Forse è proprio la forma film che non è più il viatico principale per il consolidamento della fama o anche solo dell’identità di un comico. Forse la commedia è rimasta un passo indietro. Flaminia è un film come se ne potevano fare venti anni fa che dovrebbe consolidare Michela Giraud, una stand up comedian che ha molto poco di quello che era una volta le donne del cabaret. Non fa i personaggi, non ha i tormentoni, non lavora su una narrazione nei suoi spettacoli, ma sui monologhi e questo si traduce in una commedia convenzionale su Roma Nord (ma non mi dire!) che non giova alla sua protagonista ma a totale sorpresa ne svela un talento nascosto.

Flaminia è figlia di una famiglia diventata ricca da poco (peccato gravissimo a Roma Nord) con la chirurgia estetica, prende parte alla grande competizione delle sue coetanee nel campo dell’essere fica, vuole un posto al tavolo della Roma bene e sa come si fa. Ha le amiche giuste, che lei odia e che la odiano ma lo stesso sono amiche, sa chi deve sposare (e che la sposa non proprio con grande voglia ma perché il suo rango non corrisponde più al suo conto in banca) e cerca di nascondere il lato meno accettabile della famiglia: Ludovica. È la sorella che sta nello spettro dell’autismo, e che quando viene cacciata dal centro in cui l’hanno mandata per non vederla più, torna a vivere con loro a pochi giorni dal matrimonio di Flaminia. Una tragedia di presentabilità.

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Courtesy Of vision distribution

Michela Giraud ha anche lei una sorella nello spettro dell’autismo, sa bene di cosa si parla e sa bene cosa vuole dire al riguardo. Flaminia è, la più chiara e prevedibile delle storie di scoperta di una vita più autentica e vera attraverso il contatto con una persona che non ha le inibizioni o il bisogno di fingere che domina nella vita della protagonista. Da prima la schifa ma più la storia procede capisce che quello con Ludovica è il rapporto più reale, autentico e solido che possa avere. Lacrime. In teoria. Nella pratica come detto il film non esalta le doti di Michela Giraud che l’ha scritto con Marco Vicario, Greta Scicchitano e Francesco Marioni (un team eterogeneo che oscilla tra chi ha scritto i film di Natale con Lillo e Greg e chi ha scritto Cuori puri di Roberto De Paolis), e in cui lei non emerge mai davvero.

Sul palco la sua forza non è tanto nella costruzione delle storie o nella scrittura di monologhi affilati ma nella presenza comica, nella battuta istantanea, la replica o l’aggettivo giusto detto bene con il tempo corretto. Michela Giraud come stand up comedian ha sempre funzionato perché ha una personalità attraente e una maniera divertente di raccontarla. Nel momento in cui interpreta un altro personaggio corre il rischio che, come in Flaminia, sia ben meno interessante di lei, e di certo meno divertente. Questa è una commedia italiana di quelle senza inventiva e che quindi ricorre a tutte le più abusate soluzioni, tutte le gag già viste e solo raramente ha l’ardire di farsi venire un’idea comica.

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Courtesy Of vision distribution

Poi però succede qualcosa. Flaminia nella seconda metà cambia e in modi un po’ maldestri diventa anche altro, un film drammatico, un film romantico e poi alla fine torna commedia. L’impressione è che volesse cercare di cavalcare i grandi film per ragazzi degli anni ‘80 e ‘90 la cui forma base era la commedia ma che non disdegnavano per niente la serietà quando si parla di romanticume e che sapevano bene che non c’è niente di meglio di un po’ di dramma serio per coinvolgere. E se è maldestro come Flaminia affianchi questi momenti, non lo è per niente come li mette in scena e soprattutto non lo è come li recita Michela Giraud.

Quello che si scopre in Flaminia è che Michela Giraud ha un incredibile talento da interprete drammatica. In tutte le parti in cui il suo personaggio attraversa una presa di coscienza riguardo gli errori fatti in passato, quando torna da un ragazzo mollato perché socialmente sconveniente, quando deve interpretare la realizzazione del fallimento della vita come l’ha intesa fino a questo momento, è perfetta. Si può azzardare senza timore di esagerare che se Flaminia fosse stato un film drammatico, molto drammatico, forse avrebbe avuto molto meno pubblico potenziale (anzi sicuramente ne avrebbe avuto meno) ma probabilmente sarebbe stato un film migliore. Anche le parti al mare, romantiche e ingenue, un po’ generiche nell’immaginario hanno una capacità di funzionare lo stesso, nonostante tutto, proprio perché è Michela Giraud a interpretarle. Forse non è un grande complimento per una stand up comedian che ha fatto una commedia, ma abbiamo scoperto un vero talento drammatico. Se a qualcuno interessa.

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Gabriele Niola

Nasce a Roma nel 1981, fatica a vivere fino a che non inizia a fare il critico nell'epoca d'oro dei blog. Inizia a lavorare pagato sul finire degli anni '00 e alterna critica a giornalismo da freelance per diverse testate. Dal 2009 al 2012 è stato selezionatore della sezione Extra della Festa del cinema di Roma, poi programmatore e per un anno anche co-direttore del Festival di Taormina. Dal 2015 è corrispondente dall'Italia per la testata britannica Screen International.  È docente del master di critica giornalistica dell'Accademia d'arte drammatica Silvio D'Amico, ha pubblicato con UTET un libro intervista a Gabriele Muccino intitolato La vita addosso e con Bietti un pamphlet dal titolo "Odio il cinema italiano". Vanta innumerevoli minacce da alcuni dei più titolati registi italiani.     
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