Breve fenomenologia amorosa. “I dieci amori di Nishino” di Kawakami Hiromi
La letteratura di questi ultimi mesi continua a rivolgere ai suoi lettori interessanti antologie narrative. Che riescono, nella loro poetica ritmata, a descrivere minuziosamente un campionario di situazioni, emozioni e scelte fra le più diverse. Tra queste, l’amore gode di una pozione privilegiata, com’è umanamente intuibile. Ne è un esempio Una cosa sull’amore di Jeffrey Eugenides, o Nostalgia di un nuovo mondo di Ottessa Moshfegh. O ancora il libro di questo articolo: I dieci amori di Nishino di Kawakami Hiromi (tradotto da Antonietta Pastore), scrittrice giapponese che sempre per Einaudi ha anche pubblicato La cartella del professore,con cui ha vinto il prestigioso premio Tanizaki e ha ricevuto la candidatura al Man Asian Literary Prize.
Il libro dell’autrice nipponica è però differente dalla struttura dei due precedentemente citati: tecnicamente è un romanzo coeso che non si suddivide in racconti sfusi, ma la sua struttura narrativa è a tal punto eterogenea da far sottendere una contingente diegesi a racconti. Invero, Kawakami dà voce a dieci donne diverse, le quali tessono la ricostruzione del cuore di Nishino e del loro amore per lui. Che la scrittrice sviscera nelle sue temperature più profonde, partendo da una questione solo apparentemente stucchevole:
« – Perché prima o poi ti stuferai di un essere artificiale
–Veramente?
– Si. Perché se uno è artificale, non può unirsi con un essere umano autentico» (I dieci amori di Nishino, Einaudi, pag. 46).
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L’autenticità del sentimento, che Nishino propone e che rifiuta consapevolmente, impone una sincerità d’animo e di totale affidamento, quasi del tutto distaccata da una forma di possesso – «In realtà non può essere, che una persona appartenga ad un’altra» (Ibidem, pag. 39) –, che però è sempre soggiogata dall’elemento irrazionale – «Eppure ho desiderato diventare sua. L’ho voluto io, deliberatamente» (Ibidem).
Ma chi è Nishino? Un seduttore incallito? Un uomo incapace di rimanere fedele? Un narcisista? Un capriccioso? Oppure è un uomo profondamente segnato dalle ferite del suo passato? La fenomenologia dell’amore che qui ci regala Kawakami Hiromi è capace di conoscere e riconoscere tutto questo, con gli occhi delle dieci donne. Un amore che si riconosce sempre diverso, ma che si conosce per la sua stessa essenza: essere un ricordo. Forse l’unica cosa che davvero rimane; il resto cambia, «perché si finisce sempre per cambiare» (Ibidem, pag. 48).
I dieci amori di Nishino segnano un’originalissima panoramica sulle bizzarre e imprevedibili questioni dell’amore, sintetizzabili in questi bei versi di Enrico Testa:
«tu il ramo, io la foglia
senza sapere però in quale stagione» (Cairn, Einaudi, pag. 33).
Hiromi pennella dieci stagioni e una sola foglia, Nishino, che quasi apposta si frappone in ognuna. Che si susseguono in ordine, e questo è unaltro problema: «com’è triste non poter tornare indietro» (I dieci amori di Nishino, Einaudi, pag. 65). Ma questo non riconduce al carattere inesorabile del tempo, bensì rideclina l’eco eraclitiano in una camminata dell’incertezza, verso la verità che pare mostrarsi a Nishino: «come se sapesse che nessuna donna al mondo lo amerà mai» (Ibidem, pag. 82).
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Si delinea, pertanto, una minuziosa fenomenologia dell’amore di e per Nishino, vero motore del sentimento nel cassetto dei ricordi delle “sue” donne. L’autrice nipponica gioca nel carattere oscuro e mellifluo del suo protagonista, il vero filo rosso fra le storie che compongono la storia degli amori.
Con una prosa tecnicamente premurosa, fine e delicata, che non si risparmia di fronte all’anima delle donne ferite. Come una canzone appena abbozzata che incanta, distoglie e dissimula. E fa innamorare dell’amore: la più grande fortuna, o il peggior destino. Ciò che perdura incontrovertibile è la sua natura voracemente bivalente, tra l’attrazione e la disillusione, che anima ogni pagina di questo libro. E ripercorre i versi di un poeta latino della filosofia epicurea (qui riportai nella traduzione di Edoardo Sanguineti):
«perché è questa quell’unica cosa, che più noi ne
abbiamo,
e più il nostro petto di un disperato desiderio si
accende» (Quaderno di traduzioni, Einaudi, pag. 17).
Per la prima foto, copyright: Annie Spratt.
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