Superbonus, la spesa è esplosa con Meloni: 66 miliardi tra deroghe e rinvii - la Repubblica

Economia

La spesa del Superbonus è esplosa con Meloni. Un conto da 66 miliardi tra deroghe e rinvii

FILE PHOTO: Italian Prime Minister Giorgia Meloni checks her mobile phone with Economy Minister Giancarlo Giorgetti at a news conference for her government's first budget in Rome, Italy November 22, 2022. REUTERS/Remo Casilli/File Photo
FILE PHOTO: Italian Prime Minister Giorgia Meloni checks her mobile phone with Economy Minister Giancarlo Giorgetti at a news conference for her government's first budget in Rome, Italy November 22, 2022. REUTERS/Remo Casilli/File Photo (reuters)

Circa la metà dei 117 miliardi di crediti fiscali maturata in 18 mesi. I sei provvedimenti “blocca incentivi” smontati dai partiti in Parlamento

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ROMA - Chissà se stamattina Giancarlo Giorgetti riuscirà dove fino ad ora ha sempre fallito. Se cioè, davanti ai senatori della commissione Finanze, difenderà l’ennesimo decreto “blocca-Superbonus” dalle richieste di deroga alla stretta. Rivendicato dal ministro dell’Economia, lo stop. Evaporato però nei fatti e nei numeri. E non solo nelle aule parlamentari, come si vuol far credere. Tutto inizia in via XX Settembre. Qui vengono scritti i sei provvedimenti “groviera” targati Meloni. Talmente pieni di buchi e scappatoie da far lievitare deficit e debito. Per poi lamentarsi di malasorte, eredità politiche e colpe dei tecnici.

Spesa doppia

I numeri fanno chiarezza. La spesa per il bonus edilizio più generoso d’Europa non solo non si è ristretta. Al contrario è esplosa durante i 18 mesi della destra al governo. Sui 117,2 miliardi di investimenti ammessi a detrazione fino a fine marzo, ben 66 fanno riferimento al governo Meloni, si può dedurre dalla ricostruzione dell’Ufficio parlamentare di bilancio. Quasi il doppio di quanto resta in capo ai due esecutivi precedenti, Conte II e Draghi. E nel conteggio c’è da aggiungere la coda di inizio aprile, non registrata da Upb.

La destra voleva stringere i rubinetti e invece ha finito per allagare la casa dei conti pubblici. Deroghe dentro le norme scritte al Mef. E porte aperte in Parlamento. Così la spesa mensile è passata dai 3,8 miliardi dell’ottobre 2022, quando Giorgia Meloni è arrivata a Palazzo Chigi, ai 5,7 miliardi di marzo, con picchi a ridosso delle presunte strette. Tra aprile 2023 e marzo 2024, le asseverazioni in deroga - quelle permesse dalle porte lasciate aperte - sono schizzate a 42,6 miliardi, quasi il doppio rispetto ai 23,7 dell’anno prima. Ecco la grande corsa autorizzata dalle maglie larghe.

Le scappatoie

Ma chi ha lasciato quei varchi aperti? Chi ha vanificato la lotta al “mostro abnorme” lanciata da Giorgetti? Il governo Meloni, insediato da pochi mesi a fine 2022, interviene due volte sul Superbonus, con un decreto legge e nella sua prima legge di bilancio.

Allunga a cinque il numero di cessioni del credito consentite e anticipa il décalage dello sconto che dal 110% passa al 90, per poi planare al 70 e al 65, già decisi da Draghi. Il momento della verità arriva dopo, il 17 febbraio 2023 con il decreto 11. L’allarme sui conti è alle stelle. Giorgetti annuncia il blocco definitivo della cessione dei crediti. La spesa del solo Superbonus è già a 75 miliardi rispetto ai 35 stimati in pandemia.

Ma quel decreto 11 nasce già con il vulnus. "Ampie deroghe”, le definisce Upb. Che poi diventano ancora più ampie e insostenibili in Parlamento, spinte da tutti i partiti della maggioranza. Prima le villette, poi le case Iacp, i lavori già avviati, le aree terremotate, le barriere architettoniche e così via. Da quel febbraio comincia la grande corsa ai ripari. Altri tre decreti legge per tamponare la falla. L’ultimo di aprile è ora in discussione al Senato. Il Superbonus nel frattempo si è mangiato otto punti di Pil, dovevano essere due.

Il capro espiatorio dei tecnici

Conti sballati. Al punto che al Mef è partita la grande “caccia” al colpevole, fino ad individuare il capro espiatorio nel Ragioniere dello Stato Biagio Mazzotta. A lui Giorgetti rimprovera mancati alert. Ma lui, il Ragioniere, sostiene il contrario: decreto dopo decreto, ha informato costantemente il ministro sui rischi legati alle deroghe.

E se è vero che la Ragioneria ha messo il suo bollino sotto le norme che hanno finito per allargare le maglie, è altrettanto vero che quei testi sono stati scritti dall’ufficio legislativo del ministero, la sede dell’indirizzo politico. In molti, in via XX settembre, hanno iniziato a chiedersi se la Ragioneria stia diventando una “succursale” al servizio dei governi che si susseguono.

Il “trucco” dello Spalma-crediti

Spostare il problema più in là. Caricarlo sul prossimo governo, sperando che non sia ancora il centrodestra a guidarlo perché altrimenti l’espediente dello “Spalma-crediti” si trasformerebbe in un boomerang.

Il Parlamento è pronto: la maggioranza ha preparato un emendamento per spalmare l’utilizzo dei crediti relativi alle spese del 2023 su dieci anni, invece che su quattro. Il vantaggio? L’impatto sul debito «si estenderebbe dal periodo 2024-27 al decennio 2024-2033, con conseguente riduzione dell’effetto annuo aggiuntivo del periodo iniziale», spiega Upb. Un macigno per i conti pubblici nel 2028-2033, un costo minore per Meloni.

Se per salvare i “diritti acquisiti” si devastano i conti e si mette a rischio la spesa sociale, "l’unica via che rimarrebbe da percorrere sarebbe l’eliminazione del Superbonus prima della sua naturale scadenza” nel 2025. Lo dice Bankitalia, avvertendo che “l’esperienza del decreto 11 dello scorso anno sembrerebbe sconsigliare allentamenti rispetto al testo originale”. Chissà se oggi Giorgetti lo farà capire ai senatori.

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