Song to Song Recensione

Song to Song: la recensione del nuovo film di Terrence Malick

04 maggio 2017
3.5 di 5
71

Protagonisti sono Ryan Gosling, Rooney Mara, Michael Fassbender e Natalie Portman.

Song to Song: la recensione del nuovo film di Terrence Malick

Di recente Terrence Malick ha dichiarato di voler tornare a girare film basati su un copione strutturato, abbandonando lo stile libero (dai vincoli della sceneggiatura, ma non solo), impressionista e spesso improvvisato che ha caratterizzato praticamente tutta la sua produzione più recente.
A giudicare da questo Song to Song, c'è da credergli.

Intendiamoci, non è che Malick abbia messo da parte di colpo la frammentazione narrativa e dell'immagine, la digressione, la voce fuori campo, la riflessione che qui - più che filosofica - si fa quasi squisitamente religiosa, spirituale. Non è che il regista di The Tree of Life sia tornato improvvisamente quello della Rabbia giovane.
Però Song To Song è innegabilmente il suo film più intellegibile e lineare da molti anni a questa parte.

Nel suo primo atto, quello che racconta lo strutturarsi del rapporto a tre tra i personaggi di Ryan Gosling, Rooney Mara e Michael Fassbender, che sono figure talmente cariche di simboli da risultare quasi allegoriche, Song To Song riesce quasi a mostrare una chiarezza narrativa che sembra rimandare alla classicità di strutture archetipiche shakespeariane, pur rimanendo fedele al suo stile rarefatto, errabondo e meditativo.

Malick non sarebbe Malick, però, se si fosse limitato a raccontare, attraverso questo triangolo, della sua visione dell'amore, o dell'Amore, comunque ben più chiara e strutturata di quella di To the Wonder.
Attraverso la storia dei suoi protagonisti, di un mefistofelico Fassbender che è l'erede mai redento del Bale di Knight of Cups, della luminosissima Mara, e di un Gosling che, forse, è un suo alter ego, il regista ha parlato ancora una volta della vacuità del successo e della fama, e dei pericoli dell'edonismo e della dissolutezza.  
E il mondo intenso, ribelle, selvaggio, eternamente giovane e rivoluzionario, ma anche illusorio ed effimero della musica rock era per il lo sfondo ideale per la messa in scena del dilemma di personaggi che vorrebbero tutto (l'amore, la libertà, la sicurezza, il successo) quando tutto - e Lykke Li nel film, da ex di Gosling, lo sa bene - non si può avere.

In maniera coerente e consequenziale a quello spirito quasi monacale e ascetico, infuso di divino mostrato nei suoi film più recenti, Malick trova la soluzione di Song To Song e dei dilemmi morali ed esistenziali degli esseri umani del Terzo Millennio nel downshifting, nella rinuncia, nel ridimensionamento.
Nella consapevolezza che, appunto, tutto non si può avere, e che a volte è necessario ripartire da zero per ritrovare sé stessi e il proprio cammino: per non perdersi, per non perdere i propri valori, per non vendersi e morire.
Perché la libertà, quella vera, si nasconde sempre nell'accettazione dei suoi limiti, così come è per l'amore.

Che questa filosofia malickiana convinca o meno, è difficile rimanere indifferenti alla capacità di Song To Song di rappresentare il sentimento, d'incarnarlo, di avvolgersi attorno ad esso, di accarezzarlo; che sia un sentimento espresso, parlato, o che nascosto nelle pieghe di piccoli gesti e movimenti che di solito passano inosservati, non registrati, oltre le periferie dello sguardo e della ragione.
E se si sintonizza la frequenza del proprio vedere su quella apparentemente immota, ma inesorabile, del racconto, se ne viene trascinati.

Perché, sebbene non manchino gli avvitamenti, le ossessioni, le ripetizioni e gli smarrimenti, e a dispetto dal suo testardo voler volare erratico da un sentimento all'altro, da un personaggio all'altro, da un tema all'altro, come la farfalla che insegue in una scena (e che già inseguiva in Tree of Life) anche Terrence Malick sembra aver finalmente abbracciato, a modo suo, il downshifting e i suoi benefici.

Per una volta, in Song To Song, less is really more. Basta un accordo, uno solo: lo dice anche Patti Smith.
Il risultato è forse un B-Side, ma uno di quelli capaci di graffiare più della hit pompata e troppo arrangiata e troppo prodotta del lato A.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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