The Host, la recensione del film di Bong Joon-ho

The Host, la recensione del film di Bong Joon-ho

Un mostro anfibio frutto di mutazione per causa dell'uomo rapisce l'adolescente Hyun-seo in The Host, monster-movie cult con Song Kang-ho.

The Host, la recensione del film di Bong Joon-ho
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Corea del Sud, 2000. In un laboratorio privato di proprietà dell'esercito un tecnico americano ordina ad un suo sottoposto di svuotare nelle tubature un'ingente quantità di bottiglie di formaldeide che, giunte nello scarico, si spargono poi nel fiume Han. Sei anni dopo proprio il corso d'acqua, che taglia in due la città di Seoul, è luogo dell'apparizione di un'inquietante creatura mutante, metà pesce e metà anfibio, che comincia ad attaccare e uccidere i passanti (numerosi sulla riva per via della giornata di festa e dei numerosi stand presenti). In loco lavora lo stralunato Park Gang-du, in attesa del ritorno della figlia adolescente Hyun-seo da scuola.
La creatura comincia a seminare il panico tra la folla mietendo numerose vittime e lo stesso Gang-du vi finisce a stretto contatto; durante il parapiglia generale il mostro cattura proprio Hyun-seo, trascinandola con sé nel fiume. Il padre, in compagnia dell'anziano genitore, del fratello e della sorella (campionessa di tiro con l'arco) cede alla disperazione ma, mentre il governo ha istituito una quarantena forzata per tutti i sopravvissuti del tragico evento, la notte stessa riceve una chiamata dal cellulare della ragazzina che chiede disperatamente aiuto...

Chi è il mostro?

Sarebbe riduttivo definire The Host (disponibile su Netflix) col solo termine di monster movie, per quanto nel relativo filone sia uno dei film più incisivi mai realizzati. Ma col terzo film del maestro Bong Joon-ho, susseguente l'esordio Barking Dogs Never Bite (2000) e il magistrale thriller Memories of Murder (2003), ci troviamo di fronte ad una delle opere più complesse e stratificate del nuovo millennio, osannata dalla critica (e da un "certo" Quentin Tarantino) e apprezzata pari modo dal pubblico, tanto da diventare record di incassi in patria con cifre spaventose. Il regista coreano riesce infatti a coniugare spettacolari istinti di genere con una visione inquadrabile da diverse, e mai banali, ottiche d'insieme, costruendo nelle due ore di visione una forte valenza politica e sociale che guarda con ostilità al dispotismo governativo, qui incarnato sia dalle forze locali che dalla marcata presenza di funzionari americani, vera e propria causa della mutazione genetica che dà il via all'intera vicenda.
Bisogna perciò chiedersi chi sia veramente il mostro, se la creatura che si nutre per la propria sopravvivenza o gli stessi organi che dovrebbero proteggere i cittadini che si trasformano invece in crudeli aguzzini senz'anima, tanto che le vittime diventano vere e proprie cavie da laboratorio e false notizie vengono sparse tra l'opinione pubblica al fine di ottenere sempre e comunque vantaggi (l'agente giallo altro non è che una versione fittizia di quello arancio, usato per la prima volta dall'esercito statunitense durante la guerra del Vietnam). E ancora si nasconde un forte sottotesto ambientalista nella genesi di questo gigantesco essere metà pesce metà anfibio, frutto dell'incuranza dell'uomo nei confronti della natura.

Intensità spettacolare

All'interno di questo contesto sfaccettato e ricco di profonde sfumature ha poi luogo un amalgamato mix di toni e atmosfere, in cui si ibridano con ispirata leggiadria umorismo, azione e dramma in un concentrato di puro intrattenimento emozionale. La gestione dei personaggi principali, appartenenti per la quasi totalità allo stesso nucleo familiare, trova infatti sussulti accesi e vibranti nelle relative dinamiche, dando modo ad ognuno dei protagonisti di sfruttare le proprie peculiarità in maniera sempre coerente e coraggiosa in una crescita costante delle rispettive personalità (merito anche di un cast di spicco che contra, tra gli altri, su star del calibro di Song Kang-ho e Doona Bae) che trova struggente apoteosi nella non così prevedibile resa dei conti finale. La tensione gioca un ruolo importante in diverse scene madri, acuita dalla suggestiva ambientazione fognaria (riprese effettuate realmente in loco e non in studio), e raggiunge picchi insperati in almeno una manciata di sequenze chiave, e la realizzazione della creatura (che è costata la maggior parte del budget di 10 milioni di dollari) si rivela incredibilmente efficace anche e soprattutto nell'interazione con gli attori e con gli spazi filmici, chiudendo così perfettamente il cerchio di una pellicola tanto accattivante quanto intelligente capace di conquistare un pubblico trasversale.

The Host La prima entrata in scena della creatura mutata è di quelle che lasciano il segno, da prendere ad esempio per come realizzare un monster-movie degno di questo nome: i minuti che precedono l'evento clou che darà il via all'ossessiva ricerca di una famiglia per salvare la sua più giovane membra sono infatti un perfetto esempio di messa in scena capace di coniugare buoni effetti speciali ad una tensione drammatica di assoluto rilievo. Ma The Host, pur guardando dichiaratamente al genere nei suoi eccessi spettacolari, è un'opera fortemente politica che riflette sulle ingiustizie e le bugie del governo nei confronti dei rispettivi cittadini, con tanto di marcata critica all'ingerenza americana in Corea del Sud. Tensione, dramma e un'azione gustosa e accattivante, finale in primis, caratterizzano le due ore di visione di questo cult firmato con mano sicura da Bong Joon-ho, capace di imbastire su una struttura d'apparente intrattenimento un'intelligente lettura sulla forza dei legami e sul mondo contemporaneo.

8.5

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