi al solo genere horror? Ancora lunghissima sarebbe la lista se ci si volesse limitare solo a quelli in cui compaiono fantasmi (e basti pensare che il soggetto fa la sua prima apparizione sul grande schermo già nel 1921 con Il carretto fantasma dello svedese Viktor Sjostrom). Eppure, se si andasse a contare quanti di questi sono ambientati in una campagna inglese durante la seconda metà dell’Ottocento (periodo che vide il fiorire della letteratura di genere complice l’allora dominante corrente del Romanticismo), la percentuale risulterebbe così alta da giustificare una quasi totale identificazione tra storie di fantasmi e storie ambientate nella campagna inglese sul finire dell’Ottocento.
Non sfugge a questa regola non scritta neanche The Living and the Dead, miniserie in sei episodi che la BBC ha scelto come primo esperimento di emulazione di Netflix rilasciando l’intera stagione in contemporanea sul suo sito. Nathan Appleby (Colin Morgan) e sua moglie Charlotte (Charlotte Spencer) abbandonano la loro vita cittadina (lui psicologo, lei fotografa) per dedicarsi a mandare avanti la fattoria dei genitori di lui alla ricerca di un idillio bucolico che ormai esiste solo nelle ecloghe di Virgilio e nei ricordi ovattati del fanciullo pascoliano. Perché è quasi scontato che niente andrà come i due affiatati coniugi avevano sperato e a poco serviranno la caparbietà femminista di lei (forse troppo facilmente recepita da contadini timorosi anche dell’avvento del primo trattore a motore, ma pronti ad accettare che a dirigere l’azienda agricola sia una donna di città senza esperienza alcuna) e la conciliante disposizione a credere nell’impossibile di lui. D’altra parte, da quella antica magione Nathan si era allontanato per sfuggire al trauma della morte del figlio di pochi anni, annegato nel laghetto della proprietà mentre giocava da solo ed è proprio il fantasma del bambino che tornerà a tormentare il padre spingendolo verso una follia che solo all’inizio resta lucida prima di diventare distruttiva. Complice di questa discesa negli inferi i diversi casi della settimana che riprendono altri argomenti classici del genere come la possessione di una adolescente da parte di un spirito inquieto che cerca la pace eterna, il fantasma della donna ingiustamente accusata di stregoneria che torna in cerca di vendetta, i bambini vittime innocenti di lavori massacranti che reclamano una nuova compagnia, la commemorazione giocosa di una tragedia passata che si trasforma in un nuovo dramma. E poi la costante tensione che pervade le scene in cui uno dei protagonisti è da solo o i personaggi apparentemente ordinari che sono invece depositari di tradizioni folcloristiche che potrebbero essere nascoste arti magiche che non si sa mai se verranno usate per benedire o maledire (vedi la poco loquace Gwen).
Tutti topoi classici del genere gotico che dovrebbero colpire solo per la scrupolosa cura dei dettagli (e la BBC raramente sbaglia serie in costume per cui la perfezione di questo aspetto non è una sorpresa), la sapiente messa in scena accompagnata da una colonna sonora che riprende temi contadini volgendoli musiche inquietanti e la bravura attoriale di un cast dove anche chi compare in un solo episodio fornisce una prova recitativa di alto livello. Qualità evidenti fin dalla premiere, ma che potrebbero anche allontanare uno spettatore frettoloso perché fanno nascere il fondato sospetto di una serie che si limiti a servire in piatti eleganti una minestra riscaldata dal sapore fin troppo noto (anche se manca spesso l’happy ending usuale). Solo che poi arriva quel particolare improvviso che dura solo pochi minuti (o anche molto meno) e cambia tutto. La scia di un aereo nel cielo, una figura distante con un tablet in mano, un volto in abiti moderni intravisto in una finestra, i fari di un auto che brillano nella notte, una macchina che parcheggia all’esterno della casa. Flash dal futuro che si manifestano come fantasmi non di un tempo passato, ma di un futuro presente e che costringono chi guarda a chiedersi se non sia tutto sbagliato quello che ha capito fino a quel momento, a interrogarsi chi siano i vivi e chi i morti o se ci siano davvero vivi e morti e non invece una sola di queste due categorie opposte. Momenti di breve durata che appaiono inizialmente come degli a parte che sconvolgono la linearità del racconto, ma che aumentano di frequenza ed importanza con il passare degli episodi fino ad integrarsi perfettamente nella trama orizzontale rafforzandola e indirizzandola con una certa coerenza verso un finale rivelatore. Proprio il finale può sembrare a tratti troppo frettoloso e presentare qualche forzatura logica comunque perdonabile (dopotutto in una storia soprannaturale non bisogna essere troppo razionali). Eppure, la sorprendente conclusione è gradevolmente spiazzante e costringe lo spettatore incredulo a rinnegare ogni teoria che poteva aver elaborato provando quel sottile piacere del non averci capito nulla.
Nulla si sa su una eventuale seconda stagione di The Living and the Dead. La storia è sicuramente autoconclusiva e forse sarebbe anche auspicabile che così resti onde non scadere in una forzata ripetizione. Eppure, l’ultima scena prima dei titoli di coda sembra suggerire un possibile continuo, ma potrebbe anche essere interpretata come un’ultima prova che non c’è nessun banale lieto fine. Staremo a vedere, ma quel che è certo è che nel lungo elenco di storie di fantasmi The Living and the Dead resterà un nome scritto in grassetto.
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No io non sono convinta. Ho davvero adorato la serie perché mischiava passato e presente in tanti modi, con le musiche i costumi il concetto di progresso etc…però il finale non riesco a digerirlo. In qualche modo quei tre secondi finali ambientati negli anni trenta mi hanno infastidito molto. Perché minimizzano tutta la storia del figlio, della potenza di un rapporto incompiuto nel processare un lutto che sembrava alla base di tutto il tunnel temporale. Se è meramente la casa ad essere un portale allora arrivederci….
Hai ragione Cate, i secondi minali fanno proprio storcere il naso. Anche perchè arrivano a ciel sereno dopo una chiusura emotivamente soddisfacente. Ma temo che fossero necessari per una seconda stagione =.=
ma la parte piu’assurda per me è la macchina nel pantano xD neanche pongo la domanda che tanto neanche einstein e h.g.wells riuscirebbero a rispondere…comunque bella serie,anche se nell’ultima puntata,nell’incastrare i pezzi,hanno mischiato alcune scene tra cappotto rosso e lui,che confondono ulteriormente. si’misà che è la casa il catalizzatore…
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