Silvio Orlando fra teatro, Virzì e Zerocalcare: "Sono pronto a morire. In scena" - la Repubblica

Il Venerdì

Silvio Orlando: sono pronto a morire. In scena

Silvio Orlando durante le prove di Ciarlatani. © Guido Mencari

Silvio Orlando durante le prove di Ciarlatani. © Guido Mencari

 
Da Moretti a Virzì: intervista all’attore più corteggiato dai registi, che torna a teatro con “Ciarlatani”, da oggi al Festival di Spoleto. L’ha voluto pure Zerocalcare. “Gli avevo chiesto: hai un ruolo da terza età?”
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Roma. Per lavoro, senza fermarsi mai un minuto, Silvio Orlando ha passato questo giugno andando avanti e indietro fra mare e città. Ha fatto spola tra l’isola di Ventotene, dove la troupe di Paolo Virzì ha girato il sequel di Ferie d’agosto, un film ora dal titolo Un altro Ferragosto (lui vi interpreta lo stesso personaggio originario, più maturo), e il cuore romano di Trastevere dove il Teatro Belli ha ospitato le prove dello spettacolo Ciarlatani, scritto e diretto dallo spagnolo Pablo Remón.

Orlando, lei è reduce dal successo umano e politico nel bellissimo film Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti, e ha terminato le riprese isolane di Virzì per una reunion a 27 anni di distanza dal film del 1996 su un agosto italiano di culto, intervallando il set col cantiere d’una nuova commedia. Con che animo ha aderito al sequel, ancora portavoce d’una tribù intellettuale in conflitto coi rumorosi vicini di vacanze?
«Sono tornato volentieri a identificarmi nello stesso carattere d’allora, nel giornalista impegnato Sandro Molino, aderendo al disegno di Virzì teso a raccontare tutti per come col tempo siamo rimasti e siamo diventati. Qui i miei familiari, compreso il figlio ventiseienne di cui la mia compagna Laura Morante m’aveva annunciato la nascita, hanno premura di farmi trascorrere un ennesimo ferragosto a Ventotene, forse un’ultima soddisfazione, perché sono affetto da una malattia. Ecco qua (sorride con garbo e sarcasmo, ndr), cominciano a farmi fare i moribondi…».

Orlando con Gigio Alberti e Silvio Vannucci in Ferie d'agosto di Paolo Virzì, 1996

Orlando con Gigio Alberti e Silvio Vannucci in Ferie d'agosto di Paolo Virzì, 1996

 

Tra cinema e teatro, lei ha trovato modo di prestare la sua voce anche a un doppiaggio per la serie televisiva di Zerocalcare
«Il rapporto con lui è nato quando Lucia Calamaro, autrice e regista cui mi sono affidato in Si nota all’imbrunire, voleva coinvolgerlo creandogli una finestra, che poi non si realizzò. Ci siamo incontrati, siamo rimasti in contatto, e una volta su un treno gli dissi di chiamarmi se aveva una figura della terza età. Ora l’ha fatto, per la sua serie Netflix Questo mondo non mi renderà cattivo, e ho doppiato un poliziotto filosofo, un detective della Digos».

Il personaggio doppiato da Silvio Orlando nella serie Questo mondo non mi renderà cattivo

Il personaggio doppiato da Silvio Orlando nella serie Questo mondo non mi renderà cattivo

 

Il nostro dialogo con Silvio Orlando ha luogo al Teatro Belli, dove l’attore, assieme a Blu Yoshimi, Francesca Botti e Francesco Brandi, ha costruito le dieci scene di Ciarlatani di Pablo Remón, traduzione italiana di Davide Carnevali da Los Farsantes, condividendo spesso lo spazio con l’autore-regista, una presenza vivace, cordiale e affiatata: è un madrileno 46enne che intende l’italiano e usa talora la sua lingua con accanto un interprete. Dopo una quotata carriera cinematografica, Remón ha optato per la drammaturgia e la scena. In scena sono appunto quattro attori, compreso lo stesso Orlando, ed è un lavoro congiunto della sua società Cardellino e del Festival di Spoleto, dove l’impresa debutta da questa sera, 5 luglio, fino all’8, per poi replicarsi, da febbraio in poi, nel coproduttore Teatro Argentina di Roma, al Mercadante di Napoli e nei principali teatri d’Italia. In apertura di stagione Ciarlatani sarà preceduto da più riprese de La vita davanti a sé da Romain Gary.

Come s’è stabilito il rapporto tra lei, Orlando, e quest’opera d’un teatrante iberico?
«Ai tempi della serie di Sorrentino (The Young Pope, del 2016, e poi The New Pope, 2020, ndr), io come Cardinal Voiello e Javier Cámara come Cardinal Gutierrez, abbiamo familiarizzato, e l’amicizia è rimasta. Lui ha un percorso simile al mio, ha iniziato come comico e poi ha affrontato il genere drammatico con Almodóvar, in Parla con lei. Ha sensibilità e ironia. Ha preso parte a Ciarlatani, mi ha inviato il testo, ho intuito che me ne potevo innamorare, sono andato a vedere lo spettacolo nei pressi di Madrid, ho capito che si poteva snellire un po’ e che l’autore è persona molto disponibile. La cosa ha preso corpo».

Che storia è?
«È la vicenda complessa di una giovane donna che si misura col teatro, col fantasma di un padre regista di cinema, con memorie degli anni Ottanta e forme attuali di musicalità, giochi scenici e ritmi recitativi. Quattro attori se la vedono con venti personaggi, con vari tipi di teatro o televisione o mondi virtuali, e coi timori di un fallimento. C’è il tacito invito a perdonare gli insuccessi, ad avere compassione per se stessi, a non essere troppo spietati nel giudicarsi. Spunta fuori il richiamo alle teorie d’un pensatore coreano, Byung-Chul Han, che legge nel capitalismo una chiave evoluta di sfruttamento: siamo noi, i padroni e i servi di noi stessi, sempre alla ricerca della nostra migliore versione da offrire agli altri. La ragazza comprende che i sogni possono essere pericolosi, indotti, e accetta una versione normale di sé».

Durante le prove abbiamo assistito anche a un forte, emozionante rimando a Psicosi delle 4 e 48 di Sarah Kane, saltuario sottotraccia di Ciarlatani. Clamoroso riferimento in un testo adottato da Silvio Orlando...
«Lo spettacolo è questo, i rimandi questi. La nostra società produttrice, Cardellino, qui menzionata con la responsabile Maria Laura Rondanini (moglie di Orlando, ndr), ha lavorato d’istinto coi contemporanei, con Starnone, con Calamaro, o con un Romain Gary rielaborato. Altrettanto facciamo ora adottando Pablo Remón, uno che ama la poetica di Zavattini. Con me, che qui affronto i ruoli più adulti, e che faccio un lieve passo indietro affidando il peso narrativo a una ragazza in crisi, che è Blu Yoshimi, somma di entusiasmo, forza e fragilità che avevo già avuto come figlia nel film Un Natale con i fiocchi. E con me e con Francesco Brandi era presente anche nel recente film di Nanni».

Nel testo, fra i molti quadri frammentati (c’è pure un David di Donatello), tra passato e presente, e tra realtà e proiezioni, ricorre il tema del plagio d’autore...
«È un’invenzione, uno scherzo basato sull’ipotesi che l’autore abbia copiato un contenuto dalla scrittura di laboratorio d’una sua studentessa. Un puro gioco d’inserimento. Come se tutto a un tratto io parlassi della mia costosa bicicletta che una notte (questo episodio è però vero) ho lasciato senza catene a via Monserrato, con l’incredibile scoperta di ritrovarla la mattina dopo, nella città di Ladri di biciclette. Ma consiglio gli spettatori di non badare a una trama, ma di fare una piccola ginnastica di attenzioni, di abbandonarsi ai nessi, all’alternarsi di vuoti e pieni».

A posteriori, qual è il suo bilancio della partecipazione (la quinta con il regista) al film di Moretti, Il sol dell’avvenire?
«Al film di Nanni ho voluto esserci comunque, a prescindere dal ruolo che m’ha poi assorbito e divertito. Mi sono reso conto che è stato un naturale riconciliarsi con lui per storie, trascorsi e culture che coincidono. Quanto al resto del mondo dello spettacolo, mi sono fatto l’idea che mi chiamino, mi facciano proposte per via d’una credibilità umana fatta di accumuli, scelte, cammei e modi di stare nel mondo, con una linea di pensiero che, senza retorica, è forse considerabile etica».

Lei che riflessione ha tratto, ora, dalla discesa in campo di Nanni Moretti come regista teatrale?
«Conoscendolo, credo che si farà tanti scrupoli. Nella sua coscienza più intima, lui è anche insospettabilmente insicuro. Ma sa poi anche risolvere, questo è un gran bel pregio, a modo suo. E Nanni, per certi aspetti, non è un debuttante assoluto della scena. Dobbiamo ricordarci delle tante volte che il suo cinema è stato già affollato, costituito, espresso da emozionanti e qualificati attori di teatro».

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